Multe raddoppiate: a Pasqua più controlli e posti di blocco

Più posti di blocco lungo le strade, ma anche all’uscita delle grandi città e controlli ancora più severi. Per il prossimo weekend, quello di Pasqua, sarà ancora più alta l’allerta delle forze dell’ordine sul territorio nazionale per evitare che uscite o spostamenti non necessari possano vanificare i sacrifici fatti e aumentare i dati dei contagi che “restano ancora allarmanti”, come sottolineato ieri da Luca Richeldi, primario di pneumologia al policlinico Gemelli di Roma e componente del Comitato tecnico scientifico. L’obiettivo è dunque non ridurre il livello di attenzione, soprattutto per il prossimo ponte, quello di domenica e lunedì dell’Angelo, quando molte persone cercheranno di raggiungere le seconde case. È già successo nello scorso weekend: su tutto il territorio nazionale si sono registrate più del doppio delle sanzioni di quelle emesse la settimana precedente.

Da venerdì a domenica quasi 30 mila multati

Da venerdì 3 a domenica 5 aprile in totale sono 28.493 le persone sanzionate, perché trovate a spasso senza alcun “comprovato motivo” e alle quali sono state inflitte multe da 400 a 3 mila euro. Il numero delle sanzioni è stato un crescendo: da poco più di 8 mila di venerdì a 11.022 di domenica. Sessantacinque invece sono i contagiati che non hanno rispettato l’obbligo di quarantena e che sono stati denunciati. Sono stati oltre 670 mila i controlli effettuati, contro i 570.338 del weekend precedente. Dal 27 al 29 marzo, i sanzionati sono stati la metà, 14.348, mentre i positivi al coronavirus denunciati 128. Secondo una prima analisi dei dati arrivati al ministero dell’Interno, le multe sono state emesse soprattutto nelle città del Nord Italia, come Torino, Venezia e Milano.

Aumenta ancora la mobilità a Milano

Proprio nel capoluogo lombardo i dati sulla mobilità – che si calcolano analizzando i cambi di celle alle quali si agganciano gli smartphone rilevati dalle compagnie telefoniche – dimostrano che le persone stanno uscendo di più. Nella giornata di domenica, come spiega il vicepresidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala, “i dati ci dicono che abbiamo avuto un +1% rispetto a domenica scorsa” quando la percentuale della mobilità registrava un 28 per cento. “Mediamente”, spiega Sala, l’ultima settimana lavorativa segna “l’1-1,5% in più di movimenti rispetto sempre alla settimana scorsa”. “È chiaro – conclude il vicepresidente della Regione – come migliaia di persone in più si siano spostate domenica, generando una mobilità che non è imputabile a necessità di carattere lavorativo”.

Località di villeggiatura e seconde case

Ed è questa la principale preoccupazione in vista del ponte di Pasqua. Il clima ma anche la tenuta psicologica degli italiani, magari stanchi delle restrizioni, potrebbe portare più persone in strada. Ci sarà quindi un nuovo piano. Verranno previsti ancora di più i controlli, già potenziati nello scorso weekend, lungo le strade.

Più auto verranno fermate e aumenteranno anche i posti di blocco ai caselli autostradali per evitare che le persone si muovano per raggiungere le seconde case: bisogna insomma controllare i flussi dai centri cittadini. Più forze dell’ordine saranno dispiegate in diverse località di villeggiatura e all’uscita delle principali città, come Milano, Roma e Torino.

Fase 2, il premier Conte convoca un vertice

Intanto il governo comincia ad affrontare concretamente il nodo di come ripartire dopo un mese di lockdown: quali attività produttive riaprire e con che modalità, test sierologici su larga scala, ma anche differenziazione delle misure di contenimento per fasce d’età e aree geografiche e poi l’utilizzo di mascherine laddove non è possibile il distanziamento sociale. Per le prossime ore Conte ha convocato un vertice con alcuni ministri e il Comitato tecnico scientifico. A una settimana dalla scadenza delle misure prevista per il 13 aprile, si va verso riaperture parziali, ma non sarà un liberi tutti: probabilmente si resterà a casa fino ai primi giorni di maggio. Si potrebbe quindi decidere di procedere individuando altri due criteri per capire dove consentire qualche riapertura: quello delle aree geografiche, privilegiando quelle a minor diffusione, e quello dell’età, tenendo a casa anziani e persone più fragili.

