Il furbetto della mascherina: “È una guerra, noi ci siamo”

“Ci troviamo in tempi di guerra (…) Noi ci siamo lo stesso, vedi?”. E in tempi di guerra Antonello Ieffi, imprenditore di Cassino, si è aggiudicato “con frode” – secondo le accuse – la fornitura di 24 milioni di mascherine chirurgiche, vincendo un lotto di una gara Consip bandita il 9 marzo. Dispositivi di protezione mai consegnati, “causando un danno grave alla salute pubblica, avendo fatto perdere giorni preziosi nell’acquisizione delle oggi indispensabili mascherine”.

Ieffi è il primo arrestato per reati contro la Pubblica amministrazione per l’emergenza Coronavirus. Accusato di turbativa d’asta e inadempimento di contratti di pubbliche forniture, nei suoi confronti il gip Valerio Savio ha emesso un’ordinanza di misura cautelare in carcere “a termine”: durerà 40 giorni e poi Ieffi, se non ci saranno prima atti intermedi come il ricorso al Tribunale del Riesame, tornerà libero. Anche questa è una misura eccezionale: il timore è che il virus possa irrompere nelle carceri, già sovraffollate. Ieffi non è nuovo alle cronache: con un passato anche da rotocalchi rosa per flirt da copertina come quello con l’attrice Manuela Arcuri, il suo nome finì sui giornali perché ritenuto vittima in una vicenda di recupero di un credito di cui era mandante Tamara Pisnoli, ex moglie del calciatore Daniele De Rossi (il processo alla Pisnoli è in corso).

 

Inviò un’e-mail a Di Maio, “Mai risposto”

Al centro della vicenda c’è dunque la gara Consip bandita il 9 marzo “per l’affidamento di accordi quadro per la fornitura di dispositivi di protezione individuale e apparecchiature elettromedicali”. Un appalto da 253 milioni di euro, suddiviso in 18 lotti. Ad aggiudicarsi il lotto 6 per la fornitura di oltre 24 milioni di mascherine (importo complessivo di 15,8 milioni di euro) era stata la Biocrea società agricola, di cui Ieffi è stato amministratore unico da ottobre 2010 a febbraio 2020. Dopo la pubblicazione del bando Consip, secondo i pm, avviene il trasferimento della rappresentanza legale della società ad una donna, ora indagata, “al solo scopo – scrive il gip – di occultare la riconoscibilità della Biocrea allo stesso Ieffi che di fatto continuava ad amministrarla”. Aggiudicatasi la gara, quindi la Biocrea avrebbe dovuto consegnare entro tre giorni dall’ordinativo la prima tranche di mascherine, 3 milioni. Che però non arrivano. Ieffi – come ricostruito dalle accuse – si giustifica asserendo problemi relativi all’arrivo in Italia della merce che si trovava all’aeroporto cinese di Guangzhou Baiyun. Quando poi è scattata l’ispezione dell’agenzia delle dogane, ci si è resi conto che di quel carico non vi era traccia. Non solo. L’imprenditore, secondo la ricostruzione dei pm, aveva anche rassicurato la Consip spiegando anche di aver inviato il 16 marzo “una comunicazione all’onorevole Luigi Di Maio” per risolvere il problema legato all’importazione. Ieri la Farnesina ha precisato che Di Maio non ha risposto a quella email, che è stata inoltrata ai vertici della Protezione Civile e alla struttura del commissario Arcuri.

Dopo la denuncia della Consip sono iniziate le indagini della Finanza che ha scoperto come la Biocrea – peraltro con oggetto sociale “coltivazioni di fondi, allevamento di animali e attività connesse” – non disponeva “in alcun modo della operatività, oltre che della capacità economica e finanziaria”. Così quella di Ieffi per il gip è stata “una manovra spregiudicata e d’azzardo (….) oggettivamente giocata sulla salute di chi attendeva le mascherine”.

 

Cambia cavallo: partecipa a un’altra gara

Ma non è finita. Perché dopo che l’aggiudicazione per la fornitura di mascherine viene revocata, l’imprenditore “rilancia e cambia cavallo, partecipando con altra società ad altra gara pubblica bandita dalla stessa Consip e questa volta per più lotti, tra cui uno, quello per i camici, per 62 milioni di euro di valore della merce”. Fatti questi non contestati.

Ieffi così è stato intercettato fino a pochi giorni fa. Il 2 aprile al telefono diceva: “Ci troviamo in tempi di guerra (…), noi ci siamo lo stesso… vedi?”. Nella stessa intercettazione poi spiega i propri contatti con la Cina: “Io importo da anni il fotovoltaico dalla Cina… quando c’è stata l’emergenza, ho chiamato le ditte giù… per dire, ma avete le mascherine, ’sta roba… e mi sono messo in mezzo a questa cosa qua (…) perché intanto fai del bene… è una emergenza”. E poco dopo aggiunge: “So’ numeri esageratamente grandi…(…) Ho detto, perché non ci proviamo?”. E Ci ha provato davvero.

