Virus, distrazione di massa: Trump sfida Biden il cinese

Adesso, gli Stati Uniti sono primi in tutte le classifiche di questa pandemia: avevano già il primato degli ammalati, ben oltre 500 mila, quasi un terzo del totale mondiale; e ora hanno anche il record dei decessi, viaggiano verso i 20 mila dopo avere superato l’Italia. Non era certo questo che intendeva Donald Trump, quando prometteva di “fare l’America di nuovo grande”: venerdì, i morti da Coronavirus negli Usa erano stati 2.100, altro primato. Ma il presidente ha in mente di ‘riaprire’, per rimettere in moto l’economia. E non esita a creare polemiche: stavolta, cerca di prendere due piccioni con una fava, cioè di colpire la Cina e Joe Biden, il suo probabile rivale democratico nelle presidenziali, con un unico spot.

La mossa diventa, però, un boomerang: il messaggio della campagna di Trump attira l’attenzione dei media perché, per fare apparire Biden amico dei cinesi, spacciati a loro volta come ‘untori’, inanella errori e imprecisioni. La Cnn li smaschera: Gary Locke, l’ambasciatore degli Usa a Pechino dal 2011 al ‘14, prima segretario al Commercio, nello spot appare un funzionario cinese; si attribuiscono a Biden affermazioni fuori contesto e posizioni mai sostenute; e lo si accusa d’essere dalla parte dei cinesi, tacendo le parole di stima e amicizia di Trump per Xi Jinping. Il petardo dello spot si perde nel fragore delle notizie sul contagio. Neppure dalla politica arrivano buone notizie per il magnate presidente. Se in campo democratico c’è chi ancora vuole candidare alla Casa Bianca Andrew Cuomo, al posto di Biden, il governatore dello Stato di New York non sta al gioco: “Non corro per la presidenza. Non corro per fare il vice. Non vado a Washington”, afferma, mentre il ritmo d’incremento del contagio pare rallentare nella Grande Mela. Dei sondaggi che lo danno preferito a Biden dice: “Lusinghieri, ma irrilevanti. Non ho un’agenda politica”. In questo contesto, il presidente Trump dice: “Voglio riaprire gli Stati Uniti il prima possibile, ma saranno i dati e gli esperti a determinarlo” e parla della “decisione più importante della sua vita”. C’è pure l’ipotesi di chiudere di nuovo, se l’epidemia dovesse ripartire dopo la riapertura, per cui “stiamo creando anche un comitato”, la cui formazione sarà annunciata martedì 14 aprile. I tecnici sono prudenti: la “maggior parte dell’Unione” non sarà aperta per il 1° maggio, dice Jerome Adams, capo del servizio sanitario pubblico degli Stati Uniti.

 

 

Francia
Il ‘confinement’ sarà prolungato 8 milioni in cassa integrazione

Il numero delle vittime di Covid-19 in Francia è in leggero calo: 353 in 24 ore negli ospedali, 8.943 in tutto. Con i decessi nelle case di riposo (4.889, +290), il bilancio sale a 13.832. Il numero dei ricoverati resta alto (31.320) ma quello degli ammessi in rianimazione continua a calare (6.883, -121). Il direttore della Sanità, Jérôme Salomon, che tiene il bollettino quotidiano, spera di poter confermare presto la “stabilizzazione” dell’epidemia. Intanto i francesi si preparano a vivere “confinati” ancora a lungo. Macron dovrebbe dire lunedì di quanto sarà prolungato il blocco, che doveva concludersi il 15 aprile. Il suo discorso si terrà alle 20.02, per permettere ai francesi di applaudire i medici dai balconi, come tutte le sere alle 20 dall’inizio del lockdown. Al dopo-lockdown ci sta pensando anche la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, che punta sul testing di massa e il “certificato di immunità”. Ci pensa anche il Medef, l’equivalente della Confindustria, che incita già i francesi a lavorare di più quando la “macchina economica” sarà ripartita: 8 milioni di lavoratori sono ora in cassa integrazione, un record.
Luana De Micco

 

Germania
Il rebus della quarantena light Pasqua, preghiere nel drive-in

Difficile da capire e ancora più da spiegare l’atteggiamento tedesco sul Covid-19. Da una parte gli esperti dicono che il peggio deve ancora arrivare: “Non siamo ancora fuori pericolo, è la quiete prima della tempesta” ha detto il capo della protezione civile del Land dell’Assia Tobias Braeunleins ieri a Faz. Anche il presidente del Koch Institut invita “le persone a non sottovalutare il virus” perchè “siamo ancora all’inizio dell’epidemia”. Dall’altra parte sui giornali non si fa che parlare di allentamento delle misure, di exit-strategy e di violazione dei diritti fondamentali. Eppure il lockdown tedesco, confrontato a quello italiano, è una versione light. Aziende come Bosch o Daimler hanno ridotto la produzione ma non l’hanno sospesa. E le limitazioni della libertà personale sono significative ma non paragonabili. Lo sport all’aperto è permesso, così come passeggiare nei parchi e muoversi in città. I dati raccontano di un virus che non corre ma avanza, con un raddoppio dei contagi ogni 7 giorni (ieri si contavano 2.772 morti e 124.632 contagiati). E c’è chi si ingegna. La preghiera del venerdì santo a Duesseldorf si è celebrata in un drive-in.

