Quel gran pasticciaccio sulla via dei festival

La montagna ha partorito un bollino. In un’intervista a Le Figaro, il delegato generale del Festival di Cannes Thierry Fremaux dice che: malgrado slittamento sine die, la selezione non si ferma, vedranno film fino alla fine di giugno; non vogliono mollare i titoli prescelti, da The French Dispatch di Wes Anderson a Lacci di Daniele Luchetti, comunque vada; queste opere, quando usciranno, potranno/dovranno fregiarsi dell’etichetta “Cannes2020”. Tutto questo, più che per amor cinefilo, s’apparecchia in senso sciovinista: Cannes si farà, “in altre forme”, in sinergia – occupazione? – con Venezia, Locarno, eccetera, in altri periodi (autunno), e anche se non si farà ci sarà comunque. Il domani non muore mai, diceva James Bond, e Fremaux può benissimo sentircisi, ma l’ottimismo della volontà dovrebbe cedere se non al pessimismo, al realismo della ragione: Cannes 2020 a oggi è un topolino, pardon, un bollino schiacciato da una montagna di problemi difficilmente valicabile. L’ipotesi più probabile è che si aggiorni al 2021, analogamente – una decisione è attesa entro maggio – alla Mostra di Venezia: Croisette e Lido, mutatis mutandis, hanno quasi tutto da perdere a voler sopravvivere in forma rimaneggiata, a partire dal modello novecentesco su cui si poggiano.

Tra i due litiganti costretti a bordo ring, presumibilmente si avvantaggerà Toronto: ha abbracciato l’opzione digitale e, per mera logistica, potrà beneficiare dei titoli americani fino all’anno scorso appannaggio di Venezia. Già, la Mostra: con un anno di stop, il direttore Alberto Barbera in scadenza otterrà proroga o rinnovo?

 

Sette ore bastano a restituirci l’aria di Napoli

Fossero stati altri tempi, quelli prima del Covid-19, 7 ore per farti innamorare l’avremmo accolto per quel che è: una commedia garbatamente romantica, sospinta da due attrici con pochi eguali nel panorama italiano, la protagonista Serena Rossi e la non protagonista Antonia Truppo. Ancor prima, avremmo salutato l’esordio alla regia di Giampaolo Morelli, cresciuto sotto l’ala dei fratelli Manetti: Song ‘e Napule e Ammore e malavita, al fianco della Rossi, il televisivo L’ispettore Coliandro.

Invece no, è cambiato tutto, a partire dalla destinazione d’uso: i produttori Fulvio e Federica Lucisano con il distributore Vision aderiscono alla campagna #iorestoacasa, sicché il film potrà essere acquistato su SkyPrimaFila Premiere, Chili, Infinity, Rakuten Tv e TimVision. Vale a dire, 7 ore per farti innamorare salta la sala, chiusa sine die per coronavirus, e arriva direttamente on demand dal 20 aprile: come si cambia per non morire, e questa sarà la sorte di molto prodotto medio. Per capirci, Tre piani di Nanni Moretti, atteso sul grande schermo il 23 aprile, attende la riapertura e guarda all’autunno, così sarà per altri big nostrani e i blockbuster hollywoodiani, viceversa, per piccoli e mezzani è un lusso proibitivo, e la filiera è corsa ai ripari chiedendo al Mibact una deroga al decreto Bonisoli per poter accedere ai benefici (tax credit, contributi automatici e selettivi) anche nel caso in cui un film non possa uscire al cinema.

L’opera prima di Morelli è il secondo titolo italiano ad abbracciare il TVOD (Transactional Video On Demand, alias pay-per-view) dopo Un figlio di nome Erasmus, la prima produzione targata Eagle con Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, arrivato sulle principali piattaforme a Pasqua, per quattro settimane. L’emergenza impera, certo, ma già si intravedono alcuni problemi nella traslazione dal theatrical all’on demand. L’eliminazione dei corpi intermedi, ossia della critica, con l’eliminazione delle anteprime stampa: vale per Un figlio di nome Erasmus e per Bombshell, da oggi su Amazon Prime Video; l’opacità, per non dire la mancanza, dei dati di consumo, ovvero visualizzazioni e incassi.

Di 7 ore per farti innamorare, che adatta il romanzo omonimo (Piemme) di Morelli, va detto che parte malino, ma poi trova nella liaison tra l’intraprendente Valeria (Rossi, splendida), che non crede nell’amore ma insegna a degli sfigati l’arte della seduzione, e il bietolone giornalista Giulio (Morelli), mollato dalla fidanzata (Diana Del Bufalo, boh) per il capo (Massimiliano Gallo), simpatia, grazia e persino commozione. Menzione speciale alla Truppo, due volte premio David alla migliore non protagonista (Lo chiamavano Jeeg Robot nel 2016, Indivisibili nel 2017): nei panni di una cantante neomelodica ruba la scena e ripaga il biglietto digitale. Per il resto, è la solita Napoli cinematografica (Galleria Umberto I, Palazzo dello Spagnolo…), ma l’esotismo prende gli occhi: libertà di movimento, baci e abbracci, che nostalgia canaglia. Sette ore per farci rosicare?

