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Ben arrivato Luttazzi! Non te ne andare più

È triviale. È osceno. È oscenamente comico, volgarmente comico, necessariamente volgare. Quanto mi sei mancato, Luttazzi… Figurati che ho conosciuto Travaglio grazie alla tua famosa trasmissione su Rai3. Non te ne andare più, mi raccomando: che la rubrica ti sia greve.

Marina Ratto

 

 

“Radio3 non censura il Fatto” “I nostri lettori vi giudicano”

A proposito della lettera che avete ospitato ieri, nella quale si lamenta la presunta scomparsa di Marco Travaglio dalla lettura dei giornali del programma Prima pagina, vorrei rassicurarvi: l’accusa non solo è infondata (articoli del Fatto e di Travaglio sono citati con regolarità), ma tocca il ridicolo, se si considera quanti giornalisti del Fatto vengono periodicamente invitati a condurre la trasmissione, che del resto da più di 40 anni ospita giornalisti di testate diverse e telefonate di ascoltatori di differenti opinioni. Che proprio questo agli occhi di Travaglio renda la trasmissione addirittura un “postaccio” (“in certi postacci è meglio non esistere”) può non stupire ma non cambierà la vocazione aperta, democratica, pluralista e inclusiva della trasmissione. E cioè la sua natura di Servizio Pubblico.

Marino Sinibaldi, Direttore di Radio3

 

Caro Marino, a me non importa nulla di essere citato in qualsivoglia programma tv o radio. Ma ricevo sempre più spesso lettere di nostri lettori che notano la scomparsa del nostro giornale dalle rassegne stampa, inclusa “Prima pagina”, e le pubblico. Il picco l’ho registrato nella settimana in cui a condurre il programma era il molto democratico e pluralista Federico Fubini. La cosa mi ha molto rallegrato: se quel signore avesse citato il “Fatto” anche una sola volta in sette giorni, mi sarei domandato in che cosa avessimo sbagliato. Quindi voi continuate pure a fare “servizio pubblico” come vi pare. Ma i nostri lettori, pagando il canone, sono liberissimi di giudicarvi.

M. Trav.

 

 

Noi disoccupati, spaventati soprattutto dal post-Covid

Dottor Padellaro, sono un lettore assiduo del vostro giornale e del vostro sito pur avendo a volte idee diverse. Premetto che in questo momento l’unica cosa veramente importante è salvare vite umane e ringraziare tutto il personale sanitario, le forze dell’ordine e i lavoratori che sono ancora in giro per assicurare i beni di prima necessità. Molti chiedono aiuto: i concessionari auto, ad esempio, ma anche Oviesse o H&M… Ecco a leggere di certe categorie mi viene da “vomitare”, scusi l’espressione, quando in Italia esistono persone, come chi scrive, da anni disoccupate, che non riescono più a fare la spesa per i figli… Sono tra i “fortunati” 50enni con un discreto curriculum da anni disoccupato e senza alcun sussidio. La cosa più triste è leggere di queste categorie che chiedono aiuti: a questi signori vorrei che il governo dicesse di tirare fuori i loro soldi, di indebitarsi come me, che da anni non guadagno un centesimo. La tristezza più grande per me e per quelli che vivono la mia stessa situazione è il post-Covid: cosa sarà di noi? Troppo vecchi per il mondo del lavoro e troppo giovani per la pensione: cosa faremo? Gente abituata a sopravvivere con 10-15 euro al giorno, che ora è a casa senza guadagnare neanche quei pochi soldi! Ecco, il governo deve pensare a tutti noi. Infine in questi giorni terribili non posso non pensare alle categorie fortunate – calciatori, allenatori e soprattutto politici –, che non fanno alcuna raccolta fondi per aiutare la Protezione civile o gli ospedali.

