La fase 2, dal punto di vista infettivologico, è una concreta recente possibilità per alcune zone d’Italia, ma non – a mio avviso – per altre. Il timore è di vanificare un grande sacrificio e, spero proprio di no, ritrovarsi presto nella necessità di ricominciare. A questo si aggiunga che misure diverse sul territorio nazionale non possono che essere nocive per tutti. Il fattore zero contagi è lontano dall’essere raggiunto, lo studio coreano sugli ammalati per la seconda volta toglie certezze sull’immunità, la negativizzazione su alcuni avviene più lentamente? Tutte queste incognite pesano non poco sul successo di una fase 2, che dev’essere condizionata a un solo elemento valido: da un lato l’abbassamento dei contagi tendente a zero, con distanziamento sociale, e dall’altro l’uso corretto di sistemi di “barriera primaria” (mascherine, guanti e buone pratiche igieniche quali il lavaggio delle mani). Davanti all’enorme numero di positivi circolanti, la fase 2 appare quindi un’altra grande incognita. L’isolamento a livello mondiale, modello Wuhan, non ha ottenuto l’eradicazione del virus, che sta tornando, là dove riprende la vita normale. Ha allentato la pressione sull’ospedalizzazione e ha limitato le vittime, ma solo se si continuano a impiegare metodi di controllo e campionamento. È evidente la necessità di ricominciare a vivere socialmente e, pur con limitazioni, a produrre. Solo a scopo speculativo poniamoci una domanda: cosa sarebbe accaduto se i Paesi avessero adottato sin dall’inizio i criteri della vecchia ma solida Infettivologia, quella di isolare i malati e proteggere le fasce a rischio senza isolare anche i sani?
Da oggi in pagamento il bonus 600 euro Fondo di garanzia in tilt
Partenza in salita e senza un’indicazione di massima anche per la richiesta di prestiti garantiti fino a 25mila euro per imprese, artigiani, autonomi e professionisti come previsto dal decreto Imprese. Ieri mattina, dopo che la misura che prevede garanzie fino a 400 miliardi ha avuto il via libera della commissione Ue, è andato in tilt per tutto il giorno il sito www.fondidigaranzia.it da cui è possibile scaricare il modulo per la richiesta, che va compilata e inviata per mail alla banca o al confidi. Tanto che il modulo è stato poi pubblicato sul sito del Mise che sta lavorando con il Mediocredito centrale (gestore del Fondo) e l’Abi per rendere attivi e disponibili in tempi brevi tutti i sistemi informatici. Un ko tecnico che tanto ricorda quello dell’Inps del 1º aprile, quando è partita la corsa per richiedere bonus e indennizzi per fronteggiare la crisi economica innescata dal Covid-19. Annunciate a inizio marzo, queste misure hanno avuto un iter travagliato e con un dato di fatto: solo da oggi inizierà il pagamento del bonus 600 euro. Ma la cassa integrazione e la cig in deroga quando saranno pagati? La girandola di Dpcm, decreti legge, ordinanze, regolamenti e convenzioni faranno slittare i pagamenti ancora di un paio di settimane. Facciamo un punto.
Bonus 600 euro. L’una tantum del mese di marzo è stata accreditata questa mattina sul conto corrente di 1,8 milioni di persone, di cui l’11% a favore di liberi professionisti e collaboratori, il 67% degli autonomi e il 22% dei lavoratori agricoli che hanno presentato la domanda tra il primo e il 2 aprile. Ed entro venerdì 17 aprile toccherà agli altri 3 milioni di partite Iva, commercianti, artigiani, stagionali, agricoli, co.co.co. e lavoratori dello spettacolo che ne hanno fatto richiesta. La platea totale stimata in 5 milioni di persone.
600 euro per le Casse. Tutto da rifare per 400mila professionisti (con redditi tra 35 e 50 mila euro e cali di fatturato per effetto del coronavirus) che nei giorni scorsi hanno chiesto il bonus alle proprie Casse di previdenza alle quali sono stati dati 200 milioni di euro. Dopo che il decreto Imprese ha cambiato i requisiti per ottenere l’aiuto (bisogna essere iscritti a una Cassa in via esclusiva), le domande vanno ripresentate escludendo ingegneri, architetti o medici che svolgono anche un’attività da dipendenti. Il pagamento era stato fissato per lo scorso venerdì, ma od oggi si contano in poche decine i professionisti che hanno già i soldi in tasca.
