Il Salvini chiudi-tutto e la giravolta “chiese aperte”

Matteo Salvini è un curioso personaggio. Prima vuol chiudere tutto, porti, centri di accoglienza, si mette lui stesso al volante della ruspa. Poi all’improvviso, cambia idea. Vuole aprire le chiese (quelle chiese con cui ha avuto contrasti per la smania di chiudere) per invocare “la protezione di Maria” dal coronavirus. Ma scusa, se vuoi pregare puoi farlo anche in bagno gli ha risposto Fiorello, e non si poteva dire meglio. Lui per primo ha dimostrato che si può pregare ovunque, live dalla D’Urso o sulla spiaggia con il mojito in una mano, il rosario nell’altra e le cubiste al posto dei chierichetti. Ma forse a Salvini non interessa pregare; gli interessa farsi vedere quando prega, e che chi prega si faccia vedere. Allora, se non lo ha convinto Fiorello, potrebbe convincerlo Alessandro Manzoni; là dove, nei Promessi sposi, si narra della processione per le vie di Milano, per invocare la protezione di San Carlo dalla peste (la storia si ripete): “Ed ecco che il giorno seguente, mentre ancora regnava quella presuntuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncato la febbre, le morti crebbero in ogni classe, in ogni parte della città, a un tal eccesso, con un salto così subitaneo, che non ci fu chi non ne vide la causa, o l’occasione, nella processione medesima”. In quegli anni i milanesi non avevano né Fontana, né Gallera, né Burioni era ospite fisso a Che tempo che fa (o che fu), quindi per certi versi sono da scusare. Ma oggi?

Hendel: “Orto e libri. Sesso? Raggiunta pace dei sensi”

Paolo Hendel ride, sospira, abbassa la voce, ride di nuovo, poi ammette: “Non ne possono più di me”.

Chi?

Mia moglie e mia figlia.

Almeno contribuisce ai lavori di casa?

Certo!

Come?

Apparecchio. Sparecchio. Preparo la lavastoviglie e spingo il bottone.

Niente male.

Poi ho la fortuna di vivere in campagna, quindi scendo in campo.

Come disse Berlusconi.

Ah, è vero! Ma a suo tempo con lui si alludeva ai bisognini fisiologici…

E lei?

Anche io qualche volta.

Almeno fa l’orto.

(Tono profondo e sillabe allungate) Troppo difficile, e poi da noi si sostiene che “l’orto vole l’omo morto”.

Quindi?

Scendo con le cesoie, poi non combino nulla.

Consigli sui libri?

Sulla mia pagina Facebook leggo dei passaggi storici…

Di quali romanzi?

Ultimamente Calvino, poi ora mi sto dedicando a Guerra e Pace.

Ha tempo…

Borges sosteneva: “La letteratura è una delle forme della felicità, chi non legge è masochista”.

Gli italiani lo sono…

Più i maschietti; (si ferma e ride) al massimo si concentrano sulla bolletta della luce e il bugiardino del Prostamol.

Poi…

Consiglio gli audiolibri, Anna Bonaiuto è bravissima.

Sky passa “Speriamo che sia femmina”…

È vero, me lo dicono.

E…

Ogni volta penso a quel set: stavo lì e mi sembrava incredibile, quasi imbarazzato per il livello di attori. Mostri sacri del cinema.

Monicelli alla regia.

Io e Giuliano Gemma i sex symbol.

Ecco, sesso come va?

Evito di creare problemi a mia moglie, ho raggiunto la pace dei sensi.

@A_Ferrucci

Fede & virus: Salvini non conosce Manzoni

L’archetipo è fissato per sempre: quando un’epidemia si sparge, e il virus (o il batterio) balla sui cadaveri cercando carne fresca da colonizzare, l’Autore, per massima saggezza e ugual sadismo, tira fuori dalla penna un personaggio beghino, ottuso e intellettualmente poco onesto che chiede ai vertici ecclesiali e politici di fiondare quanta più gente possibile sui piedi infetti del Santo, addosso alle porte contaminate delle chiese, tra i banchi su cui s’è sparso il contagio per mezzo di incolpevoli untori, perché Dio ci salverà. Salvini non lo sa, ma il suo personaggio – che chiede alla Chiesa di far messa a Pasqua pur di dare contro al Papa e al governo – è stato scritto 200 anni fa.