Cabaret Pir(el)lone

Milano e la Lombardia tutta sono da sempre terra di grandi comici, dai maestri Fo, Gaber, Jannacci, Viola, Funari e i Gufi, agli allievi Cochi e Renato, Paolo Rossi, Abatantuono, Teocoli, Iacchetti, Boldi, Bisio &C.. Ora purtroppo, ridotti come siamo, dobbiamo accontentarci dei sindaci Beppe Sala “Milanononsiferma” e Giorgio Gori “TuttiacenadaMimmo”, ma nel ruolo di comparse perché, fortunatamente, non hanno voce in capitolo nella sanità che, disgraziatamente, è tutta roba delle Regioni. E lì il capocomico è il leghista Attilio Fontana, in arte “Umarell”, con l’inseparabile spalla Giulio Gallera, detto anche “Compro-una-consonante”. Ma da ieri una nuova stella brilla nel cast del Nuovo Cabaret Pir(el)lone: il leghista Emanuele Monti, presidente della Commissione Sanità e Politiche Sociali. In pratica, se non bastano i fratelli De Rege a fare danni, arriva Monti. Ieri il giovanotto ha pensato bene di commentare in un video la replica di Gallera alle accuse dei presidenti di tutti gli Ordini dei medici lombardi. Era difficile peggiorarla, perché le scempiaggini di Gallera contro i medici parevano insuperabili (specie in bocca a chi accusava Conte di delegittimarli con le critiche all’ospedale di Codogno), ma Rizzo è riuscito nell’ardua impresa.

Sentite che genio: “L’Ordine dei medici dimostra di essere diventato un sindacato a servizio del Pd e non un organo indipendente e autonomo”; fa “polemiche ingiuste” che “sono un’offesa a tutti i Lombardi abbandonati dallo Stato centrale”; e “proprio quando è ancora più difficile andare avanti perché, oltre all’emergenza che continua, subentra la stanchezza di tutte le settimane passate senza riposo, arriva questa (sic) vero e proprio atto d’accusa contro la nostra Regione”. Tralasciamo il seguito del delirio, perché già in queste cinque righe si concentra una densità di minchiate da Guinness dei primati. 1) L’Ordine dei medici non è un “sindacato”, tantomeno “a servizio del Pd”, ma l’albo professionale di tutti i medici, che in Lombardia si suppone votino in maggioranza Lega o comunque centrodestra. Ma ora esistono ottime probabilità che, dopo le parole di Gallera e Rizzo sul loro asservimento al Pd (che in Lombardia non tocca palla da ben prima di esistere), molti di loro si abbandonino a gesti inconsulti, tipo votare Pd. 2) L’idea che un ordine professionale, per essere un “organo indipendente e autonomo”, debba leccare il culo a Fontana, Gallera e Rizzo, può scaturire soltanto da una mente molto malata, e non di coronavirus. 3) Non si vede perché “tutti i Lombardi” dovrebbero sentirsi “offesi” dall’Ordine dei medici.

Questo infatti muove rilievi tecnici, non politici, agli incapaci che sgovernano la Lombardia: infatti nulla dice contro la giunta Zaia. Semmai i lombardi si sentono offesi da chi non ha fatto nulla di serio e di utile contro il Covid-19, a parte gettare donazioni milionarie nel celebre Bertolaso Hospital con ben tre pazienti e conquistare il record mondiale di morti. 4) Che i lombardi siano stati “abbandonati dallo Stato centrale” è una tesi come un’altra; ma purtroppo non attacca, visto che i lombardi medesimi sono abituati a sentir vantare la loro “sanità modello” come “fiore all’occhiello che il mondo ci invidia” dai politici forzaleghisti, frutto della mitica “autonomia regionale” che costoro volevano addirittura ampliare con secessioni, devolution o autonomie differenziate. Se la sanità è regionale e la Lombardia è autonoma perché “meglio fare da sé”, vale non solo quando fioccano gli applausi (peraltro immeritati), ma anche quando piovono fischi, denunce, accuse e avvisi di garanzia. 5) Se le “polemiche” arrivano “proprio in questa fase delicata, quando subentra la stanchezza di tutte le settimane passate senza riposo”, è perché i medici piangono già oltre 100 morti, quasi tutti lombardi e vedono una Regione in balìa degli eventi, senza l’ombra di una strategia, e sperano in un’inversione di rotta subito.

Ma sarebbero ben lieti se i fratelli De Rege e il Monti si prendessero un po’ di riposo: già il fatto di saperli lontani dalle stanze dei bottoni potrebbe rincuorare il personale sanitario, oltre a evitare danni ulteriori. Se i tre cabarettisti si fossero riposati fin dall’inizio, la Lombardia si sarebbe risparmiata l’ordinanza che spediva nelle residenze per anziani i degenti Covid dimessi dagli ospedali ma ancora contagiosi. E anche il pappa-e-ciccia Regione-Confindustria che ha bloccato la zona rossa ad Alzano e Nembro dal 22 febbraio (primo contagio accertato) all’8 marzo (dl Chiudi-Italia). E magari Fontana&Gallera avrebbero scoperto con 40 giorni d’anticipo la famosa legge 833 del 1978 che, in materia di “igiene e sanità pubblica” (art. 2 comma 3), recita: “Sono emesse dal presidente della giunta regionale o dal sindaco ordinanze di carattere contenibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale”. Quindi, se è vero (e non lo è) che lo sgovernatore &C. volevano la zona rossa in Val Seriana, dovevano procedere in autonomia anziché aspettare il governo: come l’Emilia-Romagna, il Lazio, la Campania, la Calabria e la Sicilia, che si son fatte le proprie zone rosse senza scaricare barile su Roma. Con un adeguato periodo di relax, poi, il povero Gallera avrebbe scoperto un dettaglio ancor più sconvolgente: la legge in questione, che dice di aver “avuto modo di approfondire” solo tre giorni fa, non è una legge come un’altra. Si intitola “Istituzione del servizio sanitario nazionale”. Cioè è la legge che regola i poteri degli assessori regionali alla Sanità. Cioè i suoi. Sempreché, si capisce, qualcuno l’abbia avvertito che, per quanto bizzarra possa apparirgli la circostanza, l’assessore alla Sanità è lui.

