Ogni giorno nuovi dati: a che servono?

Vorrei dare un piccolo contributo alla discussione sui dati che quotidianamente vengono “somministrati” ai cittadini da media e autorità. Come risulta dagli esempi che seguono, non c’è omogeneità nelle definizioni usate nella diffusione di questi dati.

Positivi del giorno. Spesso si confonde la variazione dei casi totali con quella degli attualmente positivi, senza chiarire né le differenze né quando sia meglio usare l’una rispetto all’altra.

Tamponi. I tamponi positivi del giorno sono in molti casi assimilati ai contagiati del giorno, senza considerare che i contagiati reali comprendono i sintomatici, gli asintomatici e i pauci sintomatici che non sono stati sottoposti a tampone. Per i tamponi effettuati, spesso non viene chiarito se si tratti di tamponi ripetuti più volte sullo stesso individuo.

Decessi. Per i decessi non è disponibile l’informazione se si tratti di decessi effettivamente a causa di Covid-19, ma solo di decessi con Covid-19 ed è una bella differenza. Quest’ultimo aspetto è molto importante: leggiamo o sentiamo in continuazione titoli o commenti del tipo “il Covid-19 ha ucciso…” oppure “le vittime del coronavirus sono…”, “nelle ultime 24 ore i morti sono…”, oltre poi a tutte le analisi e grafici a non finire sui deceduti positivi a Covid-19. Va invece chiarito che il numero dei pazienti deceduti positivi al Covid-19 non rappresenta il numero di decessi a causa del Covid-19: le statistiche, i grafici e le analisi basati su questo dato non ci descrivono quindi l’andamento della mortalità per questo virus.

Reali cause di morte. Solo in una fase successiva potrà essere stabilita la reale causa di morte dei pazienti deceduti. “Difficile riuscire a capire oggi, soprattutto nei casi in cui vi sono malattie pregresse, se il Covid-19 sia stato davvero la principale causa di quei decessi”, spiega al Fatto Quotidiano Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità. Secondo il professore, “per rispondere a queste domande dovremmo intanto aspettare gli esiti di tutte le autopsie, ma non sarà comunque facile”, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi “concorrono diversi fattori, in primis le patologie preesistenti”. Sul tema, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha inoltre specificato: “Abbiamo tre tipi di morti: quelli ricollegabili soprattutto al Covid-19, con o senza altre patologie; coloro che non muoiono di Covid-19 ma per Covid-19, cioè ad esempio infartuati che in condizioni normali si salverebbero; i morti che non hanno contratto Covid-19”. Inoltre, sempre sui decessi, è al momento assente un confronto completo ed esaustivo basato su un’analisi dei morti nello stesso periodo degli anni precedenti, ad esempio sul numero di morti per influenza stagionale.

Classifiche e confronti. Sentiamo spesso parlare del “tasso di letalità del virus” o “tasso di mortalità per casi confermati”: per quanto detto finora, questo tasso non è una misura utile a comprendere il fenomeno né, di conseguenza, a operare confronti tra regioni o con altre nazioni. Tutte le classifiche che ci vengono proposte sono sicuramente “appassionanti” e costituiscono motivo di discussione (“perché si muore di più in Italia?”), ma non hanno alcun valore scientifico.

Nuovi contagi dopo aprile. Mancano studi sulle probabili ondate di ritorno, così come studi statistici sugli effetti di differenti politiche di intervento sul territorio nelle fasi di riapertura, molto importanti per definire strategie di prevenzione e intervento per la fase 2.

Proposta. Perché non coinvolgere l’Istat e il Sistema statistico nazionale anche nella cabina di regia istituita dal governo sia per la fase 1 che per la fase 2, considerato che su tutti questi aspetti il sistema delle statistiche ufficiali è dotato di un patrimonio di conoscenze e competenze di grande rilevanza?