Milano, 1630. Mentre “la frenesia s’era propagata come un contagio”, il Consiglio dei decurioni, magistrati municipali, chiede al Cardinal Federigo di fare una bella processione per stroncare l’epidemia di peste, “portando per la città il corpo di san Carlo”. Federigo rifiuta: sa che se non dovesse funzionare, ciò nuocerebbe alla Chiesa, ma soprattutto sa quel che Salvini ignora: che “il radunarsi tanta gente non poteva che spander sempre più il contagio”. Epperò le istanze dei decurioni, “che il voto pubblico secondava rumorosamente”, hanno la meglio, e la processione ha luogo. Donne, confraternite, preti: tutti dietro al “venerato cadavere”. “Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava quella presontuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città”. Sembra di sentire Angelo Borrelli che legge il bollettino dei contagi la settimana dopo Pasqua. È quel che accade, spiega Manzoni ai Salvini d’Italia, quando si vede “la pietà cozzar con l’empietà, la perfidia con la sincerità, la perdita con l’acquisto. Ed era in vece il povero senno umano che cozzava co’ fantasmi creati da sé”.

Coronabond o Mes? Chiedo a barista e meccanico

Ieri ho riunito in videoconferenza i miei fornitori abituali e ho chiesto loro: preferite il Fondo salva-Stati o i Coronabond? Rocco, il meccanico con officina sotto sfratto ha risposto che il problema è mal posto poiché in entrambi i casi il rapporto tra debito e Pil rischia di crescere fino a 20 punti percentuali e l’aiuto della Bce forse potrebbe non bastare. Invece secondo Walter, il parrucchiere in ritardo con il pagamento della rata all’usuraio del quartiere, esiste lo spazio per aumentare il debito, ma poi l’Italia deve fare le riforme. Da qui si è acceso il dibattito sulla necessità di proteggere con un Golden power, Enel, Eni, Poste e gli altri gioielli di famiglia. Che Maria la barista, con tre figli disoccupati a carico, ha risolto con l’abituale pragmatismo: io i gioielli della pora mamma me li so’ già impegnati. Walter fa affidamento sui 350 miliardi di liquidità di marzo promessi dal governo e, naturalmente, sulla sospensione del Patto di stabilità.

Inevitabile qualche punta polemica sull’eterno dilemma tra sovranismo e solidarietà europea, risolto con il richiamo comune al Manifesto di Ventotene. Per rasserenare gli animi abbiamo parlato della lettura come rifugio e consolazione in questa fase di sospensione del tempo. In tutti ho scoperto una predilezione per Delitto e Castigo

di Dostoevskij, forse per certe inconsapevoli pulsioni prodotte dalla coabitazione forzata. Sul modello di famosi attori e intellettuali ho proposto un viaggio alla riscoperta della casa come luogo della condivisione e dello spirito (con il silenzio rotto solo dal cip cip degli uccellini). Ma Rocco che vive in due camere con moglie, pargoli e un fratello disabile mi ha riposto male.

È il momento della responsabilità, ha detto Walter. Non abbassiamo la guardia, ha soggiunto Rocco. E Maria, donna concreta ha concluso: ce la faremo, vediamoci alla Caritas.

Slogan e scemenze allo Stato brado del timorato Salvini

La prima frase che dovremmo dire al mattino, mentre ci guardiamo tutti stropicciati allo specchio, è questa: “Che culo a non avere adesso a Palazzo Chigi quello lì!”. Sia dunque benedetto il Papeete, e con esso la prodigiosa gragnuola di mojito che hanno verosimilmente condotto il Cazzaro Verde a suicidarsi a inizio agosto. Non fosse stato per la sua pressoché totale assenza di talento, a quest’ora avremmo presidente del Consiglio l’uomo che sussurrava ai citofoni. E lo vedremmo, accompagnato da uno dei peggiori centrodestra del globo terracqueo, tutto garrulo nello scimmiottare Orbán tra le benedizioni estasiate dei Porro, Feltri, Maglie e Senaldi.

