“La mamma del signor Denti, il signore del primo piano, è morta di Coronavirus, lo sa?”. Nashat, il portiere egiziano del mio palazzo a Milano lo sussurra con la voce triste, mentre controlla la pila di lettere arrivate ieri. Da quando vivo qui ho incontrato non so quante mattine il signor Denti – un uomo gentile sulla sessantina – mentre usciva dal portone. “Vado a trovare la mamma, è qui davanti, ricoverata al Palazzolo Don Gnocchi. Le hanno dovuto amputare una gamba, non posso tenerla in casa con me purtroppo”, mi aveva spiegato una volta. Lina, sua mamma, aveva 95 anni. Lascio un biglietto sotto la porta del signor Denti, non è tempo di abbracci, questo: “Siamo dispiaciuti per sua mamma, sappiamo che le è stato sempre vicino”, scrivo.
La mattina dopo, il signor Denti mi telefona. “Grazie per il biglietto. Mia mamma era lì da due anni, io andavo da lei tutti i giorni. A fine febbraio hanno chiuso le visite ai parenti, ma io mia mamma la sentivo tante volte al giorno al telefonino. Dal 3 o 4 marzo al suo cellulare non rispondeva più. Chiamavo il Palazzolo e mi dicevano che aveva avuto un po’ di febbre, ma stava bene. Io chiedevo che le accendessero il cellulare, rispondevano sì, ma niente. Il 22 mi telefona la dottoressa Russo che lavorava al piano di mia mamma e mi dice che lei è a casa col Covid e che anche mia madre lo ha. Tre giorni dopo chiamano e mi dicono che mamma è morta col Coronavirus, non per. Di fatto mia madre aveva i suoi problemi, ma stava bene, ho il senso di colpa di non essermela portata a casa. E sicuramente il virus lo aveva da settimane, ma la direzione non ci ha informati. Lo ha detto al telefono a mia sorella una dottoressa chiamando da casa sua, assurdo”.
Il signor Denti mi spiega che la dottoressa ammalata abita nel palazzo di fianco al nostro. Trovo il nome “Antonella Russo” sul citofono, mi faccio aprire e suono alla sua porta. Ha i guanti e la mascherina, ha avuto 39,5 di febbre. “Sono ancora positiva”, mi premette subito. Resto fuori dalla porta, ci parliamo a distanza. “Ho fatto il tampone il 14 marzo. Ho saputo che ero positiva il 21 marzo e a quel punto ho avvisato tutti, anche il signor Denti. Con i miei pazienti ho un rapporto forte, li curo per anni, non è che poi vado a casa e mi scordo chi siano. Però guardi, non vedo più la tv per non arrabbiarmi, voi non potete capire cosa succede nelle Rsa”. “Me lo spieghi”, le dico. “Alla protezione civile non è fregato niente delle case di riposo. Noi abbiamo 1.400 pazienti, 700 in casa di riposo, il resto in medicina. Di protezioni non ne abbiamo mai avute. Ci hanno dato 100 mascherine a fine marzo per 400 dipendenti, ma io già ero a casa col Covid. Le usava chi aveva i sintomi”.
Quando è entrato il Coronavirus al Palazzolo? “Sa, a un certo punto ti giri e dici ‘Cacchio il paziente ha la febbre…’, ma non si pensava ancora al Covid”. Scusi, ma lì quando sono iniziate le febbri nei pazienti?. “A fine marzo..”. Dico che la data non torna visto che a fine marzo c’erano già dei morti e che la madre di Denti aveva febbre dai primi di marzo. “Il 10 di marzo un nostro medico era stato a casa con la febbre, ma nessuno aveva pensato al Covid”. Ma come è possibile? “Lei li sa tutti i sintomi del Covid?”. Abbastanza, il 10 di marzo poi le informazioni c’erano. Detto ciò, chi di voi operatori aveva i sintomi andava a lavorare? “Eh magari con la congiuntivite.. uno che ne sapeva”. Ma certo che si sapeva a marzo che la congiuntivite è un sintomo. “Ci sono anche le congiuntiviti allergiche. Noi siamo caduti come mosche e abbiamo dato il culo!”.
