“Inutile parlare del Mes. Servono i coronabond o la Ue finirà di esistere”

La partita è entrata nel vivo e la posta in palio è altissima: “Questa crisi può rivelarsi fatale per l’Unione europea, se l’Europa non capirà di dover agire da comunità solidale si rischia la frammentazione politica e la vittoria delle estreme destre in molti Paesi”. Il vicepresidente del Parlamento europeo, Fabio Massimo Castaldo, eurodeputato del M5S, indica il baratro ma vede anche barlumi di luce: “Una parte significativa dell’opinione pubblica in Germania e Olanda comincia a capire che la linea dura dei loro governi è sbagliata, e anche i partiti tedeschi sono spaccati, compresa la Cdu di Angela Merkel”.

Cosa succederà nell’Eurogruppo?

Per ora è tutto un circolare di proposte e bozze. Purtroppo i Paesi del Nord mostrano di non voler uscire da certe logiche.

Angela Merkel è tornata a difendere il Mes, il fondo salva-Stati. Invece il Partito socialista europeo, ha chiesto di farvi ricorso, ma senza condizionalità. Può essere un punto di caduta anche per il M5S?

Stiamo ancora aspettando che qualcuno ci spieghi come utilizzare il Fondo salva-Stati senza condizionalità.

Se ci fosse la volontà politica…

È un dibattito sterile. Il Mes è uno strumento pensato per crisi di carattere diverso da quella attuale, cioè asimmetriche, ed è costruito sulle condizionalità. Per eliminarle bisognerebbe modificarne il Trattato, con il consenso di tutti gli Stati contraenti. E poi sarebbe necessaria la ratifica dei rispettivi Parlamenti.

Anche Giuseppe Conte ha chiesto un Mes senza condizionalità.

No, il premier, a cui siamo totalmente allineati, ha posto il nostro stesso tema: ossia ha chiesto che gli mostrassero come farvi ricorso senza condizionalità.

La Commissione europea ha lanciato il Sure, il piano contro la disoccupazione da 100 miliardi. Ma voi del M5S siete rimasti molto freddi.

È un mezzo passo avanti. Quelli del Sure non sono sussidi ma prestiti, soggetti anch’essi a delle condizioni scritte in un accordo tra lo Stato che li chiede e il fondo. E dopo la loro erogazione la commissione può chiedere ulteriori garanzie allo Stato che li ha ottenuti.

Voi 5 Stelle vi siete pentiti di aver votato a larga maggioranza (10 su 14 eletti) Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea?

Non abbiamo votato una persona ma un programma, con punti qualificanti come la lotta contro la disoccupazione, il salario minimo e il new green deal, per avere una svolta “verde” in Europa.

Ma che giudizio date dell’operato della Von der Leyen?

Finora, per parafrasare un motto inglese, ha fatto troppo poco e troppo tardi. Di fronte a una crisi come quella attuale ci aspettiamo molto più coraggio. La presidente deve scegliere tra l’essere ricordata come una grande leader europea o come un personaggio popolare solo in Germania.

Voi cosa chiedete?

Per noi il primo strumento devono essere i coronabond o comunque li si voglia chiamare. Devono essere emessi dalla Banca europea per gli investimenti, la Bei, e acquistati innanzitutto dalla Bce, la Banca centrale europea. Ciò garantirebbe accesso a risorse molto superiori a quelle ottenibili tramite il tanto citato Mes.

Il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni e quello per il mercato interno, il francese Thierry Breton, propongono un fondo europeo per emettere obbligazioni a lungo termine.

È una strada che va di certo esplorata, questa proposta va nella direzione giusta.

La Francia invoca il fondo di solidarietà “sennò non daremo l’assenso al pacchetto globale dell’Eurogruppo”.

L’idea di un fondo può essere valida, ma il tema è come finanziarlo. E comunque il punto è non rendere obbligatorio il ricorso al Mes.

I falchi del Nord non mollano per ragioni di consenso interno?

Sì, è il motivo principale. Parte della Cdu tedesca teme di cedere terreno all’estrema destra, mentre in Olanda c’è un’evidente rivalità tra il premier Rutte e il suo ministro dell’Economia, a colpi di inasprimento sulla linea dell’austerità. Ma sento diversi eurodeputati, soprattutto tedeschi, preoccupati. Sanno che la Ue si gioca la sua esistenza. Ora è tempo che si facciano sentire.

Il paradiso fiscale olandese che attrae (anche) gli italiani

C’è chi si atteggia a primo della classe quando deve impartire al resto d’Europa lezioni sulla tenuta dei conti pubblici e si oppone agli strumenti di solidarietà tra Paesi europei come gli eurobond, perché a fine 2018 vantava un rapporto tra debito pubblico e Pil al 52,4%: meno della metà del 130% italiano. Ma ha ben poco da insegnare perché quel successo è stato creato diventando un paradiso fiscale e facendo dumping sulle imposte ai danni di altri Paesi dell’Ue. Parliamo dei Paesi Bassi, denominazione ufficiale che dal primo gennaio ha sostituito quella di Olanda. Qui hanno trasferito la loro sede, o hanno costituito società controllate o partecipate, decine di migliaia di imprese europee. Tra queste anche molte società italiane.

