Mail box

 

Le case farmaceutiche dovrebbero aiutare il Paese

Gentilissimo Direttore Travaglio, mia moglie è affetta da sclerosi multipla da più anni ed è in terapia con un farmaco a uso orale. Forse dirò baggianate ma, considerando il periodo che stiamo trascorrendo, se si riuscisse a “contribuire” a più livelli per risparmiare non sarebbe male. Mi riferisco a un “contributo” pro Italia delle case farmaceutiche. Il farmaco di mia moglie è una pillola che assume giornalmente. La confezione è di 28 capsule e costa (al Ssn) poco meno di 3.000 euro! Nulla togliendo al corretto introito delle case farmaceutiche, sarebbe un gran bel contributo da parte loro.

Alberto Busillo

 

Caro D’Uva, in Ue c’era già una commissione antimafia

Caro Direttore, giorni fa in questa pagina è comparso un intervento del deputato M5S Francesco D’Uva sulle accuse di mafiosità di Die Welt all’Italia. Si conclude con l’auspicio dell’istituzione di una commissione antimafia europea. D’Uva ha dimenticato che nella precedente legislatura a Bruxelles ci fu una commissione antimafia, nata grazie all’impegno di Sonia Alfano e presieduta da lei. Sonia Alfano peraltro era stata eletta, come Luigi De Magistris, nelle liste di Idv con l’appoggio dei grillini.

Fabio Repici

 

“Radio3 è pluralista”. “No, è spesso faziosa”

Egregio Travaglio, leggo la risposta che dà sulla trasmissione Prima pagina, definendola un “postaccio”. Evidentemente non la conosce e non l’ascolta, se no saprebbe che ogni settimana è condotta da un giornalista di diversa tendenza e alcuni non hanno simpatia per il suo giornale. Proprio l’altra mattina Il Fatto è stato citato. Gli ascoltatori di Prima pagina sono di solito molto informati e Radio3 offre un vero servizio pubblico.

Bruna Giacobino

Marino Sinibaldi afferma che Prima Pagina dà voce anche al Fatto Quotidiano? Vero, in genere il giornalista del Fatto viene invitato la settimana di ferragosto e, forse, quella di Natale. Per il resto dell’anno è un massacro, contro i 5 Stelle e in maniera subliminale contro il Fatto, giornale inviso dalle rassegne stampa di ogni ordine e grado. Io aspetto il lunedì per vedere chi sarà il giornalista chiamato a condurre e, salvo rarissime eccezioni, a infangare, oscurare, nascondere e mandare messaggi subliminali a chi ascolta, “contro i nemici”. Dopo aver sentito il nome, il più delle volte cambio stazione.

Paolo Sanna

 

Il Mes è uno strumento improprio e insufficiente

Alcune osservazioni sugli eventi degli ultimi giorni. 1. Polemica Conte-opposizione: Conte aveva tutto il diritto di dire quello che ha detto, e ha fatto benissimo. Salvini e Meloni sono perennemente in Tv, Facebook, Twitter… e dicono quello che vogliono. Il presidente del Consiglio ha il diritto, ma direi anche il dovere, di ristabilire la verità e sbugiardare le balle dell’opposizione. 2. Europa dei pidocchi. Qualcuno spieghi alla signora Merkel che l’Italia, assieme agli altri Paesi colpiti dal Coronavirus, deve essere aiutata dall’Europa tutta insieme e questi aiuti riguardano soprattutto le attività industriali ed economiche: quindi il Mes, con i suoi tirchi soldini solo per la sanità, è come sostiene giustamente Conte, uno strumento improprio e insufficiente alla bisogna.