Folena, l’accademico della Crisi che ha riscritto la storia della lingua

Basterebbe leggere il saggio che il professor Gianfranco Folena ha dedicato al termine “monello” per comprendere tutto il mondo concettuale e pratico che si intende riassumere con quella disciplina che chiamiamo Storia della lingua italiana (una calibrata mescolanza di italianistica, linguistica, filologia romanza e storia della cultura) e di cui Folena è stato uno dei più grandi ed espressivi studiosi.

Nato il 9 aprile 1920 a Savignano (Cuneo), formatosi a Firenze sotto la guida di Bruno Migliorini, e spentosi nel febbraio 1992 nella “sua” Padova, nella cui università insegnò per molti anni – divenendo un vettore della cultura umanistica con la fondazione de “Il circolo filologico linguistico padovano”, a cui studiosi di tutto il mondo accorrevano ogni settimana per esporre le loro ricerche – ricorre oggi il centenario della sua nascita. Da qui, infatti, partiranno i momenti di studio a lui dedicati voluti dal Comitato nazionale per le celebrazioni, presieduto da Claudio Marazzini (presidente dell’Accademia della Crusca), composto da Roberto Antonelli, Luca Serianni e altri colleghi.

Socio nazionale della Crusca, Folena fu rigoroso direttore della collana “Scrittori d’Italia” per Laterza. Tuttavia, vale proprio la pena riscoprire di questi tempi i suoi libri, e non soltanto per l’estensione temporale e geografica dei suoi interessi, tutti toccati con lucidità. Dunque sia le questioni gergali dell’italiano, dedicandosi allo studio del toscano, del veneziano e del siciliano in testi come Culture e lingue del Veneto medievale (1990) o Cultura e poesia dei siciliani (1980); come pure l’analisi dei neologismi, per così dire, endogeni ma anche dei prestiti dalle altre lingue. Si è interessato perfino alla tematica della traduzione in Volgarizzare e tradurre (1991), a partire dal medievale volgarizzare fino al tradurre umanistico (è il primo che lo fa riferire al latino traducere, trasportare, utilizzato in un trattato dallo scrittore Leonardo Bruno, nel 400); e anche alla retorica del linguaggio pubblicitario.

Non è solo per questo. Ma è soprattutto perché il centro da cui l’opera di Folena s’irraggia oggi più luminosa che mai è il concetto di crisi, così attuale. I secoli preferiti di Folena in cui indagare erano, infatti, il 400 e il 700, che sono i due secoli di crisi della lingua italiana. Nel primo, l’italiano è attaccato dal latino umanistico, nel secondo dal francese. Il senso che Folena dà al termine “crisi” è del tutto positivo – non ancora guastato dalla retorica mediatica degli ultimi vent’anni –, come momento di evoluzione, di crescita. Non a caso, intitola il saggio sulla crisi dell’italiano nel 700 Il Rinnovamento linguistico del Settecento italiano, contenuto nella raccolta L’Italiano in Europa (1983). Ma poiché non siamo soli, tanto sulla Terra come pure nella lingua, le medesime crisi hanno attraversato anche gli altri Paesi colti europei.

Non sembra a tutti uno scenario attuale? Le crisi culturali di cui parla Folena, sono state crisi salutari, alla fine, perché hanno rivestito un ruolo cruciale nello scolpire via via che i secoli avanzavano i caratteri comuni delle lingue d’Europa. E se, in tempi di pandemia, il tema della convergenza europea, focalizzare più i punti di contatto che le disgiunzioni, si spostasse dalla lingua alla cultura e infine alla civiltà europea?

Folena sarebbe d’accordo, lui che ha scritto nel 1985 nella Premessa al primo numero dei Quaderni di poetica e retorica: “La scrittura è nata originariamente per rendere possibile la comunicazione a distanza nello spazio e/o nel tempo”.

La fortuna ci troverà di nuovo e ti faremo il culo, Coronavirus

Pubblichiamo un estratto del contributo di Silvia Truzzi all’e-book “Andrà tutto bene”, disponibile su tutte le maggiori piattaforme digitali.

Nei primi giorni pensavo che tu fossi un accidente di passaggio. Non credevo a chi avvertiva il presentimento di un disastro, alle allarmate raccomandazioni telefoniche della mamma. Invece mi sbagliavo: sei uno stronzo aggressivo e invadente. Ci hai precipitati in un baratro sconosciuto, in un burrone di limitazioni, di paura, di privazione delle libertà. Una voragine che sembra non avere fine e a cui non eravamo preparati.