 

Spagna
Meno morti ma si teme la crisi: giù i prezzi degli immobili

Ancora prima dell’erosione del Pil (-9%) e la perdita di posti di lavoro (900.000 in meno di un mese di pandemia), la Spagna comincia a misurare la crisi del Covid dal suo tallone d’Achille: quel mercato immobiliare che gli valse la Troika dopo la crisi del 2008. Secondo le stime, infatti, i proprietari degli immobili in vendita – soprattutto di seconda mano – hanno già abbassato il prezzo dal 10 al 20%. Tutto pur di vendere prima che con un’eventuale perdita di potere d’acquisto, dopo la quarantena, nessuno possa più comprarle. Secondo la Federazione nazionale delle agenzie immobiliari, anche gli affitti sono destinati a scendere, nonostante gli aiuti di Stato, anche per effetto del ritorno sul mercato degli appartamenti turistici. Sul versante Salute, la Spagna ieri ha segnato un nuovo record in discesa di morti da Covid-19 (510) e un aumento lieve di nuovi contagi (4.830). Il governo Sanchez da lunedì inizierà a distribuire 10 milioni di mascherine sui mezzi pubblici, per la ripresa delle attività non essenziali, da domani. Tra le linee guida per chi torna al lavoro, distanza di due metri, in ufficio con mascherine e guanti e in auto, in più lavare gli abiti a 60 gradi.

 

Finlandia
Mascherine, Helsinki riapre i magazzini segreti anti russi

I morti sono 42, i malati 2.600. Poco o nulla rispetto a quanto avviene in Europa. Ma il governo di Helsinki si aspetta un possibile peggioramento, e decide di riaprire i magazzini con le scorte messe da parte per una invasione sovietica. Si tratta di depositi segreti, allestiti sin dai tempi della Guerra Fredda e rimasti in piedi perché in Finlandia, così come nei Paesi Baltici, il timore di un’invasione dell’orso russo non è mai passato. La Finlandia condivide con la Russia 1.300 chilometri di confine; nel 1939 fu invasa da Stalin. La storia dei magazzini pieni di materiale che ora può essere utilizzato per affrontare il Covid-19 è stata ripresa dal New York Times e dal País: “Si tratta di mascherine vecchiotte, ma funzionano ancora bene”, ha raccontato al quotidiano americano Tomi Lounema, amministratore del centro nazionale finnico per le provviste di emergenza. Päivi Sillanaukee, direttore generale del Ministero della Salute e del Welfare, al giornale spagnolo ha spiegato che è stata presa “una decisione storica”; i magazzini sono stati riaperti il 23 marzo, in concomitanza con l’adozione delle misure di contenimento.

Quando la parola di Dio arriva via podcast

Nei talk show televisivi domina la scienza, ma gli italiani preferiscono la religione quando scelgono i podcast online. Sono registrazioni audio, di solito durano pochi minuti. Su spreaker.com (tra le piattaforme più seguite) la categoria “spiritualità e religione” è esplosa: +1576% di ascolti in Italia, da gennaio a marzo, secondo la società Voxnest, proprietaria del catalogo sul web.

Tra i primi della lista spiccano due podcast di Don Dino Pirri: La domenica #iorestoacasa e Diario Quaresimale. “Faccio lo smart-prete per sentirmi utile, in quarantena sono un padre lontano dai figli”, dice il parroco di San Benedetto del Tronto. Su Internet ci sa fare: a gennaio, un suo tweet sulla candela di Gwyneth Paltrow all’essenza di vagina gli è valso l’ospitata a Propaganda live su La7. “In chiesa niente ceri profumati”, la battuta del Don. Su Twitter ha più di 36 mila follower, circa 12 mila gli ascoltatori dei suoi podcast.

Con il Diario Quaresimale Don Dino condivide riflessioni sulla parola di Dio. L’altro canale, La domenica #iorestoacasa, è un programma radiofonico con tutti i crismi firmato col giornalista Andrea Sarubbi: a leggere il Vangelo ci sono Malika Ayane, il regista Giulio Base, il doppiatore di De Niro Stefano De Sando. “Proprio oggi, per la Resurrezione, mettiamo in scena una puntata surreale di Chi l’ha visto? per cercare il corpo di Gesù”, dice Don Dino.

Su Spreaker il parroco non è solo: c’è pure l’oratorio di Nembro, il comune della bergamasca al centro di indagini giudiziarie per la mancata zona rossa. Dal 9 marzo, i religiosi hanno pubblicato più di 30 podcast. Il loro canale si chiama Lo sai, oggi puoi. In questi giorni però la fede sui media ha assunto anche forme diverse, come la preghiera di Barbara D’Urso in tv e l’appello di Matteo Salvini per le chiese aperte. Don Dino non apprezza: “Il rosario non si sventola in pubblico e la D’Urso mi ha irritato: la sua preghiera, fuori contesto, è sembrata grottesca”.

Qualcuno crede che il virus segni la rivincita della scienza sulla religione: in tv dominano i virologi, certo, ma i racconti audio sono in crescita. Gli investimenti pubblicitari sui podcast potrebbero superare il miliardo di dollari nel 2021. È scritto in un report dell’Interactive advertising Bureau, l’associazione globale del marketing digitale. In Italia, nel 2019, i download passano dai 27 milioni di gennaio ai 55 di dicembre. Da inizio a fine anno gli ascolti giornalieri sono quasi triplicati, su Spreaker: da 60.000 a 160.000. I temi sono vari, ma è difficile schivare il Coronavirus, pure per i podcast. Ad esempio: medici e infermieri degli ospedali Humanitas raccontano la loro battaglia in corsia contro il morbo. Il canale si chiama “Humanitas voice, storie dal fronte della cura”, e si può ascoltare anche sulle piattaforme di streaming musicale: Spotify e Deezer, oltre ai brani, da tempo ospitano “pillole” narrative. Ma pure notizie e approfondimenti targati Cnn, Abc, Bbc e Il Sole 24 Ore. Ma si sa: l’informazione, come la scienza, non dà tutte le risposte.