Bonus baby sitter. Le 40.000 richieste inviate all’Inps vanno in pagamento oggi sul Libretto famiglia. Si tratta di 600 euro, che salgono fino a mille euro per il personale dei comparti sanitari e della sicurezza, per pagare solo ed esclusivamente le prestazioni che si sono svolte tra il 5 marzo, giorno di chiusura delle scuole, e il 30 aprile. La misura vale solo per i figli di massimo 12 anni d’età.
Congedo parentale. Sono circa 200.000 le domande presentate per il pagamento della retribuzione al 50% per massimo 15 giorni che in gran parte sono già state anticipate dalle aziende ai dipendenti.
Cassa integrazione. Le domande per il pagamento di un massimo di 9 settimane di stipendio sono arrivate da circa 300.000 aziende per un totale di 4,5 milioni di lavoratori. Ma se una metà degli importi destinati ai lavoratori è già stata anticipata dalle aziende (che poi procedeno a un conguaglio con l’Inps sui contributi dovuti), c’è l’altra metà dei lavoratori che non vedrà un soldo prima della fine di aprile o comunque entro 30 giorni dalla domanda. “I tempi ordinari per la cig sarebbero tre mesi”, spiega il governo.
Cig in deroga. Per oltre 5,5 milioni di lavoratori coinvolti non ci sono orizzonti temporali fissati. La colpa è nella doppia procedura della presentazione della domanda: alla Regione che poi la inoltra all’Inps. Fino ad oggi l’hanno fatto solo 11 Regioni, dove è in corso il pagamento di alcune domande. Poco è servito l’aiuto delle banche che, grazie all’accordo firmato dall’Abi, potrebbero anticipare 1.400 euro: al ritardo nell’organizzazione del sistema si sommano le criticità dell’accordo, a partire dalla scarsa chiarezza delle procedure individuate e dalla difficoltà di contattare le banche. L’Abi spiega che i pagamenti arriveranno al più tardi entro 30 giorni dalla ricezione della domanda.
Mutui e prestiti.Circa 9 mila Pmi hanno chiesto aiuto al Fondo di Garanzia con il primo ampliamento operato con il decreto Cura Italia, che ha già consentito di sospendere mutui e prestiti alle imprese per 75 miliardi (660mila le domande arrivate) e di attivare una moratoria sulle rate del mutuo prima casa per 3 miliardi.
Scuola, per quest’anno la riapertura è una chimera
La decisione è prevista a giorni, ma salvo sorprese dell’ultimo minuto, le scuole non riapriranno. La linea del ministero, a oggi, sembra essere ancora quella della massima cautela di cui la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina ha più volte parlato e che è la stessa sostenuta dalla comunità scientifica. Sempre ieri, infatti, lo stesso Gianni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss), ha confermato che “la scuola da noi resta chiusa” mentre le linee guida della Commissione Ue mettono scuola e università tra gli ultimi protagonisti della riapertura graduale.
Lo spartiacque, secondo il decreto sulla scuola approvato la settimana scorsa, resta il 18 maggio, data che deciderà quale scenario seguire, quindi se proseguire con la didattica a distanza anche per gli esami finali o se tornare tra i banchi e affrontare gli ultimi giorni con una sorta di compromesso. Certo, una volta arrivati a quella data, è difficile che le scuole riaprano per pochi giorni mettendo a repentaglio la salute degli studenti.
Altrettanto improbabile, poi, l’ipotesi di una riapertura a breve parziale o con gli alunni “a turno”: come ha rilevato ieri il presidente dell’Associazione nazionale presidi, si andrebbe a scuola solo tre giorni a settimana o – se la turnazione fosse mattina/pomeriggio – bisognerebbe sanificare tutti gli ambienti una volta al giorno. Soprattutto, poi, servirebbero il doppio dei professori o un aumento di stipendio proporzionale all’aumento delle ore di lavoro. Tradotto: servirebbero molti più fondi.
