“A Milano arriva il conto della sanità sfasciata dai furbi”

“Al mattino apro gli occhi, mi tocco e dico: bene, non sono morta neanche oggi”.

Bice Cairati ha ottantuno anni. Gli italiani la conoscono per via dei suoi cuori infranti, degli intrighi e dei veleni, i sentimenti e le lacrime che lei cuce, da sarta potente e precisa, e ripiega nelle decine di romanzi che soprattutto le signore italiane divorano. Ha raggiunto e superato la montagna dei dodici milioni di copie vendute.

Sveva Casati Modignani, il nome d’arte, è lady bestseller. Ed è la sciura milanese per antonomasia

Milanese oltre l’immaginabile. Genitori, nonni, trisavoli e via regredendo fino al Medioevo.

Una sciura angosciata oppure ottimista?

Contare i morti, quelli della mia età, è così crudele e anche così ingiusto. L’esito di questa sciagura la intesto alla bella gente chiamata a curare la cosa pubblica. Gente di quattro soldi, senza capacità e senza moralità. Cosicché le dimensioni di questa tragedia si sono fatte catastrofiche.

L’ecatombe proprio da voi lombardi, cuore dell’economia, motore dell’Italia.

Infatti i tanti bauscia che conosco bene si domandano stupefatti: ma come è possibile? A noi è successa una cosa simile invece che a Napoli?

Lei scrive romanzi popolari, a volte pieni di cipria, ma nasconde alle sue tante lettrici di mezza età il suo pensiero vigoroso e definitivo.

Non mi sono mai sottratta a nessuna questione. Domandi pure.

Domando: ha colpe da imputare?

Le responsabilità politiche sono chiare e d’altronde questa società ha premiato prima il berlusconismo gaudente, poi la demagogia renziana. Adesso noto che va dietro al rosario di Salvini. Questa epidemia chiama la storia recente sul banco degli imputati. Gli ospedali chiusi, i finanziamenti tagliati, i soldi deviati verso le tasche degli amici. E il conto è arrivato particolarmente salato, proprio qua, nella mia Milano, nella mia Lombardia.

Le tocca assistere, come tutti, alla conta quotidiana dei caduti.

E seguo ossessivamente le indicazioni impartite dal governo. Mi scoccerebbe assai morire in ospedale, come quei tanti poveretti.

Lei ha una vitalità impetuosa

Conosco gli anni che ho. Quindi, come le dicevo, al mattino quando apro gli occhi avverto quel filo di fiducioso stupore. Che passa appena accendo la tv. Però, per mia fortuna, ho saputo dell’esistenza di Netflix e aggiro l’angoscia tuffandomi nelle serie sdolcinate e inconsistenti.

Trova modo per scrivere?

Mi impegna parecchio la scrittura. Ed è la mia personale exit strategy. Ora sono alle prese con la storia di un imprenditore: la sua vita, la sua voglia di fare del bene. Ho già il titolo in mente: Il Falco.

Lei ha vissuto il dopoguerra. Sarà così anche questa volta?

Il dopoguerra è stata una stagione d’oro, una cascina quotidiana dentro la quale noi abbiamo assistito alla vitale energia dei nostri genitori. Che ci invitavano a guardare avanti, a costruire. E soprattutto a essere onesti. È stato un grande dono vivere il dopoguerra.

Gli anni del boom sono stati meravigliosi e quelli recenti così odiosi?

Perché è giunta la stagione della furbizia, l’idea che la destrezza, la disinvoltura, la clientela potesse farci vincere. Non c’era bisogno di essere competenti, soltanto dritti, massimamente dritti. E così abbiamo inesorabilmente intrapreso la discesa. E ora eccoci qui, in questo disastro.

Pensa che non ce la faremo.

Penso invece che in molti daranno il meglio. Ma in parecchi mostreranno il peggio di sé. Nelle grandi ricostruzioni il bene e il male si affrontano e si sfidano. Sarà una competizione sfibrante.

L’Italia che prova sta dando. Il premier Conte come lo giudica?

Si dà da fare, noto che non gli manca una certa ambizione. Di lui ricevo giudizi divergenti. Ho sentito Maurizio Landini e gli pare una persona ragionevole: ‘Finalmente uno con cui si può parlare’. Un altro amico, un medico, mi ha detto invece che non capisce niente. Mi tengo nel mezzo e lo inchiodo a un voto di sufficienza. Vediamo dove andrà, cosa farà.

Lei cosa farà?

Che domande! Continuo gli arresti domiciliari. Curo le piante, guardo il cielo di Milano. Ho con me la badante, non ho problemi di danaro. Ho il necessario e anche il superfluo.

Parliamo del superfluo.

Il superfluo, contrariamente a quanto ci lasci intendere la parola, è necessario.

Spieghi con un esempio.

Con la minestra mi sfamo, col dessert mi consolo. Il superfluo è consolatorio, produce benefici oltre la stessa sua misura materiale.

La lascio al suo giardino, ai suoi fiori.

Sa che il cielo di Milano li stordisce? Mi sembrano dopati.