Una Pasqua diversa: stessa tempesta ma non stessa barca

 

Lettera agli studenti da un prof. di Scienze

Cari ragazzi, vorrei condividere una riflessione sul significato che la scuola sta assumendo nelle nostre vite in questo momento così strano e complicato. Parto da una parola: opportunità. Stiamo vivendo, pur nella tragicità del momento, un’occasione che mai si è presentata prima. La scuola viene vissuta da molti studenti come una costrizione, lo studio come qualcosa che “si deve fare”. Oggi, paradossalmente, per la prima volta vi ritrovate nella posizione di poter scegliere in piena libertà come vivere la scuola. Potete decidere quando partecipare ad una lezione online e quando preferire una giocata alla playstation, potete decidere quando attivare la cam e quando no, potete perfino decidere di studiare o meno. Avete la libertà della scelta. E può essere una sensazione bellissima! Ma per scegliere in maniera consapevole dobbiamo prima riflettere bene e non lasciarci trascinare dall’istinto. Sento solo l’esigenza di darvi dei piccoli punti cardinali da tenere in considerazione in questo cammino: cercate l’amore, la verità, il bene e la bellezza! Io sono convinto che la scuola ci guidi nel grande cammino della vita attraverso queste quattro grandi direzioni. Buona Pasqua, il vostro prof di Scienze.

Manfredi Ponente

 

La compagnia di due amici pelosi

Siamo rimasti in tre: Claudio (che sono io), Taco (che è il cane), Occhiobello (che è il gatto cieco da un occhio) e passiamo il tempo a fare cazzate. Tutti e tre insieme.

Claudio Orsi

 

Che sia una Pasqua di vera resurrezione

Bentrovati, il periodo è teso, denso di paure e incertezze. Mai come oggi la Pasqua ha un significato ancora più autentico di transizione, passaggio. Questa fase ci trova nella stessa tempesta ma non sulla stessa barca: per alcuni, infatti, si tratta di una barca fragile, piccola, insicura, per altri più solida e capace di resistere agli incerti dell’esistenza. Questa fase ci ha fatto riscoprire il gusto di andar lenti, come ben ci ricorda Franco Cassano nel suo Il pensiero meridiano e parimenti ha acuito in alcuni casi le distanze tra chi “ha avuto sempre meno e chi del più non sa che farne” come ben ci racconta Gennaro Morra, autore della canzone Di questo tempo. Ha fatto emergere il meglio, in termini di solidarietà sociale, e il peggio da parte di chi semina e dissemina il germe della sfiducia, della disunione, della discordia, delle accuse ostinate, del complottismo, delle fake news. Il mio augurio è che la prossima fase, che ci accingiamo a vivere, si apra all’insegna del rafforzamento del patto sociale, del senso di comunità, della speranza e della fiducia in un futuro di ripartenza che sono indispensabili per mettercela davvero tutta.

Tania Sabatino

 

Il disegno: rimedio a paura e solitudine

Salve, vivo a Venezia e illustro. Sto raccontando via Fb e Instagram il nostro quotidiano in modo ironico (due disegni sono pubblicati in questa pagina, ndr). Credo serva ad attenuare la tensione, la paura, e la solitudine che stiamo vivendo un po’ tutti. Auguro a tutti che quello che ci sta facendo del male oggi ci insegni a essere migliori domani. Un abbraccio e buona Pasqua.

Alessandra Ciarmela

In viaggio per il Veneto: rischi per vino e fragole

Oltre i tralci sulle colline di Lazise, da poco legati per assecondare il ritmo della vite, Attilio Romagnoli in aprile è abituato a veder sfrecciare le montagne russe di Gardaland e, sotto, la strada del Bardolino, ingolfata dal passo lento delle auto a targa tedesca, in fila per riempire il bagagliaio in cantina prima di tornare in patria. Quest’anno, invece, è saltato anche l’imbottigliamento del primo vino frizzante, che da queste parti è sacro quanto la processione del venerdì santo.

Romagnoli, agricoltore dell’Associazione rurali italiani, ha mani per la vigna e testa per i numeri: “I volumi di vendita si sono ridotti fino all’80%” riassume. Un tracollo. A Custoza, altra Doc locale, lo spaccio della cantina sociale che fattura 2,5 milioni l’anno è chiuso, stessa situazione a Castelnuovo del Garda. A Bardolino, invece, Fausto Zeni sta mettendo a punto degustazioni digitali, più per tenere alto il morale che il fatturato, mentre l’annata 2019 ancora ingombra la cantina. Tanto che, a mezza bocca, si ipotizza che la prossima possa essere una vendemmia “verde”, con i grappoli non ancora giunti a maturazione che verranno distrutti per accedere ai sussidi europei.

Oltre al surplus produttivo a preoccupare è la crisi di liquidità. Le serrande giù di bar e ristoranti fanno male a tutti, di più a chi si colloca nella fascia alta di mercato, e spingono a riflettere su come beviamo. Maddalena Pasqua Di Bisceglie, che ha portato l’approccio steineriano alla cantina Musella, la mette giù così: “In Italia soffriamo perché si preferisce stappare una bella bottiglia fuori, siamo disabituati a farlo in casa”. Qui, nella campagna a est di Verona, gli unici affari conclusi sono quelli con la Svezia, dove i bar restano aperti, mentre con ordini solidali si prova a tenere a galla i colleghi più in difficoltà.

La livella del Coronavirus, infatti, è imperfetta. Discrimina fra le etichette, perché se non preoccupa la tenuta dei rossi dal passo lungo, c’è il timore che il tempo non sia clemente con vini più facili. Discrimina, pure, fra le cantine: il piccolo produttore e quello di fascia alta, che non finiscono sugli scaffali dei supermercati, rischiano di colare a picco. “Manca una grande distribuzione che punti sulla qualità” spiega Matteo Inama, al timone dell’azienda omonima, sdraiata per 60 ettari fra Soave e Colli Berici. Qui il virus ha sollevato una questione di identità, fra sopravvivenza e vocazione: “Da imprenditore dovrei dare spazio a prodotti di fascia più bassa, ma dopo aver investito anni per creare vini riserva è un bel paradosso: come faccio a tornare indietro?”.