La fase due, intanto, sembra avere come spettro temporale il prossimo anno scolastico: “Il ministero – spiegano fonti Miur – è già al lavoro: le prossime settimane saranno decisive per disegnare il prossimo anno scolastico. Saranno coinvolti tutti gli attori in campo: studenti, famiglie, parti sociali, enti locali”. E si insiste sulla necessità di fornire strumenti per la didattica digitale e a distanza, dai tablet ai pc a chi non ne ha. Tanto più se l’anno si chiuderà come ora: gli 85 milioni di euro stanziati dal Cura italia sono stati già distribuiti a circa 8mila scuole, per una media di circa 10mila euro a istituto e, ieri, durante l’incontro tra tutti i ministri dell’Istruzione europei, la Commissione europea ha anticipato la messa a disposizione di risorse destinate al sistema dell’istruzione, di cui però ancora non si conosce la quantità. Quello che invece è venuto fuori è un quadro sulla situazione europea: dai dati presentati – ha riferito il Miur – è emerso che, a oggi, 14 Paesi non hanno ancora preso decisioni in merito agli esami finali, quattro li hanno cancellati del tutto o parzialmente, mentre l’Italia figura fra quelli, nove in tutto, che hanno prospettato uno scenario definito per le prove di fine anno.
Il virus ha silenziato tutte le opposizioni
Negli Stati Uniti, la latitanza dell’opposizione nell’emergenza coronavirus è diventata proverbiale, un hashtag di tendenza: #whereisJoe, “dov’è Joe?”. Nel senso che di Joe Biden, candidato democratico alla Casa Bianca, non si sente quasi più parlare.
Altrove, in Francia come in Germania, in Gran Bretagna come in Spagna, l’opposizione sta al gioco dell’unità nazionale, nell’ora del pericolo e della minaccia e anche del sacrificio e della solidarietà: vale in guerra, vale di fronte a questo nemico invisibile e pervasivo. La funzione di “cane da guardia” della maggioranza scatta solo quando l’azione del governo contraddice le regole della prudenza: è accaduto in Gran Bretagna, quando Boris Johnson voleva l’immunità di gregge, che implicava centinaia di migliaia, forse milioni di morti; e accade ora in Spagna, dove Pedro Sanchez sembra forzare i tempi della ripresa. Paese per Paese, il silenzio delle opposizioni ha motivi diversi, ma fili conduttori comuni: la solidarietà nazionale; e l’opportunismo, ché, in queste circostanze maggioranza e opposizione si muovono a tentoni, poggiando la mano sulla spalla degli esperti. Se il governo avrà sbagliato, gliela si farà pagare dopo, a cose fatte e sospiro di sollievo tirato.
Negli Usa, il Coronavirus ha letteralmente “ucciso” le primarie democratiche, che erano nel loro vivo e sono state quasi tutte rinviate a giugno, ammesso che si facciano. E l’emergenza ha offerto enorme visibilità al presidente Trump, con conferenze stampa quotidiane sull’avanzata e il contrasto del contagio. Ma la visibilità s’accompagna alla responsabilità. E gli Stati Uniti hanno oggi tutti i primati negativi di questa pandemia: il maggior numero di contagi, quasi un terzo del totale mondiale, e di deceduti. L’economia è in recessione, con 20 milioni di posti di lavoro perduti nelle ultime quattro settimane. In Congresso, i democratici hanno contribuito a definire misure di stimolo condivise per contenere l’impatto dell’emergenza e hanno apportato correttivi, accettati dalla Casa Bianca, a un pacchetto d’interventi straordinari per duemila miliardi di dollari, che farà lievitare il debito pubblico. Sono, invece, discreti sulle misure di #stayhome adottate da Trump e su quelle di riapertura in fieri, lasciano in prima linea i governatori degli Stati più colpiti, New York, New Jersey, Michigan, California, che – caso vuole – sono tutti democratici.
Emergenza e solidarietà azzerano pure la competizione per la nomination democratica e inducono Bernie Sanders ad abbandonare la corsa e ad appoggiare Biden, Trump prova invece a mettere zizzania fra i democratici, spingendo il governatore di New York, Andrey Cuomo, contro Biden; ma la manfrina non gli riesce.