Nuovi casi sino a fine mese. La “fase 2” può attendere

L’ultimo decreto del governo proroga le misure restrittive fino al 13 aprile. E poi? “Cominceremo con l’allentamento delle misure. Non posso dirvi se sarà dal 14 aprile”, ha dichiarato Giuseppe Conte nella conferenza stampa in cui ha annunciato l’ultimo decreto. C’è chi parla di graduale riapertura, chi di “fase due”. Tra gli italiani comincia a serpeggiare l’idea che finalmente ci si possa riavvicinare a una vita normale. Per molti, con queste belle giornate di sole, l’obiettivo sono le festività del 25 aprile e del 1° maggio. Ma i numeri e le analisi sull’andamento della curva dei contagi in Italia ci dicono ben altro.

Cominciamo dalle buone notizie: il tanto agognato picco è stato superato. Anzi ne sono stati superati due: quello relativo ai nuovi casi positivi, raggiunto intorno al 25 marzo, a cui ha fatto seguito quello dei decessi, raggiunto circa quattro giorni più tardi. Dopo un’intera settimana a parlare di plateau, sembra quindi che anche il numero dei morti, giorno dopo giorno, cominci a diminuire, passando dai 919 del 27 marzo agli 837 del 31 marzo fino ai 525 del 5 aprile e i 636 di ieri. Gli altri segnali positivi provengono dal numero totale degli ospedalizzati (ricoverati con sintomi e in terapia intensiva) che, al netto dei guariti e dei deceduti, il 5 aprile ha segnato per la prima volta un numero negativo (-78). Questo significa che in Italia la pressione sugli ospedali diminuisce e i posti letto cominciano a liberarsi, anche nelle terapie intensive (170 posti liberati negli ultimi tre giorni).

Quindi siamo pronti per la ripartenza? La risposta è no. La discesa della curva dei contagi è appena cominciata e viaggiamo ancora al ritmo sostenuto di circa 4.000 nuovi casi positivi al giorno. In Italia ci sono più di 93.000 casi attivi e sappiamo che questo numero è ampiamente sottostimato. Allentare adesso il lockdown non solo vanificherebbe gli sforzi esercitati fin qui, ma provocherebbe un vero e proprio disastro sanitario. Che ci piaccia o no, in assenza di un vaccino, l’unico antidoto che abbiamo contro questo coronavirus sono le misure di distanziamento sociale, che secondo una stima dell’Imperial College hanno fino a oggi evitato la morte di circa 60 mila persone in 11 Paesi europei.

E allora, quando sarà il momento giusto per un primo allentamento del lockdown? Secondo l’analisi riportata nel grafico e condotta dall’astrofisico Fabrizio Nicastro dell’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica), il numero dei nuovi contagi scenderà progressivamente fino ad arrivare a circa 500 nuovi casi positivi giornalieri intorno al 22 aprile, per poi scendere a circa 100 dal 30 aprile poi. L’analisi, come sempre in questi casi, è soggetta a un ampio margine di errore per via dell’incertezza che abbiamo sugli stessi dati comunicati dalla Protezione Civile. Ma questa incertezza non ci impedisce di arrivare a una semplice conclusione: il 13 aprile, giorno in cui scadono le attuali misure, avremo ancora migliaia di nuovi contagi giornalieri e circa 100 mila persone contagiate in Italia. A fine aprile la situazione sarà di certo migliorata, ma i nuovi casi saranno ancora nell’ordine di un centinaio al giorno. Quando si azzereranno finalmente? Secondo l’analisi di Nicastro non prima di fine maggio, non prima cioè di tre mesi dal primo caso registrato in Italia.

Se le stime fin qui riportate sembrano eccessive proviamo allora a fare un paragone con il caso cinese. La città di Wuhan in Cina, dove ha avuto inizio l’attuale pandemia, riaprirà proprio domani, dopo essere stata chiusa il 23 gennaio e dove i primi casi registrati risalgono ai primi giorni di dicembre 2019. La Cina ha dunque riaperto a distanza di quattro mesi dai primi contagi e dopo due mesi e mezzo dall’inizio del lockdown. Ma soprattutto, dopo che da inizio marzo il numero dei nuovi contagi è sceso a poche unità ogni giorno.