Lombardia, torna la paura I morti “veri” oltre 10 mila

Il pianoro, seppur lentamente, ha cominciato a declinare, ma le montagne russe non sono finite. Né in Lombardia, la regione più flagellata, né nel resto d’Italia. Quella di ieri è stata una nuova giornata di numeri in salita, nel monitoraggio quotidiano dell’epidemia di Covid-19. Altri 4.694 tamponi positivi hanno portato i casi totali (comprensivi di persone malate, decedute e dimesse o considerate guarite) a 151.272: l’incremento è del 3,18% (il più alto dal 5 aprile, giorno in cui era stato del 3,46%) a fronte di una media settimanale del 2,9% (che nei 7 giorni precedenti era stata del 4,3%). Stabile il numero dei morti: in 24 ore sono stati 619 (contro i 570 di venerdì), che portano il totale a quota 19.468. Continuano ad alleggerirsi, invece, i reparti di terapia intensiva, che ieri ospitavano 3.381 persone: 116 in meno, nuovo record dopo i 108 posti liberatisi il 10 aprile. Sono, invece, 28.144 i ricoverati nei reparti non “critici”, 98 meno di venerdì. Con il monitoraggio che continua ad allargarsi – 56.609 tamponi registrati in 24 ore, nuovo record, e il totale che arriva a 963.473 – i positivi salgono a 100.269.

“Non abbiamo sconfitto il virus, bisogna continuare a tenere i comportamenti richiesti – ha detto il capo della Protezione civile Angelo Borrelli nella conferenza stampa quotidiana –. Anche in Lombardia siamo sulla strada giusta”. Ma nella Regione martire i numeri restano alti. Con altri 1.544 casi in 24 ore, i contagi totali hanno raggiunto quota 57.592: venerdì l’aumento era stato di 1.246 unità, giovedì di 1.388. Le persone decedute con il Covid-19 sono 10.511, in aumento di altre 273.Crescono i ricoverati (+149, per un totale di 12.026), quelli in terapia intensiva sono 1.174 con un calo di 28 pazienti (venerdì il calo era stato di 34 unità). “Il dato a volte si abbassa a volte si alza” ma “le persone che arrivano a essere ricoverate sono meno gravi che in precedenza”, ha commentato l’assessore al Welfare Giulio Gallera.

Sotto stretta osservazione resta, però, la situazione di Milano: “Oggi in città preoccupa il +262 positivi rispetto a venerdì, quando l’incremento era stato di 127”, ha detto ancora Gallera. Raddoppio anche in provincia: 520 nuove positività rispetto alle 269 nelle 24 ore precedenti, per un totale di 13.268. A fotografare la difficile situazione del capoluogo è anche l’ultimo rapporto dell’Istat sulla “Mortalità Giornaliera nelle città italiane in relazione all’epidemia”: finito il periodo della comune influenza, fino al 27 marzo la mortalità a Milano è aumentata del 63%, contro il 19% di Bologna e il 31% di Verona.

Fin qui la punta dell’iceberg. Poi ci sono i morti silenziosi. Uno studio pubblicato ieri da Samuele Astuti, consigliere regionale del Pd, ha provato a farli emergere. Tra il 23 febbraio e il 28 marzo, si legge nel report, su un campione di 554 comuni, che copre il 67% della popolazione totale e il 74% dei morti per Covid-19 in Lombardia sono morte in totale 16.115 persone, 9.576 in più rispetto a quelle decedute nello stesso periodo negli ultimi 5 anni (6.539 in media). Di queste novemila, solo 4.700 sono state attribuite al morbo di Wuhan. E le altre? L’ipotesi è che abbiano a che fare con il coronavirus ma non rientrano nelle statistiche.

Spaventosa la situazione della provincia di Bergamo, dove nello stesso periodo i morti per Covid-19 sono stati 1.386. Ma i decessi totali hanno toccato quota 4.078. Il grafico a pagina 13 riporta altri 5 segmenti più piccoli: sono i morti contati nella Bergamasca nello stesso arco di tempo negli ultimi 5 anni: quello più sfortunato è stato il 2015 con 801 casi, in linea con la media del periodo. Tra i due dati, in quegli oltre 3 mila morti in più, c’è l’inferno che si è aperto con lo scoppio della pandemia, un abisso di dolore fatto di ospedali al collasso ma soprattutto di persone che se ne sono andate nel silenzio delle loro case senza che nessuno abbia fatto loro un tampone.

Un sommerso che, secondo Astuti, riguarda anche i contagi. Sono 40.110 quelli registrati nello stesso periodo (lo 0,40% della popolazione), ma quelli stimati – e quindi rapportati alla popolazione totale della Regione – sono 706.130 (il 7,02%). Comprensivi, quindi, di coloro che hanno contratto il virus ma non hanno avuto sintomi o ne hanno sviluppati pochi. La base sommersa di un iceberg che gli strumenti di rilevazione fino a oggi adottati non sono riusciti a misurare.

Tutti i rischi: “condizionalità” introdotte dopo e debito senior

Passato all’Eurogruppo, il Mes è tornato argomento di divisione. L’accordo in Ue prevede che il Meccanismo europeo di solidarietà possa concedere prestiti “senza condizionalità” all’ingresso (cioè senza firmare un Memorandum modello Grecia) che non siano quelle di vincolare i fondi ottenuti alla sanità. Può sembrare un successo, ma non lo è: l’uso del Mes pone, a differenza degli acquisti Bce, una serie di problemi futuri a fronte di una potenza di fuoco limitata (le spese in sanità sono una piccolissima parte di quel che servirà). Ecco, brevemente, i più macrospici.

1) L’Italia aveva chiesto, inizialmente, un “Mes senza condizionalità” (ma poi ci ha ripensato) e ora sembra averlo, in parte, ottenuto. Sembra perché non è così. Il Mes è pensato per essere un creditore e – come tutti i creditori – ha l’obbligo di rientrare dei propri soldi (con gli interessi). Le famose “condizionalità”, presenti peraltro nei Trattati e nella giurisprudenza Ue, sono escluse all’ingresso per la spesa sanitaria, ma non è affatto escluso che arrivino dopo: il Regolamento Ue che disciplina l’ex fondo salva-Stati, infatti, prevede che il Consiglio europeo “deliberando a maggioranza qualificata” possa unilateralmente approvare un “programma di aggiustamento rivisto”. In buona sostanza, le condizionalità uscite dalla porta possono rientrare dalla finestra.