Guido Bertolino

 

Alcune precisazioni sul “caso Contrada”

Come ex presidente di sezione della Corte di Cassazione, ritengo opportuno intervenire sulla vicenda Contrada. 1) Ineccepibile è l’osservazione di Caselli e Ingroia, secondo cui i fatti di cui Contrada era accusato sono incontestabili e definitivamente accertati. 2) Qualche perplessità, invece, desta l’affermazione che “il concorso esterno in associazione mafiosa scaturisce dalla combinazione di norme del codice operative ben prima che Contrada ponesse in essere le sue condotte”. Solo di recente la Cassazione ha dato ragione alla tesi di Caselli e Ingroia, stabilendo che la decisione Cedu nel caso Contrada/Italia non dimostra l’indeterminatezza dell’incriminazione del concorso esterno. 3) Alla questione è del tutto estranea la Cassazione, che aveva confermato la condanna di Contrada. 4) Del pari estranea va ritenuta la Corte d’Appello di Palermo, che si è limitata alla liquidazione dell’indennizzo, così come ingiunto dalla Cedu.

Guido De Maio, Presidente emerito C. S. di Cassazione

 

San Raffaele: “Il nostro Day hospital è sempre aperto”

Gentile signor Roberto (lettera pubblicata mercoledì, ndr), comprendiamo la sua preoccupazione. L’attività ambulatoriale programmata è stata temporaneamente sospesa per far fronte all’emergenza Covid-19 e per evitare rischi agli stessi pazienti. Tuttavia, le confermiamo che il reparto di Malattie infettive del San Raffaele di Milano garantisce la continuità di cura, sia con la consegna di farmaci presso l’ambulatorio, sia con la disponibilità del proprio medico infettivologo, che è possibile contattare per chiarimenti. Per assicurare le cure a tutti, abbiamo inoltre attivato un servizio di consegna farmaci a domicilio. Per urgenza e per i pazienti che hanno co-morbidità (terapia antimicrobica, chemioterapia…) il Day hospital è aperto tutti i giorni, compresi sabato e festivi: qui viene garantita una valutazione immediata senza visita prenotata.

Dott. Salvatore Mazzitelli, Dir. sanitario del San Raffaele

Piemonte. I peccati degli incompetenti che tutta la popolazione sta pagando

La mia vicenda è l’ennesima conferma dell’esistenza di un, piuttosto grave, caso Piemonte. Io e mia moglie, attualmente in quarantena/convalescenza siamo stati infettati dalla mia centenaria suocera che è miracolosamente sopravvissuta e che si trova ancora ricoverata al Carle di Cuneo in attesa di tampone negativo. Dopo aver sentito pareri inconcludenti da parte di alcuni funzionari della Sanità regionale, mi sono rivolto direttamente al presidente Cirio per sapere se anche la Regione Piemonte avesse previsto delle strutture post Covid ad hoc per anziani non autosufficienti come la suddetta suocera centenaria. Aggiungo che io e mia moglie siamo in attesa di tampone da tre settimane… Ora, malgrado la mezza dozzina di messaggi/solleciti non ho mai ricevuto riscontro. La vicenda mi pare costituisca evidente dimostrazione della inadeguatezza dell’attuale Amministrazione regionale nonché della incapacità di dialogo con i cittadini.
Adriano Rosso

 

Caro Adriano, io non me la sento di dirle se, cambiando colore politico, lei troverebbe risposte concrete e immediate ai suoi problemi. Conosco la storia delle varie giunte regionali piemontesi sin dall’istituzione delle Regioni ordinarie e, mi creda, ho visto inefficienze da parte anche di esecutivi subalpini guidati, per esempio, da Mercedes Bresso (Pd) o da Sergio Chiamparino (Pd). Quelli, però, erano tempi normali: si figuri oggi, al tempo del Coronavirus. Ma ci sono almeno quattro questioni che (appartenenze politiche a parte) la sua lettera porta alla ribalta, se già non bastassero a farlo le terribili cronache sanitarie del Piemonte di questi giorni: 1) l’assessore regionale alla Sanità, Luigi Icardi, è un incompetente della materia: in passato è stato sindaco di Santo Stefano Belbo (Cn) e si è occupato di moscato, Premio Cesare Pavese e Fiera del Tartufo; 2) l’Unità di Crisi è dominata da un ex pm in pensione che tratta i giornalisti (unici abilitati, nelle conferenze stampa, a rappresentare i cittadini) come trattava i suoi imputati; 3) il pasticciaccio combinato dalla giunta piemontese sul fronte delle Rsa è sotto gli occhi di tutti e denunciato, giorno per giorno, dal numero dei morti in quelle strutture, dalla babele di delibere che aggravano vieppiù la situazione e da proteste come la sua; 4) la comunicazione con i piemontesi è scarsa e fatta male e si concretizza quasi sempre con silenzi. Che dire di tutto ciò? Qualcuno parla apertamente di reati, io mi limito a pensare che tutto questo sia almeno un peccato gravissimo. I peccati di cui si occupa la Chiesa e che come ricorderà anche lei, gentile Adriano, “gridano vendetta al cospetto di Dio”.
Ettore Boffano