Se la vendemmia è un orizzonte distante, e con lei il timore che non si troveranno mani per cogliere l’uva, il tempo è agli sgoccioli per i coltivatori di fragole. “Mi servono due lavoratori” spiega Elena Massignan, che coltiva lungo l’Adige “ma il problema sarà poterseli permettere perché non sappiamo a chi vendere”. Se non marciranno sulla pianta, insomma, il rischio è che le fragole vadano a male in cassetta, visto che gli unici produttori che riescono a distribuire con regolarità sono quelli in affari con la GDO. Così, in questo sistema malato di disuguaglianza, i supermercati registrano incassi da festività natalizie mentre 1.400.000 produttori rischiano l’asfissia.

La soluzione parziale, come spiega Matteo Tesini, titolare di una cooperativa biologica nel veronese, sarebbe la più intuitiva: il ritorno dei mercati. Matteo ci ha provato in diversi comuni della Valpolicella, disegnando percorsi obbligati fra i banchi e limitando gli accessi. “Ma ci hanno chiuso ugualmente”. Tuttavia ha tentato il colpo di coda: ad Arbizzano, sempre Valpolicella, aveva creato una sorta di drive-in biologico, dove il cliente arrivava in macchina e la spesa veniva caricata sul sedile posteriore, senza nessun contatto. Funzionava alla perfezione. Ma, dopo qualche giorno, è stato denunciato per occupazione abusiva di suolo pubblico e si è dovuto fermare. Perché, anche in tempi di Coronavirus, la fantasia si esaurisce prima dell’ottusità della burocrazia.

Ricchi (soprattutto) e no: essere giusti vi conviene

Ieri la Banca d’Italia ha diffuso una serie di raccomandazioni alle banche su come gestire il sostegno alle imprese “nella attuale situazione di emergenza”. A parte alcune cose apparentemente ovvie, ma non ovvie in Italia, come il fatto di avere rispetto dei clienti e impegnarsi ad assisterli e a informarli – per esempio rispondendo al telefono – c’è un invito che segna una vero e proprio spartiacque nella complicata storia dell’etica pubblica italiana. Per dare più vigore al sostegno alle imprese deciso dal governo, dice il governatore Ignazio Visco, le banche dovrebbero “estendere su base volontaria tali iniziative anche a favore di categorie di soggetti che potrebbero versare in situazioni di difficoltà e/o in relazione a tipologie di rapporti contrattuali al momento non comprese nei predetti provvedimenti”. Insomma, si tratta di andare oltre la legge seguendo un imperativo morale, o meglio utilitaristico, come avrebbero detto filosofi ed economisti di 200 anni fa: fare ciò che serve per il bene comune.

È l’esatto contrario del tema sollevato dai procuratori capo di Milano e Napoli, Francesco Greco e Giovanni Melillo, secondo i quali il decreto che dà la garanzia statale sui crediti alle imprese è scritto male e lascia aperti ampi varchi alle infiltrazioni mafiose: “Appare concreto il rischio che si determinino condizioni favorevoli a un imponente trasferimento di risorse pubbliche dallo Stato alle imprese governate da interessi opachi o prettamente illeciti, finanziando di fatto anche evasori e truffatori seriali, quando non anche fiduciari delle organizzazioni criminali della peggior specie”.

Il Coronavirus ha trasformato in poche settimane il discorso sull’etica. C’è quella, legittima, dei magistrati e degli avvocati (e dei loro clienti) secondo cui tutto ciò che non è vietato è consentito, quindi lecito, quindi etico. Poi c’è l’etica del fare la cosa giusta che, in una crisi drammatica come quella in cui è entrato l’Occidente, coincide con il fare la cosa più furba. Per molti italiani sarà una sorpresa, ma stiamo entrando in un’epoca nuova in cui saranno gli onesti a risultare i più furbi.

Carlo Messina, amministratore delegato della prima banca italiana, Intesa Sanpaolo, e uomo ricco, ha donato per l’emergenza un milione di euro. E ha spiegato in un’intervista a Repubblica l’inedita coincidenza tra onestà e furbizia: i finanziamenti garantiti dallo Stato non devono servire “a rafforzare imprese che finora si sono mosse egregiamente sui mercati”, i cui proprietari “con notevole ricchezza accumulata in Italia o all’estero dovrebbero rispondere all’imperativo morale di far tornare i loro soldi nelle aziende e ricapitalizzarle per accelerare il recupero del Paese”. Non si può essere così ipocriti da fingere di ignorare che chi ha portato i soldi in Svizzera è stato aiutato da una banca. Adesso Messina sta insegnando ai suoi facoltosi clienti che stavolta è nel loro interesse partecipare a uno sforzo comune per tenere a galla la barca.

Gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti hanno puntato il dito proprio contro i banchieri: sembra che quelli che pensano di saperla più lunga chiedano alle imprese clienti di prendere un prestito garantito dallo Stato al posto di quello già concesso, in questo modo la banca migliora la qualità del proprio portafoglio crediti ottenendo la garanzia statale per un’impresa che non ne aveva bisogno. Tutto lecito, secondo l’etica penale, una porcata per quella utilitaristica, quindi un’idiozia: se tutti fanno così lo Stato fallirà.

Così fanno un po’ sorridere le polemiche su patrimoniali e contributi di solidarietà per i redditi medio-alti. Certo, saranno sempre gli stessi a pagare e non è giusto. Ma lo statale con reddito buono e sicuro dovrà abituarsi all’idea di dare un po’ del suo stipendio all’incallito professionista in nero oggi in difficoltà. I conti magari si faranno dopo, ma oggi difendere i mille euro “perché non è giusto” potrebbe significare perdere tutto.

Poi c’è l’evasore fiscale per milioni di euro che si presenta al Comune di Genova e chiede il buono spesa da 100 euro erogato alle famiglie in difficoltà. Poi ci sono i professionisti che già che ci sono allungano la mano per farsi dare i 600 euro dall’Inps senza averne bisogno. E qui va detto che già oggi niente è più come prima: i furbetti dei 100 euro, coalizzandosi, possono mandare tutti a bagno. E la prova della loro stupidità sarà che per loro, che perderanno tutto, l’acqua risulterà molto più fredda che per i veri poveri.