2) Ammesso che esista un Mes che dia prestiti senza condizionalità, resta un grosso problema. Il Fondo è un creditore privilegiato, come il Fmi per chi ne chiede i prestiti: il debito verso il Mes sarebbe senior trasformando il resto dei nostri titoli in junior con annesso crollo del loro valore (bella grana per le banche) e difficoltà nel rinnovo alla scadenza (problema che, ad oggi, avrebbero anche gli eurobond). Se non è chiaro cosa significa senior, basta ricordare cosa è successo ai bond junior di Etruria & C.

Tutto nacque con B., Tremonti e anche Giorgetti

Chi ha creato il Mes? Chi è senza peccato potrebbe scagliare la prima pietra. Perché all’origine di questa storia c’è il centrodestra, quello guidato da Silvio Berlusconi con Giulio Tremonti cerimoniere economico e gli ex An di cui faceva parte Giorgia Meloni a regger la coda.

Siamo nel 2011-2012, dopo la crisi dei subprime esplode la crisi dei debiti dell’Europa del sud. Nascono i precursori del Mes, il Mesf e il Fesf che intervengono in Portogallo, Irlanda e anche Grecia. Sono partoriti e approvati interamente dai governi di centrodestra, il Mes è approvato alla Camera il 19 luglio del 2012, sotto il governo Monti.

Ma a preparare il suo iter è il Consiglio europeo del 25 marzo 2011 in cui si modifica l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue): “Gli Stati membri – è la modifica – la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità” (corsivi nostri).

Il criterio è scolpito nero su bianco, anche se oggi Tremonti dice che il Mes gli “fa orrore”. Però a seguito di quel vertice, il 29 marzo del 2011, audito alla Camera aveva parole dolci: “Io credo che in un meccanismo europeo come il fondo che viene formalizzato con questo trattato sia compresa l’idea degli eurobond”. Idea cara a Tremonti che nel 2010 li aveva promossi insieme a Jean-Claude Juncker. Ma i due strumenti obbediscono a logiche diverse.

Il vertice del 25 marzo viene applicato dal governo Berlusconi il 3 agosto del 2011. Monti subentrerà a novembre e l’approvazione finale del Mes avverrà il 2 febbraio 2012. La ratifica alla Camera è del 19 luglio 2012. Il governo Monti è sostenuto da Pd e Pdl in cui gli ex di Forza Italia sono affiancati dagli ex An. Il 19 luglio il Pdl sostiene il trattato anche se avrà diversi mal di pancia interni con 22 ribelli che non si attengono alle indicazioni di voto (come Guido Crosetto) e moltissimi assenti al voto, tra cui Meloni. Ma sono assenti, sul fronte opposto, anche Bersani o D’Alema. Mentre votano a favore Renato Brunetta e un fedelissimo di Meloni, l’attuale vicepresidente della Camera Fabio Rampelli.

Quanto alla Lega , che ha deciso di stare fuori dal governo Monti, si permette dichiarazioni di fuoco, ma quasi tutte contro il Fiscal compact, il trattato che impone il pareggio di bilancio e il rientro dal debito di 1/20 all’anno qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60. Il suo esponente di maggior rango economico, Giancarlo Giorgetti, paragona il Fiscal compact a una bomba nucleare (e non dice quasi nulla sul Mes). Eppure era stato proprio Giorgetti, il 5 marzo 2012, il relatore della commissione Bilancio per la legge Costituzionale che approva il pareggio di bilancio. Esattamente quattro giorni dopo la firma del Fiscal compact da parte di Monti. E quando prende la parola è piuttosto netto: “Le ragioni che avevano suggerito al Parlamento un procedimento di approvazione accelerato per il provvedimento in discussione – la volontà di stabilizzare la finanza pubblica e di fornire un’immagine solida e affidabile del Paese – appaiono oggi ancora pienamente valide e, anzi, ancora più evidenti alla luce degli ulteriori impegni assunti dall’Italia nell’ambito dell’Unione europea”. Chi è senza Mes scagli la prima pietra.

“Niente eurobond, ma è un nostro interesse aiutarvi”

La salvezza italiana è pure la nostra, è il messaggio dal tono grave di Viktor Elbling, ambasciatore tedesco a Roma, lunga carriera diplomatica nei governi di Berlino, trascorsi in Corea del Sud e più di recente in Messico, nato in Pakistan da mamma italiana, un anno di elementari a Forlì.

Per certi media tedeschi siamo ancora a mafia, pizza e mandolino.

Questa non è l’immagine italiana che abbiamo in Germania, un partner europeo cui teniamo molto. Siete il Paese più amato dai tedeschi, non solo da oggi. Alcune opinioni fra i due Paesi possono divergere, però c’è un grande rispetto per l’Italia. Abbiamo assecondato un forte movimento solidale che ci ha permesso di offrire circa 100 posti di terapia intensiva soprattutto alla Lombardia. Abbiamo trasferito con gli aerei del nostro esercito la maggioranza dei 44 pazienti. È un bellissimo esempio di solidarietà vissuta.

Allora la pandemia porge un’occasione unica che Berlino può cogliere: condivisione europea dei debiti, emissione dei titoli “coronabond”, elargizione di denaro senza soffocare gli Stati.

