Qual è l’ultima volta che siamo stati abbracciati? Che siamo stati toccati per davvero? Fra i cinque sensi, il tatto è il più antico, il più archetipico, poiché esso è prima di noi, precede cioè la nascita, e la nostra esperienza cosmogonica ha inizio attraverso il calore di due corpi a contatto. Per questo “abbracciare” è un verbo esigente, arduo da illustrare, che racchiude un fascio di significati inattesi che vanno dal sentire qualcosa al toccare qualcuno. Oggi viene giustamente ascritta alle espressioni corporee da evitare, uno dei territori eletti di contagio, ma non è solo questo. L’abbraccio non è una parola-spettro che ci trasforma in tanti Atteone che profana la seduttiva e fatale Diana al bagno.
Chi ha la fortuna di trascorrere questa quarantena in famiglia, può rifugiarsi nella vicinanza di qualcuno, ma chi tra noi è solo, lontano dagli affetti più cari, come fa, destinato com’è a smarrire la memoria del corpo, il proprio e quello altrui? Di un bacio, certo importante ma in qualche modo confinato nell’amore a due, anche per colpa dell’apostrofo rosa e compagnia bella di Cyrano de Bergerac. Del sesso, piacevole, ovvio, ma una volta appagato esso è troncato (e non è retorica, è biologia). È invece l’abbraccio nella sua metonimia insaziabile – il gesto, la carezza, la durata, la ripetizione –, è lui la specie di amore di cui necessitiamo: l’amore civile.
Sapremo ancora abbracciarci dopo aver attraversato questo scenario di solitudine forzata nelle nostre esistenze a due metri di distanza? Oppure il fantasma del virus ingofferà un atto così naturale, primario? Primario, sì, ma anche materno, come mostra tutta l’iconografia mariana nell’Arte: la confidenza giocosa nella Madonna Benois di Leonardo, in cui Maria sorride e gioca con il piccolo Gesù, o lo stretto e fisico legame nella Madonna della Seggiola di Raffaello, in cui il Bambino poggia serafico la fronte sulle gote della Vergine che lo serra d’istinto a sé.
All’Arte chiediamo ai tempi del Coronavirus di tenere vivo il ricordo di cos’è un abbraccio, un’immagine così universale da essere letterale. Se dal Rinascimento facciamo un salto di secoli fino alla Secessione Viennese di Gustav Klimt e al suo Le tre età della donna, vedremo come la tenerezza resta immutata: una madre, gli occhi chiusi in estasi, coccola un neonato portandoselo al corpo nudo, niveo, le gote imporporate e le labbra rosee come i capezzoli appena accennati. Tutto, nel loro abbandono, ci dice che l’abbraccio è bisogno e, scriveva Lacan, “il bisogno è sempre bisogno dell’altro”.
Anche gli innamorati si abbracciano con le gote imporporate dal desiderio come Paolo e Francesca di Artemisia Gentileschi. In Amore e Psiche di Antonio Canova si rincorrono, mentre in Fugit Amor di Auguste Rodin due figure sono aggrappate una all’altra, come trascinate da una corrente invisibile a cui non sanno opporsi. La stessa forza ancestrale sembra, invece, incollare gli amanti delle sculture di Cristian Brancusi che nel gruppo Il bacio si fondono in modo embrionale: due blocchi vagamente antropomorfi che solo nella nudità della pietra si allacciano da due coppie di braccia. Il disarmo davanti all’altro, la rinuncia a ogni di possesso di sé per offrirsi all’altro nell’abbraccio, è quanto ci permette di volare, come in Capra che suona il violino di Marc Chagall, in un cielo blu sopra la città in compagnia dell’amato; o di deflagrare il nostro corpo e ricomporlo nell’altro come in L’Abbraccio di Picasso.
Ma l’abbraccio esprime soprattutto un sentimento plurale, basta pensare ai cortei di putti e fanciulli che ornano i sarcofagi romani, o anche bacchico come ne Il baccanale degli Andrii di Tiziano dove il contatto fisico, insieme al vino, narra la festa del corpo. Tuttavia, non occorre per forza serrarsi per abbracciarsi davvero. L’Arte, il cui compito non è solo piacerci – il piacere è un mediatore così inaffidabile – ma modificarci, lo spiega in opere quali Bal au moulin de la galette di Pierre-Auguste Renoir: uomini e donne, si toccano, si guardano, sorridono, danzano, parlano, tubano, si amano socialmente. Chi potrebbe dire che non s’abbraccino?
La potenza dell’insieme, di un insieme sociale oggi così vivo, la emana anche Il quarto stato di Giuseppe Pelizza da Volpedo, uno dei quadri che meglio ci offre l’essenza dell’amore civile: il popolo che avanza verso il futuro.
Certo la lezione dell’arte, planando in una zona indefinita del cuore, può aiutare a riparare le nostre esistenze, ma non smettiamo mai di avanzare verso il futuro. Poiché solo la vita supera la vita.