Ad Amsterdam dal 2014 ha sede legale Fiat Chrysler Automobiles (Fca), la cui sede fiscale è nel Regno Unito. A Fca da dicembre il Fisco chiede 1,3 miliardi di tasse arretrate per la fusione tra Fiat e Chrysler. Sempre in Olanda ha sede legale MediaForEurope, la holding che ha fuso Mediaset Italia e Spagna, le cui sedi fiscali restano nei rispettivi Paesi. In Olanda Campari ha trasferito la sede legale, mentre quella fiscale resterà in Italia, come pure Cementir, gruppo Caltagirone. Qui hanno controllate o partecipate Eni, Enel, Exor, Ferrero, Prysmian, Saipem, Telecom, Illy, Luxottica, Barilla, Piaggio, Pirelli, Stefanel, Segafredo, Alitalia Sai, Perfetti Van Melle, Tiscali.

Dall’Olanda le società Eni International Bv ed Eni Oil Holdings Bv investono nelle energie alternative in Pakistan e in Kazakhstan, ma secondo Oxfam l’olandese Eni SpA Netherlands è servita per investire in Kenya pagando meno tasse. A un certo punto, il gruppo Telecom Italia aveva in Olanda ben 16 controllate: attraverso una di queste tra il 2006 e il 2007 fece guerra legale alla Bolivia di Evo Morales. Nel 2018 restava solo Telecom Italia Sparkle Netherlands Bv. In Olanda aveva sede sino al 2009 la Giorgio Armani Holding poi rimpatriata, come avvenne nel 2014 anche per alcune società del gruppo Benetton. Su schermi olandesi erano costruite molte operazioni finite nel mirino della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate. Nel 2016 Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, pagarono oltre 400 milioni per “rimpatriare asset”. Stessa sorte per la famiglia Bulgari, accusata di aver trasferito all’estero 3 miliardi di euro a consociate svizzere, irlandesi e olandesi, che chiuse il caso pagando 57 milioni.

Il motivo è semplice: secondo uno studio del 2018 della Commissione europea, i Paesi Bassi con altri membri della Ue hanno voluto tasse molto basse sulle imprese per attrarle dall’estero. Anche secondo le organizzazioni non governative Oxfam o Shareholders for Change l’Olanda è tra i paradisi fiscali più aggressivi al mondo. Secondo un rapporto sulle società di comodo olandesi realizzato nel 2018 dal Centro studi del Parlamento europeo, in Olanda nel 2015 lo stock di investimenti esteri diretti era pari a oltre 3.250 miliardi di euro: il 535% del Pil. La somma nel 2017 aveva toccato il record di 4.830 miliardi di euro, ma solo 770 erano entrati davvero nell’economia locale: gli altri 4mila miliardi erano finiti in società di facciata in modo da evitare il Fisco dei Paesi dove erano stati creati. Una gigantesca partita di giro traghettata dentro e fuori i Paesi Bassi solo per sfruttare una fiscalità di vantaggio.

Nei Paesi Bassi così sono stimate circa 15mila società paravento. Quattro quinti di queste non avrebbero alcun tipo di attività ma servirebbero solo come copertura fiscale, ad esempio a ridurre le imposte sui dividendi per oltre 1,2 miliardi l’anno. Secondo un report della Commissione Ue, anche grazie a questi schemi fiscali gli altri Paesi europei perdevano base imponibile – stimata in 50/70 miliardi l’anno – dirottata, oltre che nei Paesi Bassi, verso Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Cipro e Malta. Secondo la relazione del Parlamento europeo sullo stato fiscale dell’Unione (marzo 2019), anche grazie ad accordi fiscali “sartoriali” per le multinazionali, la base imponibile sottratta agli altri Paesi Ue veniva stimata tra i 160 e i 190 miliardi l’anno (circa 20 miliardi la quota italiana).

Ma a settembre l’Olanda ha introdotto restrizioni alla deducibilità di particolari perdite societarie che avevano spinto molte società estere a trasferire la sede fiscale. Da dicembre poi ha recepito la Direttiva europea Dac6 sugli intermediari fiscali del 25 giugno 2018, che sarà applicata in Europa dal primo luglio. Le nuove regole individuano e scambiano automaticamente tra autorità fiscali dei Paesi Ue indicatori di evasione ed elusione fiscale. Da luglio si capirà se l’Olanda continuerà ancora a dare cattivo esempio.

Parigi: “Senza solidarietà blocchiamo l’Eurogruppo”

La discussione su quali siano gli “strumenti adeguati” ad aiutare gli Stati europei per affrontare la crisi provocata dal Covid-19 “va avanti, ma è ancora un po’ divisiva. Uso un eufemismo”. Il commissario Ue Paolo Gentiloni ieri l’ha messa così in un’intervista con un think tank di Bruxelles. Insomma, oggi all’Eurogruppo – la riunione dei ministri delle Finanze dell’euro – non dovrebbe esserci un accordo, motivo per cui l’appuntamento decisivo tra i leader – il Consiglio europeo – potrebbe slittare dopo Pasqua.