Quanti suoi colleghi si sono ammalati? “Tantissimi. Alcuni ora sono intubati o sotto ossigeno. Molti invece erano asintomatici. Quando dal 14 al 21 abbiamo fatto a tappeto i tamponi, nel mio reparto 8 su 15 erano positivi”. Se la media è questa e ci sono 400 operatori lì dentro, chissà quanti contagiati. E i pazienti? “Non puoi fare il tampone a 1.400 pazienti”. Quanti ne sono morti? “Boh. Io sono stata fino al 21 marzo, ne ho visti due nel mio reparto”. Se fino a quella data non avevate neppure le mascherine, chissà quanti oltre i 27 ufficiali.
“Guardi, anche la Asl mi ha chiamata chiedendomi quando ci hanno dato le protezioni. Ma a noi a che servivano le protezioni se non avevamo i sintomi? Nelle case di riposo non si devono mica mettere le mascherine”. C’era un’epidemia in corso. “Tanto non c’erano. Abbiamo lavorato un mese senza alcuna protezione, ci dicevamo: ‘Ragazzi tra un po’ ce l’avremo tutti’”.
Alcuni dipendenti del Palazzolo hanno depositato denuncia contro la direzione. “Sono quelli della cooperativa Anpals. Degli idioti. Perché denunciano il Palazzolo e non la cooperativa?”. Non ci sono state carenze da parte della direzione? “Io ho visto la disperazione in tutti, anche nella direzione”.
Perché la direzione non informava i parenti? “È così importante? La direzione non sa neppure chi siano i pazienti. I miei li chiamavo io. Guardi, è come se per forza qui si volesse trovare l’errore”.
Beh, la gestione della direzione ha avuto gravi lacune.
“Secondo me ha avuto lacune il Covid”.
Scusi?
“Ha sintomi difficili da riconoscere, dopo 20 giorni un po’ li riconoscevo, ma la prima settimana no”.
E mica si devono riconoscere i contagiati ad occhio, servono i tamponi.
“Anche in aeroporto si misura la febbre eh, mica si fa altro”.
Ma voi eravate una struttura con dentro migliaia di pazienti fragili. Alcune strutture da febbraio usavano precauzioni.
“Non le avevamo. Dovevamo abbandonare i pazienti?”.
La struttura poteva denunciare la situazione alla Asl. Ai parenti.
“Senta, io per 21 giorni al lavoro andavo in bagno e sentivo piangere tutti. Chiamavo i parenti e il dialogo era: ‘Tuo marito morirà’. ‘Di Covid?’. ‘È possibile, tuo marito ha 91 anni, è possibile che muoia di Covid come di tante altre cose’. ‘Gli avete fatto il tampone?’. ‘No, cosa glielo facciamo a fare. Anche fosse che cambia?’”.
E quando i pazienti stavano male chiamavate il pronto soccorso?
“Il pronto soccorso? Ma va. Io da me avevo un paziente di 52 anni, tra l’altro un comico abbastanza famoso, positivo al Covid, ho chiamato in ospedale e mi hanno detto che se non era in insufficienza respiratoria non lo prendevano. Una paziente è caduta, si è fratturata un braccio e mi hanno detto, dottoressa, il braccio glielo sistemi come può, non ce la mandi. Se la manda qui ora è morta”.
E gli anziani Covid in insufficienza respiratoria?
“Ma noi tendenzialmente un anziano non lo mandiamo al pronto soccorso. So curarlo meglio io”.
E se va intubato?
“Non li intubano. Il papà di una mia amica, 78 anni, solo perché lei è di una famiglia molto importante lo hanno intubato. Alle Betulle, però, a 1.500 euro al giorno”.