Dal Vangelo secondo Wikipedia: il lievito è un impasto di farina e acqua sottoposto a una contaminazione spontanea il cui sviluppo crea una microflora batterica. Se sostituiamo lievito con Adamo ed Eva, farina con argilla, contaminazione con Dio e infine batteri con genere umano, otteniamo una pagnotta a forma di religione rivelata. Da qui nasce il sospetto che le persone non stanno razziando il lievito dagli scaffali dei supermercati per farci pane e pizza, ma perché sono in crisi religiosa. Dopotutto immaginare che la gente stia cercando di contenere la paura del virus con il Saccharomyces cerevisiae – il comune lievito di birra – ha qualcosa di primigenio. Una cosa tipo gli oceani infiniti del Panthalassa e il primo vagito silenzioso del brodo primordiale. Una roba talmente potente che mette paura. Come la religione.
Sarà che nessuno tranne Burioni sa bene come si faccia il lievito, sarà che pasticciare con batteri e muffe ti fa sentire una divinità creatrice, ma i fornai si stanno diffondendo molto più in fretta della malattia e questo fa riflettere. È capitato anche a me di averne bisogno. Si è trattato di una specie di groppo che mi è esploso poco sopra lo stomaco, tra il cuore e lo sterno. Assomigliava un po’ a quell’emozione che provavo quando ero a scuola e sapevo che stavano per interrogarmi su un argomento che avevo imparato a memoria, ma del quale non avevo capito assolutamente niente. Mi sono sentito così quando ho cercato un qualsiasi agente lievitante nel banco frigo, quando ho chiesto al commesso di fianco a me: “Mi scusi, non riesco a trovare il lievito. Saprebbe dirmi dov’è?”. Una domanda che prevedeva una replica semplice, tipo “A sinistra, di fianco alle torte in busta”, ma che ha sortito il verdetto: “Nessuno ci riesce. È esaurito ovunque”. Asciutto come una condanna a morte. Ci siamo guardati come due personaggi scritti male, entrambi in attesa di una battuta che ci tirasse fuori dall’impasse. Io con le mani sul carrello e lui con il suo carico di yogurt al tamarindo da sistemare, entrambi a chiederci se esistesse una risposta alla domanda non posta: “Che diavolo se ne faranno di tutto quel lievito?”. Già, perché a quesiti complessi preferiamo risposte semplici, tipo il lanciafiamme di De Luca o gli aperi-bollettini della Protezione civile delle diciotto. Necessitiamo di certezze più del pane e, quando ogni cosa diventa incerta, quando neppure i grandi esperti sanno dove sbattere la testa, torniamo alla base della nostra civiltà, ossia stare fermi e cucinare l’essenziale.
Non credevo che sarei vissuto abbastanza a lungo da vedere i forni di casa trasformarsi in chiese elevate al culto dell’autosufficienza. In fondo chi avrebbe mai immaginato che quei morbidi, giallognoli e puzzolenti cubetti di lievito di birra sarebbero diventati merce rara ai tempi del Covid-19? Nessuno, nemmeno gli scrittori più lisergici. Eppure eccoci qua: metà di noi che augura la muffa a chi è riuscito a procurarselo e l’altra metà che inforna come se nella pagnotta calda ci fossero le risposte alla vita, all’universo e a tutto quanto. Siamo tornati al passato senza nemmeno accorgercene e nei prossimi giorni, ancora orfani di un futuro noto e quindi confortevole, creeremo nuovi miti e ci ritrarremo come veneri dell’età della pietra, con pance gonfie di carboidrati e zuccheri polisaccaridi. I magri saranno i nuovi reietti e cacceremo dalle nostre tribù coloro che non sono stati capaci di infornarsi il pane quotidiano e credere in un nuovo rito. Fidatevi, quando tutto questo sarà finito, avere le mani in pasta assumerà un significato molto meno sinistro. Saremo buoni come il pane, candidi come la farina e puri come il sale. Ogni cosa cambierà: i capoccia di Netflix, Amazon Prime Video e Disney+ daranno mandato ai loro stagisti di mettersi a caccia di una sceneggiatura panificante. Ne usciranno successi come La casa di pasta e Breaking Bread, mentre gli apostoli di YouTube, che per primi hanno predicato il Verbo delle ricette per farsi il lievito di birra in casa, mieteranno consensi dalle legioni di adepti e innalzeranno templi alla pasta madre, unica e vera salvatrice della Patria. L’arena della prossima campagna elettorale sarà il panificio e i complottisti si chiederanno che fine hanno fatto i celiaci e riveleranno anonimamente chi sta dietro la lobby del glutine e che la terra non solo è piatta, ma ha pure una crosta croccante intorno. E noi, che abbiamo vissuto tutto questo, ci ritroveremo a pensare che tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come briciole sulla tovaglia e ci chiederemo se in fondo il virus non abbia paralizzato il mondo, ma l’abbia invece, finalmente, messo in fermentazione.