 

Addio, Sepúlveda

“Tanti anni fa conobbi un astrologo cinese e anche se non credo che si possa prevedere il futuro, perché so che ognuno è responsabile del proprio destino e ogni destino è pieno di sorprese, accettai di farmi fare la carta del cielo. Dopo avermi chiesto dove ero nato, anno, giorno e ora, l’astrologo cinese tracciò una strana mappa piena di simboli e calcoli misteriosi, meditò a lungo e infine disse: ‘Una volta, in una vita passata, sei stato un gatto, e molto felice, perché eri il gatto preferito del mandarino’”. Così scriveva nelle note finali di Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico (Guanda) e come un gatto se n’è andato, Luis Sepúlveda, in punta di piedi, un mese e mezzo dopo il suo ricovero all’ospedale di Oviedo. Aveva contratto il coronavirus in Portogallo e, fino a ieri mattina, dopo le smentite iniziali e nonostante l’assenza di notizie recenti, tutti speravano che non fosse vero. Colui che i più conoscono come l’autore di Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare – poi divenuto un incantevole film nelle mani di Enzo D’Alò – era un maestro del racconto: ammaliava i bambini e incantava gli adulti con quella poesia sospesa che è propria dei giganti. La sua terra promessa, il suo approdo, erano sempre l’equilibrio necessario tra l’uomo e la natura, la ricchezza della diversità, la solidarietà, la calma, il rispetto. Ideali maturati durante gli anni dell’impegno politico in Cile: “Non dimentichiamoci che era nella guardia personale di Salvador Allende”, racconta oggi un affranto Carlo Petrini, e che nei giorni del colpo di Stato militare di Pinochet, e in quelli successivi fu arrestato e torturato, e poi tenuto prigioniero per sette mesi in una cella microscopica. Petrini, gastronomo e fondatore di Slow Food, aveva scritto con Sepúlveda Un’idea di felicità e Vivere per qualcosa. “Ho perso un grande amico”.

Petrini, quando vi eravate conosciuti?

Una decina d’anni fa. Poi era venuto a Pollenzo, alla nostra Università di Scienze gastronomiche. Da lì una serie di conferenze insieme, ci sentivamo spesso e ci vedevamo quando veniva in Italia. Ricordo con tenerezza un dibattito con lui e Pepe Mujica a Milano (da cui è stato tratto Vivere per qualcosa, ndr): la sala era strapiena, oltre mille persone e molti non riuscivano a entrare.

Perché gli piaceva Slow Food?

Ne era talmente affascinato che fece di una lumachina la protagonista di un racconto (Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza)! Eravamo in sintonia sui temi della semplicità, della lentezza, della solidarietà; condividevamo l’idea della bellezza di un pasto frugale e autoprodotto. E poi per me significava ascoltare un pezzo di storia.

Tutti conoscono il Sepúlveda scrittore, non tutti il Luis attivista politico.

E invece questo è il taglio più alto! La sua fortuna letteraria è indiscutibile, è stato l’Esopo dei tempi moderni, ma la sua coscienza civile, il rispetto per gli altri sono il vero esempio da seguire. Durante quell’incontro con me e Mujica raccontò cosa aveva significato per il Cile accogliere i profughi della guerra civile spagnola, quei profughi che poi divennero punto di riferimento della vita politica e culturale cilena. E noi qui eravamo in piena bufera sui migranti: quella descrizione di fraternità è una stata una lezione di immensa sensibilità.

È questo che le mancherà di più?

Mi mancherà un fratello. Mi faccia dire un’ultima cosa, però: quando penso a lui, a Pepe e a Papa Francesco penso a quanto è grande il Latinoamerica, quanto quel pezzo di mondo sia fondamentale per tutti noi. Per le convinzioni politiche, ma anche per tutta la passione che ci mettono…

Una condizione che noi abbiamo perso?