La destra garantista “double face”

Caro Alessandro Sallusti, anche se qualcuno si sorprenderà, io ho per te stima umana e professionale. Sentimenti che, credo, siano reciproci visto che per quattro volte mi proponesti di venire al Giornale (tre volte me lo propose Feltri, due Belpietro, una Giordano). Tutte proposte lusinghiere che fui costretto a rifiutare per una mia coerenza che Paolo Liguori, forse a ragione, ha definito “cretina”. Ma io son fatto così. Benché sia un antiberlusconiano della prima ora (Europeo, 2.8.1986, Un americano a Milano: “O il calcio distruggerà Berlusconi o Berlusconi distruggerà il calcio”) il Giornale, come quasi tutti i media di destra, è stato sempre molto attento alla mia opera di scrittore, se fosse stato per quelli della cosiddetta Sinistra, Repubblica, Espresso ecc., io non sarei esistito, culturalmente, in questo Paese. Mi dicono che molti tuoi lettori mi apprezzano e fra i tuoi giornalisti ci sono dei “criptofiniani” di cui non farò i nomi.

Ma c’è una cosa che non posso proprio digerire ed è la vostra capillare, costante, sistematica delegittimazione della Magistratura italiana di cui il tuo editoriale “Datevi uno scudo dal virus dei giudici” è solo l’ultimo di infiniti altri dello stesso tenore. Se qualcuno proponesse di aprire le carceri in un “liberi tutti”, io potrei essere d’accordo perché, non è demagogia, molti di quelli che stanno fuori sono peggio di molti di quelli che stanno dentro. Ma il vostro “garantismo” è double face ed è questo che è intollerabile. Silvio Berlusconi che, penso, faccia parte della “famiglia Berlusconi” proprietaria del tuo giornale, mi ha chiamato in giudizio per danni, cioè è ricorso alla Magistratura, benché io non abbia mai ficcato il naso nelle sue questioni di donne, perché un premier, come ogni altro cittadino, ha il diritto di fare in casa sua quello che più gli piace a meno che non si tratti di delitti. E penso anche che oggi una ragazza di 17 anni sia minorenne solo per l’anagrafe, per cui bisognerebbe abbassare l’età penale attiva e passiva a 14 anni (ragionando o sragionando come Adriano Sofri, mandante di un vilissimo assassinio sotto casa, e che oggi fa la morale a tutti, estrapolando dal testo secondo un malvezzo sempre più abituale, qualcuno potrebbe dire che voglio mettere in gattabuia anche i ragazzini). Renato Brunetta, che è della vostra scuderia, mi ha citato per danni, cioè è ricorso anch’egli alla Magistratura. Che, quando fa comodo, torna a esistere. Per tali “garantisti” double face io ho questa formula: provate a rubargli l’argenteria e vedrete come va a finire, chiameranno la pula, i pm, la Gestapo.

Vittorio Sgarbi, che è anche lui del giro, candidato per FI alle recenti Regionali, che scrive sul tuo giornale, per un’intera estate mi additò in tv al pubblico ludibrio, con relativa fotografia, “wanted”, come il principe dei “forcaioli”. È che questa gente pensa sempre che il mondo sia nato con loro. Io ho firmato l’appello per la scarcerazione di Valpreda in galera da quattro anni senza processo (il solo appello che ho firmato in vita mia). Fosse stato per la cosiddetta Destra, a cui tu oggi appartieni, Valpreda poteva restare in galera a vita e qualcuno dei vostri predecessori scrisse che il fatto che fosse affetto dal morbo di Buerger era segno inequivocabile che era il responsabile della strage di Piazza Fontana. Valpreda, infangato in tutti i modi dai vostri predecessori, sarà poi assolto. Ho difeso Giuliano Naria, presunto terrorista rosso, che si fece nove anni di detenzione preventiva, solo l’ultimo ai “domiciliari”, e che fu poi assolto con formula piena. A una settimana dal suo arresto sono stato il primo a difendere Enzo Tortora (“Io vado a sedermi accanto a Tortora”, Il Giorno, 25.6.1983) e non Enzo Biagi, come sempre si dice, e tale evaporazione della mia persona, ora che la spavalderia della splendente giovinezza mi viene meno con le sue energie, comincia a darmi parecchio fastidio. Lo difesi non tanto, o almeno non solo, perché lo conoscevo di persona, un liberale aristocratico di cui sarebbe stato difficile immaginare che si affiliasse a una bocciofila, figuriamoci alla camorra, ma perché era accusato de relato da pentiti che riferivano voci sentite da altri pentiti. E la sorella di Enzo, Anna, perdeva il lume degli occhi quando in seguito i tangentisti si mascheravano dietro quello che era successo a Tortora. Perché nell’inchiesta Mani Pulite non si trattava di “pentiti”, ma le accuse erano per tabulas, si basavano cioè su carte, documenti bancari e confessioni degli stessi autori dei crimini. Anche se poi si insinuò che i magistrati di Mani Pulite li arrestavano perché confessassero e si invocò l’intervento di Amnesty International per due o tre settimane di custodia cautelare (una cosa terribile rispetto ai 9 anni di Naria). Ma quel gran signore di Francesco Saverio Borrelli, procuratore capo di Milano, corresse: “Noi li arrestiamo e loro confessano”.