La Tv commerciale e quella mezza censura preventiva

“Con il tempo, la menzogna – per chi ne fa un uso abituale – si istituzionalizza”. (da “Il potere della menzogna” di Mario Guarino – Edizioni Dedalo, 2013 – pag. 9)

Qualcuno ha mai sentito Enrico Mentana, quando era direttore del Tg5 (Mediaset), dire pubblicamente che Silvio Berlusconi faceva un “uso personalistico” della televisione? O forse, all’epoca del famigerato duopolio tv, l’ex Cavaliere non l’ha mai fatto né sulle sue reti né su quelle pubbliche?

Eppure, il suo macroscopico conflitto di interessi era sotto gli occhi di tutti: impresario televisivo privato, leader di Forza Italia e capo del governo; artefice di una collana di leggi “ad personam”; autore di un “editto bulgaro” a cui seguì la cacciata di Biagi, Santoro e Luttazzi dalla Rai. Mentre oggi il povero Conte, accusato di usare la televisione di Stato a fini personali, non ha né un partito né un’azienda alle spalle. E tutto ciò in seguito a una conferenza stampa di cui Palazzo Chigi non aveva neppure chiesto la trasmissione a reti unificate.

Tanto legittima era nel merito la replica del premier alle critiche ingiustificate dell’opposizione sul fondo europeo salva-Stati, quanto è stata inopportuna però nella forma e nel tono. In quell’occasione il premier aveva attaccato il tandem Salvini-Meloni, contestando a entrambi di dire “falsità” e “menzogne” che minacciano di indebolire l’Italia nella trattativa con l’Ue sulle risorse contro la pandemia. Ma il risultato è stato quello di fornire agli avversari un pretesto o un alibi per rompere quel minimo di confronto che s’era aperto sull’emergenza sanitaria ed economica.

Lo dimostrano le esorbitanti reazioni di Salvini & Meloni che evidentemente non vedevano l’ora di tornare sulle barricate. Così il leader della Lega ha telefonato al presidente Mattarella per protestare e la leader di Fratelli d’Italia ha denunciato quella che definisce una “tv di regime”, cioè la Rai sovranista. Ad allestire la sceneggiata finale ha provveduto poi il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, il forzista Alberto Barachini, già giornalista di Mediaset, intimando al servizio pubblico di concedere il diritto di replica ai dioscuri della destra quando in realtà avevano giù potuto replicare ampiamente.

Colpisce ancor più il fatto che il direttore di un tg privato, in regime di concessione pubblica, dichiari “se l’avessimo saputo prima non avremmo trasmesso quella parte della conferenza stampa”. Questo significa in pratica che un professionista navigato come Mentana si arroga la facoltà di applicare una mezza censura – e per giunta, preventiva – quando non condivide ciò che dice il premier; di “tagliare” o mutilare in anticipo un intervento pubblico, piuttosto che chiedere agli interlocutori una replica immediata o magari esercitare il proprio diritto di critica. Ed è lui stesso a peggiorare la situazione quando ribatte: “Io non censuro, ma la tv non è la buca delle lettere”. Quasi che il premier fosse un postino o un distributore di volantini e quasi che un direttore di giornale o telegiornale fosse il custode dell’etica civile, in forza di una discrezionalità che rischia di sconfinare nel pregiudizio o nella partigianeria.

Ma forse non c’è da meravigliarsi più di tanto che un’esternazione del genere provenga dai vertici di una tv commerciale guidata da un tycoon, Urbano Cairo, che in realtà è un clone berlusconiano. Un magnate che, in piena epidemia, arringa con un video aziendale i suoi dipendenti per sfruttare l’occasione e rastrellare pubblicità.