Francesco Paolo Minneci

 

 

I sieropositivi hanno bisogno di cure costanti

Sono un sieropositivo all’Hiv, in cura al San Raffaele di Milano, dove sono state sospese le attività ambulatoriali (in cui ci è garantita la terapia antivirale): niente esami del sangue, niente visite mediche, tutto sospeso fino a…? Siamo persone fragili e non siamo in pochi: ci sentiamo abbandonati. Nessun quotidiano ha pubblicato un articolo su di noi. Fatelo almeno voi.

Roberto

 

 

Le mascherine si possono disinfettare e riciclare?

Gentile dottoressa Gismondo, per quanto tempo è possibile usare le mascherine prima di sostituirle? E disinfettarle?

Giovanni Di Paolo

Non è possibile riciclarle. L’uso consigliato è di massimo 8 ore.

MRG

 

Grazie a Colombo per aver ricordato la Liberazione

Grazie e complimenti a Furio Colombo per quanto scritto sul 25 aprile. È vero che è la festa della Liberazione: non da qualcosa di astratto, ma dalla dittatura fascista. Se ci sono (e purtroppo sono ancora troppe) persone che pensano che questi criminali abbiano agito in buona fede non devono festeggiare il 25 aprile, ma ritirarsi in silenzio per pregare per tutti i morti che i loro antenati hanno prodotto e chiedere pietà.

Carlo Padovani

 

Desidero ringraziare Furio Colombo per aver chiaramente ricordato il significato del 25 aprile. Troppi italiani se ne sono scordati. Grazie.

Ennio Gobbo

 

 

I NOSTRI ERRORI

Nel pezzo di domenica, “Mascherine, prezzo per decreto o senza Iva contro gli speculatori”, l’Autorità per la concorrenza citata è stata abbreviata in Agcom (che è l’Autorità garante per le telecomunicazioni) e non con il corretto acronimo Agcm. Ce ne scusiamo con i lettori.

Fq

Anziani. “Mio padre è morto da solo, smettiamola di fare gli irresponsabili”

 

Caro Fatto e lettori, nonostante siano passati alcuni giorni dalla scomparsa di mio padre che era ospite in una struttura in provincia di Arezzo, nella quale il virus ha contagiato 30 persone, e a oggi ha mietuto nove vittime, non riusciamo ad accettare la cosa. Per un mese non lo abbiamo potuto vedere per le restrizioni della Rsa, in compenso abbiamo assistito al funerale, niente salma per un ultimo saluto, niente cerimonia funebre, soltanto un sacco bianco in una fredda bara, calata in una fossa di un cimitero in presenza dei suoi unici due figli, una benedizione veloce e fine. Rimaniamo con la voglia di piangere la sua scomparsa, la voglia di deporre fiori sopra la lapide, per cercare di realizzare e soffocare il dolore, ma l’emergenza ci frena. Sui Tg vediamo code sulle tangenziali di persone che evadono dalle proprie abitazioni per passare la Pasqua nella seconda casa sul litorale. Mi chiedo, e vi chiedo, siamo noi che stiamo esagerando o sono gli altri che irresponsabilmente sottovalutano la gravità della situazione?

Flavio Bondi

 

Caro Flavio, della morte, l’unica cosa certa è che durante la vita ognuno di noi ne fa un’esperienza: diretta, o attraverso qualcuno che amiamo. Le persone che in questi giorni, in queste settimane, si ritrovano a vivere un lutto drammatico come il suo sono, siamo moltissime. Persone, appunto, non numeri, come persone restano quei cari che oggi non ci sono più. Il coronavirus è entrato così nelle nostre vite, così è diventato in un certo senso la nostra nuova normalità. Anche per ciò che impone, come singoli e come società, nel modo di vivere e affrontare l’esperienza del lutto. Io credo che a tutti voi che vi trovate a non poter nemmeno piangere con un funerale i vostri padri, le vostre madri, i vostri zii e nonni, gli amici di una vita, bisognerebbe pensare quando si affaccia, tentatore, quel certo proposito di evasione, seguito dal “Be’, dopotutto che male c’è…”. Che male c’è se esco a farmi un giretto, che male c’è se parto per il mare o per la montagna, che male c’è se faccio pasquetta con gli amici. Ecco, dovremmo pensare a lei signor Flavio, oltreché a tutti i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che ogni giorno si ammalano e rischiano la vita in trincea. Purtroppo continuiamo a pagare anche il prezzo dell’irresponsabilità. Degli ancora tanti cittadini scriteriati e di certi politici che ci governano in alcune delle regioni più colpite, ahinoi. Susan Sontag ha scritto che “tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro Paese”. La malattia è “una cittadinanza più onerosa”. E non tutti riusciamo a essere cittadini allo stesso modo. Nemmeno “davanti al dolore degli altri”.