Come si ricorderà per almeno due anni, dal 1992 al ’94, tutti i giornali si sdraiarono lascivamente ai piedi dei pm di Mani Pulite e in particolare a quelli di Antonio Di Pietro (“Dieci domande a Tonino”, Paolo Mieli, Corriere della Sera).

Ma passata la buriana nel giro di poco tempo quasi tutti i giornali e i giornalisti, in particolare quelli della cosiddetta Destra, fecero il salto della quaglia e da adoratori di Mani Pulite ne divennero gli accusatori. Per cui i veri colpevoli di Tangentopoli divennero i magistrati, i corrotti e i corruttori le vittime e spesso giudici dei loro giudici. Non c’è da meravigliarsi se con un simile esempio la corruzione abbia oggi infettato l’intero Paese scendendo giù per li rami a buona parte della cittadinanza. Fra questi “saltatori” spicca Vittorio Feltri, il più assatanato “forcaiolo” finché rimase all’Indipendente (Enzo Carra sbattuto voluttuosamente in prima pagina in manette, messi sotto accusa i figli di Craxi, Bobo e Stefania – toccò a me difenderli per l’ovvio motivo che i figli non hanno né le colpe, né i meriti, dei padri – l’appellativo di “cinghialone” appioppato a Bettino, trasformando così una legittima inchiesta in una caccia sadica).

No, io non prendo partito per “lorsignori”, per i ladri in guanti gialli, perché hanno già molti difensori d’ufficio e ufficiosi. Io ho difeso, difendo e difenderò sempre gli stracci. Non c’è macchia sul mio onore di giornalista libero e libertario. Non so quanti, in questo Paese, possono dire altrettanto.

Trans in paradiso, i rutti di Pietro e Bezos depresso

Nella Bergamasca, morti e contagi non diminuiscono. Eppure moltissime aziende non hanno mai interrotto la produzione. Come si spiega?

Favoletta morale. C’era una volta una donna incantevole, dalla prosodia regionalmente indecifrabile, che un giorno morì. Uno scienziato che aveva appena scoperto il modo per riportare in vita i defunti (cocktail di ormoni, fulmine) lo testò su di lei. Quando la donna riprese conoscenza, i giornalisti le chiesero subito notizie sull’aldilà. “C’è il paradiso? C’è l’inferno? Com’è Dio? Com’è il diavolo?”. La donna chiese di essere lasciata in pace. Il giorno dopo, i vertici dei servizi segreti la sottoposero a un interrogatorio serrato: volevano quelle informazioni, che dovevano restare top secret. La donna disse: “Domandatemi tutto, ma non questo”. Ci riprovarono i capi di tutte le religioni del mondo. “Com’è Dio?”. La donna rispose: “Sentite, se ve lo dicessi, per voi sarebbe uno choc. Lasciatemi perdere”. Ma quelli insistevano. E così la donna disse: “E va bene, ma poi non dite che non vi avevo avvertito. Allora: innanzitutto, Dio è una transessuale di colore…”.

Cronache dalla quarantena. Su FaceTime, sto raccontando alle mie nipotine che Mary Poppins diede allo spazzacamino la gonorrea.