Se l’uomo tende a dare il meglio di sé nella difficoltà, è anche vero il contrario: ovvero che, di fronte all’abisso, egli ci si consegna quasi compiaciuto. Il Salvini al tempo del Coronavirus è un compendio di tutto quel che un politico non dovrebbe dire o fare. E invece lo fa. E invece lo dice. La sua narrazione è un parossismo di incongruenze allo stato brado: “Chiudiamo tutto” (21 febbraio), “Apriamo tutto” (27 febbraio), “Ho sempre detto che andava chiuso tutto” (adesso). Non meno che sublimi, poi, le sue “proposte” politiche. Straparla da anni di cuneo fiscale, poi però si è astenuto quando il governo l’altro giorno ha agito in tal senso. Orbán fa scempio della democrazia, ma a lui va bene così perché è stato eletto democraticamente e il Parlamento l’ha avallato secondo le regole (anche Mussolini cominciò così). Il governo trova 100 miliardi, e lui ne vuole 200; il governo ne trova 200, e lui ne vuole 500. Quasi che la sua competenza economica dipendesse dalle gare a Monopoli con Borghezio e Fedriga alla Sagra del Rutto di Calolziocorte. Propone l’ennesimo condono, che non c’entra nulla. Propone i buoni di guerra, che non c’entrano nulla. Propone il “semestre bianco”, così poi gli stipendi di medici e infermieri li paga lui. Delira di “un foglio che basta compilare in Svizzera per avere 500 mila franchi”, e ovviamente la Svizzera lo smentisce. Bombarda l’Inps. Poi, sabato, l’apice del suo seviziare ostinatamente il buon senso: riaprire le Chiese a Pasqua. Di fronte a un’attonita Maria Latella, lo statista della polenta taragna ha esalato: “Non vedo l’ora che la scienza e anche il buon Dio, perché la scienza da sola non basta, sconfiggano questo mostro per tornare a uscire. Ci avviciniamo alla Santa Pasqua e occorre anche la protezione del cuore immacolato di Maria”. Dentro queste parole c’è di tutto, ed è un tutto che strazia. C’è l’insensatezza di proporre un’uscita che, per quanto controllata, esporrebbe milioni di italiani al contagio. C’è l’idea scaramantica di religione (non basta la scienza, serve anche la preghiera). C’è l’idea “ricattatoria” del credo (una sorta di “prego, quindi ne trarrò un vantaggio immediato”). E c’è l’ostentazione, si spera sincera, della simbologia religiosa (l’evergreen “cuore immacolato di Maria”). Se Salvini è sincero, e non voglio dubitarne, deve essere rimasto al Medioevo perdendosi passaggi appena fondamentali nell’evoluzione umana tipo l’illuminismo. Se non è sincero, e mi rifiuto di pensarlo, dietro queste esternazioni c’è il desiderio di alimentare la propaganda persino di questi tempi. E con questi mezzi.

L’altro giorno, nei sondaggi, Renzi era franato all’1,9 per cento e Salvini al 26,2 per cento. Sempre tanto, ma pur sempre una slavina rispetto ai fasti agostani. Gli italiani, ora più che mai, di tutto han voglia fuorché di polemiche a casaccio e incantatori stanchi di serpenti stremati. L’hanno capito tutti. Tranne i due Matteo.

Celebriamo il 25 aprile (anche da casa)

Nel 2018 e nel 2019 il 25 Aprile è stato messo in sordina da un governo venato di sovranismo e di reminiscenze fascistoidi. Quest’anno lo impedirebbe la pandemia: un nemico ancora più insidioso e pervasivo. Perciò un gruppo di amici, stimolati da Carlo Petrini, Liliana Segre e Renzo Piano, ha deciso di promuovere una grande celebrazione di questa data, forse la più grande mai organizzata finora. Questa data fu scelta per festeggiare la liberazione perché settantacinque anni fa, il 25 aprile 1945, proprio da quella Milano ieri martoriata dal nazi-fascismo e oggi dal Coronavirus, partì l’appello per l’insurrezione armata della città, sede del comando partigiano.

Anche dopo molti anni dalla fine di un regime totalitario e dall’entrata in vigore di una Costituzione democratica, l’ideologia autoritaria è sempre pronta a ritrovare una base consistente: cioè, a ridiventare fascismo. Come ho ricordato altrove, spesso i rigurgiti autoritari hanno origine nella chiusa follia di una camarilla di politici o di militari. È questo che avvenne in Italia nel 1960 e nel 1964, a circa venti anni dalla caduta del fascismo. Altre volte, soprattutto con la connivenza dei media e dei social media, l’ideologia fascista s’insinua in tutte le classi sociali e diventa ondata restauratrice. “È proprio questa partecipazione delle masse – scrisse Talcott Parsons nel 1942, quando Hitler e Mussolini erano nel pieno del loro delirio bellico – l’elemento che distingue il fascismo dal conservatorismo tradizionale”.