In Germania, la coalizione al governo Cdu/Csu e Spd ha l’appoggio dei Verdi e dei partiti più radicati. In Francia, la concentrazione di poteri nella mani del presidente Emmanuel Macron garantisce una risposta unitaria. In Spagna, il Paese vacilla sotto la violenza dell’epidemia: c’è poco spazio per le polemiche.
In Gran Bretagna, la gravità della malattia di Boris Johnson ha stemperato le ironie sulle sue scelte iniziali. Insomma, ovunque – o quasi -, tutti contro il virus; dopo, si faranno i conti e si tireranno le fila.
“Mes: così i dem mettono in discussione il premier”
Niente sfumature, nessun appiglio: “L’Italia non farà mai ricorso al Mes, noi Cinque Stelle non potremo mai accettarlo”. Così il capo politico reggente del M5S, Vito Crimi, replica alla pioggia di agenzie del Pd e di Italia Viva a favore del fondo salva-Stati.
Per il segretario dem Nicola Zingaretti i soldi per il Mes vanno presi “perché servono per gli ospedali”. E Matteo Renzi si è detto sicuro che l’Italia lo userà.
La posizione di Renzi non mi stupisce. Invece mi stupiscono le parole del Pd, perché mettono in discussione la linea del governo e del presidente del Consiglio Conte, che ha espresso la necessità di altri strumenti contro la crisi.
La trattativa con la Ue aperta: discuterne è lecito, no?
Il Mes senza condizionalità non esiste. Innanzitutto, perché non è stato ancora approvato. Poi perché queste condizialità sarebbero alleggerite solo nella fase di pre-valutazione del Paese che chieda di farvi ricorso. Ma come e quando si dovrà restituire il prestito è tutto da definire.
Appunto, si può trattare.
Accettando il Mes l’Italia metterebbe un’ipoteca sul suo futuro. Bisogna percorrere altre strade.
Alcuni economisti della Luiss hanno ricordato come la Spagna vi abbia fatto ricorso “per uno scopo specifico, senza condizionalità draconiane”. E per Romano Prodi il no al Mes indebolirebbe l’Italia.
L’Italia non è la Spagna. Se altri Paesi riterranno di voler utilizzare un Mes light, nessun problema. Ma per noi rimane una fregatura. Non lo voteremo mai in Parlamento.
La frattura nella maggioranza rende più fragile Conte al tavolo europeo, non crede?
Sì, e dipende dall’atteggiamento sbagliato del Pd, che sta smentendo il premier.
Serve un chiarimento politico?
No, serve che il Pd chiarisca al Paese perché ha cambiato posizione.
A proposito di tenuta della maggioranza, ha provocato un putiferio quanto scritto su Facebook da un vostro senatore, Elio Lannutti: “Abbiamo subito sin troppo i diktat dei nipotini di Hitler”.
Elio è un amico, ma quando gli amici sbagliano va detto, senza scuse. Le sue parole riaprono ferite. Ho telefonato all’ambasciatore tedesco: sulla solidarietà della Germania nei nostri confronti non ci sono dubbi.
C’è anche il fronte Rai, visto che voi 5Stelle avete attaccato in massa il presidente Marcello Foa, reo di aver criticato il Tg1 per un servizio con “fonti anonime” sull’ospedale di Alzano Lombardo.
Il Tg1 ha fatto giornalismo vero, e quella non era una fonte anonima, ma semplicemente tutelata. La verità è che in atto un tentativo di coprire le evidenti responsabilità della Regione Lombardia, guidata dalla Lega, nella gestione del coronavirus, Non a caso Salvini ha chiesto di sospendere le indagini sul Pio Albergo Trivulzio, proprio come Renzi fece per Expo.
Il M5S non vuole più Foa presidente, nominato quando governavate con la Lega?
Il suo ruolo di garante è in forte discussione.
Se è per questo le opposizioni si lamentano dell’attacco subito da Conte in diretta sulla Rai, senza contraddittorio. Non hanno ragione?
No, in conferenza stampa Conte ha giustamente rassicurato gli italiani, svelando le fake news sul Mes di Salvini e Meloni. Falsità che poi hanno rilanciato il giorno dopo a reti unificate.