Gli anziani sono i nuovi perseguitati

Per la cosiddetta “fase due” si profila una discriminazione a danno degli anziani (anche se i sostenitori di tale discriminazione sostengono che sia a favore). Jean-François Delfraissy, consulente scientifico del presidente francese Macron, lo ha detto a chiare lettere: “Il Paese va riaperto, ma anche nelle prossime settimane, forse nei prossimi mesi, ci saranno 18 milioni di persone che dovranno rimanere confinate”. Questi 18 milioni sono gli individui che, sono parole dell’esperto, “hanno superato i 65 o i 70 anni”. Sulla stessa linea, anche se un po’ più sfumata, è la dichiarazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: “Gli anziani dovranno restare isolati, per motivi di protezione, almeno fino alla fine dell’anno”. Questa idea circola anche in Italia. Insomma costoro vorrebbero rapinare agli anziani anche un paio di estati della loro vita, estati che potrebbero essere le ultime non perché moriranno di Coronavirus, ma perché potrebbero essere colpiti da quei mille accidenti che sono propri della vecchiaia.

Lasciamo pure perdere che se questa ipotesi divenisse un provvedimento concreto sarebbe del tutto incostituzionale, violerebbe l’articolo 3 della nostra Carta che sancisce un principio fondante della democrazia: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ho detto “lasciamo perdere” perché ormai delle libertà costituzionali si è fatta strame col pretesto di una epidemia. E poiché non è possibile stabilire ictu oculi se una persona ha superato i 65 anni o 70 anni gli appiccicheranno sul petto una stella gialla. Gli anziani sono gli ebrei del Duemila.

Ma ciò che colpisce di più è la totale illogicità del provvedimento. Gli anziani muoiono di Corona molto più facilmente dei giovani ma se, come tutti, rispettano le regole, non infettano più degli altri. Se io, anziano, voglio correre più rischi degli altri la decisione non può che essere mia. Diversamente che in altri tempi l’individuo non appartiene a Dio (per cui un tempo si puniva il suicida, dissacrandone la sepoltura perché ormai si era sottratto alla giustizia umana, o anche il tentato suicidio con pene severe) né alla società, appartiene solo a se stesso. In una società moderna, laica, “ognuno è libero di fare ciò che vuole, nella misura in cui non nuoce agli altri” che è l’ipotesi che stiamo esaminando perché l’anziano che si espone ai rischi dell’epidemia può nuocere solo a se stesso.

Ci sono poi alcuni corollari. È noto, è medico, che agli anziani, più che ai giovani, per tenersi in forma è essenziale muoversi: camminare veloci, se si può, andare in bici, nuotare. Un anziano che si ferma è perduto, finisce rapidamente in una sedia a rotelle. Allentate le misure di isolamento i nostri figli se ne andranno al mare o ai monti e l’anziano resterà solo. Secondo un recente studio (2015) della Brigham Young University di Provo, Stati Uniti, la solitudine uccide più del fumo, aumenta le possibilità di morire del 30%. E se anche un anziano riuscisse a disciularsi da solo, verrebbe respinto dagli alberghi, dai Residence, dagli stabilimenti balneari col pretesto della sua età. L’aria viziata di un appartamento è più pericolosa dell’aria all’aperto. Non per nulla in un primo tempo le Autorità italiane avevano permesso di correre o di svagarsi nei giardini, solo che i cretini facevano gruppo, e quindi focolaio, e si è dovuto ritirare questa saggia decisione. In ogni caso sia chiaro che se qualcuno, poliziotto o persona normale, si azzarda a dirmi “che cosa fa in giro lei che è anziano?”, poiché al momento sono sano, sono ancora forte e batto a braccio di ferro i ventenni (chiedere al simpatico, palestrato, cameriere cubano-spagnolo, Ramiro, che serve al Nhero e ogni volta che viene sconfitto prende a pretesto che non è concentrato perché deve badare ai clienti) lo abbatto col mio bastone Masai.

