La tempesta infernale che si è abbattuta sull’Italia con il Covid-19 chiama in causa anche il regolare funzionamento del nostro sistema rappresentativo di cui il Parlamento è la prima, fondamentale espressione.
Va premesso che, per l’immanente “principio di continuità” gli Organi costituzionali – Parlamento, Presidenza della Repubblica, governo e Corte costituzionale – non cessano mai di funzionare: in particolare, i poteri del Parlamento, in caso di scioglimento, sono prorogati “finché non siano riunite le nuove Camere” (art. 61/2). Ne deriva che l’attuale tragedia pandemica non potrebbe in nessun caso paralizzare le funzioni delle Camere in quanto tali né quelle dei singoli parlamentari, anche se, nel fondato timore di contagio, una parte di essi rimanesse in lockdown e chiedesse di intervenire a distanza nell’esame e nelle votazioni in Aula dei disegni di legge. Il problema dell’ammissibilità di tale forma di partecipazione alle decisioni è sorto perché i presidenti delle Camere dubitano della sua legittimità costituzionale (anche se Fico si è chiesto se non sia possibile una interpretazione diversa della locuzione “presenza in Aula”). Si tratta però di un falso problema: infatti i Regolamenti parlamentari già prevedono per tutte le votazioni il voto elettronico (tranne che per la fiducia al governo: infatti il voto di fiducia nella seduta del 9 aprile è stato espresso con appello nominale dai 245 senatori presenti) sicché nulla vieta che, in casi straordinari – qual è la sanguinosa guerra al Corona Virus – esse possano svolgersi anche “da remoto” (smart working), evitando così che 320 senatori e 630 deputati vadano periodicamente in giro per l’Italia con tutti rischi che ciò per essi comporta. Del resto, il “click” elettronico premuto da lontano non è forse tecnicamente uguale al “click” elettronico premuto dai banchi dell’Aula? E ai fini della compiuta manifestazione di volontà del parlamentare, che differenza c’è tra la sua presenza fisica e la sua presenza elettronica realizzata attraverso i canali tv esclusivi, Skype, Whatsapp, video-conferenze, ecc? È necessario che anche i regolamenti parlamentari, nella loro applicazione, si conformino alla modernità secondo l’“interpretazione evolutiva” delle norme introdotta dalla storica sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione del 9 agosto 2018 n. 2685 per cui l’ordinamento giuridico, nel suo divenire, si deve adeguare al progresso tecnico e scientifico. Questa interpretazione, inoltre consentirebbe di applicare l’art. 64 della Costituzione nel senso che la presenza obbligatoria dei componenti delle Camere per le deliberazioni, ivi prevista, sarebbe assicurata, in situazioni eccezionali e sotto lo stretto controllo dei presidenti, con interventi “da lontano” (nella seduta del Senato del 1° aprile dedicata alle misure di contrasto all’emergenza del Covid-19 erano presenti in Aula soltanto dieci Senatori, ma è indubbio che molti degli altri 310, fisicamente assenti, avrebbero assicurato una ben più ampia partecipazione se avessero potuto essere presenti a distanza). Il Parlamento europeo (705 deputati in rappresentanza di 27 Stati membri) per impulso del suo presidente, l’italiano David Sassoli, ha già introdotto questo sistema “parallelo” nella seduta dello scorso 26 marzo che ha visto la partecipazione in video di oltre 600 deputati: perché non seguirne l’esempio?