E ora chi raccoglierà la frutta? Mancano 250 mila braccianti

Se la scorsa estate il ruolo di introvabili era toccato ai camerieri, quest’anno – con le carte mescolate dall’emergenza Coronavirus – lo scettro è passato ai braccianti. Da settimane le associazioni agricole si dicono disperate: ne mancheranno 250 mila perché gli stranieri ciclicamente impiegati nelle nostre raccolte sono rimasti bloccati nei loro Paesi d’origine, soprattutto in Romania, prima del lockdown. Il guaio non è immediato, sarà più evidente nei prossimi mesi con l’arrivo della frutta e dei pomodori. Ma le imprese sono già in ansia e vogliono strumenti semplificati e meno costosi per assumere e sgravi: tra le idee il ritorno dei voucher, passione mai sopita, per poter reclutare cassaintegrati e sussidiati in generale.

C’è chi ha paventato il rischio che a breve manchino frutta e verdura nei banchi dei supermercati. Una simile catastrofe, in realtà, è improbabile: i lavoratori stranieri sono il 36% della manodopera totale; fino allo scorso anno, però, serviva così tanta forza lavoro per rifornire non solo i supermercati ma anche ristoranti, alberghi, mense e catering. Il settore “Horeca” (hotellerie-restaurant-café) in questo momento è fermo e sarà azzerata quella quota di mercato. Il problema, quindi, non dovrebbe essere generale, ma circoscritto ai produttori, che dovranno comunque raccogliere il seminato poiché deperibile anche se non riusciranno a vendere tutto. Chi se ne occuperà? È escluso possano arrivare i lavoratori “fidelizzati” dall’Est Europa. La ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova si sta affannando per strappare un accordo con la Romania sul “corridoio verde” per la libera circolazione dei lavoratori stagionali, ma l’impressione è che sarà poco efficace: da Bucarest e dintorni si sposteranno in pochi, con o senza via libera. Bisogna allora concentrarsi su chi è già in Italia.

Il lavoro va assicurato, ma i guadagni sono incerti per il blocco del turismo e le imprese stanno tentando di farsi concedere strumenti per ridurre i costi. Le associazioni restano divise tra loro, sostengono il ritorno dei voucher, non tutte con la stessa convinzione. In questo trovano la sponda politica del centrodestra e dei renziani di Italia Viva. “Sarebbe meglio introdurre un buono da 2.500 euro utilizzabile fino ad agosto”, dice Danilo De Lellis, responsabile ufficio lavoro della Cia-Agricoltori italiani. “Con l’attuale contratto di prestazione occasionale (i nuovi voucher, ndr) mi devo registrare sulla piattaforma Inps, deve farlo anche il bracciante e c’è un iter che dura da 7 a 10 giorni”. Passaggi introdotti nel 2017 per evitare gli abusi visti negli anni precedenti, quando i ticket erano spesso un modo per coprire il lavoro nero. “L’utilizzo dei voucher in agricoltura avrebbe l’obiettivo di offrire forme integrative di reddito alle categorie piu’ deboli; potrebbero consentire solo a cassaintegrati, studenti e pensionati di integrare il proprio reddito con le attività di raccolta”, dice la Coldiretti che chiude però all’ipotesi di coinvolgere i beneficiari del reddito di cittadinanza. Un’idea lanciata nei giorni scorsi anche da Teresa Bellanova e che garberebbe alla Cia. La Confagricoltura propone un contratto esente dall’imposizione fiscale con un massimo di 50 giornate lavorative e cumulabile con altre forme di sostegno al reddito. Parola d’ordine: pescare tra i sussidiati, che in questo momento sono tanti. Ci sono i 4 milioni che hanno chiesto il bonus da 600 euro all’Inps, le centinaia di migliaia che hanno chiesto l’aiuto alle casse professionali, i quasi 5 milioni coinvolti nelle richieste di cassa integrazione e assegno ordinario Covid-19. E ancora tutti quelli che, a prescindere dalla crisi sanitaria, prendevano già reddito di cittadinanza, ammortizzatori classici o la Naspi.

La difficoltà nel trovare addetti deriva anche dalla storica debolezza dei servizi per il lavoro. Solo il 2% delle imprese agricole si rivolge ai centri per l’impiego perché li definiscono “inefficienti”, ma è un cane che si morde la coda: le aziende non pubblicano annunci, quindi gli uffici pubblici non hanno nulla da proporre ai disoccupati iscritti. Ultimamente, poi, una serie di iniziative come l’app Fair Labor della Regione Lazio, dedicata proprio all’agricoltura, e il sistema di incrocio domanda-offerta della Rete del lavoro agricolo di qualità di Foggia del 2018 sono state snobbate dalle imprese. Ora le associazioni stanno tentando di correre ai ripari lanciando nuove piattaforme.

Finora, comunque, già diverse mosse sono venute incontro alle aziende. Sono stati rinnovati i permessi di soggiorno stagionali e stanno per essere semplificati gli adempimenti sull’obbligo di visita medica dei lavoratori. Resta il tema politicamente spinoso degli stranieri irregolari che oggi lavorano senza tutele nei campi, spesso sotto caporalato. Il segretario della Flai Cgil Giovanni Mininni ne sostiene la regolarizzazione. Da parte del governo e della stessa Bellanova, per ora aperture senza impegno.

Un imperdibile Monti tradotto: colpire Silvio B., educare Mario D.