Le persone giuste contro le mafie

Il dibattito è già iniziato. Come far partire velocemente i grandi lavori pubblici keynesiani promessi in vista della fase 2 o della fase 3? Come mettere in moto i meccanismi della ripresa senza farsi bloccare da normative ossessionanti? Chi vuole (comprensibilmente) far presto spinge per una sorta di liberalizzazione. Chi vuole (comprensibilmente) tenere fuori le mafie dalla presunta pioggia di denaro pubblico spinge per non aprire i varchi. Ma è possibile uscire da questo dilemma?

Risposta: è possibile se si ha il coraggio di compiere alcune scelte elementari e radicali, che qui inizio ad accennare. La normativa sugli appalti è cresciuta a dismisura e la pubblica amministrazione soffre ovunque di elefantiasi procedurale perché si è inteso bloccare la corruzione e la presenza mafiosa nelle attività pubbliche affidandosi solo alla norma astratta. Che ovviamente non basta. E dunque inventando sempre più norme astratte. Con il risultato di produrre inefficienze micidiali, frustrazioni quotidiane e costi supplementari in tutto il sistema. Senza per questo riuscire a impedire l’infiltrazione delle imprese mafiose nelle “ricostruzioni” come nell’alta velocità, nelle opere autostradali come nella realizzazione di caserme e palazzi di giustizia. La questione è che le leggi sono state fatte per ovviare ai comportamenti dormienti o conniventi delle burocrazie. Meccanismi oggettivi, necessariamente sforniti di una capacità di lettura autonoma delle situazioni. Deresponsabilizzanti per l’impiegato che fronteggia i clan (“non è colpa mia, devo fare così…”) ma anche per i gaglioffi, sempre in grado di aggirarli e rivendicare il “rispetto della legalità”. Proviamo però a immaginare che il controllo delle imprese concorrenti agli appalti anziché essere del tutto e ossessivamente affidato alle norme venga affidato soprattutto alle persone. Che si combinino, parafrasando Bobbio, il governo delle leggi e il governo degli uomini. Che tali uomini (o donne) vengano scelti perché massimamente in grado di realizzare “lo spirito” delle leggi. Che si diano loro poteri di intervento, come sono stati dati – e con ottimi risultati – i poteri di interdittiva ai prefetti. Faccio dunque una proposta. Che per un certo periodo (proviamo per due anni?) si accentri il controllo sulle infiltrazioni mafiose nei lavori pubblici in tre strutture territoriali poste sotto la giurisdizione del ministro dell’Interno: Nord (Emilia compresa), Centro e Sud-Isole. Che queste strutture abbiano l’incarico di monitorare, vigilare, chiedere ispezioni e fissare criteri chiari di “dentro e fuori”. La dipendenza dal ministero dell’Interno ne farebbe strutture non invadenti, ma legittimate a perseguire a tempo pieno uno scopo comune, in raccordo diretto con tutti gli organi istituzionali, a partire dai prefetti. L’esperienza fatta a Milano per il sindaco Pisapia con il comitato antimafia di Expo 2015, fra l’altro con funzioni solo consultive, mi ha convinto che queste strutture dedicate non possono magari garantire l’assoluta impermeabilità ma possono cambiare del tutto il film immaginato dalle imprese mafiose, specie se agiscono in sintonia e rapporti di fiducia con il contesto istituzionale. La garanzia data dalla qualità delle persone, insomma, consente di alleggerire l’apparato normativo di controllo. Esistono queste persone nell’amministrazione italiana? Certo, e sono più numerose di quanto possa apparire. Il fatto è che vanno scelte espressamente per i meriti acquisiti sul campo contro la mafia, per la conoscenza che hanno del suo modus operandi e per la determinazione a contrastarla. Mentre spesso si scelgono per queste funzioni marpioni raccomandati politicamente, funzionari sfiatati che tirano fuori una provvidenziale foto con Falcone, personaggi che hanno operato “in zone difficili” (senza mai dire con quali risultati). Ho in mente nomi di uomini e donne che a Cosa Nostra e alla ‘ndrangheta hanno fatto letteralmente vedere i sorci verdi. Non li propongo qui per ragioni di scaramanzia. Ma la ministro Lamorgese, che è capace e ha esperienza, potrebbe senz’altro immaginarli e scegliere tra loro. Basterebbero poi alcune regolette. Niente appalti pubblici a nessun livello a chi ha la sede in un paradiso fiscale. Niente a chi ha amministratori strettamente imparentati con pregiudicati per specifici reati spia. Niente a chi non ha alcuna esperienza nel ramo. Niente a chi non ha capitali o manodopera. Niente a chi ha nel consiglio d’amministrazione presenze surreali, a partire dalla classica ottantenne con la quinta elementare.