Abbiamo vissuto con il culo in un panetto di burro, pace, benessere, agi: siamo rimasti, collettivamente, bambini. Poi sei arrivato tu, stronzo, e ci hai fatto scoprire che eravamo fragili e impreparati. All’improvviso, la nostra infanzia era finita. Hai sollevato il velo dell’ipocrisia con cui pensavamo di proteggerci. Ma non credere che ti faremo sconti solo perché manifestandoti ci hai detto la verità. Certo, avremmo dovuto saperlo da soli: siamo formiche, non giganti. Non illuderti, la sincerità non basterà a farti perdonare. (…)

Confesso che mi spaventi. Ho paura per le persone che amo, per il mio sentirmi indifesa, esposta. Ti odio per la diffidenza che mi induci a provare verso gli estranei. Vado a fare la spesa e nel mio orizzonte vedo possibili veicoli d’infezione, non esseri umani. Non sorrido a nessuno. Ogni gesto che faccio, fuori di casa, è un atto di autotutela. Esco vestita come un apicoltore, senza un centimetro di pelle esposta. Porto sempre gli occhiali da sole per proteggere gli occhi e negarli agli altri. L’altra notte, a luce spenta, Marco mi ha chiesto: questa puzza di Amuchina sei tu? Ci hai ridotti a ostaggi di una paura che puzza di disinfettante. Al supermercato ho incontrato due persone che conosco: non mi sono fatta riconoscere perché temevo di essere costretta a parlare con loro, e non volevo essere distratta dal compito di fare la spesa, per il quale mi concentro come si trattasse di un’operazione a cuore aperto. Comprare cose più sane, più a lungo conservabili e contemporaneamente non stare vicino a nessuno, toccare la merce il meno possibile. Mi disprezzo per l’incapacità che ho di ricondurre le mie preoccupazioni alla ragione. Non sono mai stata un cuor di leone, nemmeno don Abbondio, però. I giorni peggiori sono quelli in cui sono costretta a uscire. La prospettiva è in sé liberatoria: fare quattro passi fino al supermercato o alla farmacia sembra un fatto di tutto rilievo. Timidamente, con mille cautele e retropensieri, si affaccia la voglia di guardare fuori e vedere cos’è successo di nuovo. Perché di cose ne succedono anche quando apparentemente non accade niente. Tipo che in una settimana gli alberi si sono coperti di foglie verde acido. E ci sono dei fiorellini nelle aiuole di Sant’Ambrogio. Il guaio è che fuori ci sei anche tu.

Appena uscita dalla porta cominciano gli ostacoli, sotto forma di dubbi (dubbi di incomparabile idiozia, bisogna dire). Te ne racconto uno: anche se ho i guanti e li butterò non appena rientrerò in casa, è meglio schiacciare il pulsante dell’ascensore con il gomito o con l’indice? In coda per entrare al supermercato indirizzo occhiatacce a chiunque si avvicini a me più di quattro metri. Accelero il passo, mentre il cuore accelera a sua volta, se solo vedo qualcuno che cammina verso di me, pensando: ma non lo sai che bisogna stare lontani? Cambio lato della strada. Tratto gli altri in un modo che mi fa vergognare. Mi ritrovo a pensare che l’aria può portarti da me in qualunque momento, con un soffio leggero e invisibile. Perché non ti vedo, non ti conosco, perché sei un cazzo di microorganismo. Anzi sei un microbo. Il paradosso in cui ci hai gettati è che per stare vicini agli altri, bisogna stargli lontani.

L’idea di scriverti mi è venuta da una canzone di Lucio Dalla, il cui inizio, però, è del tutto incongruente con questa mia. “Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’”. Non sei amico, non sei caro e non voglio distrarmi. Anche perché mi accorgo che distrarmi è la mia ginnastica preferita. Prima tutto andava bene pur di non pensare. E allora ti scrivo, così mi proteggo un po’. Non da te, da me. (…)

Ci hai rivelati a noi stessi nella nostra miseria, nella nostra inermità, nel nostro arrogante nulla. Ma la fortuna ci troverà di nuovo, quando avremo una cura, magari un vaccino.

E allora sì che ti faremo il culo, Covid19.

Da Moretti a Tom Cruise: non ci resta che aspettare

Arriveranno. Non sappiamo per tutti quando (tra uscite annullate e procrastinate) e come (theatrical e streaming), ma arriveranno: in fondo al tunnel dell’emergenza Coronavirus, c’è una luce ed è quella del proiettore. Ancor più lungamente attesi, ecco i titoli del 2020: dai film d’autore ai blockbuster, dai reboot agli instant cult, ce n’è per tutti i gusti, Covid-19 permettendo.

No Time to Die. Titolo irriguardoso e menzognero ai tempi della pandemia, sicché il venticinquesimo film di James Bond è stato il primo a levare le tende: l’avremmo dovuto trovare oggi nelle nostre sale, viceversa, arriverà il 12 novembre. Location anche italiane, 007 affidato per l’ultima (?) volta a Daniel Craig, alla regia Cary Fukunaga, Rami Malek per cattivo: gli ingredienti ci sono, ma il cinema non sarà più lo stesso. Mission impossible?