Un pacco ogni ora: è questo il ritmo rilassato che i corrieri di Amazon stanno tenendo ormai da un anno, da quando quel rettiliano di Jeff Bezos ha divorziato e mi è caduto in depressione. “Ha modificato gli algoritmi, non vuole più guadagnare sulla pelle dei dipendenti. È molto cambiato”, racconta un corriere tra una boccata e l’altra di Cohiba 1966 Edición Limitada 2011. “Gli algoritmi preparano le rotte di ogni corriere attraverso una app. Se vado troppo veloce, mi chiama uno dei controllori perché l’algoritmo gli segnala che sto correndo. I ritmi sono così noiosi che finisci per addormentarti nelle piazzole di sosta. Chi termina tardi, il giorno dopo si ritrova meno pacchi da consegnare, perché per l’algoritmo tu sei lento e quindi devi lavorare di meno. Vorremmo poter lavorare più velocemente, invece così non ci stracciamo i marroni e basta”, dice tra un pisolo e l’altro. “Tanto, se rompi il furgone o il telefono che serve per tracciare i pacchi, Amazon paga tutto, anche la franchigia. Per le multe, stessa cosa, le paga Amazon. Una volta, invece, dovevamo pagare tutto noi. Basta! O ci fanno portare più pacchi, o devono licenziarci!”.

Nuovo galateo amoroso. Non ho nulla in contrario a fare sesso con te, ma non toccarmi.

Preghiere in tv. Fabio Testi a Barbara D’Urso: “Vogliamo dirlo, Barbara, che una volta siamo stati a letto insieme? E hai recitato l’eterno riposo al mio bigolo? Con Salvini in collegamento video?”. (Un bacione a Barbara, che amo segretamente da millenni.)

Pasqua di resurrezione. “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Ma niente rutti, Pietro, ok?”.

Pubblicità in radio: “Come trovare il giusto equilibrio fra lavoro e vita privata?”. Con una pandemia.

Finita l’emergenza Coronavirus, l’importante è che i lombardi continuino a votare Lega e Forza Italia, perché squadra che vince non si cambia.

Un piccolo segreto. Guardate che la quarantena è già finita da due settimane. A voi non l’hanno ancora detto? Chiedetevi perché.

Mail box

 

 

“Che gioia leggere Luttazzi” “Però eviti la volgarità”

Da abbonata della prima ora, vi scrivo per comunicarvi la grande felicità di aver finalmente ritrovato un imprescindibile compagno di strada: Daniele Luttazzi è il cilicio del potere e ci renderà un gran servizio facendoci sbellicare dalle risate. Merito a te, direttore, di averlo convinto. Se potessi vi abbraccerei entrambi.

Carla Ricci

 

Grazie per questo ritorno più che gradito di Daniele Luttazzi sul Fatto. È un piacere leggerlo e constatare che è sempre qualche passo avanti a noi anzi, corre proprio in solitaria! A quando uno spettacolo tutto suo, cattivo, impietoso, scurrile e vilipendiosamente satirico su Loft?

Salvatore Antonio Aulizio

 

Travaglio introduce il ritorno sul Fatto di Daniele Luttazzi con una sua rubrica, avvertendo che “ci farà ridere o incazzare”. Posso dirlo che, per quanto mi riguarda, non mi suscita nessuna delle due opzioni. Insomma, pur avendolo apprezzato in tante altre occasioni, non posso fare a meno di rilevare che Luttazzi mi fa pensare a quei bambini che ridono a crepapelle dicendo “cacca”, ben sapendo che la parola è sconveniente a dirsi in gratuità. Trovo che il pur genialissimo Daniele Luttazzi abbia un problema di scatologia. Ne plaudo il ritorno, ma auspico una satira scevra da coprofilie.

Lino Baldi

 

Leggo volentieri il Fatto, ma sono infastidito dalla pubblicità data all’evento: “Da oggi scrive Daniele Luttazzi”. Suono di trombe, rullo di tamburi e in un trafiletto rilevo: “Smerdando, vaffanculo, testa di cazzo, cagare, stronzo, scoperei, pisello, pisciata, latrina”. Capisco la libertà di parola, ma sono proprio obbligato a leggere Luttazzi? Direttore, non ti facevo amante dell’orrido, per cui ti chiedo: oscura ciò che scrive il sopradetto. Cortesia personale.