Noi siamo grandi ammiratori, e non da ora, della sottile perfidia di cui il professor Mario Monti dissemina, spesso non visto, i suoi interventi pubblici. Ieri sul Corriere della Sera, per dire, in mezzo a molte legittime opinioni che lasciamo a via Solferino, il senatore a vita ha seminato schiaffoni come Bud Spencer nei film d’antan. Primo passo: “Il Mes rappresenta l’evoluzione del Fondo europeo per la stabilità finanziaria (Fesf). Il Fesf prima e il Mes poi sono stati preparati e decisi a livello europeo nel 2010-2011” dal governo Berlusconi. E com’era ’sto Mes? Brutto: “La sua attivazione sarà soggetta a forte condizionalità (…) e avrà termini e condizioni simili a quelli del Fmi” (Ecofin 2010, ciao Tremonti); “la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità” (Consiglio Ue 2011, ciao Silvio e comunque ciao ministra Giorgia). Dice Monti: “Non consiglio certo” a Conte di ricorrere al Mes visto che io, “dopo l’umiliante esperienza della Grecia”, non lo attivai nonostante dovessi “rispettare le condizioni draconiane imposte da Trichet e Draghi nella lettera del 5 agosto”, accettate da B. anche dopo che “Trichet-Draghi” avevano chiesto solo all’Italia il pareggio di bilancio a passo di carica. E in questa insistenza sul duo della Bce, se ci è concessa un’operazione di critica politico-letteraria, si svela la statura di polemista del nostro: volete voi come salvatore della patria l’uomo che voleva darvi la Troika nel 2011? (e ciao pure a Mario).

Klimt, Walt Disney e Kafka: sommersi e salvati dal virus

Esattamente un secolo fa il mondo usciva dalla più grave pandemia della storia, l’“influenza spagnola”, che tra il 1918 e il 1920, in ondate successive, provocò un numero di morti calcolati con l‘approssimazione di milioni (20 milioni? 30? certamente più di quanti caddero nelle trincee della Grande Guerra).

La prima curiosità è che la denominazione “spagnola” non ha nulla a che vedere con il luogo di prima diffusione del contagio. Il virus compare per la prima volta nell’autunno 1917 in un campo di addestramento militare americano, Fort Riley, nel Kansas, dove sono concentrate 50 mila reclute in attesa di essere mandate a combattere in Europa: sono loro a importare il contagio nel vecchio Continente e a diffonderlo rapidamente per la grande concentrazione di uomini sui campi di battaglia. Dall’inizio del 1918 ci sono morti in Francia, negli Stati Uniti, in Austria, in Inghilterra, tutti vittime di un’influenza subdola, che provoca polmoniti fulminanti e colpisce una fascia di età relativamente giovane (in media sotto i 40 anni): in Italia il primo caso letale si registra a Sossano (Vicenza), all’inizio di settembre 1918. I giornali non riportano, però, nessuna notizia di quanto sta accadendo: la stampa è sottoposta alla censura di guerra e i governi non vogliono allarmare un’opinione pubblica già sufficientemente provata dal conflitto. Nel novembre 1918, quando si verificano alcuni casi a Madrid, i quotidiani spagnoli danno invece la notizia, perché la Spagna non è entrata in guerra e l’informazione non è censurata. Per qualche settimana, sono solo gli spagnoli a parlare del virus, dando la sensazione che tutto sia partito dalla penisola iberica: per questo nei mesi successivi, quando la pandemia diventa troppo evidente per poterla nascondere, i giornali di tutto il mondo cominciano a parlare di “influenza spagnola”.

La seconda curiosità riguarda le vittime e i contagiati illustri. Una delle prime vittime è il pittore Gustav Klimt, massimo esponente della “secessione viennese”: colpito da ictus l’11 gennaio 1918 al rientro da un viaggio in Romania, viene ricoverato a Vienna e lì si contagia, morendo il 6 febbraio a 56 anni per l’infezione polmonare provocata dalla “spagnola”. In autunno è la volta del suo allievo Egon Schiele, 28 anni, già artista celebre e acclamato: muore il 31 ottobre, tre giorni dopo che l’influenza gli ha portato via la moglie, Edith Harms, incinta di sei mesi (gli ultimi schizzi di Schiele sono ritratti di Edith nel letto d’ospedale). Il 9 novembre viene trovato morto nel suo attico parigino il poeta Guillaume Apollinare, 41 anni, e a fare la scoperta è l’amico Giuseppe Ungaretti, andato ad annunciargli la resa dei tedeschi. Una delle ultime vittime è Max Weber, padre della sociologia moderna: muore a Monaco di Baviera nel giugno 1920, 56enne come Klimt. Probabilmente il contagio risale a qualche mese prima, quando a Parigi ha partecipato come delegato tedesco alla conferenza di Pace.

In occasione delle trattative parigine si contagia un politico illustre, il presidente americano Thomas Woodrow Wilson, che riesce però a guarire (anche se, tornato a Washington dalla Francia, viene colpito da due ictus che di fatto lo esautorano dall’esercizio delle funzioni). Tra i guariti celebri ci sono i romanzieri americani Ernest Hemingway (che scopre di essere malato durante la navigazione verso New York, di rientro dalla guerra) e John Dos Passos , il futuro presidente Franklin Delano Roosevelt, l’appena ventenne Walt Disney, il romanziere praghese Frank Kafka (che avrà comunque i polmoni compromessi e morirà pochi anni dopo di tubercolosi), il sovrano Alfonso XIII di Spagna, e un personaggio legato alla successiva storia italiana, l’etiope Tafari Maconnen, che nel 1930 diventerà “negus neghesti” (imperatore) d’Etiopia col nome di Hailé Selassiè. Forse ammalatosi durante un viaggio in Europa, quando ha cercato appoggi internazionali per far accettare il suo Paese nella Società delle Nazioni, il futuro Negus viene curato da medici britannici che operano in Kenya e si salva.