Maddalena Oliva

Cara presidente Ursula, fatti la spiaggia tua

Niente, ci tocca rimpiangere quel buontempone di Jean-Claude Juncker. Da dieci mesi all’ilare ex premier del paradiso fiscale altrimenti noto come Lussemburgo, è subentrata Ursula, non la strega della Sirenetta, bensì la più nobile e tedesca Von der Leyen. Plurime volte ministra nei governi Merkel, madre di sette figli, è diventata in poche ore il faro dell’Europa, tra lodi sperticate dei commentatori di tutto il Vecchio continente. Costei, una decina di giorni fa, si è scusata via lettera a Repubblica per le precedenti, dure, dichiarazioni, sull’Italia. Bene. Siccome non si fa che raccomandare senso di responsabilità, l’altro giorno la presidente ha rilasciato un’intervista assai irresponsabile alla Bild: “Non prenotate ancora le vacanze estive. Al momento nessuno può fare previsioni affidabili per luglio e agosto”. Aggiungendo che “le persone anziane potrebbero dover rimanere in isolamento fino alla fine dell’anno”. Ci ha tolto l’estate, insomma. E ha prescritto ai meno giovani un’incoraggiante quarentena fino al 2021. Sperate, cari nonni, di avere l’aria condizionata, perché non potrete nemmeno andare al centro commerciale per cercare un po’ di tregua dalla calura (che agli anziani fa notoriamente benissimo). Al massimo vi sarà consentito passare i prossimi otto mesi davanti alla tv, a fare a maglia o un solitario a carte. A tutti gli altri fortunelli per il periodo estivo saranno permesse brevi passeggiate sotto il tiglio di quartiere o alla fontanella del parco. Se la notte non riusciremo a dormire per il caldo (per sovrabbondanza di buone notizie, è prevista un’estate torrida sin da giugno), prenderemo a prestito l’idea del Marcovaldo di Calvino e, guanciale sottobraccio, cercheremo una panchina dove coricarci per svegliarci con il mal di schiena. Ma saranno parecchio affollate. Del resto, con tutto questo smart working, mica avremo bisogno di riposare. Aboliamo le vacanze del tutto, raus.

Tornando seri, gli operatori del turismo si sono allarmati parecchio e dovremmo esserlo tutti. Intanto perché, secondo un report di Banca d’Italia (dicembre 2018) alle attività turistiche sono direttamente riconducibili oltre il 5 per cento del Pil (con l’indotto si arriva a più del doppio) e oltre il 6 per cento degli occupati del Paese. Dunque il danno economico sarebbe enorme, particolarmente in Italia, il Paese più visitato al mondo (dunque sono soprattutto spiagge nostre). E poi: non si può pensare di limitare i diritti fondamentali a causa di un’emergenza che dilazionata di altri mesi diventerebbe cronica (e quindi non più emergenza, ma incapacità di risolvere i problemi). Segregare milioni di cittadini nelle città (se non addirittura nelle case) significherebbe per la politica dichiarare la propria inettitudine. Annunciare la cancellazione dell’estate in aprile, senza alcuna certezza, non è allarmismo, è una crudeltà gratuita. La sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa (che nei giorni scorsi aveva giustamente sottolineato come il territorio si sia rivelato l’anello debole del sistema sanitario; soprattutto in Lombardia, aggiungiamo noi) ha spiegato al Corriere che per gli anziani si deve “prevedere un programma particolare, percorsi che ci consentano di proteggerli dal contagio quando i più giovani ricominceranno a circolare”. Però, attenzione, “mettendoli anche al riparo dall’afa e dall’isolamento che può avere effetti devastanti a livello psicologico”. Per fortuna la presidente Von der Leyen non ha l’autorità di confinare in casa i nostri anziani. Uno Stato non si amministra solo con i divieti e non può trattare i suoi cittadini come bambini. Se non aspettandosi che, come i bambini, in molti civilmente disobbediscano.