Un lettore

 

Caro amico, io non ho mai oscurato nessuno (semmai, ogni tanto, sono stato oscurato, e Luttazzi molto più di me). Luttazzi è così, e peraltro, erano così tutti i grandi satiristi, da Aristofane a Rabelais. Prendere o lasciare (cioè voltare pagina). E io prendo.

M. Trav.

 

Il 25 aprile liberiamoci dai programmi tv faziosi

Gentile Travaglio, mi rivolgo al suo giornale, l’unico che acquisto, per esporre un’idea che mi frulla per la testa. Deluso dalla Rai che s’inchina a interessi di parte, disgustato dall’indecenza settaria delle televisioni private e dei loro giornali, che resta dell’informazione? Un piatto unico allettato dalla pubblicità e da dibattiti furbi. Il 25 aprile 1945 i nostri padri ci liberarono dal fascismo: il 25 aprile 2020 liberiamoci dall’informazione ipocrita. Propongo in quella data di spegnere tutti i programmi su tutte le reti. Gridiamo il nostro silenzio. Un piccolo gesto per sentirci degni dei nostri Padri.

Adriano Morè

 

La scuola si attrezzi ora per il rientro in aula

In questa situazione che ci ha portato via, prima di tutto, persone, poi lavoro, socialità e libertà, poco si è parlato di una cosa essenziale: la scuola. Il Miur si è solo affrettato ad affidare ai docenti, da un giorno all’altro, il compito di operare con la didattica a distanza (Dad). Sono insegnante precaria e mamma di una bimba di 11 anni: la sua scuola si è subito attivata e ho visto il lavoro senza sosta dei coordinatori del mio Istituto. E la Dad è partita, in una situazione straordinaria che non deve assolutamente farsi ordinaria: non si può usare la professionalità e la risposta eccezionale dei docenti come risposta, a settembre, alle classi pollaio o alla mancanza di personale. Non possiamo far pagare il prezzo delle falle croniche del sistema ai nostri studenti e alle loro famiglie. A governo e ministra dico: fate come gli insegnanti, cui avete chiesto una risposta immediata al problema. Date una risposta concreta, corretta e coerente: costruite o ristrutturate edifici, prefabbricati. Assumete docenti per superare la mancanza di organico… La scuola è “in presenza”, non può essere spazio virtuale, ma fisico: negare questa necessità è per comodo e incapacità decisionale e organizzativa. Va bene per un limitato periodo: non oltre.

Docente precaria e mamma di Sara, 11 anni

 

Tanti mezzi d’informazione condizionati dai poteri forti

Il problema dell’accesso alle vie di comunicazione nelle sue varie forme è particolarmente sentito: questi mezzi che fungono da tramite nell’informazione e soprattutto nella formazione delle idee sono spesso controllati dai poteri economici. La crescita di un giornale richiede, oltre ai capitali, gli apporti pubblicitari di grandi imprese, che influiscono sulle pagine economiche più che su quelle politiche o culturali: di fronte alla cultura l’editore è portato al rispetto, di fronte alla politica è incline a stabilire rapporti amichevoli e/o neutrali, mentre nell’ambito degli interessi economici propri e degli inserzionisti ha idee molto più impetuose e a senso unico. Ragion per cui la libertà di commento e inchiesta in campo economico è spesso limitata. E infatti le critiche ai personaggi eminenti dell’economia sono sempre pacate o buoniste.

Renzo Possagno

 

Nel commento di ieri di Tomaso Montanari si leggeva che “Lo Stato deve assumere a tempo determinato coloro che fanno tutela e valorizzazione”: naturalmente il tempo deve essere “indeterminato”.