Tre piani. Doveva uscire il 23 aprile, per poi transitare in Concorso a Cannes, invece trasloca in autunno, e forse prima alla Mostra. Il primo adattamento di Nanni Moretti, dall’israeliano Eshkol Nevo, non era/è l’unico italiano atteso sulla Croisette: Lacci, da Domenico Starnone, di Daniele Luchetti, Il buco di Michelangelo Frammartino e, forse più veneziane, Le sorelle Macaluso di Emma Dante e Miss Marx di Susanna Nichiarelli.

Soul. Non di solo live-action vive lo spettatore, ad animare l’offerta ci pensa Disney-Pixar: previsto il 5 marzo sul grande schermo, Onward – Oltre la magia è finito su Disney+ negli Usa, da noi si attende destinazione d’uso, mentre Soul non abdica al 16 settembre. Storia di un’anima separata dal corpo, Soul è diretto da Pete Docter, quello di Monsters & Co., Up e Inside Out, che ha rimpiazzato John Lasseter ai vertici della Pixar.

Tenet. Uno dei, se non il, film dell’anno: titolo misterioso, genere spionaggio, budget da 205 milioni di dollari, impianto colossale, firma Christopher Nolan, la cosa più vicina a Stanley Kubrick che abbiamo oggi. All’undicesimo film dà a John David “Figlio di Denzel” Washington il ruolo del protagonista, a se stesso la rinnovata licenza di ficcarci in testa, e negli occhi, un’idea: dal 17 luglio negli Usa, dal 18 settembre in Italia.

The French Dispatch. In predicato per Cannes – insieme, Apple permettendo, a On the Rocks dell’amica Sofia Coppola – il nuovo lavoro di Wes Anderson è il solito, caro, vecchio Wes Anderson: cast grandi firme, da Elisabeth Moss al prezzemolino Timothée Chalamet (Zeffirelli), e regia compito-fighetta per un peana alle virtù del giornalismo, complice l’eponimo The French Dispatch Magazine. Slittato al 16 ottobre.

Dune. Il 17 dicembre sarà la volta del remake di un classico di fantascienza, tratto dal romanzo (1965) di Frank Herbert e diretto da David Lynch nel 1984. Dirige un provato talento, Denis Villeneuve, mentre il protagonista Paul Atreides compete a Timothée Chalamet: nel cast all star Josh Brolin, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Javier Bardem, Jason Momoa, Dave Bautista e Zendaya, aspettative elevate.

West Side Story. Per il suo primo musical, Steven Spielberg torna a quello celeberrimo generato a metà anni Cinquanta da Laurents-Sondheim-Bernstein e trasposto al cinema nel 1961 con Natalie Wood. Ansel Elgort e Rita Moreno, i Jets e gli Sharks, e tante promesse da mantenere: dal 18 dicembre negli States.

Top Gun: Maverick. Trentaquattro anni dopo, il capitano Pete “Maverick” Mitchell, alias Tom Cruise, avrebbe dovuto planare sulle nostre sale il 15 luglio, ma la pandemia dilaziona i piani di volo: il 23 dicembre negli Usa, da noi a rimorchio. Alla regia John Kosinski, Val Kilmer presente, nel budget di produzione 152 milioni di dollari: laddove non ci sono riuscite le quasi 58 primavere, a tenere a terra Cruise ci pensa il Covid-19. Per ora.

Annette. Roba per intenditori, il nuovo progetto dell’ex enfant terrible Leos Carax: lo stand up comedian Adam Driver e la moglie cantante d’opera Marion Cotillard, la loro piccola figlia dai poteri magici, un musical di lunga gestazione e, complici i pezzi degli Sparks, eco duratura. La Croisette l’aveva prenotato, per l’uscita, Prime Video o sale, decide Amazon.

Gli Eterni. Marvel tiene a battesimo la saga degli Eternals, che vale – si spera – come recap dei film precedenti. Angelina Jolie, Salma Hayek, Richard Madden e Kit Harington nel cast, alla regia Chloé Zhao, il botteghino però dovrà attendere: il 6 novembre arriverà Black Widow, Gli Eterni trasla al 12 febbraio 2021.

@fpontiggia1

Sanders lascia la corsa. Sleepy Joe resta solo a sfidare Donald Trump

Se non ci fosse stato il virus, la sua corsa sarebbe andata avanti più a lungo, perché Bernie Sanders faceva campagna non tanto per ottenere la nomination, ché forse non ci credeva più neppure lui, ma per portare avanti le sue idee e riuscire a piazzarne qualcuna nei programmi elettorali di un partito più attento ad apparire moderato che di sinistra. Con il virus, la campagna come l’intende Sanders, comizi e incontri con la gente, è praticamente finita: la stagione delle primarie è “congelata” fino a maggio – e se si vota, come martedì nel Wisconsin, per ordine dei giudici, si deve poi attendere una settimana per conoscere i risultati –, quanto alla convention di Milwaukee è slittata da luglio ad agosto e potrebbe divenire virtuale.