Il fatto che anche decenni di storia formalmente democratica non riescano a esorcizzare le nazioni da svolte totalitarie deve costringerci a riesaminare il fenomeno sempre in agguato – proprio come il virus – di un fascismo che ci illudiamo di avere consegnato definitivamente allo studio retrospettivo degli storici e degli psichiatri ma che, invece, è sempre pronto a risorgere come la peste descritta da Albert Camus.

D’altra parte, non è detto che una democrazia sia sempre perfettamente compiuta e che la sua erosione non possa procedere per gradi. Secondo la maggioranza dei politologi, può essere considerata compiuta solo quando vi coesistono alcune condizioni: elezioni libere, competitive, ricorrenti e corrette; suffragio universale maschile e femminile; inclusione di tutte le cariche politiche nel processo democratico; diritto di partecipazione per tutti i membri della comunità politica in una logica di inclusività; pluralismo partitico e competizione; libertà di espressione, di associazione e di opposizione, nonché rispetto per i diritti fondamentali della persona; libertà e pluralismo delle fonti d’informazione; divisione rigida dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.

Risuona ancora recentissima la richiesta di pieni poteri da parte di un nostro ministro dell’Interno. Il processo è collaudato: chi ha il potere, sia pure conquistato con strumenti formalmente democratici, e intende trasformarlo in regime autoritario, comincia col dilatarne, sfumarne o confonderne i limiti costituzionali per poi creare cricche oligarchiche solo apparentemente pluraliste. Le elezioni popolari vengono prima manipolate e poi eliminate in modo che la legittimazione dal basso diventi auto-legittimazione e il despota non debba rendere più conto né al parlamento, né al popolo. Poi il potere si concentra interamente nelle mani di uno solo e della sua cricca mentre lo Stato di diritto si trasforma in Stato autoritario. Il gioco riesce perché il gruppo dominante promette di portare il Paese fuori dalla profonda crisi in cui versa per poi restituirlo alla piena democrazia.

È questo che non deve più succedere in Italia ed è per questo che il 25 Aprile deve restare una data vivissima per rilanciare parole d’ordine come speranza, coraggio, equità, sostenibilità, comunità e libertà.

Il virus, i detenuti e il bisogno di “nemici”

Siamo in guerra! È la frase ripetuta con tetra insistenza per la pandemia Coronavirus. L’idea della guerra evoca la necessità di un nemico. Finché si pensa al virus, poco da dire. Ma in “questa” guerra contro un’infezione sconosciuta capita (sia in ambito nazionale che internazionale) di dover prendere decisioni ad alto rischio di errori, elaborando ex novo questa o quella strategia, spesso da adattare in corso d’opera al rapido mutare delle circostanze.