Dati alla mano, i numeri ci dicono che la Cina è stata più brava di noi, ha saputo reagire prima alla diffusione del virus e in modo più efficace, ad esempio isolando i casi positivi in strutture apposite, evitando così i contagi famigliari o ospedalieri, che sono il vero problema di questa fase dell’epidemia in Italia. Non è un caso che il picco in Cina sia stato raggiunto prima che da noi e la curva dei contagi abbia cominciato a rallentare subito dopo il lockdown, fermandosi a circa 81 mila casi rispetto agli oltre 130.000 in Italia.

“Il trend è confortante”, ma ci sono altri 636 morti

“Trend confortante”: la speranza ieri, al bollettino quotidiano delle 18, prova a infonderla Luca Richeldi, pneumologo del Gemelli di Roma e componente del Comitato tecnico-scientifico di Palazzo Chigi, seduto al metro di distanza dal capo della Protezione civile Angelo Borrelli. Eppure, almeno rispetto al numero dei morti, dal picco ancora non si scende: 636 registrati nelle ultime ventiquattr’ore, domenica erano stati 525 (16.523 in tutto). I nuovi casi censiti sono 3.599 (4.316 il giorno precedente) con la curva di crescita che continua ad abbassarsi e rimane sotto il 3 per cento al 2,79. Ed è qui che sta la moderata soddisfazione del professor Richeldi: “I dati confermano il trend confortante che vediamo da qualche giorno per le efficaci misure di contenimento”. Poi ci sono le terapie intensive: 3.898 ricoverati. “Dal 30 marzo al 6 aprile -90 per cento ricoverati, da 409 a 27. Per le terapie intensive il saldo era positivo il 30 marzo: +75; oggi è di -79, che sono stati dimessi”. “Per il terzo giorno consecutivo – ha aggiunto Borrelli – il numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva è negativo”.

Ma il sospiro di sollievo sparisce guardando ancora il numero terribile dei morti, spiega Richeldi: “Il trend è meno forte sui decessi, purtroppo ancora al 50% in Lombardia, ma su base settimanale la diminuzione è oltre il 20 per cento anche per i decessi”. Interessante la progressione del numero dei tamponi effettuati: 721.732 (di cui 373.000 in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), +30.271 su domenica; erano stati +34.237 su sabato, +38.617 su venerdì, +39.809 su giovedì. Dall’arrivo della pandemia di Sars-Cov2 in Italia i casi ufficiali sono stati 132.547 e attualmente positive ci sono 93.187 persone. I guariti sono arrivati a quota 22.837, di cui 1.022 sono stati giudicati guariti nelle ultime ventiquattr’ore.

In Lombardia, regione epicentro della pandemia in Italia, i positivi hanno raggiunto i51.534, con un aumento di 1.089rispetto al giorno precendente, domenica, quando si sono registrati1.337nuovi casi, mentre sabato l’aumento era di1.598persone positive al tampone. La curva di crescita lombarda è dunque al 2,15%. In Lombardia sono 11.914 i ricoverati in reparto(-95 rispetto a ieri) a cui si aggiungono i 26 nuovi accessi interapia intensiva: 1.343 in tutto. I decessi ieri sono stati 297. In totale le vittime in Lombardia sono 9.020, i già guariti 13.873. Nella città metropolitana di Milano i positivi sono 11.538 con una crescita di 308 nuovi positivi (domenica +411), mentre a Milano città ci sono 112 nuovi positivi per un totale di 4.645 (domenica +171).

Migliorano anche i dati delle due città massacrate dalla pandemia: a Brescia 137 nuovi positivi per un totale di 9.477 e Bergamo 103 contagiati per un totale di 9.815 casi.

Normale sarà lei

Abbiamo già scritto che, quando tutto sarà finito, sarebbe una tragedia tornare alla normalità di prima, perché prima nulla era normale. Ma, se non ci diamo da fare per convincere un po’ di gente, riaprirà presto quel gigantesco manicomio dove un 99,9 per cento di matti che si credono sani tratteranno da matti lo 0,1 per cento di sani.

Ieri, tanto per cambiare, Repubblica celebrava se stessa (“Che cos’è Repubblica e perché ci attaccano”) con la scusa di celebrare il fondatore Scalfari che compiva 96 anni (a proposito, auguri, Eugenio). Purtroppo l’autopompa era sormontata da un titolone a tutta prima pagina: “La prima cosa bella”. Dove la prima cosa bella erano gli appena 525 morti e 4.316 contagiati del giorno prima. Persino Libero aveva un titolo più azzeccato: “La domenica delle salme”. Una prece.

