Che degli attori/attrici, ponga pochissima se non addirittura nessuna attenzione in questo Paese è un fatto risaputo (dal discorso, è ovvio, sono escluse le poche star). Carne da cannone, sognatori sfigati, gente da sotterrare fuori dalle mura della città. Ipocriti, nella migliore delle intenzioni. Perché dico questo? Perché mi è caduto l’occhio sul protocollo cinema Covid.
Eccolo il genio italico che tutti aspettavamo, quello che ci ha fatto emergere nella storia per tanti secoli, che ha reso l’Italia un faro della civiltà mondiale, quella luce che era di Leonardo e Michelangelo, di Ariosto e Machiavelli, Fermi, Amaldi e Marconi, Pirandello e Dante è tornata a splendere. È in fase di realizzazione, al momento è solo una proposta di Co rent, società noleggio per attività cinematografiche, un documento che rappresenterebbe la risposta dei lavoratori del cinema, ma soprattutto della fiction televisiva, al covid 19, un vademecum per poter riaprire i set: appunto il protocollo Cinema Covid. Si leggono soluzioni di altissimo livello, intenzioni, a loro dire, che verranno proposte a diversi soggetti con competenze in ambito medico-epidemiologico. E va benissimo. Macchinisti e operatori tutti muniti di tute e mascherine, tamponati ogni 15 giorni, scenografi in sicurezza, un solo operatore alla macchina da presa, le messe a fuoco degli obiettivi non a mano ma col laser, la macchina da presa ad almeno un metro e mezzo dall’attore sterilizzata dopo ogni inquadratura. Dietro le quinte è tutto sistemato, disinfettato, a posto, regole ferree per la pulizia e la sicurezza. C’è un dettaglio, risibile per il cinema italiano, ma c’è. Sono gli attori, quelli che stanno davanti alla macchina da presa, non so se si hanno presente i soggetti, quelli cui cui frega una mazza a nessuno, come ho detto in precedenza, i quali, a meno che non si stia girando una scena in sala operatoria o una rapina in banca, non possono portare mascherine e in generale stare a volto coperto. Quelli si baciano, si abbracciano, si stringono le mani, scazzottano, si aiutano per rialzarsi, insomma fanno quelle che si chiamano azioni. Come faranno? Gireranno le scene uno alla volta e poi in fase di post produzione le immagini verranno accoppiate? Si gireranno solo storie di immensa solitudine alla Lost in Translation per capirci, con al massimo due attori in scena, a un metro e mezzo di distanza? Bandite le scene d’amore, è chiaro. Io se fossi un attore e sul copione leggessi “L’abbraccia, la bacia e finiscono a letto” chiederei 100 mila euro solo per quell’inquadratura. Ma anche solo una stretta di mano senza guanti diventa improponibile. Vietate le scene di massa, va da sé. Solo ambienti vuoti, zero comparse, il rischio epidemia è dietro l’angolo. Niente scuole o aule universitarie, monasteri e ospedali (servono per qualcosa di più importante, credo) niente manifestazioni sportive, scene in spiaggia al mare, bar, ristoranti e pub. “Ci sarà il tampone” si legge. Viene da sorridere. Un mio caro amico, un importante critico letterario, ha avuto il Covid, se l’è vista brutta, e nessuno si è recato a fargli il tampone, lo stesso dicasi di un medico che conosco e che lavora per una asl in Liguria. Però, magia, per la troupe di un set i tamponi spunteranno fuori. Per gli infermieri dell’Umberto I no, per i macchinisti di Don Matteo sì. Torniamo agli attori. Soli, davanti alla macchina da presa, probabilmente reciteranno dei monologhi e andranno parecchio a cavallo in campagna o in piazze dechirichiane. Gli attori, protagonisti di mondi distopici e vuoti, se ci tengono alla salute e a non gravare sul sistema sanitario nazionale, vagheranno, animule blandule, parlando al vento oppure a un cane, a una pianta magari. Sparatorie, quelle sì, ecco, ce ne saranno a decine. A distanza si massacreranno per interi quarti d’ora o si inseguiranno con le auto, un attore per veicolo mi raccomando. Prevedo molte telefonate e, ovviamente, dialoghi su zoom e su skype con la figlia lontana o l’amata/o in un’altra città. Si delineano all’orizzonte storie di cavalieri medioevali chiusi in un’armatura che nasconde in realtà la tuta anti virus, cacciatori solitari sul pak, esploratori di foreste pluviali disabitate, avventurieri in groppa al cammello in mezzo al Sahara, ciclisti gregari in fuga sul Pordoi; prevedo sale operatorie come piovesse e molte scene di derattizzazione o disinfezione, naufraghi su isole o su battelli sperduti nell’oceano, palombari sui fondali marini. Si faranno 12 versioni del Robinson Crusoe, zanna bianca e piccoli principi a pioggia. Nella solitudine dei campi di cotone di Koltès vedrà almeno due adattamenti cinematografici. Ma vediamo il caso sfortunato in cui il/la protagonista della serie, impegnato/a per sei mesi sul set, si becca il virus. Quarantena, a casa, riprese interrotte con buona pace del clima, arrivederci alle location già affittate e soldi che se ne vanno come acqua sorgiva. Finché il/la protagonista non guarisce non si potrà riprendere a girare, non è che puoi sostituirlo/la. Difficile pensare, che so? Montalbano con la faccia di Valerio Mastandrea o Genny Savastano con le fattezze di Nino d’Angelo né si può chiedere a quel genio di Picchio Favino di trasformarsi in tutti i ruoli possibili e immaginabili, anche lui ha un limite, per esempio in suor Angela non ce lo vedo. Si interrompe il film/serie. E quando si riprenderà, ammesso che i colleghi abbiano voglia di tornare a lavorare con l’attore/ice appena guarito/a, succederà che prima c’erano i campi in fiore ora la neve, il figlio dodicenne del/la protagonista adesso è un adolescente con la barba, il cane è morto, il paese dov’era ambientata la storia è in quarantena, proprio per colpa dei lavoratori del cinema, e bisogna emigrare con l’aggravante che nessun altro paese, a questo punto, avrà voglia di ospitare la troupe untrice. Ma il genio italico ha chiarito il problema. Sì perché è prevista la presenza di un dottore sul set. Allora è tutto risolto, scusate, non l’avevo capito, c’è un dottore, stiamo a cavallo, ci penserà lui a evitare che il virus attacchi un interprete della pellicola. Amici noleggiatori, amici produttori, amici distributori, un consiglio. Prima del set, prima di scenografie, macchine da presa, obiettivi e stativi quarzi e gelatine, dovete pensare alla salute degli attori. Perché, con tutto il rispetto, un macchinista, uno scenografo, un regista lo potete sostituire, un attore no. E ricordatevi sempre che senza gli attori si possono fare bellissimi documentari o splendidi cartoni animati, ma scordatevi i film. Non vi tedio oltre amici noleggiatori, amici produttori, amici distributori vi lascio con una frase di un nostro grande attore per fortuna mai dimenticato: “Ma mi faccia il piacere!”.