(ride) Non mi faccia parlare…

Virus, Mecca vuota e petrolio in crisi: Mbs non fa più “miracoli”

Le città sante di Medina e La Mecca sono tranquille e prive di pellegrini, o quasi. Cinema, stadi sportivi e sale da concerto sono chiusi. Il coronavirus sta minacciando la nuova narrativa del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Circondato da nemici inflessibili di sua creazione e acclamato da alleati opportunisti determinati a succhiare il sangue fino all’ultima goccia, l’Arabia Saudita di Mbs sembra essere atterrata in una situazione senza precedenti. Probabilmente non c’è stato un altro momento in cui la sua enorme ricchezza sia sembrata così totalmente inutile. La scorsa settimana Ryad ha dovuto proclamare un “cessate il fuoco” unilaterale nello Yemen, dove da cinque anni combatte una guerra fallimentare con aerei americani, piloti pachistani e mercenari africani contro i ribelli filo iraniani Houthi. E poi il compromesso obbligato con la Russia sul prezzo del petrolio. Dopo aver provato a “strangolare” Mosca con il massimo ribasso Ryad è stata costretta a cedere, tagliare con gli altri Paesi Opec la produzione di 10 milioni di barili al giorno per riportare il prezzo del greggio dai 20 ai 40 dollari al barile. Una débâcle rispetto a due argomenti su cui Mbs aveva puntato molto; e poi Vision 2030 – il suo piano destinato ad attirare investimenti esteri in Arabia Saudita – e il National Transformation Program trovano ora molti ostacoli.

Il numero esatto di infezioni e morti per la pandemia nel regno al momento rimane sfuggente, si parla di circa 4.000 contagi e un sessantina di morti. Ma questo riguarda solo i cittadini sauditi non i milioni di egiziani, tunisini, pachistani, cingalesi e filippini che lavorano nel Regno, finora impiegati nei lavori più umili e dal domani assai incerto sia sul piano dell’occupazione – l’economia è ferma – che di quello sanitario. Il regno ha conosciuto la Mers, anzi è proprio lì che il virus si è sviluppato nel 2012; le strutture sanitarie per contrastare epidemie di certo non mancano nel paese della casa reale, ma è legittimo dubitare a chi vengano aperte le porte dei reparti più all’avanguardia. Su questo, la casa reale getta acqua sul fuoco: il King Faisal Specialist Hospital di Riad accoglie tutti. Nella casa reale, ci sono già una ventina di ammalati. All’inizio dello scoppio della pandemia, Mohammed bin Salman ha rapidamente inviato le sue truppe per circondare Qatif, città dove vive una maggioranza sciita, mandando così un forte messaggio: gli sciiti sauditi che avevano visitato l’Iran sfidando i divieti avevano riportato indietro anche il virus. Ma si è trattato solo di qualche giorno e altri infetti sono stati rilevati in grandi città come Ryad e Jeddah. Ora Mecca e Medina devono affrontare un coprifuoco rigoroso che potrebbe essere in vigore per diverso tempo, minacciando così la politica di espansione del numero di pellegrini per l’Haji, i “turisti religiosi” come parte del tentativo di diversificare l’economia.. Il coronavirus sta minando l’agenda del principe ereditario, che ha bisogno di folle giovani per applaudire in concerti pop, stadi di calcio e match di boxe. Ha bisogno di titoli sui giornali occidentali che lo definiscono “un modernista”, ignorando che fine fa fare ai suoi oppositori. Il virus, poi, ha reso invisibile il culto della sua personalità. Nei centri commerciali, nelle piazze e nelle strade deserte i suoi grandi ritratti decorano surrealmente spazi vuoti. Lui non si mostra in pubblico da settimane.

Le entrate in calo con il crollo dei prezzi del petrolio sono destinate a limitare la capacità di Mbs di finanziare la fedeltà dei semi-amici e l’obbedienza per i soggetti davvero leali. Attingere alle riserve sovrane e prendere in prestito denari dai mercati globali sono le sue uniche opzioni. Nel club dei ricchi sceicchi del Golfo molte cose sono destinate a cambiare, la rabbia per la veloce discesa dello stile di vita potrebbe travolgere molte petro-monarchie. Non è nemmeno escluso che Mbs, se mai sarà incoronato re, possa essere l’ultimo monarca della dinastia saudita. Come nel resto del mondo, i sauditi sono bloccati nelle loro case, contemplando un futuro incerto, uno stato sociale in calo, che non è più in grado di spendere soldi per il loro benessere, fornendo lavoro, salari sontuosi, strutture sanitarie, alloggi e servizi educativi. Se la pandemia espone i sistemi di governo più aperti e democratici, rischiano molto anche quei sovrani autocratici la cui retorica non rassicura più le popolazioni.

Il Covid e la sindrome cinese. Scudo dell’Oms per Pechino

La Cina respinge avvalendosi del sostegno dell’Oms, le accuse americane: non ha dato con ritardo l’allarme sull’epidemia a Wuhan, e soprattutto, quel virus non è filtrato da uno dei suoi laboratori. Il dibattito sull’origine ancora incerta del contagio è più che mai controverso. Da Washington si avanzano sospetti che la pandemia abbia avuto origine in un laboratorio dove sarebbero stati conservati campioni contagiosi. Il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha citato l’Organizzazione mondiale della sanità e altri esperti medici non precisati, dicendo che non esistono prove che la trasmissione sia iniziata nel laboratorio, né esistono “basi scientifiche” per affermarlo. Il Washington Post ha dedicato al tema un articolo.