C’è un consenso assoluto in Europa a dare appoggio all’Italia e agli altri più colpiti dal virus. La questione tange più aspetti: di cosa c’è bisogno, di quali somme, per quali usi. Ci sono Paesi che cercano nuovi strumenti finanziari; la Germania e altri ritengono esistano mezzi già adeguati: a parte il supporto della Banca centrale europea (Bce), che può muovere 750 miliardi di euro, abbiamo la Banca europea per gli investimenti (Bei), il modello Sure contro la disoccupazione, le risorse del meccanismo Mes (l’ex fondo salva-Stati), per un totale di 540 miliardi. Il tempo è un argomento importante, un parametro con cui confrontarsi: in epoca di emergenza dobbiamo agire con strumenti esistenti di cui possiamo usufruire velocemente. Per quanto riguarda i coronabond o gli eurobond: una manovra così profonda richiede l’assenso di tutti, compresi i parlamenti nazionali, in certi casi finanche le corti costituzionali. Sarebbe una questione di mesi, se non di anni. Quindi utilizziamo la “potenza di fuoco” che abbiamo, su altri temi si può discutere a medio termine.

Prestare soldi e imporre i severi vincoli col Mes, per gran parte del governo e dei partiti italiani, non rientra nel significato di solidarietà.

Puntiamo sul Mes con condizioni minime. Credo sia il modo meno invasivo per intervenire rapidamente. Berlino non vuole spedire la Troika o controllare le scelte di Roma.

Come può spiegare agli italiani l’ostilità di olandesi e austriaci verso maggiori soluzioni comunitarie per la pandemia?

Esistono già oggi elementi di condivisione con la Bce e la Bei. Anche da noi c’è un dibattito su più integrazione, economica e fiscale, ma si tratta – come gli eurobond – di un passo importante, significa trasferire più sovranità all’Europa. Ripeto: per fare questo passo c’è bisogno di un consenso molto ampio. Non penso che si possa o si debba raggiungere in un contesto di emergenza.

Berlino è prudente anche per ragioni politiche: temete una crescita degli estremisti di destra, di partiti come Afd?

Il leitmotiv della Germania è costruire questa Europa, non distruggerla. L’Afd venne fondata nel periodo della crisi greca e delle decisioni di intervento dell’Ue, ma rimane una minoranza. La nostra politica pro europea si basa sulla vasta maggioranza dei tedeschi.

L’Olanda sembra interpretare la vostra anima più intransigente. Come quelli che fanno il gioco sporco per altri.

Il nostro obiettivo è quello di essere al centro delle discussioni, non a un polo. Il nostro ruolo è quello di aiutare a trovare compromessi europei tra nord e sud, est e ovest. Per noi è vitale che l’Europa funzioni. Oltre ai valori comuni, la Germania, come l’Italia, trae vantaggio da un mercato europeo efficiente.

Non vi resta che sostenere il governo di Roma.

Nessuno in Germania ha intenzione che l’Italia vada male. È un nostro interesse. Ci sono legami umani e culturali, ma anche robusti legami commerciali e industriali. Gli imprenditori tedeschi mi chiamano per sapere come va l’Italia, che cosa succede con la produzione italiana della quale siamo dipendenti anche noi. Berlino vuole un’Italia forte.

Ue, no del Pd agli ultimatum. E il M5S processa Gualtieri

Un negoziato serrato sul piano esterno e un fronte interno sempre più complicato. Per il premier Giuseppe Conte la trattativa europea è una via crucis destinata ad andare oltre la Pasqua. Un impegno che non si fermerà neanche in questi giorni, in vista della riunione del Consiglio del 23 aprile. I contatti con le altre Cancellerie proseguono, perché l’Italia deve arrivare a mettere nel “Recovery Plan” della Ue gli eurobond, o quanto meno qualcosa che gli si avvicini il più possibile. Però in Italia è nel nome del Mes, il fondo salva-Stati, che si potrebbe arrivare allo scontro frontale tra Pd e M5S. “Perché non dovremmo usare 36 miliardi di euro, senza condizionalità, se ne abbiamo bisogno?”. La domanda – che si riferisce appunto alla linea di credito che il Mes dovrebbe mettere a disposizione dei Paesi membri per le spese sanitarie – l’hanno posta tutti i dem di rango, dal capodelegazione Dario Franceschini (che l’ha fatta al premier venerdì) al segretario Nicola Zingaretti.

Ma anche i maggiorenti del Pd in Europa se lo chiedono, convinti che un aut aut dell’Italia sui bond sia tatticamente sbagliato, visto che la Germania ha seri problemi interni per accettarli. Ciò non significa che il Pd non sia pronto a fare di tutto per portare a casa gli eurobond, né che consideri il Mes una soluzione. È il no pregiudiziale del M5S che lascia perplessi.

La linea la riassume in serata il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, al Tg3: “Abbiamo sempre detto che il Mes non ha la dimensione adeguata per mettere in campo le risorse necessarie, cioè un trilione, un trilione e mezzo. Quindi ci stiamo concentrando sugli eurobond e sul fondo per la rinascita. Abbiamo detto che non abbiamo bisogno del Mes ma ci siamo impegnati perché offra a tutti i Paesi che ne faranno richiesta, delle risorse senza condizionalità”. Altri Paesi alleati dell’Italia in questo negoziato – a partire dalla Spagna – non escludono di potervi farvi ricorso. Così nel Pd spingono, con moderazione. Per David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, “il nuovo Mes non va respinto a priori”. Mentre il Commissario agli Affari economici, l’ex premier Paolo Gentiloni, teorizza: “La linea di credito per le spese sanitarie senza condizioni non ha nulla a che vedere con il salva-Stati e le sue condizionalità”.