Il ritiro di Sanders, che l’8 settembre avrà 79 anni, è un addio probabilmente definitivo al sogno della Casa Bianca: nel 2024 “Nonno Bernie” avrà 83 anni e forse non avrà più l’energia e la voglia per riprovarci, dopo avere spaventato per due volte l’establishment democratico: nel 2016, quando contese la nomination a Hillary Clinton fino alla convention – e senza i super-delegati la corsa sarebbe stata molto più incerta –; e quest’anno, quando a febbraio infilò un filotto di successi che ne fecero il battistrada, salvo poi finire nella “trappola dei moderati” preparatagli da Barack Obama. Non appena Joe Biden dimostrò, vincendo in South Carolina, la vitalità della sua candidatura, tutti gli altri candidati centristi, l’uno dopo l’altro, nel giro di pochi giorni, si ritirarono dalla corsa facendo convergere i loro voti sull’ex vice-presidente. Il ritiro di Sanders – scrive il New York Times, che, come il Washington Post, non ha mai “tifato” per lui, “conclude una corsa alla Casa Bianca iniziatasi cinque anni or sono, quando il senatore era semi-sconosciuto all’opinione pubblica nazionale, e che ne ha fatto il campione dei lavoratori, l’alfiere dell’America ‘liberal’ e il leader di una rivoluzione politica da lui proposta”, all’insegna d’un socialismo prima di lui impensabile negli Stati Uniti.

Prima che Sanders parlasse e che Biden reagisse, Donald Trump ha twittato: “I suoi dovrebbero venire nel partito repubblicano”, “Sanders è fuori per colpa di Elizabeth Warren …. Se non fosse stato per lei, Bernie avrebbe vinto quasi ogni Stato nel Super Martedì (dati alla mano, l’affermazione è falsa, ndr ). È finita proprio come il Partito Democratico voleva”. Trump poi ironizza sul sostegno che i “sanderisti” daranno ora a Biden: “Me le vedo Alexandra Ocasio-Cortez e le sue deputate di ‘The Squad’ sostenere “Sleepy Joe”. Che, invece, saluta nel segno dell’unità del partito la decisione di Sanders: “Insieme sconfiggeremo Trump”; e promette di ascoltare la voce del senatore e dei suoi, perché “il tuo movimento è un bene per il Paese e per il futuro”.

Il ritiro di Sanders toglie significato alle prossime primarie, le cui date e le cui modalità restano avvolte nell’incertezza dell’epidemia di coronavirus in atto, e consente a Biden di concentrarsi sull’obiettivo finale: battere a novembre Trump, cacciare dalla Casa Bianca un personaggio che, neppure in un momento tragico, riesce ad anteporre i doveri istituzionali al proprio orgoglio. Oggi, solo il 41% degli americani pensa che la risposta della Casa Bianca al contagio sia stata giusta, mentre il 55% stima che il presidente ha fatto un “pessimo lavoro”. Il sondaggio della Cnn coincide con la giornata in cui gli Usa registrano il numero di vittime più alto nelle 24 ore che si sia mai avuto al mondo, 1.939, mentre i contagi sono oltre i 400 mila. Un altro rilevamento indica che gli americani sarebbero più tranquilli se l’emergenza fosse gestita da Obama, che in queste ore chiede una strategia nazionale anti-virus, piuttosto che da Trump o anche da Biden. Sono circa 60.000 gli americani che potrebbero morire entro l’inizio di agosto, secondo la University of Washington di Seattle. Stime precedenti erano più catastrofiche: quasi 82.000 morti; e la task force della Casa Bianca aveva previsto tra i 100.000 e i 240.000 morti. Ma Trump contesta i dati altrui.

L’ultimo suo bersaglio è l’Oms, accusata d’essere “filocinese” e minacciata di tagli ai fondi: l’Organizzazione mondiale della sanità, un’agenzia dell’Onu, “ha sbagliato”, dice il magnate presidente, sempre alla ricerca di colpevoli. “È finanziata in larga parte dagli Stati Uniti, ma è sino-centrica. Fortunatamente ho respinto il consiglio di tenere aperti i confini con la Cina all’inizio. Perché fare una raccomandazione così sbagliata?”, twitta Trump. Il NYT ipotizza un conflitto di interessi del presidente e di suoi familiari e collaboratori dietro la promozione della clorochina, nascosto in un intreccio di partecipazioni finanziarie. Intanto, Trump silura Glenn Fine, l’ispettore della commissione per l’utilizzo dei fondi anti-coronavirus da parte dell’Amministrazione.

“In ufficio a turno e solo in auto: a Wuhan una diversa normalità”

“Non è esatto dire come sta facendo la maggior parte dei media che Wuhan è tornata a vivere ieri. C’è un certo pressappochismo in questa affermazione”. A parlare è il manager veneto 46enne Lorenzo Mastrotto, che lavora da anni nella megalopoli cinese dove è nata la pandemia.

Cosa intende?

Intendo che è già da dieci giorni che siamo tornati a una diversa normalità. E sottolineo “diversa”.

E questa diversa normalità cosa implica?