La linea di faglia è sempre la stessa: l’Italia e altri Paesi a partire dalla Spagna vorrebbero che la risposta alla recessione da coronavirus non finisse, quando si uscirà dall’emergenza, per affossare i conti pubblici dei singoli Paesi costringendoli a manovre tipo quelle imposte alla Grecia; il blocco del Nord, Germania in testa, è assolutamente contrario a questa ipotesi. Conte ieri ha ribadito la posizione del governo: “Il Mes è assolutamente inadeguato, gli Eurobond invece sono la soluzione, una risposta seria, efficace, adeguata. Su questo io e Gualtieri siamo pienamente d’accordo”.

Le novità di ieri sono due. La più importante, politicamente, è che la Francia, che sembrava orientata alla solita trattativa a due con Berlino, si è invece schierata dal lato dell’Italia: Parigi, hanno fatto sapere fonti dell’Eliseo, chiede che la sua proposta di un fondo europeo temporaneo di solidarietà “sia nel pacchetto iniziale Ue altrimenti non daremo l’assenso al pacchetto globale. Faremo di tutto per aiutare gli amici italiani e salvare il principio di solidarietà”. Il pacchetto, com’è noto, prevede al momento tre strumenti, tutti sotto forma di “prestiti”: il Mes, appunto, ma con condizionalità leggere (almeno all’inizio, poi non c’è certezza), i finanziamenti alle imprese della Bei (per cui i singoli Stati dovranno offrire il capitale di base) e il programma “Sure”, un’assicurazione contro la disoccupazione (sempre in carico agli Stati quanto a garanzie e costi).

La seconda novità è che la Bce ha cominciato a intervenire sul mercato senza i rigidi criteri proporzionali tra Paesi a cui è stata vincolata finora: i dati di marzo segnalano che la Banca centrale guidata dalla francese Christine Lagarde, ha “deviato” per aiutare Italia, Francia e Spagna.

600 euro anche a tecnici, atleti e istruttori. Ma c’è il rischio dei “furbetti dello sport”

Da oggi parte la presentazione delle domande, sbloccata dal decreto ministeriale, per il bonus dei 600 euro anche per i lavoratori dello sport. I soldi di marzo, però, si vedranno solo a fine mese. E soprattutto bisognerà assicurarsi che vadano a chi ne ha bisogno, non ai “furbetti dello sport”. Al momento ci sono risorse per 83mila persone, le richieste (non tutte legittime) saranno il triplo.

Tecnici, atleti, istruttori di piccole e grandi società o associazioni sportive: con una semplice lettera d’incarico sono pagati fino a 10mila euro senza tasse e contributi. Quindi senza posizione Inps, motivo per cui erano esclusi dal bonus autonomi. Il governo ha stanziato 50 milioni, affidandoli a Sport e Salute: per la società governativa del nuovo presidente Vito Cozzoli è una grande occasione per ritagliarsi un ruolo dopo la riforma anti-Coni, ma anche una sfida difficile.

Sport e Salute non è l’Inps, non ha mai fatto questo. Per evitare brutte figure, è stato organizzato un servizio di prenotazione sms, a monte della piattaforma informatica: ognuno riceverà sul telefono un appuntamento, così si spera di non andare in tilt. L’altro nodo riguardava la platea, visto che il “Cura Italia” col tetto dei 10mila euro esentasse escludeva chi con lo stesso contratto lo supera, magari di poco. Alla fine tutti potranno chiedere il bonus, ma con priorità a quelli sotto i 10mila: prima i meno abbienti, ma si rischia di penalizzare chi vive di sport, come i tecnici federali che superano la soglia, mentre chi è sotto spesso ha altre entrate. L’indennizzo non sarà proporzionale al reddito: 600 euro per tutti, anche chi guadagnava meno. Fuori co.co.co e dipendenti (ci pensa l’Inps) e rimborsi spesa.

Per la categoria è un riconoscimento importante, voluto dal ministro Spadafora, ma non senza incognite. Chi si assicurerà che il bonus vada a chi lo merita, cioè lavoratori sportivi veri e senza altri guadagni? Sport e Salute farà controlli, chiedendo alle associazioni e verificando l’iscrizione al registro Coni. È previsto l’aiuto dell’Agenzia delle entrate per vagliare i redditi ma il pericolo “furbetti” è alto: si teme un assalto alla diligenza, con oltre mezzo milione di richieste, di fronte a cui sarà difficile reggere. Ci sono soldi solo per 83mila persone. Infatti Spadafora promette altre risorse: 100 milioni per le società. Contributo entro 30 giorni, in ordine cronologico di domanda. Rischia di diventare una lotteria, dove a vincere sono i più veloci, i più furbi o i più fortunati.