Questi generali felloni che si vantano del loro camposanto

Mandati allo sbaraglio senza criterio verso le trincee nemiche, soldati e sottufficiali del Regio Esercito videro la verità, la videro sulla pelle dei compagni caduti e, girando le spalle al fronte, rivolsero i fucili contro gli ufficiali felloni, contro comandanti inetti e colonnelli incapaci. A rileggere oggi, nella primavera dei nostri arresti domiciliari, Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu (1937), la situazione della Lombardia – il mio posto nel mondo, la mia regione – è questa. Due lugubri generali che fanno propaganda, il presidente della Lombardia Attilio Fontana e il suo assessore alla Sanità Giulio Gallera, mentre in trincea ci si ammala e si muore, vittime di ordini assurdi e incomprensibili, di decisioni criminali, di rallentamenti e temporeggiamenti, incertezze, pavidità, scaricabarile su altri poteri.

Delle responsabilità della giunta lombarda si è detto e si dice ogni giorno, e non sarà mai abbastanza. Dalla mancata chiusura di una zona rossa in Val Brembana per proteggere Bergamo, poi città martire, alla gestione spaventosa dell’ospedale di Alzano, e giù, fino ai tamponi che non si fanno nemmeno ai malati, alle Residenze per anziani inzeppate di infettati Covid, case non chiuse e sigillate, ma per settimane aperte al pubblico e ai parenti. Centinaia e centinaia di interviste e testimonianze e ricostruzioni della truppa eroica in prima linea (medici, infermieri, barellieri, sanitari di ogni ordine e grado, ricoverati, parenti di degenti) puntano tutte lì: alle scelte sbagliate, a una gestione dell’emergenza che meriterebbe il processo per altro tradimento di un intero popolo.

La Regione Lombardia, per bocca dei suoi generali felloni, risponde ancora a colpi di propaganda. Chi ha causato una strage di vecchi innocenti nelle case di riposo punta il dito accusatore contro i cittadini che “escono troppo”, che è come se chi ha lanciato la bomba atomica accusasse uno che esce con la fionda. Il comandante in capo, Matteo Salvini, scrive in un tweet la sua grottesca distanza dalla realtà: “Bergamo, Brescia, Cremona e Lodi. Orgogliosi della Lombardia”, uno sputo sulle tombe. Una vergognosa pagina pubblicitaria stampata sui grandi quotidiani (che l’hanno pubblicata senza batter ciglio, incassando i soldi) canta ancora le lodi della Sanità lombarda sbaragliata peggio che a Caporetto, con argomenti che gridano vendetta: “La Sanità privata insieme alla Sanità pubblica: 28.224 vite salvate in Lombardia”, si legge, increduli, come se di fronte a un massacro si esultasse perché non sono morti tutti, e qualcuno l’ha scampata. Firmano la pagina (bene saperlo) Confindustria Lombarda, Regione Lombardia, l’associazione degli ospedali privati e quella degli istituti sanitari religiosi. Le televisioni del Regno ospitano costantemente, come in una rubrica fissa, i deliri dei due generali felloni, che pontificano dall’alto del loro record mondiale: la Lombardia è la regione al mondo con più morti in rapporto agli abitanti. Si vantano del loro camposanto.