Intanto, sul Corriere della Sera, il direttore Luciano Fontana, brava persona e ottimo giornalista, si augurava pensoso che “questa crisi chiuda l’èra dell’incompetenza”. E ripeteva la giaculatoria con cui gli establishment si autoconsolano per non averne mai azzeccata una: quella secondo cui il coronavirus segnerebbe la sconfitta dei “populisti” (per definizione “incompetenti”, “impreparati” e “improvvisati”) e la rivincita dei “competenti” (per definizione: le classi dirigenti al potere nel mondo fino a un paio d’anni fa). La prova? Adesso “pendiamo dalle labbra di medici e scienziati” e “riscopriamo quanto sia importante la formazione, la ricerca, la competenza”. Ora, che nel pieno di una pandemia, tutti ascoltino i medici e gli scienziati, non è una grande scoperta e neppure una grande novità: per lo stesso motivo, quando c’è una crisi finanziaria come quella partita nel 2008, si ascoltano gli economisti; e, quando esplodono guerre e offensive terroristiche come dopo l’11 settembre, si ascoltano strateghi militari e studiosi di geopolitica. Il guaio è che gli economisti non avevano previsto la crisi finanziaria del 2008; strateghi e geopolitologi non avevano previsto né l’11 settembre, né al Qaeda, né l’Isis; e medici e scienziati non han previsto (salvo alcuni, ma molto vagamente in base ai cicli storici) la pandemia del 2020 e ora che ci siamo dentro non hanno la più pallida idea di come uscirne. Basta sentirli parlare di mascherine, tamponi, test ematici, vaccini e terapie per capire che brancolano nel buio (come ammettono i più intellettualmente onesti) e la pensano l’uno diversamente dall’altro. Se ogni Regione va per conto suo non è solo perché i “governatori”, da quando li chiamiamo così, si credono tutti Napoleone.

Ma anche perché ciascuno è consigliato da scienziati che seguono ricette opposte. Il che rende sommamente ridicole tutte le task force anti-fake news, da quella della Rai a quella messa su dal sottosegretario all’Editoria Andrea Martella contro le bufale sul coronavirus (comicamente solo quelle del web e dei social, forse per evitare la serrata generale di tv e giornaloni). Fontana percula poi i “populisti” Trump e Johnson, che se lo meritano ampiamente. Ma quando scrive che “Germania e Francia non hanno pensato per molti giorni che il virus fosse prima un ‘affare cinese’ e poi prevalentemente italiano” potrebbe ricordare che Macron e Merkel, a dir poco ritardatari sul Covid-19, sono fra i pochissimi governanti europei “competenti” per definizione, nati e cresciuti nel vecchio establishment a cui tutti si sono sempre scappellati. E quando rammenta che alla fine “anche i governi più scettici sono stati costretti a prendere misure identiche alle nostre” sta parlando delle misure di Conte, che si definì “avvocato del popolo” e si vantò del suo “populismo” (sia pure nella forma temperata, educata e – diciamolo pure – “competente” che ora molti gli riconoscono).

Se poi uno va a vedere cosa dicevano ieri e cosa dicono oggi i “competenti” – anche del Corriere, da Monti a Fu(r)bini, da Giavazzi ad Alesina agli altri occhiuti gendarmi delle regole Ue – su austerità, rigore, Patto di stabilità, debito, deficit e potestà o meno della Bce di stampare euro, potrebbe financo dedurne che i veri competenti fossero Grillo, Di Maio, Di Battista, Fassina, Bagnai e chiunque abbia sentito parlare di Krugman e Stiglitz, ai quali tutti oggi danno ragione. Invece la Confindustria che, tanto per cambiare, dà lezioni al governo sulla ripartenza, dovrebbe tacere, visto che s’è opposta fino all’ultimo al lockdown dell’Italia e addirittura della Val Seriana che già aveva 9mila contagiati quando il presidente degli industriali lombardi delirava su Radio1 di “abbassare i toni e far capire all’opinione pubblica che la situazione si sta normalizzando”. E chi ora invoca helicopter money, versamenti sui conti correnti di tutti, redditi di sussistenza, mega-investimenti nello Stato sociale e nella sanità pubblica cosa sarebbe, un “competente”? I competenti erano quanti lo dicevano prima, purtroppo inascoltati dai troppi incompetenti travestiti da competenti che tagliavano posti letto, compravano F-35, imponevano follie come il Tav Torino-Lione e non volevano saperne neppure del Reddito di cittadinanza (ora benedetto da quasi tutti). Quindi chi vuole una vera “normalità” faccia la cortesia: o continua a dire quel che diceva prima, anche se non va più di moda; o, se ribalta le sue idee di 180 gradi, ammette di essersi sbagliato fino all’altroieri e chiede scusa, o almeno si leva dalla faccia quell’arietta da so-tutto-io che non si confà a chi non ne ha mai azzeccata una. Se nel mondo d.C. (dopo Covid) cambierà tutto, l’autocritica sarà richiesta a tutti, ma un po’ meno ai “populisti” che agli anti. I giochini del tipo “i competenti sono i miei amici e gli incompetenti tutti gli altri” non attaccano più.