Mutui casa, colf e baby sitter? Le risposte ai quesiti dei lettori

Vanno di pari passo le domande che arrivano all’Inps per ottenere indennità e bonus con i dubbi che affliggono sia beneficiari che gli esclusi dagli aiuti. Noi continuiamo a rispondere ai quesiti che ci state inviando a lettere@ilfattoquotidiano.it

Colf Da quando è stato emanato il decreto “Io resto a casa” ho impedito alla mia colf di venire a svolgere il suo lavoro a casa, due volte alla settimana per 9 ore complessive. Come devo comportarmi ai fini salariali e previdenziali? (Emanuele Meli)

L’attività di lavoro domestico può proseguire sia a ore che a tempo pieno anche nel periodo di emergenza Covid-19. Se però si è decisa la sospensione del rapporto, secondo i consigli di Assindatcolf, si può ricorrere al permesso retribuito per non gravare economicamente sul collaboratore domestico. Altra possibilità è il permesso non retribuito per il quale, però, conviene fare un accordo scritto a tutela delle parti. Altrimenti si può mettere la colf o la badante in ferie, nel caso le abbia maturate e siano ancora residue. L’ideale sarebbe combinarle ai permessi non retribuiti, come alternativa meno onerosa per tutti. Si può anche pensare all’anticipo di una quota del Tfr. Intanto l’Inps ha rinviato di due mesi il pagamento dei contributi dei lavoratori domestici per il primo trimestre 2020.

Mutui Ho chiesto alla banca di sospendere le rate del mutuo. Ma la banca mi ha detto che non aveva a disposizione la procedura. Ci prendono in giro? (Milena G.)

Mi sono trovato addebitato la rata del mutuo di aprile ma non ho neanche i soldi per fare la spesa? (Lettera firmata)

È solo una questione di tempo: ce n’è voluto troppo per avviare le procedure burocratiche e dare l’avvio concreto della misura. Il nuovo modello per richiedere la sospensione è stato infatti pubblicato il 30 marzo. E da quando si presenta la domanda a quando si ottiene la risposta potrebbero passare fino a 30 giorni. Questo significa che a tutti i mutuatari, il cui prelievo automatico della rata avviene nelle prime settimane di aprile, verrà addebitata la rata. La buona notizia è che il sistema bancario starebbe valutando la possibilità di stornare il pagamento a tutti quelli che otterranno l’ok alla domanda. Si tratta comunque di un beneficio che resta caratterizzato da maglie molto strette: per accedervi il valore del mutuo concesso non deve superare i 250 mila euro, il finanziamento deve essere in ammortamento da almeno un anno e non si deve beneficiare di altre garanzie pubbliche.

Bonus 600 euro Sono una laureata di 23 anni e ho avuto un contratto Co.Co.Co il 25 febbraio. Per 2 giorni non rientro nel Cura Italia. Mi sento cornuta e mazziata. (Benedetta R.)

Non possiamo che confermarle che lo spartiacque del 23 febbraio rischia di risultare discriminante. Ma, secondo quanto annunciato dalla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, nel decreto di aprile ci sarà un ulteriore ampliamento dei beneficiari, tutelando anche i lavoratori assunti dopo il 23.

Baby sitter Posso pagare con il bonus baby sitter le ore in più che in queste settimane ho chiesto di fare alla mia tata o devo rispettare quelle del contratto? (Maria Caputo)

Sì, la conferma arriva dalla circolare Inps. “Attenzione però – precisa Assindatcolf – a tenere una contabilità separata poiché con il bonus viene stabilito un importo orario di 10 euro, che può essere superiore alla retribuzione oraria concordata in busta paga. Con il bonus da 600 euro si potranno retribuire circa 13 ore in più rispetto all’orario standard”.

Cassa integrazione Ci dovrebbe essere stato un accordo tra governo e Abi circa la disponibilità di anticipare l’integrazione salariale della cassa integrazione in deroga. Ad oggi diverse istituti, tra i quali Unicredit, Bcc e altri stanno comunicando ai propri clienti di non sapere nulla a riguardo. Lo fanno per temporeggiare e ricevere maggiori garanzie o siamo di fronte ai soliti problemi di burocrazia? (Angelo Scarano)

L’accordo con l’Abi che consente di anticipare 1.400 euro sui conti correnti dei lavoratori che hanno diritto alla cassa integrazione è stato siglato giovedì scorso. Quindi, se la richiesta è stato fatta in filiale prima di questa data, probabilmente la risposta sarà stata vaga. Da questa settimana nessuna banca avrà più scuse. Per il lavoratore che richiede l’anticipo non sono previsti interessi o spese aggiuntive.

Prestiti, così lo Stato soccorre le aziende (e anche le banche)

La precedenza ce l’ha avuta, ma la gestazione non è stata facile. Il decreto Imprese vede la luce dopo giorni di scontri e una partita di potere tra pezzi di maggioranza e del governo. Il Consiglio dei ministri inizia in tarda mattinata ma lo licenzia solo in serata. La riunione viene infatti sospesa per ore per le liti interne, con Italia Viva scatenata e i dissidi tra 5Stelle e ministero dell’Economia. Alla fine il testo si è trasformato in un altro omnibus. Doveva contenere le garanzie pubbliche alla liquidità delle imprese fino al 31 dicembre, ma ha finito per inglobare anche il rinvio a giugno di Iva e ritenute e altri interventi come l’estensione per un anno del Golden Power – i poteri speciali che permettono al governo di bloccare scalate ostili a imprese strategiche – a tutti i settori economici e alle piccole imprese, comprese quelle in cui il compratore è europeo.