Si sorride amaramente pensando che solo qualche mese fa l’emergenza nazionale era (signora mia!) l’odio in Rete, la prevalenza del cretino su twitter e facebook, l’intemperanza verbale. Ora è il momento di scoprire che a volte l’odio ha un suo perché, che la rabbia non nasce a caso, che se lasci marcire il senso di giustizia tra bugie e propaganda, crescerà di minuto in minuto. Nel film di Francesco Rosi tratto dal libro di Lussu il tenente Ottolenghi, che teorizzava l’ammutinamento contro i generali incapaci aveva la faccia bellissima e maestosa di Gian Maria Volonté. Oggi le facce non le vediamo, sono coperte da mascherine, occhiali protettivi, cuffie, tute, qualcuno parla col volto nascosto e la voce contraffatta, per non incorrere in rappresaglie, ma sono la stessa bellissima faccia di chi vuole giustizia.

Beni culturali, 10 idee per rilanciarli

“Egli era nato nell’ambiente di coloro che erano sempre stati, o erano in seguito diventati, i potenti di quel mondo… di conseguenza, i dispensatori di beni terreni sotto forma di posti, appalti, concessioni e simili, gli erano tutti amici e non potevano trascurare uno dei loro”: la ferrea logica dell’oligopolio esposta da Tolstoj in Anna Karenina è, in Italia, la vera regola della cosiddetta economia del patrimonio culturale. Un’economia che, dalla legge Ronchey (1992) in poi, socializza le perdite (uno Stato con sempre meno soldi per la tutela, l’estrema precarietà dei lavoratori del patrimonio) e privatizza gli utili (redistribuiti tra gli amici degli amici).

È questo il sistema che è andato in crisi con la pandemia, ed è questo il sistema che si vorrebbe salvare con idee come il “fondo per la cultura” lanciato da Pigi Battista sul Corriere e subito entusiasticamente cavalcato dagli oligopolisti. Nonostante l’estrema vaghezza della proposta, una cosa è chiara: lo Stato dovrebbe garantire (come? Forse col suo stesso patrimonio, alla Tremonti-Carrai-Zanda?) che i privati tornino a fare profitti sul patrimonio pubblico. È il tentativo di far finta che nulla sia successo, continuando a fare business as usual: ma ogni giorno è più evidente che non solo ciò sarebbe sbagliato, ma che è anche impossibile. La vera sfida è la ricostruzione dello Stato: nella sanità, nella scuola, nella ricerca e, sì, anche nel patrimonio culturale. (Da questo punto di vista promette bene la presenza della più nota assertrice delle capacità innovative dello Stato, Mariana Mazzucato, tra i tecnici chiamati a immaginare la ripartenza; mentre assai meno incoraggiante è la guida affidata a un Vittorio Colao che nel 2015 inneggiava al Jobs Act e si lamentava della lentezza delle privatizzazioni…). Ecco i dieci punti su cui quella ricostruzione potrebbe avvenire.

1. Reinsourcing. Lo Stato deve ricominciare a fare ciò che molte grandi aziende stanno facendo, e cioè riprendersi ciò che ha affidato a sue società strumentali (come Ales) o ha appaltato a concessionari: e per questo deve assumere a tempo determinato coloro che fanno tutela e valorizzazione. Un New Deal del patrimonio che salvi il patrimonio salvando anche più generazioni di laureati.

2. Produzione e redistribuzione di conoscenza. Il livello infimo dei contenuti messi online dai musei italiani in questa quarantena, la gragnuola di errori e la palese inadeguatezza del Gran Virtual Tour del Mibact mostra che ci siamo ridotti a fare i piazzisti della Grande Bellezza. Bisogna recuperare la distanza con i grandi musei del mondo nella produzione di contenuti, e per far questo i nostri musei, archivi, biblioteche devono essere comunità della conoscenza.

3. Accesso gratuito a tutti i musei statali. È finito il tempo dell’economia del biglietto, abbiamo un vitale bisogno di innalzare il livello culturale del Paese.

4. Ogni istituto culturale deve mettersi al servizio della comunità a cui appartiene. Per essere globali occorre essere pienamente locali.