FQ

Diagnosi I kit sierologici sono un’arma imprecisa, nelle Rsa servono i tamponi

 

Cara redazione, vi scrivo a proposito dell’emergenza sanitaria nelle residenze per anziani. Parlo di mia madre, operatrice socio sanitaria della “Casa Gino e Pierini Marani” nella sede di Paese (Tv). Il suo lavoro la espone a un grande rischio di contagio del Covid-19, soprattutto perché non sono stati forniti da subito gli adeguati dispositivi di protezione individuale e perché non sono state adottate misure adeguate per tutelare degenti e operatori. Il problema è stato anche la mancanza di certezza della diagnosi di Covid-19 sugli ospiti, perché non sono stati fatti i tamponi. A tal proposito, ho accolto con favore la proposta del professor Crisanti, che il Veneto ha deciso di seguire, di eseguire i tamponi “a strascico”. Il 9 aprile, l’ULSS 2 ha fatto gli esami nella casa di riposo “Marani”, ma mia madre è stata sottoposta a un test sierologico, non a un tampone. Quest’ultimo era previsto solo per i positivi all’esame del sangue. Sulla attendibilità dei test sierologici è noto che il ministero della Sanità e l’ISS non abbiano ancora validato alcuno strumento del genere. Allora mi chiedo: su che basi scientifiche e legali considerano il test sierologico alternativo al tampone? Come si spiega la differenza con il personale sanitario degli ospedali, al quale invece è stato eseguito il tampone? Se il ministero della Sanità o qualunque altro studio dovesse smentire la validità del test utilizzato oggi dall’ULSS 2, la Regione è pronta a effettuare nuovamente la diagnosi attraverso un sistema idoneo? Hanno comunque in programma un ulteriore test?

Angelo Ladogana

 

Caro Angelo, lei ha ragione da vendere. Sua madre dovrebbe essere sottoposta a tampone rinofaringeo, non all’esame del sangue che non è il test migliore per la diagnosi del coronavirus. L’esame del sangue cerca gli anticorpi che si formano (solitamente intorno alla nona-decima giornata dal contagio) nel nostro organismo. Quindi sua madre potrebbe essere stata contagiata (ovviamente speriamo di no) nei giorni precedenti al kit che non ha rilevato nulla. L’ultima circolare del ministero della Salute di aprile prevede infatti che il test sierologico non sia usato per la diagnosi riservata al test molecolare, cioè al tampone. Poi però nella realtà i tamponi li fanno solo a chi sta molto male e non ai pauci sintomatici o agli operatori delle RSA, come sarebbe giusto. Risultato? Si usano i kit che sono un’arma imprecisa per cogliere nel segno. L’unico consiglio che mi sento di dare è di ripetere il test a distanza di una settimana o più per vedere se qualcosa è cambiato. Così può coprire il cosiddetto periodo finestra, che ovviamente si riproporrà se sua madre continuerà a entrare in contatto con possibili portatori del virus nel mondo esterno. L’approccio migliore sarebbe quindi uno o più test sierologici e un tampone, l’unico in grado di misurare l’esistenza della carica virale oggi.

Marco Lillo

Mr Santanchè e il botox per tutti

In mezzo a tante cattive notizie, ogni tanto se ne legge una buona. L’emergenza sanitaria non si placa, l’economia è al collasso, ma la luce in fondo al tunnel pare intravedersi. Questo almeno secondo il chirurgo plastico Paolo Santanchè, il cui cognome ricorda non a caso la ex moglie Daniela, già missina, poi berlusconiana e adesso Sorella d’Italia con Giorgia Meloni. Santanchè, nel senso di Paolo, ieri ha affidato all’AdnKronos le sue raggianti previsioni per il dopo-coronavirus: “Credo che assisteremo a un’esplosione di punturine e liposuzione. Dopo tre settimane di silenzio totale qualcosa comincia a muoversi e dalle telefonate, dai discorsi raccolti, percepiamo un entusiasmo che non avevamo calcolato”. C’è aria di ripartenza dunque: “Si sa, quando ci piacciamo e ci sentiamo in armonia con noi stessi, siamo più forti, positivi e propositivi. C’è un fermento che stupisce, ma si può spiegare. Accade infatti molto spesso che si decida di fare un intervento estetico o di chirurgia plastica per voltare pagina dopo un momento brutto”. Della serie: “Non hanno il pane? Che si riempiano di silicone”.