La garanzia sulla liquidità alle imprese è la parte più corposa e oggetto di scontro politico. È composta, per così dire, da due binari. Il primo riguarda le piccole e medie imprese fino a 499 dipendenti, compresi professionisti, negozianti, autonomi e piccoli imprenditori. Per loro le banche potranno erogare subito prestiti fino a 25mila euro praticamente in automatico, senza aspettare l’ok del Fondo e garantiti al 100% dallo Stato. Per i prestiti fino a 800mila euro ci sarà sempre garanzia fino al 100%, ma con il 90% garantito dallo Stato e la contro-garanzia del 10% dei Confidi, tenendo conto della situazione finanziaria pre-crisi e non dell’andamento degli ultimi mesi, segnati dal Covid-19. Per le richieste di liquidità fino a 5 milioni invece la garanzia sarà al 90%, sempre “senza valutazione andamentale”. Italia Viva premeva per arrivare al 100% per tutti gli importi, alla fine è prevalsa la linea del Tesoro, preoccupato che la copertura totale dello Stato spingesse le banche a finanziare anche imprese ormai compromesse alzando i costi per lo Stato (si punta a coprire 100 miliardi di prestiti con soli 7 miliardi di soldi veri).

Il vero scontro e – a giudicare dalle bozze circolate – anche qualche attività di lobbying del settore bancario, ha riguardato i prestiti alle grandi imprese (l’impegno totale è per 200 miliardi al massimo, di cui 30 riservati alle Pmi). A fornire la garanzia statale sarà la Sace, la controllata di Cassa Depositi e Prestiti che si occupa di assicurare le commesse estere delle imprese italiane: gli uomini del ministro Roberto Gualtieri volevano riportarla sotto il controllo diretto del ministero; i 5Stelle, a cui almeno formalmente afferiscono i vertici della Cdp, si sono messi di traverso. Ne è uscito il solito ibrido: Sace resta a Cdp ma sarà soggetta “all’attività di direzione e coordinamento” del Tesoro.

Come detto, nonostante le richieste di Italia Viva e parte dei 5Stelle, la garanzia coprirà il 90% e tutto il prestito bancario: servirà per finanziamenti di durata non superiore a 6 anni (a patto che l’impresa non risultasse nella categoria dei quelle già in difficoltà nel 2019) e l’importo del prestito assistito da garanzia non potrà essere superiore al 25% del fatturato 2019 o al doppio dei costi del personale registrati sempre lo scorso anno. Questa garanzia al 90% dovrebbe coprire quasi tutte le imprese. In una prima versione del testo era previsto che sopra i 5mila dipendenti e gli 1,5 miliardi di valore del fatturato la garanzia scendesse prima all’80% e poi al 70%, e che per queste due categorie venisse autorizzata con decreto del ministero dell’Economia tenendo conto di alcuni elementi come il contributo allo sviluppo tecnologico dell’Italia, l’appartenenza alla rete logistica e dei rifornimenti, l’incidenza su infrastrutture critiche e strategiche. Ieri Gualtieri ha fatto intendere che questo decalage sia stato eliminato.

Il decreto non prevede di poter usare i prestiti per rifinanziare vecchie esposizioni, ma nelle prime bozze il divieto era esplicito. L’ultimo testo entrato in Cdm lascia un margine di ambiguità. Nel settore tutti sanno che molte imprese (e banche) troveranno il modo per coprire i vecchi prestiti. Altro nodo riguarda i tassi sui prestiti concessi dalle banche. Le bozze si limitano a dire che dovranno essere inferiori a quelli che sarebbero stabiliti per operazioni analoghe non coperte da garanzia statale. Una formulazione vaga che lascia aperta la porta alla competizione tra banche (ma pure a possibili rialzi o cartelli). Insomma, il governo soccorre le imprese, ma anche gli istituti di credito.

La potenza di fuoco, come detto, supera i 200 miliardi (a cui nel 2021 si aggiungeranno altri 200 per l’export), meno di quanto fatto dalla Germania (850 miliardi), ma in linea con la Francia e più della Spagna .

“È importante che tutti abbiano le stesse possibilità. Poi si recupera”

“Questo insegnamento funziona, seppur con le cautele dovute al digital devide che di certo non potevano essere colmate in poche settimane”: Amanda Ferrario è una dirigente scolastica di Bursto Arsizio, nota per l’avanguardia tecnologica dell’istituto che dirige (l’Ite Tosi). “È fondamentale la formazione dei docenti sulle tecnologie didattiche. Dove c’è, tutto ha funzionato bene”.

La didattica a distanza?

Non mi piace questo termine. Noi facciamo scuola. Quando la scuola si è interrotta in presenza, si è adattata immediatamente e ha cambiato forma, lavorando con le competenze più che con le conoscenze.

Che differenza c’è?

In questa situazione non si può mirare alla nozione, si deve cercare di sviluppare le competenze: lavorare in gruppo, saper ascoltare, sostenere una tesi o confutarla, farlo davanti a uno schermo. Si stanno sviluppando nuove competenze, diverse, e la valutazione va in questa direzione. Potrebbe essere uno spunto per il futuro.