Parole che non possono convincere i Cinque Stelle e Luigi Di Maio, l’ex capo politico pronto a tornare tale quando la tempesta del Coronavirus si sarà almeno placata. Venerdì mattina è stato il ministro degli Esteri a chiedere al presidente del Consiglio un segnale dritto sul Mes, quel fondo salva-Stati che per il M5S è la porta per l’inferno. Con Gualtieri che giovedì sera aveva esultato ad Eurogruppo appena finito: “L’Italia vince”. Affermazione che ha suscitato malumori anche nel Pd. Ma soprattutto quegli entusiasmi, assieme alle prime notizie confuse sul fondo salva-Stati, hanno reso una polveriera il Movimento, con le chat interne che giovedì notte traboccavano di malumore. “Abbiamo fatto mattina per calmare i nostri” raccontano. E così venerdì Di Maio ha chiesto a Conte di dire parole dritte: per arginare i dem e Gualtieri. “Mercoledì sera c’era stata una videoconferenza tra lui, Di Maio e Conte per fare il punto alla vigilia dell’Eurogruppo, e il ministro è stato capace di smentire che quello fosse il tema della riunione” ringhia una fonte di governo grillina. Umori e scene di cui il premier è perfettamente consapevole.

Per questo,la richiesta di Di Maio non deve averlo sorpreso. “E d’altronde Conte sarebbe uscito dritto ugualmente, perché la sua linea sul Mes è sempre stata quella, ossia che l’Italia non deve farvi ricorso” spiega un altro big a 5Stelle. Tradotto, il messaggio serale del premier sarebbe stato ugualmente di quel tenore: per togliere argomenti al centrodestra, e perché, sostengono, lo richiedeva anche il complicato gioco tattico in vista del Consiglio europeo del 23 aprile. Ma l’ex capo del M5S ha comunque calato la sua mossa, prima del difficile vertice pomeridiano tra il premier e i capidelegazione della maggioranza, a cui non ha partecipato.

Poche ore dopo, venerdì sera, è stato il capo politico reggente Vito Crimi a cercare di riportare ordine dentro il M5S. Nell’abituale videoconferenza con i membri di governo a 5Stelle, ha invitato tutti alla calma e a “lasciare lavorare Conte, perché mancano ancora due settimane al Consiglio europeo, e non possiamo certo essere noi a creargli ostacoli”. Ma i sospetti, quelli verso il Pd, restano tutti dov’erano.

Reazione alla destra. Inopportuna o no?

Durante la conferenza di venerdì, Giuseppe Conte ha attaccato Giorgia Meloni e Matteo Salvini, sottolineando come proprio chi oggi accusa il governo di aver accettato il Mes abbia in realtà fatto parte dell’esecutivo che approvò il Salva-Stati in Cdm nel 2011. Dopo la conferenza, le destre hanno parlato di “uso personalistico” di un messaggio istituzionale, posizione condivisa in diretta su La7 da Enrico Mentana. Abbiamo allora chiesto a sei tra giornalisti ed esperti se Conte abbia davvero sbagliato a rispondere all’opposizione.

 

Antonio Padellaro
Con la censura preventiva ci saremmo persi una notizia

Detto che Enrico Mentana ha tutto il diritto di giudicare inopportuno, sbagliato, o come altro gli pare l’attacco di Conte a Salvini e Meloni, non abbiamo ben compreso il significato della frase: “Se l’avessimo saputo non avremmo mandato in onda quella parte”. “Se l’avessimo saputo”, significa che il direttore del tg La7 avrebbe tagliato la parte “sconveniente” dell’intervento del premier, con una censura preventiva? E da giornalista di razza qual è non gli sarebbe un tantino dispiaciuto rinunciare alla parte più croccante del discorso, quella che un minuto dopo avrebbe fatto più notizia, come infatti è avvenuto? “Se l’avessimo saputo”, fa intendere che La7 non era tenuta a mandare in onda “a reti unificate” le comunicazioni da palazzo Chigi (come per esempio il discorso presidenziale di fine anno). Se lo ha fatto è perché in questo momento le conferenze di Conte hanno un ascolto molto alto. A cui Mentana in futuro potrà benissimo rinunciare in anticipo, onde evitare qualsiasi rischio di “uso personalistico” da parte del presidente del Consiglio.

 

Peter Gomez
Dire la verità non è un errore. Ora però si gioca tutto in Europa

Dire la verità non è mai un errore. E Giuseppe Conte, a parte il refuso sulla data, venerdì lo ha fatto. Fu il governo Berlusconi, con Giorgia Meloni e Umberto Bossi ministri, a varare il disegno di legge sul Mes il 3 agosto del 2011. La Lega votò contro in Parlamento solo nel 2012, mentre Meloni, ancora nel Pdl, non si presentò in aula esattamente come fece a Bruxelles Matteo Salvini, allora europarlamentare. Ma se dire la verità non è mai un errore, nessuno può negare che sia un enorme rischio decidere di farlo, sia pure per rispondere a delle false accuse di tradimento, mentre si è nel mezzo di una pandemia e a una crisi economica senza precedenti. Se Conte riuscirà a strappare l’assenso agli eurobond (cosa difficile) nella riunione dei capi di governo europei del 23 aprile, la sua conferenza stampa di ieri sarà ricordata come una prova di carattere destinata a rinforzarne la leadership. Se invece non ce la farà diventerà un passo fondamentale verso il governo di unità nazionale per cui in Italia tanti poteri tifano.