La Lombardia e la destra: il ruolo della sfiga

In tv funziona così: uno si permette di sollevare qualche perplessità sulla gestione dell’epidemia in Lombardia, alla luce dell’esplosione incontrollata dei decessi e subito viene rimbeccato in malo modo dalle gerenze di Giornale, Libero, La Verità

con le seguenti, decisive argomentazioni. 1) È una vergogna fare di queste polemiche mentre muoiono migliaia di persone. 2) È facile esprimere giudizi sommari standosene ben comodi a Roma mentre a Milano è in corso la guerra affrontata a mani nude da medici e infermieri. 3) Se proprio si vuole buttarla in politica, soltanto grazie alla sanità modello della Regione Lombardia, a conduzione Lega (Fontana e Gallera), si sono potute evitare conseguenze ancora più devastanti.

A questo punto per dimostrare l’assenza di qualsivoglia pregiudizio politico si prova a elogiare le misure di contenimento adottate in Veneto dal governatore Luca Zaia (leghista lui pure), e ci si chiede come mai una così marcata differenza di contagiati e di morti con Milano, Bergamo, Brescia. Risposte testuali: 1) “Colpa della sfiga”. 2) Colpa delle forze primordiali della natura, con il che si equipara l’espandersi delle epidemie alla imprevedibilità per esempio “del terremoto de L’Aquila” (o alle cavallette). E le conseguenti indagini della magistratura? “Roba di cattivo gusto” (Matteo Salvini). Dinanzi a cotante evidenze scientifiche ci si arrende, e si soppesano i due distinti modelli di analisi del fenomeno politico-sanitario Covid-19. Il Rituale Taumaturgico del Divino Mago Otelma. Oppure il dossier: “Lombardia, domande inevitabili” di Milena Gabanelli e Simona Ravizza sul Corriere della Sera

di ieri che, dati alla mano, si presenta con queste parole: “Dalla mancata zona rossa nella Bergamasca all’assenza di indicazioni e supporto ai medici di base. Perché la regione conta così tante vittime?”. Che domande di cattivo gusto.

Soccorrere i migranti per evitare i conflitti

C’è tensione persino a Lampedusa, abituata ad accogliere naufraghi da decenni. Il timore di molti: che gli immigrati sbarcati – poiché nessuno può sapere se siano contagiosi – complichino una situazione già estrema. Cifre alla mano, sono i migranti a rischiare di più sbarcando in Italia. E lo sanno. Il 27 marzo, in Puglia, in 44 sono sbarcati da un barcone e già indossavano le mascherine. Se l’erano procurate in Libia.

La Libia segnala 35 contagi per Covid-19 (un unico decesso). Cifre attendibili? Di certo incomparabili con quelle italiane. Le condizioni meteo migliorano, i migranti temono di infettarsi in Libia: le partenze aumenteranno.

Il governo l’ha già stabilito per decreto: l’Italia a causa della pandemia non è un porto sicuro. Tradotto: se le Ong soccorrono naufraghi in acque internazionali, senza coordinamento con l’Italia, li sbarchino nei loro Stati di bandiera. Ma i barconi partiranno. E abbiamo sia il dovere di soccorrere, sia di disinnescare il conflitto sociale. Sul conflitto sociale le destre, con Matteo Salvini in testa, possono avidamente puntare. Per accumulare consenso. Ma qui è in gioco qualcosa di più serio del consenso.

Chi pattuglia il Mediterraneo? In acque libiche, oltre alle Ong, c’è la pseudo guardia costiera libica. Poi, ogni Stato pattuglia i propri confini. Se i migranti scampano il naufragio a nord di Tripoli, ed entrano in acque italiane, hanno tre possibilità: 1) Annegano. 2) Li intercettiamo; li soccorriamo; sbarcano; sono sottoposti a quarantena e se necessario curati. 3) Sbarcano da soli dove capita; si disperdono; giungono in luoghi non attrezzati per le quarantene. Innescando conflitto sociale e gravi problemi di ordine pubblico.