È un modo di fare scuola sostenibile anche oltre l’emergenza?

La relazione umana è insostituibile, c’è bisogno del “gruppo dei pari”, della propria maestra. La difficoltà dei ragazzi, ora, è essere soli, senza confronto coi compagni. Può però essere utile per la valorizzazione delle eccellenze, per lavorare in contesti diversi su tutto il territorio nazionale per approfondimenti di ogni tipo.

Quest’anno nessuno sarà bocciato…

È la soluzione migliore. Non si possono conoscere le condizioni di ogni scuola e ogni famiglia. Ci sono ragazzi che magari non hanno connessione o hanno un solo pc in cinque. Fare didattica equamente, così, è difficile. Ammetterli alla maturità è una soluzione di equilibrio se si considera poi che normalmente il 97% la supera. Lo stesso vale per il recupero a settembre. Non è una cosa nuova, con Fioroni chi prendeva un debito passava all’anno successivo e lo sanava in corsa. Chiaro che può essere solo una soluzione emergenziale, anche perché a giugno i ragazzi avranno bisogno di riposarsi, pensare di far recuperare il debito con un corso estivo a luglio significava opprimerli. Hanno bisogno d’aria, di andare al mare se possibile, di correre. Stanno vivendo una condizione drammatica, chiusi in casa, con genitori e fratelli. A giugno bisognerà stare molto attenti alle valutazioni, tenendo conto di tanti aspetti. È giusto che stacchino la spina. E anche i professori.

Si profila poi l’ipotesi della maturità telematica…

Potrebbe essere l’unica scelta possibile. Fare l’esame da casa necessita di equilibrio, equità e correttezza che il ministero può assicurare solo con un colloquio attraverso uno schermo. È stato già fatto per il terremoto all’Aquila.

Coronacomix: nuovi e vecchi umoristi diventano… virali

Parte la base di Sincero (la chiacchieratissima canzone sanremese di Bugo e Morgan) e Michele dal suo balcone a Caserta – vestito di tutto punto, tight e occhiali da sole dandy, con anche il papillon – inizia a cantare nel rito delle sei del pomeriggio: “Le brutte intenzioni la maleducazione,/ la tua brutta figura di ieri sera,/ la tua ingratitudine la tua arroganza,/ fai ciò che vuoi mettendo i piedi in testa,/”. In un altro video, si toglie di dosso con un gesto teatrale una tovaglia da cucina stampata e rimane in un simil-body succinto color carne: stavolta si esibisce in una parodia di Achille Lauro in Me ne frego. Basta un’idea semplice, un po’ di faccia tosta e molta ironia, autoironia, e soprattutto inconsapevolezza per diventare – di questi tempi in cui abbiamo bisogno di molto intrattenimento e passiamo più tempo sui social a mettere cuori, anche se postiamo fotografie di libri per raccontarci tutti riflessivi e letterati – una star del web.

E certo: chi non parla di stanze tirate a lucido, chi non sa cucinare e dunque non può sciorinare ricette come fa Benedetta Rossi col suo bel pollice unto di sugo all’insù mentre in marchigiano dice “io faccio così”; chi non sa cantare e quindi non viene invitato dai Ferragnez dal loro iper-loft milanese a fare delle dirette da milioni di visualizzazioni; chi non può mostrare addominali o lati B scolpiti, insegnando a fare squat, crossfit o workout in casa (più che tipologie di allenamento, sembrano insulti); chi dunque non sa fare niente – posto che addirittura la De Lellis si trucca in diretta con le sue fan, mentre nasconde nell’armadio il non più ex fidanzato Andrea Damante –, quelli rimasti esclusi dalle pratiche più o meno utili, che possono fare? Molto semplice! Come dicevano le nostre nonne con un’ingenuità ormai passata di moda, “fanno gli scemi”.

Con inarrivabile e luminoso talento, sia chiaro! Michele non è solo. Alessia, da Roma, si fa bella per uscire, si spruzza il profumo e si rimira allo specchio. E alla domanda “Ale, ma dove vai?” risponde: “Vado a fare un giro in cucina”. È di Roma anche una pittoresca vecchina alla finestra, che richiama l’attenzione in vestaglia rosso acceso battendo un mestolo su una pentola affinché tutti ascoltino il suo proclama: “Me so’ rotta li cojoni”. E poi c’è Mario, che apre la lavatrice, e in playback canta “E guardo il mondo da un oblò,/ mi annoio un po’”. E ancora Ilaria, che si veste da grande soirée per recarsi a gettare la spazzatura.

Un meraviglioso arcipelago di comici della domenica, resi perfetti dalla loro involontarietà, si lancia su Istangram per noia. Tocca poi a Trash Italiano, Bitchyf, Indifferenza Astrale ad aureolare le loro performance a video trash che, visti e rivisti e condivisi, diventano virali (così si dice: i paradossi della lingua). Anche molti programmi televisivi li trasmettono per far ridere gli italiani, pure Barbara d’Urso a Live, quando non è impegnata a recitare l’Eterno Riposo con Matteo Salvini (no, questo non fa ridere).