 

Massimo Cacciari
Ha sbagliato: si tenga le cartucce per quando finirà l’emergenza

Conte ha sbagliato, è chiaro. Ha sbagliato per tatto e per sostanza. Siamo in una fase in cui il dibattito parlamentare è ridotto al minimo, certamente non per colpa sua, e lui è il solo comandante in capo, dunque deve evitare ogni polemica con le opposizioni, che peraltro non hanno le sue stesse possibilità per parlare. Venerdì per ovvi motivi tutta Italia era sintonizzata per sentire il presidente del Consiglio quasi a reti unificate, Conte non può approfittarsi di una situazione del genere. Quando l’emergenza sarà finita, tornerà a essere un politico come tutti gli altri. Ma per ora deve mettere da parte le cartucce – e credo ne avrà parecchie – tenendo anche conto che ci saranno mesi di polemiche e di campagne elettorali, visti anche i voti nelle Regioni. Finché però siamo costretti ad ascoltare i suoi imperativi categorici, deve capire che non può fare polemica, neanche se si tratta di una replica ad attacchi ricevuti da altri esponenti politici.

 

Luisella Costamagna
Il premier ha ragione, ma la sede utilizzata è irrituale e discutibile

Premessa: un’opposizione che in una crisi così drammatica non fa altro che cercare di capitalizzare morti e contagi ai fini della più bassa propaganda, e che arriva a definire il premier “traditore” e “Giuda” accusando il governo di avere “firmato attivazione Mes” (tweet Meloni) e “approvato Mes” (tweet Salvini), è un’opposizione irresponsabile e bugiarda. Perché, come tutti sanno, Conte non ha firmato nulla, e nessuno – a oggi – ha chiesto l’attivazione del Fondo Salva Stati. Ciò detto, è irrituale e discutibile che la – legittima – risposta del premier sia inserita in un messaggio a reti unificate il cui scopo è tutt’altro, ossia parlare a un Paese in grave difficoltà. Se si decide di farlo ugualmente, almeno bisognerebbe curare di evitare errori, come collocare nel 2012 il governo Berlusconi. Conte ha in buona sostanza ragione (le basi del Mes, istituito da Monti nel 2012, sono state gettate in effetti dall’esecutivo di centrodestra l’anno prima, con Lega in maggioranza e Meloni ministro): ma, per attaccare, bisogna essere inattaccabili.

 

Giovanni Orsina
In altro contesto era legittima, doveva essere più istituzionale

Quella del presidente del Consiglio è una figura in equilibrio tra politica e istituzioni. Mentre il segretario di un partito può essere molto “politico” e poco “istituzionale” e, viceversa, il presidente della Repubblica è esclusivamente “istituzionale”, il premier è punto di incontro tra questi due aspetti. In quanto politico, Giuseppe Conte ha tutto il diritto di criticare, rispondere, stigmatizzare le opposizioni, ma bisognerebbe non farlo in una conferenza stampa come quella di venerdì, che non era un atto politico ma una comunicazione istituzionale, oltre che uno strumento che gli altri non hanno a disposizione. Se fosse stata una conferenza stampa politica o un messaggio inserito in un programma tv ci sarebbe stato modo di organizzare uno spazio di replica o il classico “panino”. In quel momento invece Conte aveva quasi la stessa funzione di Mattarella. La risposta ci stava, ma quello era il luogo sbagliato. Se non teniamo viva la distinzione tra politica e istituzioni è un problema.

 

Valentina Petrini
Nulla di strano, considerato l’atteggiamento del centrodestra

Sono rimasta sorpresa dalla posizione di alcuni colleghi. Non mi pare che quando Salvini andò a suonare al citofono al quartiere Pilastro qualcuno abbia detto che sarebbe stato meglio non mandarlo in onda. Io stessa chiesi una prova di carattere ai giornalisti, che però non si traduceva nella censura ma nell’incalzare Salvini su quello che aveva fatto. Non credo che venerdì ci fossero i presupposti per non mandare in onda un premier che risponde alle opposizioni, altrimenti ogni volta bisognerebbe filtrare i messaggi di chiunque. Non ci ho trovato nulla di strano, soprattutto in tempi in cui il centrodestra continua a fare apertamente opposizione. Conte ha ragione quando dice che andare in Europa senza una voce unica rischia di indebolirci. È chiaro che si è esposto molto sulla sua volontà di non accettare il Mes e dunque il giudizio finale sul suo operato si baserà sui risultati che riuscirà a portare a casa, ma in conferenza ha dato un indirizzo chiaro.

Il leghista è sempre in tivù: 140 ore da luglio

“Roba da regime” proclama Salvini, che scomoda l’Unione Sovietica ma si guarda bene da ogni riferimento alla Russia dell’oligarca Putin. Si straccia le vesti la Meloni che parla di stato totalitario (se ne intende). Entrambi si appellano a Mattarella. Anzi Salvini, inscenando il solito rituale vittimista in cui B. era maestro, gli fa l’ennesima telefonata per denunciare l’abuso.

È il paradosso nazionale: privati da qualche settimana del loro gioco preferito, cioè della possibilità di cannibalizzare tg e talk al di là di qualsiasi regola e in barba a qualsiasi par condicio, i leader della destra adesso alzano alti i lai per invocare il pluralismo violato, la democrazia in pericolo. Tutto questo è semplicemente ridicolo e dispiace che anche giornalisti come Mentana non se ne rendano conto. Non sappiamo cosa Salvini abbia avuto la faccia tosta di dire al capo dello Stato, ma immaginiamo che Mattarella abbia ben chiaro di cosa si parla quando si parla di pluralismo nel nostro paese. I numeri e le cifre del Garante ci dicono che dal 2018 e fino a pochi giorni fa gli italiani hanno assistito a un solo, lunghissimo, quotidiano, interminabile talk show del leader della Lega, in spregio a qualsiasi norma pluralista, a qualsiasi bon ton politico.