L’ultima curiosità riguarda le contromisure: cent’anni fa, come oggi, l’unica difesa è stata la quarantena. In molti Paesi è stata applicata senza rigore (gli Stati del 1918-20 non avevano comunque la forza per essere più incisivi): in Italia si è sconsigliato di viaggiare (ma i treni hanno continuato a funzionare), si è stabilito il coprifuoco nelle città dopo l’ora di chiusura dei locali (ma i locali sono stati lasciati aperti), si sono invitati i cittadini a evitare i contatti (ma il successo è stato dubbio, visto che nel maggio 1919 Mussolini tuona sul “Popolo d’Italia”: “basta con questa sudicia abitudine della stretta di mano”). Scarso effetto: i morti italiani sono stati oltre 700 mila, qualche decina di migliaia in più dei caduti del Carso. L’unico paese al mondo senza vittime è stata una colonia francese, la Nuova Caledonia, in Oceania: mentre Paesi vicini come Nuova Zelanda e Australia sono stati contagiati, in Nuova Caledonia la diligenza di un funzionario coloniale ha imposto da subito una quarantena rigorosa e nessuno è stato portato via dalla “spagnola”. Ricordiamocene. E se ne ricordino i “decisori” che allora hanno perso qualcuno (Friedrich Trump, “minore non accompagnato” emigrato dalla Germania, morì nel maggio 1918 nel Queens: aveva 49 anni, imprenditore di dubbia moralità e sicuro successo; era il nonno di Donald Trump).

Mail Box

 

Come comportarsi col pane e gli alimenti non lavabili?

Gentilissima dottoressa Gismondo, desidero sapere quali precauzioni adottare verso quegli alimenti che non si possono lavare e igienizzare, come ad esempio il pane.

Michele Verduci

Il pane e gli alimenti non sono veicolo di Coronavirus. Bisogna seguire le norme igieniche di sempre. Non mangiare una fetta di pane che è caduta a terra rientra nelle norme igieniche relative al nostro consumo alimentare. Non bisogna porre i sacchetti della spesa sulla tavola che si usa per consumare i pasti. Se si tocca il pane è buona educazione, anche igienica, non aver portato le mani alla bocca o toccato altri oggetti al di fuori di quelli sulla tavola imbandita.

MRG

 

“Il Fatto” resta il mio giornale preferito, ma occhio ai refusi

Gentile Direttore, leggo ogni mattina il Fatto e vi ringrazio sempre per l’informazione obiettiva e completa. Ma ahimè, sono una prof di lettere, (eh sì, di quelle bistrattate per le vacanze di Pasqua e per mille altre cose… ma che lavorano più adesso, con la didattica a distanza, di prima) e per deformazione professionale “devo” insorgere! Riporto con segno rosso d’ordinanza il “corpo del reato”: “ad ok” in luogo di “ad hoc” (scovato a pagina 3 del giornale di ieri), certa che comprenderà che il tono del mio appunto è bonario e scherzoso. Tanto più che nell’articolo la citazione latina è scritta correttamente. Un peccato veniale, insomma, che però mi offre lo spunto per esprimere il mio apprezzamento per il lavoro suo e dei suoi collaboratori che fanno de Il Fatto il mio giornale preferito.

Prof. Rita Quattrone

Cara prof, colpito e affondato!

M. Trav.

 

Conte, la conferenza stampa andava fatta a reti unificate

Buongiorno e complimenti per il vostro giornale! Mi domando come sia possibile che, in una situazione di emergenza come questa, durante la conferenza stampa del premier Conte non ci sia stata una continuità e una unificazione delle reti. Rai 1, 2 e 3 hanno continuato nella loro programmazione a prescindere da questa conferenza stampa. La7 l’ha interrotta per mandare in onda la pubblicità. Possibile che almeno la tv pubblica non potesse fare una diretta a reti unificate? Mi sembra quantomeno inaccettabile pagando anche un canone.

Diego Manunta

 

Pizzaioli, lavapiatti, camerieri: non dimenticatevi di noi

Caro Fatto, che mi tieni in armonia con la mia natura, quella di essere “ristoratore d’amore”, vorrei sfogarmi un po con te. Abbiamo aperto un locale, il Vabbuó Bistrò, nome nato da una splendida poesia di Erri de Luca, in un luogo privo perfino del nulla. Con costanza pratichiamo la gentilezza e la condivisione fin dal primo giorno. Vabbuó, che in napoletano ha tante accezioni, vuol dire “va bene”. Ma se, come dice Erri, cambi la sua connotazione con un punto interrogativo o esclamativo, può cambiare addirittura il senso. Eroi tutti, dalla signora delle pulizie nell’ambito sanitario (che quasi mai viene menzionata), all’ultimo infermiere. Ma i nostri pizzaioli, lavapiatti, camerieri, social manager, parcheggiatori, cuochi e aiuto cuochi possono ricevere almeno menzioni? I primi ad avere responsabilità, gli ultimi a ricevere grazie. Parliamone di più, almeno per condividere uno pensiero solidale anche con loro.

Luigi Gigioska

 

Lettera aperta al premier da un piccolo imprenditore

Signor Presidente, le sue dichiarazioni ripetono spesso: la salute dei cittadini al primo posto. Concordo, ma la salute significa molte cose: contenimento del virus, cura dei contagiati, cura delle persone affette da altre patologie, salute mentale dei confinati a casa e conseguenze sulla salute di una crisi economica disastrosa. L’isolamento sociale funziona nel contenere il contagio, lo capiamo dai numeri. Secondo l’Iss il 95 per cento dei decessi in Italia riguarda persone over 60; circa il 90 per cento ha più di 67 anni. Si è spesso paragonata questa situazione a una guerra: dobbiamo cominciare a combattere tutti assieme, non basta rimanere trincerati a casa e aspettare. Mettiamo in sicurezza i più deboli, isolando tutte le persone che hanno oltre 67 anni e rimettiamo al più presto in moto l’economia con le forze più giovani del Paese. Abbiamo migliaia di alberghi vuoti a causa del blocco sociale che potrebbero ospitare migliaia di persone a rischio, aiutati da infermieri e medici richiamati in servizio. Anche lei sa che quando i contagi saranno vicini a zero la minaccia del virus non scomparirà e per riprendere a far muovere le persone che lavorano e proteggere i più deboli, servirà una precisa strategia. Non aspetti più, Presidente, continui a potenziare l’apparato di sanità pubblica per ospitare i nuovi contagiati che arriveranno riaprendo le attività economiche “al fronte a combattere”, proteggendo i più deboli. Le stime dicono che stando chiusi, perdiamo 10 miliardi al giorno. Se siamo in guerra, allora ci chiami “a combattere”, prima di perdere troppe risorse e avere nuovi nemici che ci conquisteranno fra breve.