“Io promuovo un test valido. In tasca non mi entra nulla”
Sabato scorso Il Fatto ha intervistato il professor Fausto Baldanti (con il presidente del Policlinico San Matteo, Alessandro Venturi) sul contratto della Fondazione con la Diasorin. Dopo l’intervista, Baldanti si è dimesso dai gruppi di lavoro al ministero e in Regione. Una scelta che conferma da un lato l’importanza del controllo della stampa e dall’altro la fama di persona seria di Baldanti. Ecco alcuni passaggi del colloquio.
Professor Baldanti, lei è andato in tv a sostenere il test sierologico Diasorin sul quale il San Matteo incasserà le royalties, non sarebbe stato giusto dirlo?
Non era quella la sede. Partiamo da un presupposto, il test è una mia idea e i soldi che riceviamo da Diasorin non finiscono a me, ma serviranno a pagare i nostri ricercatori e le attrezzature. Così il frutto della ricerca torna nel pubblico.
Professore, lei in una email del 28 marzo, nella veste di coordinatore del gruppo di lavoro della Regione Lombardia, dà le indicazioni sulla ricerca da fare per valutare i test sierologici della concorrenza ai responsabili di ospedali e ASST lombardi. Non ha pensato al conflitto di interessi?
No, perché nella email chiedo un contest tra tutti i test esistenti. Così funziona: prima si fa la scoperta e poi si chiede al mondo scientifico di valutare se la scoperta del singolo sia una scoperta o una ciofeca.
Lei ha partecipato al gruppo di lavoro al ministro della Salute, coordinato dal presidente del CSS, professor Locatelli. Si è occupato anche di test sierologici?
Solo in termini generali. Per esempio, io le faccio notare che ci sono test fraudolenti in circolazione e bisogna essere vigilanti. La Cina li ha bloccati eppure sono stati usati da regioni intere. Legga qui (mostra i fogli di fotocopie) The Guardian, El Pais. Dicono che Spagna e Repubblica Ceca si lamentano dei test fraudolenti. Anche Anthony Fauci ha detto che si rischia di scottarsi.
Ok professore proviamo a fare un paragone. Lei con Diasorin sta per creare un test che sarà la Ferrari, diamolo per buono. Però mentre la Ferrari non c’è ancora, da più di un mese ci sono – con tutto il rispetto – la Fiat e l’Alfa Romeo che circolano nelle regioni italiane. È giusto che lei non dichiari le royalties del San Matteo sulle Ferrari future? È giusto che lei valuti i concorrenti già sul mercato?
Non li valuto io! Per stare alla sua metafora, io sono Pininfarina in questa storia. Io ho disegnato la macchina. Ovvio che ci creda e ne parli bene, poi magari può arrivare qualche cosa di meglio, e per questo, essendo coinvolto nello sviluppo di un test, ho chiesto che i possibili concorrenti vengano valutati da altri.
Il coordinatore del gruppo in Lombardia?
Non ho alcun potere decisionale. Coordinamento sa cosa vuol dire? Distribuzione di compiti. Io ho fissato un metodo di valutazione, ma il gruppo di lavoro lo porterà avanti, è uno studio multicentrico.
Magari il suo test sarà il migliore, però la sensazione è che tutto sia stato fermato in attesa che arrivi. Mentre la Regione Veneto ha cominciato già con i test già esistenti di un’altra società cinese, consigliati dal professor Plebani.
Io non mi esprimo perché nel nostro gruppo di studio in Regione Lombardia quella tecnologia sarà valutata da altri, mi pare il Policlinico di Milano e il San Raffaele. Però lo sa qual è il problema di questa tecnologia valutata da Plebani in Veneto? Lo ha bloccato la Cina! Questo è un problema del professor Plebani e non è un problema mio. E domani cosa diciamo ai veneti che facciamo un test che non esiste?
Interviene il presidente del Policlinico, Alessandro Venturi:
Queste polemiche partono dall’invidia. Sa come finirà? Questo test l’Italia non lo prenderà perché l’hanno già comprato gli altri Stati. L’Italia si farà superare e non avrà il test perché l’avranno gli Stati Uniti, la Francia, il Belgio, l’Olanda e l’Inghilterra. Noi andremo a mendicare i kit ai cinesi, questo sarà il risultato.