La prima ipotesi è quella a cui la maggior parte degli americani crede ma che il quotidiano reputa non essere supportata da prove note, ovvero che l’epidemia sia collegata alla ricerca sulle armi biologiche. A gennaio, quando iniziava il lockdown nella provincia cinese di Hubei, il Washington Times, espressione del mondo conservatore, rilanciava una ricerca dell’ex ufficiale dell’intelligence militare israeliana, Dany Shoham, per sostenere che il “coronavirus potrebbe essere nato in un laboratorio collegato al programma di armi biologiche della Cina”

“In base al genoma e alle proprietà del virus non vi sono indicazioni che si tratti di un virus costruito” in laboratorio, ha detto al Post un professore di Biochimica della Rutgers University, Richard Ebright. L’altra teoria: il coronavirus potrebbe essersi diffuso per un incidente dai laboratori di Wuhan; il Post fa riferimento alle ricerche sui coronavirus dei pipistrelli da parte dei ricercatori del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie.

Due giorni fa il Washington Post scriveva di cablogrammi diplomatici del Dipartimento di Stato che nel 2018 avevano già nero su bianco i timori per le misure di sicurezza e la gestione dell’Istituto di virologia di Wuhan. Ma, sottolinea il giornale, questo non dimostra che il nuovo coronavirus sia mai stato studiato a Wuhan. Al di là dell’origine del virus per il Post comunque non vi è dubbio che il governo cinese “ha ingannato il mondo sul coronavirus”, ricordando di aver scritto a inizio febbraio dell’“offuscamento delle informazioni” da parte della Cina.

Roberta Zunini

 

Stati Uniti

Il contagio fa paura quanto la crisi: 22 milioni senza lavoro

Gli americani del MidWest e del Far West e pure quelli del Sud ne hanno abbastanza di #stayhome. Mentre il presidente Trump elabora direttive per rimettere in moto l’Unione, protestano in migliaia a Lansing, la capitale del Michigan, e in Wyoming, North Carolina e Kentucky: temono l’impatto dell’isolamento sull’economia, che in quattro settimane ha già prodotto 22 milioni di disoccupati (5,2 nell’ultima), in tutti i settori, hotel e ristoranti, manifatture e servizi, studi di avvocati e architetti. Nell’occhio del ciclone c’è la governatrice democratica del Michigan, Gretchen Whitmer, le cui misure anti-coronavirus sono giudicate “tiranniche” da libertari e ‘alt-right’ del suo Stato. Trump ha ieri presieduto un video-consulto con i leader del G7, di cui gli Usa hanno la presidenza di turno, rilanciando le accuse all’Oms. Negli Stati Uniti, il contagio continua a correre: i morti hanno superato i 31 mila; i contagi sono oltre 650 mila. Fronte politico, Elizabeth Warren, che ha appena dato il suo endorsement a Joe Biden, s’è candidata in tv a entrare lo stesso alla Casa Bianca, ma da vice.

Giampiero Gramaglia

 

Francia

Macron: “Pandemia, ancora non sappiamo tutta la verità”

I francesi sono impazienti di conoscere il “piano” per la ripartenza, promesso in tempi rapidi dal premier Philippe. Ma è polemica sulla raccomandazione del Comitato scientifico, che consiglia il governo di prolungare il “confinamento” a 18 milioni di persone “a rischio”, tra cui gli anziani, oltre l’11 maggio. Intanto un’inchiesta è stata aperta per stabilire come il virus ha potuto contaminare oltre un terzo dei marinai della portaerei Charles de Gaulle, rientrata a Tolone dalla missione nell’Atlantico. Sono 886 su 1900 i positivi, ma potrebbero essere di più, venti sono in ospedale e uno è grave. “Hanno giocato con la nostra salute”, ha confidato anonimamente un marinaio a France Bleu. L’epidemia si stabilizza; il bilancio quotidiano sfiora i 18 mila morti (17.920). Nella regione di Parigi, dove le vittime sono più di 4.000 e non c’è più posto per le bare al mercato di Rungis, le autorità hanno aperto un secondo obitorio di fortuna in un hangar di Wissous. E proprio nel giorno in cui si risollevano dubbi su come il virus si sia propagato, il presidente Macron dice: in Cina “sono successe cose che non sappiamo”.