Queste decisioni, causa di disagi e ostacoli, a volte spingono a valutazioni nell’ottica prevalente di interessi propri, magari legati ad appartenenze politiche o geografiche. “Nemico” può allora diventare – piuttosto che il virus – “l’altro” da noi; per cui finita la guerra, oltre a contare i morti e i danni economici, si potranno registrare pure divisioni e fratture socio-politiche forse insanabili. Il problema del “nemico” si pone anche per il carcere ai tempi del coronavirus. In particolare per la richiesta di amnistia/indulto, da sempre nel carnet di certi ambienti che l’hanno intensificata dopo le rivolte di 20 giorni fa nelle carceri. Il collegamento delle rivolte alle misure restrittive (colloqui) impartite in ragione della pandemia è debole: si è trattato di una trentina di episodi (con manifestazioni cruente d’altri tempi) che si sono accesi con una sincronia e una precisione di obiettivi comuni, così da legittimare più di un sospetto. In ogni caso, due giorni di furia e poi il nulla; eppure la restrizione dura ormai da settimane e le sofferenze dovrebbero essersi cumulate, certo non diminuite. Comunque sia, il ministro Bonafede si è trovato incastrato nella trappola del “nemico” non appena ha imboccato la prospettiva di arresti domiciliari per i detenuti con un limitato residuo di pena per reati non gravi. La trappola è scattata su due fronti contrapposti. Da un lato, poiché fin dal suo insediamento egli ha fatto della “certezza della pena” una bandiera, certuni lo sfidano mettendo le sue scelte alla prova di una presunta contraddizione che sperano possa politicamente indebolirlo. Mentre altri lo spingono verso la pesante responsabilità di mosse estreme che potrebbero sembrare in collisione con gli interessi generali della collettività sul piano della sicurezza e della salute, dando l’impressione di anteporvi gli interessi dei carcerati. In un contesto che sta presumibilmente registrando una diminuzione dei detenuti. Per il fatto che (nella contingente fase di emergenza) ne potrebbero entrare meno del solito; fuori infatti le priorità sono cambiate, essendovi purtroppo altro da fare: controllare, distanziare, trasportare bare in giro per l’Italia, aiutare ospedali e farmacie a ricevere materiali sanitari, sanificare strade ecc. Quella dei numeri per altro non può essere l’unica strategia. La riduzione del sovraffollamento è utile contro il coronavirus (da fronteggiare – beninteso – a tutela dell’intero mondo penitenziario), ma da sola non basta. Occorre anche altro. Solo che le carceri – come gli ospizi – sono luoghi dove la strategia esterna del distanziamento non potrà mai essere applicata. E idee praticabili che non siano troppo sbilanciate, è difficile (al di là della linea del salva-carceri) immaginarne. Con la conclusione, ovvia ma terribile, che il carcere oggi più che mai è un labirinto dove nessuno può vantare certezze o ricette taumaturgiche. In mezzo sta la constatazione che, per la maggior parte della comunità esterna, “quelli” (quelli in carcere…) sono da sempre “nemici”: stranieri, gente senza fissa dimora, senza identità, tossici fastidiosi, poveri, soggetti alle prese con problemi psichici… E seppure non si arriva all’estremo disumano di pensare che in guerra i nemici si sacrificano, il sentire dei “benpensanti” innesca un’altra trappola del “nemico” che si riflette sulle misure alternative, proprio quelle invocate come possibile deflazione della perenne calca detentiva. Tali misure infatti implicano una affidabilità che spesso manca a quei “nemici”, ai quali pertanto esse obiettivamente si attagliano poco in tempo di pace e ancor meno in tempo di guerra da Covid-19. Un altro aspetto con cui confrontarsi quando si tratta di stabilire ambito applicativo e modalità delle eventuali misure alternative. Comunque, un problema da bilanciare con le ragioni dell’umanità cui Papa Bergoglio si richiama indicando la strada di “scelte giuste e creative”. In conclusione, dentro come fuori del carcere le paure, i rischi e le vittime del coronavirus ci fanno toccare con mano alcune fragilità della nostra democrazia. Una percezione che ricorda (sia pure con abissali distinguo) quella che di fronte alla peste portava a richiamare peccati e dissolutezze. Superata l’emergenza – si sente dire – niente sarà più come prima. Un auspicio perché la politica (trasversalmente!) torni a essere guida e non più mera caccia al consenso, senza quel miscuglio di invidia e malizia che è oggi la cifra prevalente. Con un forte recupero – da parte di tutti – di senso istituzionale, equilibrio e linguaggio adeguato. Non proprio quel che oggi traspare dall’appello mistico di un Capitano per la riapertura delle chiese a Pasqua, contro la preghiera solitaria del Papa in piazza San Pietro: capace di dimostrare come persino il silenzio (i lunghissimi minuti senza parole di Francesco immobile davanti all’Ostensorio) abbia la virtù di costringere a pensare.

Mail Box

Altro che baby boom: Covid-19 fa male anche alla natalità

Nei periodi inconsapevoli della proto-pandemia circolava una foto di Rocco Siffredi con la scritta “un metro di distanza? Non c’è problema”. La differenza fra un black-out e un lockdown riaccende tutte le problematiche relative ai legami fra sessualità e riproduzione. Se un buio temporaneo riaccende i desideri ed è seguito da un relativo baby boom, le prolungate lontananze obbligatorie e sospettose, condite da confuse valutazioni e previsioni catastrofiche, di certo non aiutano la sessualità e saranno inevitabilmente seguite da un peggioramento della già critica denatalità. Si aggiunga poi che le fecondazioni artificiali sono state bloccate su tutto il territorio nazionale sia perché le procedure richiedono accessi plurimi in ambienti sanitari sia perché si attendono ulteriori informazioni sugli effetti del virus e delle eventuali terapie antivirali aggressive sulla gravidanza. Con questo periodo di stop ci siamo già giocati almeno 2000 bambini. Insomma nella fase due non dimentichiamo gli infanti. Tra gli aiuti post-pandemici gli incentivi alla natalità e le agevolazioni ai servizi per chi ha difficoltà concezionali devono trovare un posto. Brecht ha scritto: “Durante la guerra il conflitto fra la madre di chi è morto in battaglia e la madre di chi produce selle per i cavalli da guerra è inevitabile”. Almeno loro avevano figli.