Uno show indecente che però raramente è stato oggetto delle dovute reazioni anche da parte di coloro che adesso criticano Conte. Così com’è indecente sentire la voce di Barachini, presidente della vigilanza finora in sonno, che chiede alla Rai di riparare. Al presidente Mattarella, invece, ci permettiamo di suggerire di dire al suo sfacciato interlocutore che da luglio a febbraio, solo per fermarci ai mesi più recenti, egli ha avuto a disposizione nelle sette principali reti tv un tempo di parola di oltre 140 ore, un’enormità non solo se si confronta con quello del premier (116 ore) ma con quello di altri leader come Di Maio (54 ore) o Zingaretti (40 ore).

Ci dispiace, infine, constatare che nella sfida quotidiana di Salvini al pluralismo proprio La7 ci abbia messo di suo, visto che il leghista, sempre nel periodo citato, vi è stato dominus assoluto e incontrastato con 38 ore di parlato. Salvini è come il ladro incallito che invoca lo stato di polizia perché gli hanno rubato la bicicletta, è l’eterna favoletta del lupo in riva al ruscello che, pur stando più in alto, se la prende con l’agnello che gli inquina l’acqua.

Salvini telefona al Colle: Mattarella ascolta e tace

Ora è guerra aperta: il simulacro della collaborazione tra governo e opposizione non esiste più, nemmeno nelle fantasie dei più ottimisti.

Ne ha preso atto anche il presidente della Repubblica. Ieri infatti, per prima cosa, Matteo Salvini ha telefonato al Quirinale. È la risposta politica del leghista all’esplosione definitiva dei rapporti con Giuseppe Conte, sancita di fronte a milioni di italiani con l’ultimo messaggio pubblico del premier. Salvini ha chiamato Mattarella per lamentarsi e si è sfogato per diversi minuti. Si è detto “rammaricato e indignato”, ha definito le parole del presidente del Consiglio “non degne di un Paese democratico”, un “insulto alle opposizioni”. E poi è venuto al punto: “Come si fa ad avere un dialogo con chi si comporta così?”.

Mattarella – come si usa nelle formule un po’ paludate del Colle – ha “ascoltato attentamente”. Ufficialmente è rimasto in silenzio: se e cosa abbia risposto, non è dato saperlo. Il capo dello Stato conosce bene le leggi della politica e della comunicazione: su una materia così delicata non gli deve essere attribuita alcuna partigianeria. Dal Quirinale non è passato nemmeno uno spiffero, neanche l’ombra di uno spin. Ma è un silenzio che si può interpretare: dopo aver fatto appelli all’unità e alla collaborazione in ognuno dei suoi interventi, Sergio Mattarella non può aver gradito gli ultimi episodi della saga Salvini-Conte, compresa le parole durissime – e secondo alcuni irrituali – pronunciate venerdì dal presidente del Consiglio praticamente a reti unificate. Conte peraltro non ne è pentito. Troppo sguaiate le parole usate dalla coppia sovranista Salvini-Meloni al termine dell’Eurogruppo, giovedì notte. Troppo ridicolo l’addebito di “alto tradimento” gridato sui social dall’ex missina, troppo fasulle le accuse della destra sul Mes: impossibile non replicare, secondo Palazzo Chigi.

Chi si aspettava una dialettica “normale” tra governo e opposizione sarà deluso: il conflitto non va in vacanza neanche mentre l’Italia affronta una sfida storica. A ben vedere non c’è mai stata unità nemmeno per un istante: è dall’inizio della crisi che la destra attacca (anche attraverso i suoi governatori) e la maggioranza risponde. Con la parziale eccezione di Forza Italia: Antonio Tajani non ha il fisico da “picchiatore” e Berlusconi dal suo esilio in Costa Azzurra predica “toni più soft”.

Insomma: c’era già ben poco da salvare. Lo scontro ieri si è trasferito in Rai. Il presidente della Vigilanza, il forzista Claudio Barachini, ha scritto una lettera alle reti pubbliche per chiedere un immediato diritto di replica alle opposizioni. Detto fatto: nel Tg1 delle 13 era già intervistata Giorgia Meloni. La coppia sovranista ha imperversato in tutte le edizioni dei telegiornali pubblici (e privati), fino alla pirotecnica esibizione di Salvini nel Tg1 delle 20. “Ieri sera (venerdì, ndr) mia figlia mi ha chiesto perché quel signore in televisione ce l’ha con me e mi insulta – ha detto il capo della Lega sulla rete ammiraglia della Rai, mettendo ancora una volta in mezzo i suoi bambini –. Le ho risposto, lascia stare, è Pasqua, perdona…”. Povero Salvini: “Mi è dispiaciuto di più il no alle proposte per migliorare il provvedimento sulle imprese”, ha aggiunto l’ex ministro.

Sergio Mattarella si metterà l’anima in pace. Ieri il capo dello Stato è tornato a parlare agli italiani con un videomessaggio. Nessun riferimento alle questioni politiche, nessun tentativo vano di far collaborare chi si insulta. Un augurio di una Pasqua serena, malgrado tutto, e un incoraggiamento a chi sta affrontando tante privazioni. Anche questa volta Mattarella ha voluto “umanizzare” il suo messaggio con un riferimento personale: “Sarà una Pasqua diversa dalle altre, diversa per tutti, anch’io la trascorrerò in solitudine”.