Luana De Micco

 

Russia

Ospedali, i medici non bastano: chiamati gli studenti di Medicina

Picchi e record funesti: ogni giorno la Russia si sveglia con cifre sempre più alte per l’emergenza Coronavirus; 3.448 i nuovi contagiati, ci si avvicina a quota 30.000. Le vittime ufficialmente sono 232. Le autorità hanno deciso di schierare in ospedale gli studenti di Medicina, reclutati da scuole e università della Federazione, che alle spalle hanno solo qualche mese di praticantato obbligatorio. Gli aspiranti dottori si aspettavano di dover sostenere solo gli esami di fine anno e invece dovranno far fronte alla pandemia. Un focolaio di Covid-19 si è acceso anche nella siderale Murmansk, in un cantiere dove era in corso la costruzione di una struttura ospedaliera per i lavoratori del colosso energetico Novatek. Insieme al virus, a causa di quarantene e auto-isolamento obbligatori imposti ai russi serrati in casa, anche le denunce di violenza domestica e consumo di alcol sfiorano livelli mai raggiunti prima. Le vendite di vodka sono aumentate del 65%. Il presidente Putin ha rinviato la parata prevista a Mosca il 9 maggio in occasione del 75° anniversario della vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale.

Michela A.G. Iaccarino

 

Brasile

Sanità, si dimette Mandetta. Bolsonaro cerca uno “yesman”

Alla fine, il ministro della Sanità, Luiz Henrique Mandetta, ha deciso che non era più possibile sopportare le pressioni del presidente Bolsonaro sulla gestione dell’epidemia. In un’intervista al settimanale Veja, Mandetta ha confermato le sue dimissioni, che saranno operative quando sarà trovato il suo sostituto. La vicenda ricorda i contrasti negli Stati Uniti fra il presidente Trump e il virologo Anthony Fauci. Anche Jair Bolsonaro, come Trump, è contrario alla misura dell’isolamento sociale per limitare la diffusione della malattia. Mandetta, da medico oltre che da ministro, è di opinione opposta. “Rimango finché non trovano qualcuno che prenda il mio posto – ha confermato – da due mesi misuro le parole. Quando sembra tutto a posto, ecco che il discorso cambia di nuovo. Ora basta”. Il presidente Bolsonaro ha già una lista di nomi, molti dei quali più vicini alla sua linea: l’oncologo Nelson Teich, il presidente dell’Ospedale ‘Albert Einstein’, Claudio Lottenberg e il dottor Alfredo Kalil, dell’Ospedale siriano-libanese. Nella lista ci sono anche l’ex ministro della Cittadinanza, Osmar Terra, e Ince Yamaguchi.

Veneto, gli esami si fanno pure sui gatti

Test sierologici sui gatti. Per capire il virus non bisogna cercarlo soltanto sull’uomo, ma anche sugli animali. Così gli scienziati hanno deciso di effettuare prelievi e tamponi anche sui felini per cercare anticorpi.

A realizzare lo studio saranno ricercatori dell’Università di Padova insieme con l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie.

Punto di partenza sarà Vo’ Euganeo, il paese di 3mila abitanti che è stato, insieme con Codogno, uno dei primi focolai in Italia. Dopo aver compiuto due volte i test sugli abitanti “umani”, gli studiosi hanno deciso di analizzare i gatti. A guidare l’équipe, come ha raccontato il Corriere Veneto, sarà Massimo Castagnaro, ordinario di Patologia generale veterinaria a Padova: “Finora esiste un solo studio sull’esposizione al virus degli animali domestici. Una ricerca compiuta a Wuhan che aveva riscontrato la presenza del virus nel 10-15% dei felini appartenenti a malati di coronavirus”. L’esame dei gatti potrebbe avere un duplice scopo: capire come reagiscano i felini contagiati. Ma anche comprendere se possano contribuire alla diffusione del virus tra gli uomini. Problemi non da poco, visto che in Italia vivono 7 milioni di gatti. “I primi studi scientifici – spiega Castagnaro – fanno pensare che i gatti sviluppino un recettore affine a quello dell’uomo”. Insomma, si ammalano come noi, anche se il virus si manifesta in forma leggera e non pericolosa per la loro salute. “Vo’, dove la popolazione è stata analizzata in modo preciso, è il luogo ideale per fare uno studio. Per adesso”, spiega Castagnaro, “è una precauzione. Finora si sono osservati solo contagi da uomo ad animale. Ma nelle fasi successive dell’emergenza l’eventuale contagio da parte dei gatti potrebbe diventare insidioso. Per questo dobbiamo capire quanti animali si infettino davvero e quanto duri l’infezione nei gatti”.