Per il resto competenze, tenacia, intelligenza delle situazioni e ispezioni a sorpresa. Vuoi vedere che invece di piangerci addosso alternativamente per le lentezze burocratiche e per le mafie ci liberiamo (almeno un po’) delle une e delle altre?

Trovata la cura! Basta protocolli del ’ndo cojo cojo

Trovata una cura per il CoVid-19. Lo ha annunciato ieri pomeriggio il dottor Neil Obstat, uno dei diciottomila membri del Comitato Tecnico Scientifico istituito con un decreto dal commissario per l’emergenza Borrelli (tutta gente sveglia, gente che ha fatto il Politecnico e la Bocconi, gente che cammina fischiettando cruciverba). Obstat (gli scienziati che scoprono qualcosa vanno sempre chiamati per cognome, senza il “dottor”) ha scoperto la cura per caso, bevendo accidentalmente un liquido colorato che stava fermentando in una beuta del suo laboratorio clandestino di margarina. “Porca puttana!” ha esclamato Obstat, assaporandone un sorso. “Questa è la cura per il Coronavirus! Allappa un po’, ma sa di barolo chinato!”. E in effetti era la cura per il Coronavirus, quella cura che ha beffato la Scienza fin dal 1956, quando ci fu il primo caso di polmonite interstiziale da CoVid-19, con defunto subito cremato e tutti zitti, mi raccomando. (Per la cronaca, si trattava di Jan Jansen, un lunatico che gironzolava per Amsterdam a incollare ali di pipistrello alle pantegane). Poiché quella del dottor Obstat (lo so, lo so, ma a volte si possono fare eccezioni, come in questo caso) è la prima cura trovata, è stata chiamata Siero A, con soddisfazione di tutti i membri del Comitato Tecnico Scientifico, che hanno celebrato l’avvenimento fischiettando cruciverba, dopo aver deposto la contessa sul suo letto (è una storia lunga). L’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, la cui Commissione era riunita da un mese in seduta telematica permanente, immaginatevi in che stato avevano le mutande, ha subito bloccato i protocolli di sperimentazione avviati due giorni fa. I protocolli erano una quarantina, un numero altissimo, all’insegna del ’ndo cojo cojo, ma si era in emergenza; per non parlare poi del pressing di Big Pharma, che voleva poter utilizzare molecole off label, come il tocilizumab, il remdesivir e la varechina. Farmaci che non sono privi di effetti collaterali importanti. Il tocilizumab, per esempio, ti dà un odore corporeo che fa scattare gli allarmi antigas in tutto il quartiere. Il remdesivir ti fa urlare all’improvviso come Vittorio Sgarbi. Il sarilumab ti fa fare singhiozzi che arrapano i gabbiani. L’anakinra ti gonfia la faccia come fosse Tyson. L’emapalumab fa vincere la Juve. “Rispetto a quelli, la varechina è una limonata”, dicevano imbarazzati i membri della Commissione, svuotando le pipe all’unisono. La situazione era così disperata che si stava approvando uno studio randomizzato, multicentrico, contro placebo e in doppio cieco per valutare l’efficacia e la tollerabilità della somministrazione di ceffoni rapidi a sorpresa per ridurre il distress respiratorio nei pazienti intubati. C’era anche chi proponeva di somministrare remdesivir e sarilumab INSIEME! Poi dice che uno non s’incazza. Il Siero A è in attesa di approvazione da parte del Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità, composto da 20 probiviri, fra cui il cardinal Ravasi, Topo Gigio e Marino Bartoletti; ma insomma direi che ci siamo. L’Aifa ha anche approvato l’impiego delle sanguisughe. Verranno usate per sollecitare il pagamento delle parcelle mediche negli ospedali privati.