5. La scuola, e non il mercato del turismo, deve essere la prima destinataria e interlocutrice di ogni politica del patrimonio. 6. Basta privilegiare i grandi musei blockbuster, valutati solo coi biglietti. Attenzione capillare al patrimonio sotto-casa, mettendo al centro le aree interne e le piccole realtà.

7. Intendere il patrimonio come spazio pubblico della democrazia. Si parla a cittadini, non a consumatori o clienti.

8. Moratoria delle mostre. Pensiamo al patrimonio permanente, e facciamo poche e importanti esposizioni capaci di produrre conoscenza e parlare a tutti.

9. Chiudere la stagione delle sponsorizzazioni. (Basta usare il patrimonio, pagandolo un tozzo di pane, per alimentare l’industria del lusso). Aprire la stagione del mecenatismo, cioè di chi dona chiedendo in cambio solo riconoscimento morale (in Francia si raccoglie un miliardo di euro l’anno).

10. Sostegno pubblico, in termini fiscali e non solo, a guide turistiche, editoria, documentari, multimedia capaci di veicolare il patrimonio a tutti. Lo Stato deve garantire i “servizi pubblici intellettuali” (Gramsci), cosa che non fa da decenni, e incoraggiare una vera imprenditoria privata che non sia parassitaria e schiavistica.

Per questo programma, è chiaro, occorrono molti soldi pubblici: ma questo il governo Conte l’ha capito molto bene, e la sua battaglia per gli eurobond è sacrosanta. Si tratta di decidere come spenderli: si può tenere in piedi, a spese pubbliche, un sistema che succhia da decenni il sangue allo Stato in cambio di nulla. Oppure si può cogliere l’occasione per attuare l’art. 9 della Costituzione, e cioè per cambiare tutto: ricominciando a fare tutela, produrre conoscenza e dare ai nostri ragazzi un lavoro e non una catena da schiavo del patrimonio. Dipende solo da noi: mai come oggi cambiare è possibile. E doveroso.

Sardine con Matteo e una strana Roma senza lavori in corso

Nuovo scivolone delle Sardine. Polemiche e prese di distanza nel movimento dopo l’incontro di venerdì a Trapani con Matteo Messina Denaro e il fotografo Oliviero Toscani. L’incontro è stato pubblicizzato dai creativi di Cosa Nostra con una foto in Rete, nonostante l’esplicita richiesta di riservatezza delle Sardine. Una foto fra i sorrisi, che ha provocato un pandemonio. Nelle chat degli attivisti, i commenti vanno dalle accuse di “ingenuità” alla richiesta di “condividere di più le scelte”. La difesa dei quattro fondatori: “Matteo è arrivato solo per salutare”. Durissimi i 5Stelle: “Il tentativo delle Sardine di sdoganare Matteo Messina Denaro è vergognoso. Il pesce comincia a puzzare”. Risponde un portavoce emiliano delle Sardine: “Che il M5S sia costretto a correre dietro alle Sardine è segno del suo declino inarrestabile. I quattro amici bolognesi non erano in visita ufficiale, erano quattro persone ospiti in un luogo, e non certo le Sardine. Cosa Nostra non c’entra nulla. Stanno diffondendo fake news”. Oliviero Toscani, su Radio Capital, spiega come è nato l’incontro: “Sono amico delle Sardine, che sono il movimento di comunicazione più importante al mondo in questo momento. Tutto il mondo ha curiosità per le Sardine. Anche Matteo era curioso di conoscerli, umanamente. E si fa la foto ricordo. Finito”. Il dubbio che il boss mafioso abbia approfittato della loro popolarità è legittimo, considerando che da tempo non compariva sui media. “Le immagini – spiega ancora Toscani – sono state postate e hanno fatto il giro, anche online. Io, che a Fabrica insegnavo la comunicazione moderna, ingenuamente non ci avevo pensato”. “Non abbiamo previsto che quella foto sarebbe stata strumentalizzata per associare le Sardine alla mafia e ai poteri forti”, hanno scritto ieri i quattro fondatori delle Sardine in un post di spiegazioni pubblicato su Facebook, la piattaforma principe del capitalismo di sorveglianza. A Radio 1, in collegamento telefonico, Toscani ha spento le polemiche: “Ma a chi interessa se la mafia uccide? Smettiamola”.