Dottor Maurizio Bini, Direttore Banca Gameti Lombarda

 

Bonus docenti: devolviamolo alle famiglie in difficoltà

Sono un docente di scuola media. Lancio la proposta al governo di devolvere l’importo del bonus docenti e del bonus cultura (non ancora utilizzati) per sostenere un fondo speciale per lavoratori e famiglie senza sostegno economico.

Davide Acerboni

 

Infermiere in quarantena: così ho scoperto “Il Fatto”

Buongiorno, sono un infermiere attualmente in quarantena… Mi piace molto leggere il giornale, ma negli ultimi anni ho smesso perché la stampa non è libera. Causa la mia situazione, ho iniziato a leggere il vostro giornale, e mi piace sempre di più: vi prego continuate così. Bravi, complimenti. Saluti e state a casa: consiglio di un semplice infermiere (non eroe), professionista della sanità da sempre.

Antonio Iacovazzo

 

Caro Antonio, benvenuto in famiglia. È bello sapere di avere lettori come te.

M. Trav.

 

La Rai punti sul suo archivio, non sui programmi futili

A causa del Coravirus siamo tutti costretti a restare chiusi in casa. La Tv è lo strumento che le famiglie tengono acceso quasi tutto il dì. È una vergogna che la Rai, salvo le informazioni costanti (anche eccessive) sul virus, per il resto ricicli gran parte di vecchie trasmissioni non di qualità. Vada piuttosto a sfornare qualche film di Sordi per dare una nota di allegria, o qualche documentario e corso per studenti. L’archivio Rai è ricchissimo di documentazione di qualità.

Carlo Baldi

 

Tremonti e Tronchetti criticano Conte. A sproposito

Gentile Antonio Padellaro, ho appena finito di ascoltare Mezz’ora in più di Lucia Annunziata, andato in onda domenica. Sono indignata per lo spazio esorbitante concesso a Giulio Tremonti e Marco Tronchetti Provera che, senza contraddittorio, si sono abbandonati a una critica di parte nei confronti delle scelte e dei ritardi del governo, dimenticando le loro passate responsabilità politico-economiche; ma soprattutto mi ha indignato il servizio finale che conteneva un attacco sgangherato ad alcuni provvedimenti del governo. È fin troppo evidente che l’equilibrio e l’efficacia del presidente Conte danno fastidio a molti.

Maria Messano

 

Siamo lontani dalla verità: ha ragione la prof. Gismondo

Ho letto l’articolo della prof.ssa Gismondo e sono molto d’accordo con lei, laddove afferma che questa scienza non è la verità assoluta: soprattutto l’Oms non ne azzecca una. La scienza si divide anche perché ci sono medici che hanno speso una vita al fianco dei pazienti e altri che sono politici/medici.

Enrico Antico

 

DIRITTO DI REPLICA

Vi scrivo per segnalare una inesattezza nell’articolo di ieri di Natascia Ronchetti sul tema Rsa-Covid. Nell’articolo è segnalato che la Rsa Uboldi di Paderno Dugnano avrebbe “disobbedito” a Uneba e accettato pazienti Covid positivi proposti da Ats e Regione Lombardia, ma è falso. All’inizio siamo stati contattati da Ats per accogliere un paziente Covid positivo e quando si è precisato che la Fondazione non ha i requisiti strutturali e organizzativi previsti dalla Deliberazione della giunta regionale dell’8 marzo, Ats ha ritirato la proposta: da allora ricoveriamo solo pazienti Covid negativi provenienti dagli ospedali, così come indicato nella Dgr.

Paola Cattin, DG Rsa Uboldi

 

La rettifica non smentisce il contenuto dell’articolo sull’invio dei pazienti Covid a bassa intensità alle case di riposo. Prendiamo atto della precisazione che la vostra struttura, non avendo le caratteristiche indicate dalla Regione Lombardia, ha accolto solo pazienti non Covid.