Implica che per poter uscire di casa e andare a fare la spesa al supermarket dobbiamo ricevere un codice sul cellulare. Una volta ricevuto, usciamo, ci mettiamo in coda, consegniamo la lista all’addetto che sta all’ingresso, riceviamo la spesa e torniamo a casa. È comunque un gran sollievo rispetto all’inizio dell’epidemia quando bisognava collegarsi alla app solo a mezzanotte per comprare il cibo online vedendosi spesso sorpassati da altri più veloci o fortunati.

Per veder apparire questa luce verde sul cellulare cosa serve?

Bisogna aver ottenuto un certificato di sana e robusta costituzione dopo due mesi di isolamento domiciliare, perché anche qui c’è il problema degli asintomatici.

Il codice verde serve anche per poter andare al lavoro o fare una passeggiata ?

No. Ma bisogna stare nei dintorni dell’abitazione e si può stare fuori non più di due ore. Per quanto riguarda il lavoro, sono tornato in ufficio ieri, ma si cerca di lavorare ancora il più possibile da casa.

E in ufficio bisogna tenere la distanza di sicurezza?

Si va a turni di cinque persone al giorno proprio per stare distanti, portandosi da casa il cibo perché bar e ristoranti non fanno entrare e si può solo ordinare dall’ingresso. Gli alimentari si stanno organizzando per riaprire e per adesso fanno solo consegne.

Come ci si sposta?

Si può andare al lavoro con la propria auto, come ho fatto io ieri. Ma eravamo in pochi, anche perché le scuole sono ancora chiuse. Si consiglia di usare il meno possibile i mezzi pubblici perché è su questi che ci si infetta più facilmente e, pertanto, la maggior parte della gente continua a lavorare a casa.

C’è ancora gente in quarantena?

Sì, si vedono ancora molti poliziotti di guardia davanti agli hotel riconvertiti dove la gente infettata, ma in remissione, sta completando i 15 giorni di quarantena. Solo al termine, e dopo aver fatto il test, se negativo, si può tornare a casa.

È sempre obbligatoria la mascherina?

Qui tutti la indossano. Dopo la Sars nel 2003 sanno quanto sia fondamentale.

 

Regno Unito
Johnson è cosciente e migliora Più di 700 mila sterline ai poveri

Le buone notizie dalla conferenza stampa delle 17: Boris Johnson resta in terapia intensiva per il terzo giorno al St. Thomas di Londra, dove è ricoverato da domenica sera. Le sue condizioni “stanno migliorando, si è messo seduto e ha interagito positivamente con i medici”. Insomma sarebbe conscio, non intubato e non collegato a un respiratore; ma niente immagini a corredo. A guidare la conferenza stampa è stato il Cancelliere Rishi Sunak, prossimo nella linea di comando se anche il ministro degli Esteri Dominic Raab, capo del governo pro tempore e senza reali poteri decisionali, dovesse ammalarsi. Sunak ha annunciato uno stanziamento di 750 milioni di sterline per le organizzazioni di beneficenza, indispensabili per il supporto ai più vulnerabili. Le notizie cattivissime: la conta dei morti è a 7097, più 938, solo negli ospedali.
Sabrina Provenzani

 

Spagna
Si ricontano le vittime totali: in migliaia nelle case di riposo

Nel giorno in cui tornano a salire i decessi per coronavirus in Spagna – 757 nelle ultime 24 ore –, il ministero della Giustizia chiede alle anagrafi di stilare un elenco dei morti dal 14 marzo in poi. Il sospetto, sempre più confermato dalle notizie che arrivano dalle case di riposo per anziani, è che le vittime del Covid-19 siano molte di più di quante finora conteggiate. Solo nella comunità di Madrid, la più colpita dall’epidemia, la presidente ammette che a morire per le conseguenze del virus siano state 3.000 persone in più di quelle contate. In tutto, ad aver presentato i sintomi sarebbero oltre 4.000 anziani ricoverati e poi morti, ma soltanto su 780 di loro sarebbe stato eseguito il tampone. Il governo Sanchez comincia a pensare a una fase 2 che “potrebbe partire già dal 26 aprile”, ha confermato ieri la portavoce dell’esecutivo, María Jesús Montero, “con misure graduali”.

Leopardi, Fase 1 e Fase 2: siamo uomini o mascherine?

Cesare gettò il dado sul Rubicone, Attilio Fontana ha fatto scendere sul viso la mascherina. Due gesti destinati a rimanere scolpiti nella memoria per la loro pregnanza estetica e simbolica. Con la celata chirurgica sul volto del governatore lombardo ha avuto inizio la Fase 1 dell’emergenza nazionale. Un mese dopo, in vista della Fase 2, la mascherina viene imposta a tutti gli italiani. Ma, allora, se erano così necessarie, perché fino a oggi si potevano trovare solo al mercato nero? E perché non erano disponibili nemmeno nelle case di riposo? Soprattutto: perché non lo si è detto? Come dice il professor Rostico di Carlo Verdone a proposito di Leopardi: “Dov’è l’uomo, dov’è la maschera? Pausa”.