Andiamo al sodo prof. Baldanti, il suo test, al di là delle polemiche è davvero il migliore?
Posso dirle che è disegnato in un modo diverso. questo virus circolerà per chissà quanto tempo, finché non ci sarà un vaccino. Noi dobbiamo identificare le persone che ragionevolmente saranno protette e per farlo non dobbiamo trovare tutti gli anticorpi IGG (come fanno gli altri test, ndr) ma solo quelli specifici che sono anche neutralizzanti. Vede questa penna? La punta è la punta dello spike del coronavirus. Se l’anticorpo si attacca qui (indica la base della penna) non basta. In quel caso lo spike penetrerà nella cellula. Invece se si attacca qui (indica la punta della penna) il virus non entrerà e questo anticorpo sarà neutralizzante. Il disegno di questo progetto è cercare tra tutte le immunoglobuline specifiche quelle che si attaccano sulla punta.
Quali sono i valori di sensibilità (cioé quante volte sbaglia sui positivi al tampone, ndr) e specificità (cioè quante volte sbaglia sui negativi, ndr)?
Noi lo abbiamo testato su 300 sieri del passato, tutti negativi quindi 100 per cento. Su mille donatori invece la specificità è alta. Loro (Diasorin, ndr) dichiarano maggiore del 99 per cento. Noi, con un prototipo, siamo intorno al 96 per cento.
Da quando lei ha fatto le interviste, la Diasorin ha aumentato il valore in borsa di 800 milioni di euro.
Sì ma nessuno di noi (dicono in coro Venturi e Baldanti, Ndr) ha comprato un’azione perché siamo persone serie.
Insomma lei è tranquillo?
Sì, e lo sa perché? Io so che il test che trova gli anticorpi neutralizzanti del coronavirus l’ho trovato davvero.
Accordo San Matteo-Diasorin: il professor Baldanti si dimette
“Sono schifato dall’ipocrisia, stufo di essere tirato per la giacchetta e vedere associato il mio nome a qualcosa di torbido. Torno in laboratorio e continuo a fare il mio lavoro”. Il professor Fausto Baldanti – che per la fondazione policlinico San Matteo di Pavia sta validando lo studio scientifico per i test sierologici sul Covid-19 con tecnologia DiaSorin – si è dimesso dal “Gruppo di lavoro permanente” costituito nel Consiglio superiore di sanità, presieduto dal professor Franco Locatelli, e dal gruppo di lavoro della Regione Lombardia che si occupa della sperimentazione.
Il Fatto ieri ha rivelato in esclusiva il contenuto dell’accordo siglato il 20 marzo tra la multinazionale italiana DiaSorin e la Fondazione Policlinico San Matteo di Pavia. Sotto la responsabilità scientifica del professor Baldanti, la Fondazione San Matteo sta analizzando – ed è prossima alla validazione – lo screening sierologico targato DiaSorin. Il test è in grado di rilevare se un individuo ha sviluppato gli anticorpi al Covid-19 e potrebbe fornire la cosiddetta “patente d’immunità”: l’esame che potrebbe rendere operativa una reale ripartenza del Paese. L’accordo – che riguarda anche i test su tampone – prevede che, nella eventuale fase di commercializzazione del kit sierologico, DiaSorin corrisponda alla Fondazione San Matteo l’1 per cento del prezzo netto, praticato dal cliente finale, per i successivi 10 anni. Il Fatto ha precisato che non si tratta di una novità nel campo della ricerca. Ha però rilevato che sarebbe stato opportuno rendere noto il contenuto dell’accordo poiché Baldanti era impegnato nei gruppi di lavoro costituiti in seno al Css e alla Regione Lombardia. Sedi in cui avrebbe potuto – e dovuto – esprimersi proprio sul futuro utilizzo delle tecnologie sierologiche. Sia il professor Locatelli, sia il direttore generale per la prevenzione al ministero della Salute, Claudio D’Amario, hanno commentato – senza evocare nulla di torbido – che sarebbe stato opportuno per Baldanti rendere nota l’informazione.
