La Commissione europea ha annunciato il 2 aprile scorso la proposta di un meccanismo a sostegno degli Stati membri impegnati in misure a sostegno dei rispettivi mercati del lavoro (sussidi di disoccupazione, sostegno ai redditi, part-time involontario, sostegno ai redditi autonomi ecc.). Il meccanismo è stato discusso all’Eurogruppo (i ministri delle Finanze dell’area euro) di ieri, e sarà quasi certamente lanciato dal prossimo Consiglio Europeo. Il nuovo “strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza” (Sure secondo l’acronimo inglese) è stato presentato in pompa magna come una “cassa integrazione europea”, vale a dire come un meccanismo di solidarietà. Si è fatto riferimento in modo subliminale ai molti progetti di sussidi di disoccupazione europei, vale a dire meccanismi di mutua assicurazione per assorbire le fluttuazioni dell’occupazione. È così? Purtroppo, no.
Ma vediamo come funzionerà questo fondo, prima di analizzarne potenzialità e difetti. Sure assumerà la forma di un programma di prestiti agli Stati membri. La base giuridica di Sure, che la Commissione considera “ad hoc e temporaneo”, è l’articolo 122 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“Tfue”), in base al quale uno Stato membro in difficoltà a causa di circostanze eccezionali, può chiedere assistenza finanziaria dall’Ue. Lo stesso articolo, per capirci, che fu utilizzato per i programmi di sostegno ai paesi in crisi nel 2010. La Commissione creerà un Fondo allo scopo di raccogliere fondi ai tassi preferenziali di cui essa gode grazie al suo rating, e li trasferirà agli Stati membri che non possono finanziarsi alle stesse condizioni. Sure potrà reperire sui mercati fondi fino a un massimo di 100 miliardi di euro, per ridistribuirli ai paesi che ne facciano richiesta. Non vi sono dotazioni prestabilite per i singoli Stati membri: l’importo, il tasso e la durata del prestito sono decisi dalla Commissione, dopo aver valutato l’entità della spesa pubblica direttamente correlata al sostegno del mercato del lavoro. Il fondo dovrà essere dotato di un capitale da portare a garanzia del prestito, capitale fornito dagli Stati membri in proporzione al proprio peso sul Pil europeo.
È chiaro quindi che Sure non ha nulla a che vedere con un meccanismo di solidarietà, con una cassa integrazione europea. Si tratta semplicemente di un meccanismo di prestiti che, come molti che lo hanno preceduto, è volto a garantire che il paese beneficiario ottenga tassi di interesse ragionevoli. Tuttavia, contrariamente al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) di cui tanto si discute in questi giorni, Sure potrebbe essere attivato con una condizionalità molto leggera, quindi essere un valido sostegno soprattutto per quei paesi le cui finanze pubbliche rendono problematico il finanziamento sui mercati.
Ma è qui che i nodi vengono al pettine. Sure è stato concepito dalla Commissione in modo che il suo utilizzo non ne minacci il rating. Quindi tutto lo schema è costruito con in mente la sostenibilità finanziaria. I cento miliardi di euro annunciati saranno effettivamente erogati solo se i paesi si impegnano a conferire il 25% di tale importo in capitale di garanzia. Inoltre, sono previsti limiti all’ammontare dei fondi disponibili per ciascun paese, e quindi il risparmio potenziale rispetto ad un normale finanziamento sui mercati.
Facciamo solo un esempio. Supponiamo (anche se è tutt’altro che ovvio) che gli Stati membri apportino sufficienti capitali in garanzia da far raggiungere al fondo la piena capacità, cento miliardi. Prendiamo i due paesi che molto probabilmente avranno più bisogno del fondo, Italia e Spagna, e assumiamo, sempre ottimisticamente, che ognuno di essi riesca ad ottenere un prestito di venticinque miliardi. Se si prendono i livelli di tassi di oggi (1,7% e 0,75% rispettivamente per una maturità di 10 anni), finanziandosi sui mercati l’Italia pagherebbe 425 milioni annui di interessi, e la Spagna 188. Quindi, se anche tramite Sure i tassi di interesse scendessero a zero o quasi, il risparmio sarebbe lo 0,02% del Pil per entrambi i paesi (e no, non abbiamo sbagliato a mettere la virgola). Certo, se l’Italia o la Spagna dovessero reperire queste somme sul mercato i tassi di interesse salirebbero; ma visti gli ordini di grandezza, a meno di cataclismi il risparmio garantito dal Sure rimarrebbe estremamente limitato. A rendere l’operazione ancora meno conveniente viene il fatto che per accedere al finanziamento l’Italia e la Spagna dovranno versare capitale rispettivamente per 2,7 e 1,9 miliardi di euro (corrispondenti alle rispettive quote possedute del Reddito nazionale lordo dell’Ue dell’11% e del 7,6%).
La montagna ha partorito un topolino, dunque. Ma questo non vuol dire che sia inutile. In primo luogo, Sure potrebbe essere operativo abbastanza in fretta, e quindi dare sollievo a paesi esausti per la lotta alla pandemia. In secondo luogo, una volta superata l’emergenza il fondo potrebbe essere reso permanente e trasformato in un reale strumento di mutua assicurazione. La storia europea ci insegna che è sempre più facile costruire sull’esistente che introdurre strumenti nuovi. Quindi ben venga il Sure, per (il poco) che può fare e per i potenziali sviluppi futuri. Ma attenti a non illuderci che esso possa costituire l’asse della risposta europea alla crisi.
* Vicedirettore dell’Ofce, il centro di ricerca sulle congiunture economiche di Sciences Po (Parigi)