Paolo Mozzo

 

Le tante famiglie in difficoltà per le case dei figli fuorisede

Siamo una famiglia del Sud con due figli che studiano all’università in due città diverse. Con la chiusura degli atenei, i nostri figli sono rientrati a casa. Inizialmente pensavamo fosse una situazione provvisoria, ma pare che le chiusure potrebbero essere prorogate ancora per molti mesi, ed è stata preannunciata una ripresa dell’anno accademico con lezioni online. È questa prospettiva che ci ha fatto impensierire, perché io e mia moglie nel frattempo siamo stati messi in cassa integrazione e, a tutte le spese da affrontare quotidianamente, ci ritroviamo a dover pagare a vuoto gli affitti delle case dei nostri ragazzi. Come noi, migliaia di famiglie della Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Sardegna… Genitori che in questo momento si ritrovano con stipendi più leggeri o con attività chiuse che non garantiscono reddito. Chiediamo, naturalmente senza alzare la voce, e nel rispetto di chi sta lottando contro la malattia o peggio vivendo un lutto, di dedicarci uno spazio e di sollevare questo problema, che sta diventando molto difficile da gestire.

Dott. Raffaele Procopio

Festività bizzarre: solleone in Europa, uragani nel Pacifico

In Italia – La Pasqua soleggiata è un sogno collettivo che in pochi casi si avvera (l’ultima volta in tutto il Paese accadde nel 2002!), stavolta suona invece come una beffa, costretti in casa dalle misure contro il Coronavirus. Negli ultimi giorni infatti un’alta pressione estesa dall’Atlantico alla Russia ha portato cieli sereni e caldo fuori norma come di rado si vede in questa stagione, di solito instabile, fresca e piovosa. Dapprima nubi e qualche pioggia hanno insistito al Sud, ma da giovedì 9 aprile cieli azzurri prevalgono dalle Alpi alla Sicilia con ampie escursioni termiche tra notti ancora fresche (brinate nei fondovalle appenninici, -4 °C giovedì mattina presso Arezzo) e pomeriggi quasi estivi: il culmine delle temperature massime si è avuto tra venerdì e ieri, con 26 °C a Prato e 27,5 °C a Gradisca d’Isonzo (Gorizia), 7-10 °C sopra la media. In Piemonte vige di nuovo il divieto di accendere fuochi a meno di cento metri dai boschi, d’altronde a Torino, da inizio anno, sono caduti appena 22 mm d’acqua, un quinto del normale, e rischia di chiudersi un primo quadrimestre tra i più secchi in oltre due secoli. Senza precipitazioni rilevanti in vista almeno per una settimana, l’Autorità di Bacino del Fiume Po prevede un episodio di magra fluviale: a Ferrara la portata (920 m3/s) è già sotto norma del 20%.

Nel mondo – I venti e le alluvioni del ciclone tropicale “Harold” hanno causato disastri nelle isole pacifiche della Melanesia. Giovedì 2 aprile ventisette passeggeri di un traghetto sono stati sbalzati nell’oceano in tempesta presso l’arcipelago di Salomone, sette salme sono state recuperate ma si presume che anche tutti gli altri siano morti. Lunedì 6, seppure per poche ore, l’uragano ha toccato la massima categoria 5 presso Vanuatu con venti a 270 km/h, divenendo il secondo ciclone più potente ad aver mai colpito la zona dopo “Pam” (marzo 2015), poi ha proseguito verso Fiji, su cui ha scaricato piogge fino a 213 mm mercoledì. Inondazioni in Tessaglia (Grecia) una settimana fa, poi caldo precoce in Francia, oltre che in Italia: 27,1 °C di massima giovedì a Parigi, non era mai accaduto così presto in primavera, e record per la prima decade di aprile anche a Rouen (25,3 °C), Lille (24,9 °C) e Cambrais (24,4 °C), valori sopra la media di una dozzina di gradi e che sarebbero di tutto rispetto anche in piena estate. Già marzo 2020 era stato l’ennesimo mese troppo caldo, meno anomalo dell’inverno record in Europa, ma pur sempre vicino ai primati a scala mondiale. Secondo il servizio climatico Copernicus le temperature globali (anomalia +0,68 °C rispetto alla media trentennale) hanno sfiorato i massimi di marzo 2016, 2017 e 2019 soprattutto con il contributo del caldo straordinario in Russia. Scienziati coordinati da Johann Klages dell’Alfred Wegener Institute hanno pubblicato su Nature una ricerca basata sull’analisi di sedimenti marini presso la fronte dell’enorme ghiacciaio Pine Island, secondo cui nel Cretaceo, circa 90 milioni di anni fa, una foresta pluviale temperata prosperava in Artartide (Temperate rainforests near the South Pole during peak Cretaceous warmth). Ma questo non deve tranquillizzarci sull’odierno e rapido riscaldamento planetario di origine antropica: allora si trattava di lentissimi cambiamenti naturali, e in ogni caso a subirne le conseguenze non c’era, come oggi, l’uomo con la sua fragile civiltà evolutasi grazie al clima stabile degli ultimi diecimila anni. Proprio di come coniugare le scale temporali nostre e quelle del pianeta, enormemente diverse, ci parla Marcia Bjornerud, docente di geologia ed ecologia alla Lawrence University (Wisconsin), nel libro Il tempo della Terra. Come pensare da geologo può aiutare a salvare il mondo (Hoepli editore).