Allora il signore che portava il cane a 105 metri da casa non era questo grande untore. Più la classe politica chiede sacrifici, più dovrebbe essere inattaccabile, ma spesso i più severi con gli altri sono i più indulgenti con se stessi. Dopo un mese di reclusione coatta la rabbia sale, l’umore crolla. Come ha raccontato Camus nella Peste, niente quanto il contagio svela l’assurdo dell’esistenza, mica il suo senso profondo. Ora la palla – anzi, il cerino – passa alla comunità scientifica; ci auguriamo che con tutto il rispetto per i dati, le curve, i quozienti e gli algoritmi, la mitica comunità si ricordi quanto certi governatori hanno rimosso. Che esistono anche l’anima e le psiche individuali, e anche quelle vanno salvaguardate. Vanno curate. Dov’è l’uomo, dov’è la mascherina?

Pandemia statalista il morbo e la cura

Sembra quasi la storia del bue che dà del cornuto all’asino, quell’appello degli imprenditori pubblicato ieri su Repubblica come annuncio a pagamento, ma già in circolazione da qualche giorno. L’allarme è grave, importante e pesante: bisogna evitare la corruzione, evitare che le lobby prendano il sopravvento, pensare alle generazioni future, allo sviluppo del Paese, alla crescita, non agli interessi del singolo e alla sua fame di denaro, smettendo di favorire “clientelismo e corruzione”. Insomma, si dirà, si sta mettendo in guardia dagli imprenditori senza scrupoli, dai colletti bianchi, dal partito del cemento e dai collezionisti di fallimenti strategici, dai concessionari multimilionari che lasciano crollare le infrastrutture e da quelle manine che appena possono infilano emendamenti per il proprio guadagno. Bene! Finalmente! Era ora… o forse no? No. L’appello, infatti, mette in guardia dalla “pandemia di Statalismo” determinata dagli aiuti messi in campo dal governo che creerebbero “un gigantesco meccanismo di deresponsabilizzazione” nonché “una logica da ‘reddito di cittadinanza’ estesa a ogni settore”. Che arguzia! Ora proviamo a spiegarlo a tutti gli italiani che non lavorano da un mese: altro che sussidi! Meglio togliere le “imposte dirette”. Il calcolo, poi, è facile: zero meno zero, quanto fa?

Non capitolare sulla trasparenza

Nel dibattito sulla ripresa abbondano gli appelli alla semplificazione, che per alcuni dovrebbe coinvolgere addirittura la Costituzione, che non c’entra nulla e di cui sono da evitare nuovi tentativi di modifica. Invece, alcuni interventi di semplificazione, a livello legislativo, sarebbero utili, ma senza sacrificare la trasparenza e i controlli. Da questo punto di vista, il settore più delicato è quello dei contratti pubblici, su cui circolano proposte poco rassicuranti. Tra queste, desta preoccupazione quella di sospendere o limitare le gare per la selezione dei contraenti, per dare più spazio agli affidamenti negoziati, incrinando un principio generale imposto dal diritto eurounitario. Lo stesso vale per le proposte di eliminazione dei ricorsi contro i provvedimenti di esclusione dalle gare o di limitazione al risarcimento del danno, addossando così alla sola Pa (che sostanzialmente pagherebbe due volte) l’eventuale illegittimità della procedura di affidamento, in violazione dell’art. 113 della Costituzione e delle norme Ue che impongono agli Stati di prevedere strumenti di tutela effettiva per i concorrenti all’aggiudicazione di un contratto pubblico. Misure come queste sarebbero dannose: lascerebbero più spazio a dinamiche corruttive da cui, oggi più che mai, l’Italia deve liberarsi, perché non è più in grado di sopportarne i costi economici né il danno che le provocano a livello internazionale e dell’Ue già recalcitrante nel concedere aiuti, inasprirebbe certamente la propria posizione se l’Italia aprisse a misure che diminuiscono la trasparenza e i controlli. È possibile realizzare alcuni limitati interventi che, senza diminuire trasparenza e controlli, velocizzino e rendano più efficiente il sistema, aprendo maggiormente il sistema anche a imprese più piccole. In particolare, si potrebbe: 1. realizzare una banca dati unica per le imprese che lavorano con la Pa con tutta la documentazione amministrativa aggiornata, così da velocizzare la presentazione della stessa e le relative verifiche; 2. prevedere bandi-tipo, che non lascino spazio a troppe fantasie, che possono provocare contenzioso; 3. confermare la norma che lo “Sblocca cantieri” prevede solo fino alla fine del 2020, per cui prima si esaminano le offerte, facendo la graduatoria, e poi la documentazione amministrativa, con significativa velocizzazione; 4. favorire la centralizzazione della gestione delle procedure in capo a pochi soggetti meglio attrezzati per farlo, così da aumentare l’efficienza e diminuire le ipotesi di ricorso, ma parcellizzare maggiormente i contratti. Se questi sono di più, perdere o vincere una singola gara è meno rilevante e quindi vi è una minore propensione alla lite o – peggio – alla corruzione; 5. velocizzare il processo amministrativo in materia di appalti (già molto rapido ed efficiente), ampliando la possibilità di decisioni in forma semplificata e i poteri istruttori del giudice. Poche proposte minime che possono migliorare l’efficienza e la rapidità della Pa, offrendo un contributo al rilancio dell’economia, senza compromettere i principi costituzionali e eurounitari, né – soprattutto – rischiare l’ennesimo spreco di risorse pubbliche.