Una volta c’era la gogna, ora ci sono le pagine istituzionali dei Comuni o le piazze davanti ai municipi. Ci sono i poveri due volte, senza un euro e senza privacy. Poveri e quindi costretti a elemosinare i buoni spesa di poche centinaia di euro per mangiare durante l’emergenza Covid-19. Poveri perché, per ottenere il ticket e mettere qualcosa a tavola, il loro nome o la loro faccia deve andare in pasto al pubblico ludibrio, sul web o per strada. Zero riservatezza. E benzina sotto il fuoco delle delazioni anonime: tutti sono chiusi in casa, tutti si connettono a Internet, c’è chi va sul sito comunale, legge, denuncia sui social: “Perché tizio ha avuto il buono? La data di nascita è strana…”. Forse qualcuno dei beneficiari ha fatto il furbetto. Forse qualcuno potrebbe passare meglio il suo tempo invece di andare a caccia di disgraziati. Ci sono miserie e miserie.
A Gragnano, quasi 30 mila abitanti in provincia di Napoli, sul sito del Comune hanno pubblicato il file pdf con i nomi, cognomi e le date di nascita delle 701 persone ammesse a ricevere il buono spesa. 701 signori e signore a cui d’ora in poi si potrà attribuire una patente di povertà certificata. Nell’ultima colonna del file Excel non è indicato l’importo, da calcolare in un momento successivo “secondo la composizione del nucleo familiare”, si legge. E c’è chi ha fatto partire la catena di Sant’Antonio dei sospetti intorno a questa misura di emergenza che il governo Conte ha affidato alla cura dei comuni. “La legge impone di pubblicare i beneficiari di importi pubblici” taglia corto il sindaco di Gragnano Paolo Cimmino “il dirigente dei servizi sociali ha ritenuto di fare così in base a un obbligo normativo”. Cimmino ha ragione. Pudore e ragioni di privacy, però, hanno suggerito alla quasi totalità delle amministrazioni comunali di non mettere sul portale l’elenco. O almeno di fare come il comune di San Giorgio a Cremano, famoso per avere dato i natali a Massimo Troisi: il file c’è, ma dei 411 beneficiari ci sono solo le iniziali.
“In ogni amministrazione ci sono opposizioni e i consiglieri già mi hanno chiesto l’elenco degli ammessi per fare verifiche – spiega il sindaco Giorgio Zinno – In teoria se il dirigente non pubblica l’elenco può andare incontro a conseguenze davanti alla Corte dei Conti. Io ovviamente passerò alle opposizioni solo l’elenco punteggiato, solo gli uffici hanno i dati completi. La norma ci imponeva la pubblicazione, ma abbiamo fatto un passo verso la tutela della privacy. E poi abbiamo deciso di impiegare i dipendenti comunali in smart working per la consegna a domicilio del buono spesa dopo aver concordato al telefono un orario. Tre squadre in tre giorni completeranno tutto entro tre giorni e così eviteremo code davanti al municipio”.
Esattamente il contrario della discutibile scelta del sindaco di Civitanova Marche, Fabrizio Ciarapica, che ha fatto sfilare per tre giorni 600 persone alla volta da piazza XX Settembre fino a Palazzo Sforza per compilare la domanda per i buoni spesa. I poveri, 1.300 persone in carne e ossa, impaurite di non fare in tempo, sono rimaste accalcate sotto il porticato del palazzo in barba al divieto di assembramento dalle 8 del mattino fino alle 10:30, apertura dell’ufficio comunale.
Una decisione rivendicata dal primo cittadino, candidato di Salvini alla Presidenza delle Marche, con questa incredibile spiegazione: “Non tutti possono spedire una email da casa e spendere soldi per il telefono”. Ci sono povertà e povertà. C’è quella di chi ti costringe a sfilare, c’è quella di chi ha sfilato nella piazza della città, ma a testa alta.