Siete ridicoli

Nelle democrazie, ciascuno dice quel che gli pare: le opposizioni criticano il governo quando e come vogliono, il capo e i membri del governo rispondono quando e come vogliono; i mass media riprendono le parole di tutti (“notizie”), ne esaminano la rispondenza ai fatti (“analisi”) e le giudicano come pare a loro (“commenti”); i cittadini incamerano tutte le informazioni e si formano le opinioni che vogliono. Nelle dittature, il tiranno parla da solo senza tema di smentite, e gli oppositori e i critici tacciono, perchè imbavagliati, o aboliti per legge, o detenuti, o esiliati, o morti. Quindi non si vede dove stia il problema se il presidente del Consiglio, in conferenza stampa davanti a giornalisti, dopo aver illustrato un decreto e la posizione del governo nelle trattative europee, risponde alle critiche di due oppositori sul nuovo Mes senza condizionalità per spese sanitarie. Anzi, alle loro calunnie che gli attribuiscono crimini tanto gravi (Meloni: “Gualtieri ha firmato per attivare il Mes, niente Eurobond, Italia messa sotto tutela. Hanno vinto i diktat di Germania e Olanda, il governo si è piegato ai dogmi nordeuropei. Un atto di alto tradimento verso il popolo italiano”; Salvini: “Caporetto, drammatica ipoteca sul futuro, sul lavoro e sul risparmio dei nostri figli. Siamo fuori dalla legge, siamo alla dittatura nel nome del virus”), quanto inesistenti (né Conte né Gualtieri hanno mai “firmato” né “attivato” alcunché, anzi hanno ribadito che l’Italia non userà il Mes e continuerà a chiedere gli eurobond fino alla fine).

Se Conte non avesse risposto alla prima occasione, la gente avrebbe pensato che quelle accuse sono vere. Invece sono balle sparate per nascondere i disastri in Lombardia e i veri responsabili del Mes: approvato nel 2011 dal governo B.-3 (Salvini alleato e Meloni ministra) e ratificato nel 2012 dal governo Monti (Pdl con Meloni alleato, ma senza più Lega). Carta canta: “Consiglio dei Ministri n.149 del 03/08/2011. La Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica: Il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi, sotto la presidenza del Presidente, Silvio Berlusconi, ed ha definitivamente approvato su proposta del Ministro degli affari esteri, Frattini: – due disegni di legge per la ratifica e l’esecuzione dei seguenti Atti internazionali: 1)Decisione del Consiglio europeo 2011/199/UE, che modifica l’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativamente a un meccanismo di stabilità (MES – Mechanism European Stability)…”. Sanguinante per la sbugiardata, Salvini è corso a piagnucolare da mammà Mattarella perchè il premier cattivo gli aveva fatto la bua.

La Meloni, meno petulante, s’è limitata a paragonare Conte al dittatore nordcoreano Kim Jong-un, che però piace tanto a Salvini, che nel 2014 andò in pellegrinaggio da lui con Razzi, elogiando “lo splendido senso di comunità” di quel paradiso di democrazia. E ora, per non contraddirsi, equipara l’Italia di Conte all’Urss. Resta da capire come spieghino, il partigiano Cazzaro e la partigiana Giorgia, i dati Agcom che li vedono onnipresenti su tutte le reti Rai, Mediaset e La7, molto più del premier e dei leader di maggioranza. Ma tutto questo fa parte delle normali polemiche tra governo e opposizione (a cui ormai s’iscrive di diritto la masnada renziana). Non è normale, invece, che insigni verginelle sostengano che Conte non deve replicare alle calunnie dell’opposizione, o lacrimino per la fine dell’agognata “unità nazionale” (con chi dà al premier del “criminale” e del “traditore del popolo”), o invochino interviste riparatrici a Meloni&Salvini in nome del “contraddittorio”: come se a garantirlo, in una conferenza stampa, non fossero le domande dei giornalisti; e come se il premier, ogni volta che nomina Salvini e Meloni, dovesse portarseli appresso.
Persino una persona seria come Enrico Mentana si pente di non aver censurato le parole di Conte su Salvini e Meloni. Fermo restando che ciascun giornalista è libero di trasmettere ciò che vuole, sarebbe curioso se il direttore di un tg – tra l’altro abituato a trasmettere nelle sue “maratone” i flatus vocis di qualunque politico – oscurasse la notizia del giorno perché non gli garba. Le notizie si danno tutte, a prescindere dall’opportunità, e Mentana ce lo insegna (un mese fa anticipò la bozza del decreto che chiudeva la Lombardia, innescando la fuga da Nord a Sud, e fece bene). Poi, se qualcosa non piace, lo si critica e si dà la replica agli interessati. Trattandosi poi di una conferenza stampa e non di un videomessaggio (tipo quelli di B. e di Bin Laden), se Mentana o altri avevano qualcosa da dire, potevano collegarsi e obiettare. Sarebbe comico un direttore di tg che chiedesse al premier: “Ci dica se nominerà Salvini e Meloni invano e, se sì, batta prima tre volte le palpebre, così io la taglio all’istante”. Poi c’è il caso umano del direttore di SkyTg24, Giuseppe De Bellis, altro ex dipendente Mediaset, che costringe i suoi giornalisti a declamare un suo editoriale in cui, mentre accusa Conte di fake news sul Mes, ne racconta una lui, negando che il Mes sia opera del governo B. Dopodiché, si capisce, il Fatto sparisce dalla rassegna stampa perché il titolo non gli piace (W la democrazia). Ancora una volta, come sempre da quando il premier vola nei sondaggi, si sente un gran stridio di unghie sugli specchi: prima Conte doveva parlare di più, anzi di meno; poi non doveva parlare dopo le 23; poi non doveva parlare su Facebook; poi non doveva parlare in ritardo; poi non doveva parlare con videomessaggi; ora non deve parlare in conferenza stampa. Fate la cortesia: dite una volta per tutte che non deve parlare mai. Anzi, non deve proprio esistere, perché ha il grave torto di non essere Draghi. Così la facciamo finita con tutte queste pippe.