Cronache dalla quarantena. Ieri mattina, la sciantosa con cui condivido il percalle (Dragomira, una tre volte vedova che tiene al dito i tre anelli nuziali, in una promiscuità oscena) ha avuto un attacco allergico. E il farmaco contro l’allergia da sperma lo vendono solo nella farmacia del Vaticano. Le si gonfia la gola, rischia di morire soffocata. La carico in auto: l’importante è premere sull’acceleratore e non addormentarsi al volante. L’Aurelia era deserta, Roma vuota: arriviamo a destinazione in 10 minuti, invece che nei soliti 40. Anche la voce del navigatore era stupita: “Cazzo, siamo già arrivati? Non è possibile! Dev’essere tutto deserto. Come dopo un olocausto nucleare. C’è stato un olocausto nucleare? Oh Dio mio! Oh Dio mio! Oh Dio mio!” (cerco di spegnere l’apparecchio: click) “Oh Dio mio! Oh Dio mio!” (click click) Oh Dio mio! Oh Dio mio! (strappo via il navigatore, la voce rallenta) Giro giro tondo…”. E così abbiamo notato una cosa: sulle strade completamente vuote, momento perfetto per dei lavori in corso, non c’era neanche un lavoro in corso. Giusto. Senza traffico a cui rompere i coglioni, chi glielo fa fare?

Alla rubrica è concesso spostarsi

Ci sia permesso, in mancanza d’altri aiuti, di informare gli eventuali lettori che questa rubrica trisettimanale è da oggi, per intervenuti cambiamenti grafici in ultima pagina, itinerante per il giornale e, almeno per qualche settimana, in questo formato ridotto da “balcone”: a richiesta, ovviamente, possiamo fornire l’autocertificazione per gli spostamenti fin quando ci sarà fornita dalle competenti autorità. Ci risulta che durante questo primo trasloco, ad esempio, i “Rimasugli” siano stati inquadrati da un elicottero della polizia che trasmetteva in diretta per Barbara D’Urso e additati al pubblico ludibrio come propagatori del Covid-19 all’interno delle pagine del Fatto: ci teniamo, però, a puntualizzare che si trattava di un’uscita inderogabile e peraltro per una delle attività autorizzate dai Dpcm del Caro Leader e che mai per un momento la rubrica s’è messa a correre o ha camminato vicino a un bambino dando l’idea alle solerti portinaie dell’Ovra anti-virus di essere parte degli unici veri responsabili di questa emergenza, quelli che fanno jogging e quelli che si fanno un giretto sotto casa coi bambini. Ci si rivede in giro e ricordatevi cosa conta di questi tempi: catene di decisione opache, paura e delazione (e, quanto a noi, trovare uno spazio un giorno sì e uno no).

Tanti saluti all’equivoco dell’unità nazionale

Scusate il cinismo, ma penso che gli insulti del Venerdì santo tra il Salvini-Meloni e Giuseppe Conte abbiano tolto di mezzo quell’equivoco di fondo – chiamato unità nazionale, solidarietà, condivisione o come preferite – mal sopportato dall’opposizione e dal governo.

Non certo perché collaborare tutti insieme per salvare il Paese dalla catastrofe del virus non fosse cosa buona e giusta. Al contrario, sarebbe stato encomiabile purché in un quadro politico animato dal rispetto reciproco, soprattutto sul piano personale. È sufficiente rileggere sul Fatto

di ieri la grandinata di insulti che prima del Covid-19 i due leader sovranisti avevano rovesciato sull’odiato premier (“criminale”, “bugiardo”, “traditore”) per comprendere come quelle loro sfilate sotto Palazzo Chigi fossero una pura finzione, a uso delle tv. Peggio, una medicina da trangugiare con disgusto a giudicare dalle facce. Al termine di colloqui abbastanza inconcludenti e nei quali, al di là della cortesia formale, dalle due parti del tavolo non c’era molta voglia di concedere spazio all’avversario.