Le insidie sono duplici: ci potrebbe essere la possibilità del contagio diretto, ma “bisogna considerare anche che il pelo, come altre superfici, può funzionare da vettore del virus”. Come spiegano gli studiosi padovani, i gatti malati o appartenenti a persone infette devono essere sottoposti a quarantena (la durata dipenderà, appunto, da quanto sopravvive il virus nel loro organismo).

Ma gli altri animali? E i cani? “I primi studi fanno pensare che i cani non abbiano recettori e replichino il virus molto blandamente”.

Il “Barone Rampante” e il papà dietro ai fornelli

Visto che dobbiamo “stare a casa”, chi vuole condividere la sua vita in quarantena può farlo sulle pagine del Fatto. Mai come oggi sentiamo l’esigenza di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decameron di Giovanni Boccaccio, si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze. Inviateci foto e raccontateci cosa fate all’indirizzo lettere@ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.

 

Il volo (senza mascherina) sul golfo di Napoli

Stanotte l’ho sognato, sì… un lungo sogno di Liberazione, si era al primo giorno fuori casa dopo la “pausa forzata”… e non poteva essere più stra-ordinario! Il luogo era Pozzuoli, che amo particolarmente, con qualche “stranezza” in più nel paesaggio, tipica dei sogni… tantissimi colori, tanto sole e tanta Vita! Ero come una bambina emozionata che vede il mare per la prima volta dopo il lungo inverno… In auto salivo su strade talmente ripide da sfiorare la verticalità, poi mi sono inoltrata a piedi nei vicoli del porto… a un certo punto il mio corpo si è alzato in volo sui vicoli, sulla piazza, sulle terrazze dei locali con la gente ai tavoli che alzava la testa a guardarmi volare. Nessuno aveva guanti e mascherine! Ho volato sul mare e sui monti, sui laghi e sui crateri. Poi mi sono svegliata… un po’ stanca. Napoli si fa sempre più bella in attesa di noi.

Giuseppina Cabino

 

La reclusione mi ha fatto un regalo: Italo Calvino

Mi sono arrampicato nella modesta libreria di casa e lasciato guidare dalla curiosità. La stessa mi ha messo tra le mani Il Barone Rampante di Italo Calvino che mi è molto piaciuto. Come Cosimo di Rondò, il protagonista, che a 12 anni decise di salire sugli alberi e non scendere più, mi trovo oggi limitato nello spazio, e come lui leggo leggo leggo. Interessante la vicenda del bandito Gian dei Brughi, cambiato dalla cultura grazie al rampollo stravagante, che in un periodo come questo di grande disoccupazione criminale (e non) potrebbe essere d’ ispirazione.

Francesco Leone

 

Un panno bianco per la Liberazione

È un po’ difficile immaginare questo 25 Aprile senza la consueta camminata, lo storico che racconta, la musica, l’arte, gli abbracci… Abbiamo pensato a qualcosa di comunitario, fatto a mano, che trovi un senso nell’unirsi. A delle azioni che ci legano pur da casa. Partecipando insieme. Per poi riabbracciarci. Io immagino già panni bianchi (come quello nella foto qui a fianco, ndr) che portano parole come fossero foglie nel nostro bosco. Accarezzati dal vento. Un abbraccio.

Damiano

 

Lei lavora in ospedale, io le faccio da mangiare

Sentirsi in colpa per essere andati in pensione tre mesi prima della pandemia potrebbe sembrare assurdo. E invece quasi mi dispiace non essere con gli altri a condividere paure e speranze. Ho però trovato il modo di rimediare. Mi metto ai fornelli e cucino per mia figlia infermiera. Alla fine del turno le consegno al di là del cancello una borsa termica con dentro un pranzo e una cena. Un bel rito. Non un abbraccio, ma solo sorrisi.

Francesco Varuolo

Mail Box

 

“Ben arrivato Luttazzi: un debutto col botto”

Grazie a tutto il Fatto Quotidiano per aver ospitato Daniele Luttazzi: la realtà merita più satira e la satira non può essere annacquata dalla par condicio all’italiana. (“Conte merda” si può, “Salvini bugiardo” non si può eccetera…).

Francesca Della Pietra

 

Vorrei esprimere il mio compiacimento per il “ritorno” di Daniele Luttazzi sulle pagine del Fatto, una rentrée col botto! Solo un appunto: è giusto che Luttazzi scriva tutto ciò che vuole nel modo che più gli aggrada, però eviti di “debordare” con volgarità gratuite, sciuperebbe gran parte della forza del suo messaggio.

Mauro Chiostri

 

Caro Marco Travaglio, il “bravo” è per lei che ha deciso di farlo tornare… Caro Daniele Luttazzi, il “bentornato” è per lei che ha deciso di tornare… Mi mancava molto e non penso solo a me. Buon lavoro e grazie di esserci.