Mi sbagliavo: al peggio (politico) non c’è fine

Qualche giorno fa, devo aver scritto o detto che tutto a questo mondo poteva migliorare dopo lo choc pandemia, eccettuata la politica italiana che sarebbe rimasta più meno la stessa. Mi sbagliavo: il teatrino di queste ore dimostra che al peggio non c’è mai fine, con l’aggravante che lo spettacolo si svolge nel corso di un’immane tragedia. Intramontabile, la tecnica dello scaricavirus va molto di moda ai piani alti del Pirellone dove il governatore Attilio Fontana addebita ai “nostri tecnici delle Ats” la responsabilità dei contagi, e delle stragi, nelle residenze per anziani. Agenzie di tutela della salute che avrebbero proposto l’utilizzo delle case di riposo per i malati Covid: insomma degli untori irresponsabili alle cui disposizioni i soprastanti vertici della Regione Lombardia si sarebbero prontamente “adeguati”. Come sempre si fanno volare gli stracci, sperando che a processo ci vada soltanto qualche anonimo funzionario. Altra formula rinfrescata con il morbo è la chiamata di correo, ovvero: tutti colpevoli, nessun colpevole. Per esempio il cda della disgraziata Baggina nel quale, fanno sapere i leghisti, siedono anche membri nominati dal Comune di Milano, dove regna il sindaco pd Giuseppe Sala. Molto gettonato dalle code di paglia verdognole il caso di una Rsa di Rocca di Papa dove, effettivamente, si registra un’epidemia fuori controllo. Siamo nel Lazio a guida Pd (Nicola Zingaretti) ma, guarda un po’, in una clinica di proprietà di Antonio Angelucci, editore di Libero e del Tempo, nonché deputato di Forza Italia. Funziona sempre la regola del tanto peggio tanto meglio. Come al Parlamento europeo dove Lega, Forza Italia e altri patrioti hanno votato contro un emendamento dei Verdi a favore degli eurobond. Sul Corriere della Sera Walter Veltroni chiede di “progettare il mondo del dopo”. Con certa gente meglio no.

Dini è in Costa Rica, ma inizia a stufarsi

Siamo tutti sulla stessa barca, sosteneva Giuseppe Conte qualche tempo fa. Alludeva alle difficoltà della quarantena e ci avevamo pure creduto, o almeno non ci pareva così irrealistico. Finché ieri non abbiamo sentito la struggente testimonianza di Lamberto Dini, ex presidente del Consiglio, ex ministro, ex parlamentare e adesso felicemente pensionato. In collegamento con Un giorno da pecora su Rai Radio Uno, il nostro ha dato sfogo alle sue sofferenze: “Sono in Costa Rica, ero venuto qui per un soggiorno breve con mia moglie, poi è scoppiato il coronavirus e sono rimasto bloccato”. Ma come passa le giornate Dini durante l’isolamento oltreoceano? “Sostanzialmente faccio vita da vacanza – rassicura lui – anche perché non ho alternative. Vado in piscina, mi muovo, gioco a tennis”. Il tutto alla lodevole età di 89 anni, appena festeggiati il primo marzo scorso proprio nel bel Costa Rica. Certo, in questa situazione Dini riconosce di essere “un privilegiato”, eppure non nasconde che gli piacerebbe “tornare presto in Italia”. D’altra parte si sa: la vita da vacanza è bella, ma dopo un po’ viene a noia.

Toti taglia i medici ma li ringrazia

Politica e spot Con una mano ha spalancato le porte alla sanità privata e ha tagliato dipendenti negli ospedali. Con l’altra ha coperto i muri di Genova con poster che ringraziavano i medici della stessa sanità pubblica.