I comici di professione – o meglio, chi lo scemo lo fa brillantemente di professione – non mancano di concorrere al festival della risata online. Lillo Petrolo (di Lillo e Greg) dà un suggerimento al giorno per trascorrere il tempo in casa: corsi di pittura per negati (si versano tutti i colori acrilici in un bicchiere e poi si rovescia la mistura su un foglio che verrà agitato per bene, per avere un effetto alla Pollock); creazione di prodotti homemade: uno spruzza-limone, ottenuto inserendo un vaporizzatore dentro un limone vero, o delle nacchere appiccicando dei tappi di metallo su dei cartoncini rettangolari piegati a metà. Imperdibile, il video dello spazzolino 2.0 con cui pulirsi i denti, ma anche sciacquarseli: correte a vederlo!

Ezio Greggio prende un caffè in silenzio in ascolto, annuendo a chiunque abbia bisogno di parlare, oppure intervista per finta Kim Jong, che gli rivelerebbe di aver comprato al mercato cani, gatti e topi. Infine, Massimo Boldi, Renzo Arbore, Nino Frassica e altri artisti re-incidono Ma la notte no, cantando Io resto a casa mo’.

Tuttavia, anche i problemi quotidiani possono diventare l’innesco per ridere: mentre ci struggiamo tutti per la chiusura dei parrucchieri (anche il presidente Mattarella, che si aggiusta simpaticamente il ciuffetto canuto), Debora Villa su Tik Tok ci propone una soluzione: tagliarseli “ad minchiam” come fa lei con la sua frangetta. Carmen di Pietro, invece, versa un trattamento ai rossi d’uovo sulla chioma della figlia se al contrario vogliamo tenerli lunghi e rinforzarli. E ancora c’è Federica Pellegrini, che si tuffa e nuota sul letto, o Arisa che canta come trascorre le giornate. E fa ridere anche un bambino, Matteo, che per dire “ce la faremo” si appoggia troppo alla tovaglia apparecchiata e rovina all’indietro tirandosi addosso piatti e bicchieri. Nel dubbio, sì, ridiamo. Siamo scemi e ridiamo, che la paura passa.

Rai e Palazzo Chigi, smania di sceriffi anti-balle

Se oggi non hai una bella task force contro le fake news, non sei è nessuno. Perché è questa la nuova moda che impazza ai piani alti delle istituzioni. Non bastava quella di cui si è dotata la Rai, composta solo da due persone, il direttore di Rainews Antonio Di Bella e il suo cronista scientifico Gerardo D’Amico. Ora anche Palazzo Chigi ha la sua brava task force contro le fake news da coronavirus. Intendiamoci: di balle sesquipedali sul virus ne circolano a iosa, soprattutto sui social. Bufale che nel tempo di un battito d’ali (di pipistrello) diventano verità assolute, provocando palpitazioni, ansie e paure a mezzo mondo. L’esigenza di mettere un po’ d’ordine ha una sua logica. Lascia perplessi, però, che a farlo sia il governo, perché, quando l’esecutivo si muove sul terreno minato dell’informazione, subito si sente puzza di censura. “Non si tratta di limitare la libertà. La commissione non si occuperà delle opinioni, che sono sempre libere e inviolabili, ma di individuare quelle fake news pericolose in ambito sanitario che possono danneggiare la salute dei cittadini”, ha precisato ieri Andrea Martella, sottosegretario alla presidenza del consiglio con la delega all’editoria. Colui che, insieme allo staff di Palazzo Chigi, ha avuto l’idea.

La destra ha subito storto il naso. Perché, a vedere i nomi, a loro dire sarebbe troppo di sinistra. “Il governo ha scelto d’imperio gli ‘esperti’ che decideranno cosa si può dire o cosa no. Tra loro non c’è neppure un medico o un virologo. Credo che si stiano limitando le libertà fondamentali e costituzionali con eccessiva disinvoltura”, attacca Giorgia Meloni. Task force anti-sovranista, dunque?

A coordinarla c’è il giornalista di Repubblica Riccardo Luna. Poi ci sono il direttore di Fanpage Francesco Piccinini e Ruben Razzante, che è docente di diritto dell’informazione alla Cattolica di Milano. E alcuni esperti di fact checking in diversi campi: David Puente, che lo fa per Open di Enrico Mentana, e poi Luisa Verdoliva (ricercatrice alla Federico II di Napoli), Giovanni Zagni (giornalista, direttore di Pagella Politica), Fabiana Zollo (ricercatrice alla Ca’ Foscari di Venezia) e Roberta Villa (giornalista esperta di medicina).

Uno dei più scatenati contro l’iniziativa, su Twitter, è Nicola Porro. “La trovo allucinante e pericolosa. Sul Covid gli stessi virologi si dividono, in questi giorni ne sentiamo di ogni, e quello che è vero o falso me lo dovrebbe dire una task force del governo? Ma andiamo! Oltretutto web e social sono velocissimi, il loro giudizio arriverebbe comunque a danno fatto”, sostiene il vicedirettore del Giornale.