Olga Longa

 

Grazie per aver dato spazio quotidiano a Daniele Luttazzi! Grazie di cuore: la satira è vita!

Vostra affezionata abbonata.

Paola Paluzzi

 

Sono molto felice per il ritorno di Luttazzi e per la sua rubrica sul Fatto Quotidiano. Lo seguo da decenni e l’ho sempre stimato molto. Ha un talento purissimo, non solo come scrittore, autore satirico, personaggio televisivo, attore, ma anche in altri campi, per esempio quello musicale, in cui ha dato prove di sé davvero stupefacenti. È acuto, disincantato, colto, geniale. Sul fatto che alcuni si scandalizzano per i termini che usa e per la sua assoluta mancanza di qualsivoglia tipo di freno, che dire? Basta non leggerlo. Del resto Luttazzi e la satira in generale non possono avere limiti, altrimenti non sono più tali.

Mauro Ottonello

 

Siamo al terzo giorno e già vedo che qualcuno vorrebbe porre un freno al genio di Daniele Luttazzi: “Però eviti le volgarità”. Sarebbe un po’ come comprare Messi e chiedere di non fare troppi goal o evitare dribbling per non imbarazzare gli avversari. Grazie Direttore. Grazie Daniele.

Pietro Germano

 

Nel Fatto ho trovato, sin dalla nascita, quei punti di vista alternativi all’informazione “tirata dalla giacchetta” per motivi che non hanno nulla a che fare con la Libertà ed Etica. Cari compagni, fratelli e amici del Fatto, di censura è sufficiente quella fuori dal nostro o nel nostro quotidiano: quindi viva Luttazzi a 360 gradi, piaccia o meno. Personalmente girerò pagina soltanto dopo una divertente lettura, ma non meno riflessiva. Buona lettura a tutti.

Flavio

 

Scrivo per manifestare apprezzamento per la scelta di pubblicare la rubrica di Luttazzi. Un graditissimo ritorno in pubblico! Perché non prevedere anche uno spazio per lui in video, dove dà il meglio di sé? Vedrei benissimo uno spazio per lui su Loft. Complimenti per un gesto che dimostra, ancora e di nuovo, che Il Fatto è un giornale libero, così come chi lo dirige. Ggrazie di esistere!

Federica Ambrosini

 

Un ringraziamento speciale per il ritorno di Luttazzi, in gran spolvero. Spero bastoni al solito tutti, che mi offenda volgarmente, che sia inadatto ai minori e così via. Proposta indecente: e se comparisse su Loft in stile “Late Show”? Un ringraziamento speciale va anche a Scanzi, Gomez, Padellaro (e tutto lo staff) per il vostro gran lavoro: stima immensa per voi, siete oramai la mia famiglia da dieci anni.

Marco Marchetti

 

“Caro Daniele, un po’ di buon gusto non guasta”

La rubrica di Daniele Luttazzi, “Non c’è di che”, imperniata sulle funzioni corporali con relativi riferimenti espliciti, non mi ha fatto ridere e mi domando se per caso l’estensore, già noto per queste particolari esternazioni scatologiche e sessuali, non abbia qualche problema al riguardo. Così pure ho trovato di cattivo gusto la pagina di Natangelo che mette sul ridere la passione di Gesù Cristo. Io non sono credente, quindi non mi sento ferito, però chi lo è potrebbe rimanerlo: il buon gusto imporrebbe di non prendere in giro le religioni se non altro per coerenza perché – Charlie Hebdo insegna – non si avrebbe il coraggio di farlo con tutte.

Mario Cerri

 

Caro Mario, io invece sono credente e ho sempre pensato che Gesù sia molto, molto più spiritoso di noi comuni mortali.

M. Trav.

 

Caro direttore Travaglio, che il Fatto dia a Daniele Luttazzi l’incarico di scrivere un articolo tutti i giorni mi fa rabbrividire. Ecco cosa scrive Luttazzi: “Una donna incantevole dalla prosodia regionalmente indecifrabile”. Ci dica Travaglio cosa significa questa frase che a me risulta incomprensibile, anche con il vocabolario. Forse come lettore del Fatto Quotidiano non sono all’altezza di capire Luttazzi. Per me sono “cazzate”, che non dovrebbero comparire su un giornale che io ritengo il migliore e il più serio d’Italia.

Romano Lenzi

 

Sono un vostro lettore da sempre: non ho mai seguito Daniele Luttazzi semplicemente perché non mi piace. Non certo perché mi sento un bacchettone, ma ammiro molto di più chi riesce a dire cose e a far ridere senza ricorrere al turpiloquio ossessivo. La ritengo una forma di intelligenza. Per cui farò come ho sempre fatto, eviterò di leggerlo e passerò oltre.