Mascherine e respiratori: non si sa da chi compra lo Stato
Ogni giorno, durante l’appuntamento fisso della conferenza stampa delle 18, il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, oltre ai dati su contagi e sulle morti per Coronavirus, elenca il valore delle donazioni e delle spese sostenute dal dipartimento per i dispositivi di protezione. Si tratta di oltre 26 milioni di euro, di cui – secondo qualche dettaglio fornito lunedì – 9,2 milioni per ventilatori, oltre 15 milioni per mascherine e 269 mila euro per spese di trasporto. Ma da quali aziende sono stati comprati respiratori e mascherine? Non si sa. Sul sito della Protezione civile non esiste una sezione dedicata agli acquisti. Nei giorni scorsi, dagli uffici della Protezione civile ci hanno spiegato che queste informazioni saranno presto online. Finora ancora niente.
Certo, è chiaro che adesso l’obiettivo fondamentale deve essere tutelare la salute delle persone. Il resto passa in secondo piano. Ma sono mesi ormai che l’Italia si ritrova a dover affrontare questa pandemia ed è arrivato il momento di trattare la questione della trasparenza. Pubblicare il nome delle aziende in rapporti con lo Stato è fondamentale per garantire quel controllo da parte di terzi (che sia la magistratura o la stampa) su come vengono utilizzati i soldi pubblici o le donazioni (oltre 122 milioni). I fiumi di denaro pubblico spesi per fronteggiare l’emergenza fanno gola a tanti, purtroppo anche a quella parte dell’imprenditoria che vuole guadagnare dall’emergenza. Con la nomina del Commissario straordinario poi, la palla è passata a Domenico Arcuri. Sul sito di Invitalia ci sono alcuni dati, come l’elenco delle aziende che hanno ottenuto il via libera per gli incentivi del Cura Italia: sono 50 finora, ma nel relativo elenco ne vengono citate solo 7. Anche qui mancano cifre e nomi di imprese che hanno venduto allo Stato mascherine e respiratori. Da Invitalia ci spiegano che in settimana sarà tutto online. Vedremo.
Comitato, ecco i moduli per il conflitto d’interessi: ma sono troppo generici
I componenti del Comitato tecnico-scientifico, la struttura di consulenza nominata dal governo già a febbraio per fronteggiare l’emergenza Coronavirus, sono stati invitati a firmare la dichiarazione con cui certificano di non aver conflitti di interessi personali, neppure potenziali con l’incarico che sono stati chiamati a svolgere. Il Fatto aveva rivelato infatti che all’atto del loro insediamento nell’organismo composto da rappresentanti del ministero della Salute e di alte istituzioni sanitarie pubbliche ma anche da esperti della sanità privata, non avevano sottoscritto il modulo dove si devono indicare anche altre le cause di incompatibilità. Dal giorno successivo alla nostra segnalazione, i componenti del Comitato, almeno quelli fisicamente presenti nella sede della Protezione civile, hanno iniziato a mettersi in regola.
Le decisioni che competono all’organismo sono determinanti per le scelte strategiche del governo su tamponi, test sierologici, dispositivi di protezione e in particolare sull’uso delle mascherine anche quando darà finito il lockdown. Sempre a loro compete l’approvazione dei prodotti che verranno acquistati dal commissario straordinario Domenico Arcuri determinando la fortuna di aziende della ricerca, della diagnostica e ovviamente della produzione dei vaccini. Nella dichiarazione non si fa riferimento ai conflitti di interessi riguardanti parenti e affini né viene chiesto di impegnarsi a non usare per fini privati le informazioni di cui si viene a conoscenza nell’ambito del rapporto di consulenza.