Na. R.

L’impegno dei singoli non può cancellare l’anomalia di sistema

Sono un vostro lettore ormai da anni e apprezzo molto la qualità e l’onestà intellettuale di molti degli articoli che pubblicate. Solo una cosa mi amareggia: i continui riferimenti negativi alla sanità privata che leggo (non ultimo nell’intervista ad Alessandro Barbero) e la sua presunta inferiorità rispetto a quella pubblica. Da medico che lavora, come meglio può, in una clinica privata convenzionata, mi sento mortificato e umiliato.

Luca Colaiocco Ferrante

È vero, con la sanità privata siamo spesso critici, caro dottore. Ma mai abbiamo voluto mortificare o umiliare i medici che lavorano nelle strutture sanitarie private. Abbiamo anzi riconosciuto, in una lettera aperta ai medici del settore privato, il loro impegno e la loro dedizione durante questa emergenza. L’impegno e la dedizione dei singoli non può però cancellare l’anomalia di sistema: in Lombardia, con la riforma avviata da Roberto Formigoni, si è creato un sistema misto in cui è la sanità pubblica a essere mortificata e umiliata. Le sono state tolte risorse, sono stati chiusi ospedali, sono stati dimezzati i posti letto. Intanto sempre più soldi (pubblici) sono affluiti alla sanità privata, messa sullo stesso piano di quella pubblica, ma lasciata con una sua autonomia. Quella di scegliere, per esempio, le prestazioni che vuole erogare ai suoi “clienti”: sono di solito le più remunerative, perché ha come fine – legittimo – il profitto, non la cura universale, come invece la sanità pubblica, a cui sono lasciate le prestazioni più onerose. Quella di tenere le sue proprie agende e liste delle prenotazioni, mentre i tempi d’attesa del pubblico diventano lunghissimi. Il sistema è sbilanciato. Tiene nei momenti “normali” e magari mostra, in qualche settore, anche un miglioramento d’efficienza. Ma nelle fasi d’emergenza salta: è quello che è successo in Lombardia nelle prime settimane di espansione epidemica da Covid-19 (in Veneto le cose sono andate meglio anche perché la sanità pubblica è più forte). Le risorse tolte negli anni al sistema pubblico e i posti letto persi hanno pesato, nei primi momenti di crisi, quando la velocità di risposta avrebbe potuto limitare i contagi. Nella prima settimana d’emergenza, i privati erano assenti e sono stati coinvolti solo con la delibera del 4 marzo del presidente Attilio Fontana, che li ha poi “ringraziati” per essere “entrati” nel “nostro sistema”. Ma i privati non si vantano di essere già parte integrante del Sistema sanitario nazionale?

Gianni Barbacetto

La “fase 2” sia europea

In attesa della riapertura che, mettiamoci il cuore in pace, non sarà a breve, né definitiva, né totale (uno studio dell’Imperial College di Londra prevede una fase “a rubinetto” fino al 2022), è necessario fare un piano più preciso possibile, tenendo conto
di tutte le conseguenze, non solo sociali, ma anche economiche. È ormai chiaro a tutti che sia indiscutibile il ritorno a produrre, ma tale fase non corrisponderà alla disponibilità del vaccino. Pertanto le strade percorribili, tutte non esenti da conseguenti problemi sociali ed economici, possono essere diverse. Se l’argomento sarà affrontato solo a livello locale, sarà un ulteriore disastro economico. Sarebbe auspicabile un modello europeo, un patto solidale della ripresa, a tutela di tutti i Paesi. Se l’ipotesi scelta fosse quella di un rientro per fasce di popolazione in base al loro minor rischio, dovremmo aspettarci che ciò comporterebbe la riapertura produttiva prevalente di alcuni settori rispetto ad altri. Se, come da più parti si ipotizza, tornassero per prime al lavoro le donne, poco colpite da questa pandemia, ci sarebbe una più veloce ripartenza della produzione che implica attività manuali a vantaggio di alcune aziende e a svantaggio di altre industrie a prevalenza maschile. E se queste misure non fossero uguali in altri Paesi? Non sarebbe una decisione che potrebbe sconvolgere gli equilibri degli import-export? E non potrebbe accadere che alcuni Paesi possano occupare spazi commerciali lasciati scoperti? Speriamo di non navigare a vista. L’economia, grave vittima di questa pandemia, non credo possa sopportare altri stress.