Giovanni Medri

Beni culturali. “Montanari ha ragione: aumentiamo il Fondo e i tavoli di crisi”

Caro direttore, ho letto con interesse le “dieci idee” per rilanciare i beni culturali espresse da Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano del 15 aprile. Condividiamo l’idea di un patrimonio culturale aperto e accessibile, della centralità della scuola e della necessità di radicare le istituzioni culturali nei territori. Così come riteniamo che in questo momento straordinario lo Stato debba garantire una regia forte. Nell’immediato abbiamo di fronte la necessità di supportare i lavoratori del comparto, tutti indistintamente. Ma dobbiamo anche programmare la cosiddetta fase 2, delineando scenari e immaginando misure efficaci per ripensare il settore alla luce delle nuove condizioni determinate dalla pandemia.

Su entrambi i fronti sarà strategico il Fondo per la cultura, già istituito dal ministero per il settore dello spettacolo e dell’audiovisivo con una dotazione di 130 milioni di euro. L’obiettivo è quello di ampliarlo ed estenderlo a tutti i settori del comparto: editoria, beni culturali, musica… Anche grazie al nostro impegno altri 50 milioni possono arrivare dallo sblocco del riparto 2017-2018 della cosiddetta copia privata, che ci auguriamo avvenga all’insegna dell’apertura, mentre 50 milioni potrebbero arrivare presto dalle procedure di liquidazione del vecchio Imaie.

Nella nostra visione, il ministero dei Beni culturali e del turismo deve essere un presidio permanente di analisi degli scenari e costruzione delle risposte. A tal fine, e per riuscire a elaborare le migliori strategie nelle varie fasi di questa emergenza, abbiamo proposto al ministro Franceschini l’attivazione presso il Mibact di uno o più tavoli di crisi, con una rappresentanza anche delle categorie più piccole.

A pochi giorni dalla Giornata mondiale del libro, confermiamo la centralità dell’editoria e del valore di presidio sociale e culturale che tante librerie indipendenti rappresentano nei nostri territori. Dobbiamo, a tal proposito, potenziare la portata della legge sul libro approvata in Parlamento, tutelando soprattutto le piccole librerie e attivando la card per le famiglie con reddito basso che la legge introduce.

Nella cosiddetta fase 2, dovremo poi fare ogni sforzo per individuare soluzioni utili a rilanciare il patrimonio e la produzione artistica e culturale, garantendo con la dovuta modulazione e gradualità la ripresa delle visite ai musei e siti culturali e la partecipazione a spettacoli e mostre. Occorrerà infine accelerare sulla digitalizzazione, anche superando alcune barriere che ancora pesano sulla libera fruizione digitale del nostro patrimonio e delle sue immagini, e sostenere le soluzioni digitali più efficaci e innovative sperimentate in queste settimane.

L’abbraccio di un poeta all’Italia

Luis Sepúlveda aveva davvero un rapporto speciale con l’Italia. Nel nostro Paese aveva trovato repentino e poi continuativo, inossidabile successo. Da subito conquistò i reduci di ogni 68 e 77 e Pantera, con l’esotismo avventuroso de “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”. Lo mandarono d’imperio in cima alle classifiche. Pochi anni dopo seppe sedurre – rimanendo caparbiamente se stesso – una sterminata platea di famiglie, genitori e bambini, con quella favola perfetta che è “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. Tra quel giorno del 1993 in cui un ignaro primo lettore ha comprato la prima copia del “Vecchio” a questa triste giornata, Sepúlveda ha popolato le nostre ore di lettura con una trentina di libri, per un totale di oltre otto milioni di copie vendute: romanzi, favole, raccolte di racconti in cui l’invenzione narrativa gioca sorniona coi generi letterari e obbedisce – Sepúlveda nasce poeta – a una scrittura tersa e controllatissima, appoggiandosi al basso continuo della memoria, di volta in volta dolente e orgogliosa, di militante politico, di combattente, di sconfitto allegro e cocciuto. Il rapporto di “Lucho” con l’Italia era fatto di una consuetudine fisica, di una frequentazione costante e affettuosa, scandita da presentazioni, partecipazioni a festival, incontri con amici e colleghi scrittori. Non c’è libreria, piazza, teatro, che non abbia assistito all’abbraccio, letterale, dell’autore con i suoi lettori. Non c’è città italiana che non lo abbia sentito raccontare aneddoti e avventure in un italiano pervicacemente improbabile. Il rapporto di Sepúlveda con l’Italia è anche e in gran parte il rapporto con la sua casa editrice, Guanda, che lo tenne a battesimo e alla quale l’autore, caso rarissimo, è rimasto fedele per un trentennio. Sarebbe una bella storia da raccontare.