Al governo è convenuto ottenere la sospensione dell’ostruzionismo sui decreti in Parlamento, come richiesto dal presidente Mattarella. Mentre per la destra-destra restano scolpite le parole di Giorgia Meloni del 24 febbraio: “Conte non si illuda che questa emergenza possa salvare il governo. Non s’inventino scuse per tirare a campare”. Perciò, appare abbastanza superfluo chiedersi adesso se l’accusa rivolta dal Salvini-Meloni a Conte di “alto tradimento” sia stata un pizzico sopra le righe. E se il premier abbia fatto bene o male a rispondere per le rime. Invece di scandalizzarci per gli effetti (che modi signora mia!) cerchiamo di riflettere sulla cause che ne sono all’origine. Come il buon giornalismo consiglia.

Mr. papeete occupa montecitorio

All’improvviso, nel chiacchiericcio della crisi, si innalza il grido di dolore di Massimo Casanova. Proprio lui: mr. Papeete, l’uomo che ha regalato a Salvini un sogno di mojito e cubiste in mutande, e ne ha ottenuto in cambio una fraterna amicizia e un seggio al Parlamento europeo. Ecco, Casanova: il proprietario del Papeete Beach è pronto a guidare la rivolta dei balneari. Di più: è pronto a guidare la rivoluzione tout court contro la dittatura Conte. “Io sarei per andare in piazza”, ha detto il romagnolo ruspante. Sorpassando a destra anche il Capitano: “Salvini continua a fare proposte, è un leader e deve fare così, ma io sono anche imprenditore, io, dopo il 3 maggio, sarei per andare in piazza, per dare uno scossone. In molti mi chiedono un segnale, noi non ce la facciamo più”. La colpa, chiaramente, non è del virus che ha messo in ginocchio l’economia mondiale, ma del governo Conte: “Ha messo in capo una politica di austerità che ci sta distruggendo”. Casanova è un fiume in piena: “Dobbiamo pretendere risposte. Se non ascoltano le imprese siamo finiti, ci dobbiamo ribellare a questa situazione, a costo di andare a occupare il Parlamento”. La rivoluzione non è un happy hour, ma state attenti alla ferocia di Mr. Papeete.

Il democristianista delle case di riposo

Michele Vietti è un vecchio Dc come lo era sua zia Anna Maria: ma definirli democristiani è forse fare un’offesa alla storia della Dc. Sarebbe meglio, infatti, chiamarli “democristianisti”. E Vietti, nella sua lunga carriera democristianista, è stato persino vicepresidente del Csm, secondo la più autentica ortodossia berlusconiana. Adesso fa il notista di coronavirus per le pagine torinesi del Corriere, volute e guidate da un suo vecchio compare, Urbano Cairo. Qualche giorno fa, ha scritto delle Rsa che, nel suo Piemonte e in Lombardia, hanno incrementato la tragica lista dei morti, in un osceno incrocio tra responsabilità pubbliche e private. Vietti l’ha spiegata così: “Il polverone suscitato in questi giorni intorno alle Rsa è frutto di una gigantesca ipocrisia collettiva… Forse conviene, almeno in questo caso, abbandonare l’italico sistema di cercare sempre un capro espiatorio, magari tirando per la giacca la magistratura”. Parole sante alle orecchie dei proprietari di case di riposo e quasi un messaggio ai pm. Perché stupirsi, però: i democristianisti sono fatti così. Dimenticavamo: Vietti, oltre che avvocato, ex parlamentare Udc, ex vicepresidente del Csm, è anche e soprattutto presidente della holding di famiglia “Santa Croce”, specializzata da quasi 80 anni nella gestione di case di riposo in Piemonte.