Il raggio d’azione della task force governativa, infatti, è il web, non giornali, radio e tv, che quindi possono fare come gli pare. “Se si vuole agire con serietà, allora andrebbe istituita un’authority indipendente, non un gruppo che lavora gomito a gomito con l’esecutivo. Così c’è davvero il rischio di censura”, osserva Carlo Rossella, ex direttore di Stampa e Tg5.

Infine, c’è la task force della Rai, coordinata da Di Bella. Il quale proprio ieri è incappato in un piccolo incidente. Riprendendo l’agenzia russa Ria Novosti, Rainews ha dato la notizia che Boris Johnson fosse stato messo in terapia intensiva. Notizia però smentita dal governo britannico e dallo stesso premier inglese, anche se poi altre testate l’hanno confermata. I dubbi restano, come il fatto che l’accusa di fake news sia sempre dietro l’angolo, anche per chi dirige una task force contro di esse.

Video-indagini: svolta del governo. Il Colle ha detto sì

Quello che non ha potuto la logica del progresso e del risparmio delle risorse l’ha fatto l’emergenza coronavirus. In ambito Giustizia, le videoconferenze saranno allargate fino al 30 giugno anche alle indagini. Data la delicatezza della materia, il governo ha messo a conoscenza il Quirinale, che al momento non avrebbe ravvisato dubbi di costituzionalità.

Secondo quanto risulta al Fatto, a breve, inoltre, sarà decisa anche una proroga della legge sulle intercettazioni che dovrebbe entrare in vigore dal 2 maggio.

La novità delle “indagini online” è contenuta in un subemendamento presentato dal M5S in Senato, dove domani e giovedì si voterà la conversione in legge del decreto del mese scorso. Questo testo è frutto degli input al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede da parte delle procure di Milano, Roma, Napoli e Firenze, preoccupate, in tempo di Covid-19, di non poter condurre a pieno le indagini e in sicurezza. Nel decreto legge, infatti, le videoconferenze sono previste solo per udienze preliminari o dei processi che sono esclusi dalla sospensione fino all’11 maggio perché rientrano nei “casi urgenti”. Invece, il subemendamento prevede che fino al 30 giugno il pm e il giudice delle indagini preliminari “possono avvalersi di collegamenti da remoto” anche “per compiere atti che richiedano la partecipazione della persona sottoposta a indagini, della persona offesa, di consulenti, di esperti o di altre persone nel caso in cui la presenza fisica non può essere assicurata senza mettere a rischio le esigenze di contenimento” del virus. Cosa vuol dire in concreto? Che se un pm deve interrogare un indagato o deve ascoltare un testimone può farlo in videoconferenza. Il magistrato resta nel suo ufficio, l’indagato detenuto in carcere e quello non agli arresti o un’altra delle parti si reca “al più vicino ufficio di polizia giudiziaria” per fare un collegamento da remoto. Il difensore può, altra novità, restare in studio e collegarsi anche lui con il pc. Saranno, inoltre, assicurate, modalità tali da garantire ad avvocato e indagato di “potersi consultare” sia pure a distanza “riservatamente”. Il difensore, però, se vuole, può andare dov’è il suo assistito. Per le firme, sarà “il pubblico ufficiale che redige il verbale” a dare atto dell’impossibilità di firmare per “i soggetti non presenti fisicamente”.

In realtà, per ridurre al minimo il rischio contagio, ci risulta che la Procura di Roma abbia già condotto in videoconferenza interrogatori di indagini urgenti come quelle per violenza sulle donne anche con indagati a piede libero, facendole recare in un ufficio di polizia giudiziaria, con la presenza del difensore, naturalmente. Lo stesso ha fatto la Procura di Napoli grazie alla collaborazione degli avvocati, ma le indagini sono comunque fortemente rallentate, in mancanza di una normativa ad hoc. A Napoli, ci risulta, che le informative siano calate dell’80-90%.

La Procura di Milano, invece, ha evitato interrogatori da remoto per non correre il rischio di atti nulli. Ecco perché è stata la capofila delle procure che hanno sollecitato l’intervento normativo.

La richiesta era venuta anche dall’Anm che ha pure chiesto al ministro Bonafede di rinviare l’entrata in vigore della nuova disciplina sulle intercettazioni. Le procure, infatti, stavano organizzandosi per avere gli strumenti tecnologici necessari quando è deflagrata l’emergenza coronavirus che ha bloccato tutto.

Bonafede è d’accordo sulla proroga che vogliono anche gli avvocati, ma deve dribblare i mugugni del Pd che non ha mai visto in vigore la legge a firma dell’ex ministro Andrea Orlando e per salvare l’onore a dicembre, pur di evitare il quarto differimento, ha accettato di approvare la legge modificata nella sua essenza: non sarà la polizia giudiziaria, in linea gerarchica dipendente dal governo, a stabilire quali siano le registrazioni rilevanti da trascrivere e quali no, ma sarà sempre il pm, come adesso, ad avere l’ultima parola. Sarà ancora garantito il diritto della difesa a fare copia del materiale rilevante e a chiedere al giudice di acquisire altre intercettazioni ritenute irrilevanti dal pm.