Il livello di caos sul coronavirus in Regione Lombardia s’è fatto plastico ieri pomeriggio: fino all’ora di pranzo la situazione pareva fuori controllo e c’era bisogno di un lockdown ancora più duro, nel pomeriggio va tutto bene e si nomina un comitato per parlare di quando si potrà gradualmente riaprire. Problema: tutte le attività propedeutiche – tamponi, test sierologici e medicina di territorio – sono decisamente trascurate.
L’inversione a U più spericolata è quella dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera: a Pasquetta aveva buttato lì che “c’è ancora troppa gente in giro”, che “il dato è stabile, ma non scende con quella determinazione con cui dovrebbe soprattutto a Milano città. Bisogna essere ancora più incisivi”. Un attacco, lo traduciamo per i più ingenui, a chi dovrebbe controllare: il Viminale e il Comune con la municipale. Il sindaco di Milano Beppe Sala non ha gradito: “Più del 95% delle persone fermate a Milano è in regola, mi dissocio da questa retorica del milanese indisciplinato. Poi se pensano che c’è troppa gente in giro, facciano una nuova ordinanza per tenere più gente a casa”. Nel pomeriggio, però, anche Gallera ci aveva ripensato: “A Milano si rischiava di avere un’ondata che avrebbe travolto la città e questo fortunatamente non è successo”, le nostre misure hanno prodotto “un grande risultato”.
E infatti la Giunta ora si dedica alla “fase 2” in opere (il presidente Attilio Fontana ha nominato un “Comitato di saggi”) e dichiarazioni: “Il dato dei contagi ha trovato una sua situazione di stabilità, è bene che si parli del domani, di come progettare la ripresa” (ancora Gallera). Riapertura che “sarà dettata da un nuovo modello di sviluppo”, butta lì l’assessore al Bilancio, Davide Caparini: “Il modello sanitario dovrà cambiare”.
E qui l’ex deputato leghista incrocia un dato di realtà assai importante a proposito di “fase 2”. I numeri che ieri hanno fatto gioire Gallera, ad esempio, sono il frutto di soli 3.778 tamponi “pubblicati”, erano 5.260 un giorno prima e sono circa 9mila in media nei giorni buoni: “L’aumento della capacità produttiva sbandierato dalla Giunta – dice il consigliere regionale Pd Samuele Astuti – sembra essere poco efficace durante la settimana e decisamente insufficiente nei weekend”. “Facciamo il massimo che il mercato consente”, è la replica di Gallera.
Anche sui test sierologici – che servirebbero a mappare il reale stato di avanzamento del virus – la Lombardia è in ritardo e ora ha lanciato un piano che paradossalmente esclude Milano: “La Regione – dice Sala – dichiara che dal 21 aprile farà 20mila test al giorno in altre province e non a Milano. Ma come, il problema non era Milano?”.
Non va meglio quanto alle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), che dovevano essere istituite entro il 20 marzo: sono task force per il trattamento domiciliare dei sospetti casi di Covid-19, una cosa fondamentale soprattutto se si allenta il lockdown. Ecco, in Lombardia dovrebbero essere 200, una ogni 50mila abitanti, ma – dice il consigliere regionale M5S Marco Fumagalli – attive sono solo 37.
Una serie di fallimenti che ha spinto un pezzo della politica lombarda a chiedere addirittura il commissariamento della sanità: “Questa crisi per un sistema per cui ogni anno si spendono 20 miliardi è incredibile”, dice l’eurodeputato dem Francesco Majorino, ex assessore a Milano. Tutte le sigle della sinistra milanese, riunite sotto la sigla Milano 2030, hanno persino promosso una petizione per il commissariamento su Change.org. Non succederà, ma per Fontana non è certo un bel segnale.