Arcuri fa l’anti-Borrelli con lo staff di Speranza
Al capo della Protezione civile, Angelo Borrelli non resta che il ruolo di parafulmine. Perché ora le decisioni che contano, specie quelle sulle spese sono affidate alla gioiosa macchina da guerra messa in campo dal ministro Roberto Speranza attraverso il commissario straordinario Domenico Arcuri, ad di Invitalia: a lui il compito di selezionare le aziende da incentivare per mettere in piedi la filiera per la produzione di mascherine made in Italy e scegliere i fornitori per gli approvvigionamenti. La regia dell’operazione che rischia di trasformare l’emergenza in un bancomat, resta però nelle mani di Speranza che nella struttura commissariale ha voluto il capo della sua segreteria politica, Massimo Paolucci per garantire “il supporto per tutte le questioni strategiche, con particolare riferimento alle acquisizioni di dispositivi e apparecchiature sanitare”.
Vado al Massimo. Ma chi è Paolucci, per gli amici “il cinese”? Dalemiano di stretta osservanza, è stato uno dei perni del Rinascimento napoletano di Antonio Bassolino, archiviato dall’emergenza rifiuti in Campania. Già eurodeputato, lo scorso anno ha mancato la rielezione nonostante l’impegno massimo profuso dal lìder Massimo al fianco del quale aveva combattuto per dire no al referendum sulle riforme volute da Matteo Renzi. Insieme a Speranza che, poi diventato ministro, ne ha fatto il suo uomo di fiducia e oggi global advisor del commissario all’emergenza che ha preso alla sprovvista le Regioni ma pure il ministero della Salute: senza un piano pandemico e senza una fotografia esatta delle scorte di ventilatori e mascherine a disposizione per fronteggiarla.
Andrà tutto bene? Ora l’unica cosa certa oltre ai morti è la struttura commissariale che si avvarrà di soggetti attuatori e di Invitalia come società in house per assicurare “la più elevata risposta sanitaria all’emergenza, acquisendo o sostenendo la produzione di ogni bene utile a contenerla e a contrastarla”. Farmaci e apparecchiature compresi provvedendo inoltre “in raccordo con le Regioni al potenziamento della capienza delle strutture ospedaliere”. C’è da dire che Arcuri e i “suoi” non rimangono, come si dice, con il cerino in mano: avranno mano libera e pure l’immunità funzionale. Potranno fare tutte le spese che vogliono che saranno sottratte anche al controllo della Corte dei Conti. La responsabilità contabile e amministrativa infatti scatterà solo nei casi in cui sia accertato il dolo, una limitazione di responsabilità che vale per gli atti, i pareri e le valutazioni del Comitato tecnico-scientifico e funzionali agli acquisti.
Oltre a Paolucci, Roberto Speranza ha messo a disposizione di Arcuri un altro pezzo da novanta, l’ex subcommissario per il disavanzo sanitario della Calabria Andrea Urbani, che oggi è direttore generale della programmazione sanitaria al ministero della Salute: nella struttura commissariale si occuperà dell’analisi dei fabbisogni, la definizione dei criteri di distribuzione e l’assegnazione dei dispositivi di protezione alle regioni.
A occuparsi di acquisti e contratti coordinandosi con il Comitato tecnico-scientifico per l’approvazione dei prodotti proposti dai fornitori sarà invece Roberto Rizzardo. Manager di primo piano di Invitalia come Gabriella Forte che è nel consiglio di amministrazione della Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale e che supporterà il commissario nella pianificazione delle attività oltre che nella gestione delle donazioni. Nel comitato di coordinamento della struttura commissariale c’è Federica Zaino, segretaria particolare di Speranza che sarà anche a capo delle relazioni istituzionali dove è stata reclutata Ermanna Sarullo attuale capo ufficio stampa del ministro degli Affari regionali Francesco Boccia.
Altro ufficio che mette d’accordo Speranza e Boccia è quello affidato a Ernesto Somma già capo di gabinetto al Mise con Carlo Calenda e prima advisor per il gasdotto Tap, oltre che erede di una delle famiglie imprenditoriali più in vista tra Basilicata e Puglia, regioni di cui sono originari i due ministri: è in pianta stabile in Invitalia e ora coordinerà il team che si occuperà degli incentivi per far fiorire la produzione nazionale di mascherine. Della stessa fiducia gode Antonino Ilacqua, consigliere del ministro Boccia e ora anche advisor per gli Affari legali di Arcuri che invece a capo della logistica ha messo Rinaldo Ventriglia che dopo essersi congedato dall’Arma dei carabinieri è entrato nella famiglia di Invitalia.