E allora: il governo attivi il maggior numero di controlli via mare e via cielo; intercetti e soccorra il maggior numero di migranti; li porti in centri attrezzati; disinneschi il detonatore del sovraffollamento e dell’autogestione in Comuni senza risorse.

Nell’anarchia dei sistemi regionali almeno non raccontateci fandonie

In Italia si moltiplicano i tavoli Covid-19, ma non le certezze, sicuramente i dubbi. Davanti a una politica che ha giustificato il potere centrale con la governance di un’emergenza e che poi ha dovuto cedere all’anarchia del sistema regionale, davanti alla costernazione dei cittadini che attendono giornalmente i numeri da cui ormai dipende la propria vita sociale e privata, ai provvedimenti presi e poi ridimensionati, nazionali e non regionali o viceversa, il tutto con la colonna sonora di spot strappalacrime che, ripetendoci “Vinceremo”, ancor più ci fanno sprofondare nell’angoscia, mentre le immagini di file di bare restano indelebili nella nostra mente, è difficile mantenere un’attenta razionalità ed equilibrio mentale. Tutto è sdrucciolevole. In questa situazione non vorremmo assistere a scandali, inchieste, vorremmo dimostrare a noi stessi che chi sta gestendo la nostra vita sta agendo solo per il nostro bene.

Vorremmo che fossero credibili loro e le loro azioni. E invece scopriamo che la conferenza stampa borrelliana delle 18 è inutile per lo scopo dichiarato di darci un aggiornamento della situazione, anzi confonde le idee. Non solo i numeri, come abbiamo più volte affermato, non rispecchiano la realtà (i positivi non rappresentano la popolazione e variano al variare della capacità dei laboratori a eseguire i test), ma sono anche non contestualizzati. Quello che ogni giorno gli spettatori interpretano come la situazione del giorno precedente, deducendo che va bene o va male, è in realtà la situazione di circa 10-12 giorni prima. Perché? I numeri che vengono passati a Borrelli sono le notifiche dei casi da parte delle Regioni che, non ci stupisce, ci mettono qualche giorno per recepirli dai laboratori, raccoglierli, controllarli (si spera) e inviarli al ministero della Salute. Ciò significa, appunto, che i dati arrivano al tavolo della conferenza dopo almeno 8-10 giorni da quando sono state eseguite le analisi. Allora cosa ci raccontano? Esattamente la realtà di giorni addietro. Che non è affatto inutile, ma a patto che ce lo spieghino, anziché far intendere che si tratti degli indicatori dell’andamento giornaliero della pandemia in Italia. Basta che si sappia!

 

E Fontana chiede più autonomia

Sarebbe al centro “di squallide speculazioni che hanno iniziato a girare da qualche giorno”. Fontana ieri in un’intervista al Dubbio, il giornale degli avvocati, si difende da solo sfidando il ridicolo se non fosse tragica la situazione: “C’è qualcuno che mi accusa addirittura di aver sottovalutato l’emergenza. Una critica ridicola, mossa da chi, appena qualche settimana fa, mi accusava di voler diffondere il panico. Quelle stesse persone che, quando chiesi di mettere in quarantena i cittadini che arrivavano dalla Cina, mi davano del razzista. Gli stessi che quando, tra i primi, indossai la mascherina per far capire ai cittadini l’importanza di quel tipo di protezione, mi dissero che si trattava di uno show che avrebbe moltiplicato i timori. Ma oggi vedo che tutti, anche chi allora criticò quel gesto, ne indossano una. E oggi, a così poca distanza da quelle ingiurie (il mio avvocato sta procedendo nella giusta direzione) mi accusano del contrario: cioè di sottovalutazione dell’emergenza”. Più che sottovalutazione quel che appare sempre più chiaro è come i vertici della Lombardia non ci abbiano capito nulla. Come sempre se ne lava le mani: “Roma ha il pieno controllo sulle attività produttive ed è chiaro che è lì che devono assumersi la responsabilità di decidere quando riaprire”. E alla fine cosa serve? “Più federalismo, altro che”.