Miracoli della politica. Ieri sulla pagina Facebook di Giovanni Toti, governatore della Liguria, è comparso l’annuncio: “Sui muri di Genova vedrete i volti di chi sta lottando in prima linea nei nostri ospedali, con una sola parola. Ve la diremo sempre e non sarà mai abbastanza: grazie. Da tutta la Liguria”. Ed eccoli i manifesti, con tanto di logo della Regione e del Comune di Genova.

Deve probabilmente trattarsi di un caso di omonimia. Perché c’è un Giovanni Toti, lui pure governatore della Liguria, che pochi mesi fa aveva deciso di privatizzare una manciata di ospedali del Ponente ligure.

Lo stesso Toti che governa dal 2015. E, secondo uno studio Cgil, negli ospedali della sua Liguria negli ultimi quattro anni si sarebbero persi 1100 posti di lavoro (230 medici).

Lo strano caso dei preti tradizionalisti a Torino

Ragazze manipolate, allontanate dalle famiglie in nome di improvvise vocazioni. Seguite, controllate al telefono, in una parola: plagiate. Sono le accuse rivolte da alcuni giovani a tre sacerdoti della diocesi di Torino, sui quali indaga la Procura. Che il loro operato sia equiparabile a quello dei capi di una setta o di una confraternita, ancora non è chiaro. Ma, secondo quanto riporta Repubblica edizione di Torino – i tre “don”, Salvatore Vitiello, Damiano Cavallaro e Luciano Tiso sarebbero da mesi al centro di un fascicolo nelle mani della magistratura. I legali dei preti respingono ogni addebito e minacciano querele.

Eppure, i resoconti delle “vittime” sono dettagliati. Una ragazza ha denunciato nei dettagli la sua storia di “prigionia psicologica”. Sarebbe stata “adescata” e le avrebbero parlato di “vocazione”, “ritiri spirituali” e “periodi di studio lontano dalla famiglia”. La ragazza, così come altre, era stata mandata in un monastero, ben lontano da casa. “Mi hanno obbligata a interrompere ogni relazione con i miei”.

Addirittura, in alcuni casi, i preti, pur di allontanare i giovani dai propri cari, avrebbero etichettato le loro famiglie come “manovrate dal demonio”. Il controllo ossessivo delle “prede” sarebbe avvenuto attraverso il telefono e anche i social. L’intenzione dei tre “don” sarebbe stata quella di “educare” un piccolo esercito di fedeli a loro devoti per costruire “un nuovo ordine monastico”, non è chiaro di quale tipo ma di certo “tradizionalistico”. I preti, per mantenere le comunicazioni con i loro protetti, avrebbero distribuito schede telefoniche dedicate. “Ho dovuto chiedere il permesso per mettere il costume da bagno al mare”, ha riferito una ragazza agli inquirenti, aggiungendo: “Mi hanno telefonato e inviato messaggini per sapere con chi fossi in macchina, di che cosa stessimo parlando, se mia mamma mi aveva detto qualcosa, per raccomandarmi il silenzio sui loro controlli”.

La procura sta valutando. Se è vero che il reato di plagio non esiste più, è altrettanto vero che invece esiste la circonvenzione di incapace. I giovani però sono tutti maggiorenni e apparentemente in grado di intendere e di volere.

Non è chiaro se i preti abbiano quindi commesso un reato, oppure se le loro azioni siano semplicemente disdicevoli, ma non punibili. Sarebbero venti i ragazzi coinvolti. Marcella Pioli, presidente del Gris (Gruppo di ricerca sulle sette) di Torino, aveva scritto già mesi fa all’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia e a una madre badessa che aveva accolto una fanciulla. Anche la Curia avrebbe iniziato una sorta di verifica sull’operato dei preti, che invece, attraverso i rispettivi legali, minacciano querele per diffamazione. Pioli parlava di “azione di manipolazione mentale su ragazzi e ragazze”, “allontanamento delle persone dal nucleo familiare, controllo dei rapporti con amici e conoscenti”. E ancora, “soggetti isolati e sempre più dipendenti”. Anche se corrispondessero al vero, sono accuse complesse, non di immediata dimostrazione. E nei documenti del Gris spunta anche un’associazione, la “Logos e persona”, creata per raccogliere fondi per un “nuovo ordine monastico”.