Noi scienziati e ricercatori non dobbiamo essere sempre d’accordo. Ma rispettiamoci

Oggi mi fa piacere soffermarmi su alcune frasi del giuramento di Ippocrate che, presi dal frullatore Covid-19 rischiamo di dimenticare e polverizzare. Noi tutti giuriamo:

– di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della categoria;

– di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni.

A questo si aggiunge quanto compreso nel CodicedDeontologico della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici e Odontoiatri

Art.1: “Il comportamento del medico, anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere consono al decoro e alla dignità della stessa. Il medico è tenuto alla conoscenza delle norme del presente Codice, la cui ignoranza non lo esime dalla responsabilità disciplinare”.

Art. 2 (Potestà isciplinari – Sanzioni): “L’inosservanza dei precetti, degli obblighi e dei divieti fissati dal presente Codice di Deontologia Medica e ogni azione od omissione, comunque disdicevoli al decoro o al corretto esercizio della professione, sono punibili con le sanzioni disciplinari previste dalla legge.

Le sanzioni devono essere adeguate alla gravità degli atti”.

Art. 57 (Rispetto reciproco): “Il rapporto tra i medici deve ispirarsi ai principi del reciproco rispetto e della considerazione della rispettiva attività professionale. Il contrasto di opinione non deve violare i principi di un collegiale comportamento e di un civile dibattito. Il medico deve essere solidale nei confronti dei colleghi sottoposti a ingiuste accuse”.

Commento. Lo spirito di colleganza deve essere correttamente inteso come una vera solidarietà tra colleghi, non solo dal punto di vista professionale, ma anche sociale e familiare. Importante è il rispetto delle altrui opinioni professionali, che possono non collimare fra colleghi. Tali divergenze non devono mai divenire occasioni di attrito di carattere personale, ma devono, anzi, costituire opportunità di confronto civile di opinioni.

L’attività professionale medica, pur essendo ormai basata su elementi di scientificità può non sempre comportare una sola soluzione e un solo corretto approccio alla malattia. Tale momento di confronto è particolarmente stimolante in quanto permette ai colleghi di confrontare, con il necessario rispetto reciproco, le rispettive esperienze arricchendosi vicendevolmente. Può accadere, peraltro, che queste differenze di opinioni portino invece a contrasti sul piano personale.

Litigi e gravi incomprensioni costituiscono, indubbiamente, una grave violazione del principio di colleganza che oltre a rendere più difficile il lavoro dei medici, apportano un indubbio discredito all’intera categoria che vede lesa da questi fatti la dignità stessa della professione.

Senza polemica, invito tutti a un momento di silenzio e riflessione.

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Ordinanza flop: maschere a colori e pochi controlli

Domenica delle Palme, ovvero mascherina day. Ieri, primo giorno in cui in Lombardia è obbligatorio uscire con la mascherina, i milanesi hanno obbedito al presidente della Regione, Attilio Fontana, sfoderando ogni tipo di dispositivo per coprire bocca e naso, dalle chirurgiche alle più sofisticate. Chi non le ha trovate ha usato sciarpe e foulard, benché incongrui sotto un dolce sole d’aprile. I più creativi si sono fotografati sui social con mascherine colorate e dipinte, con grosse labbra rosse o denti digrignanti, magari con qualche commento non proprio dolce nei confronti di Fontana. La paura della pena – multa minima di 400 euro a chi esce con bocca e naso scoperti – ha funzionato. In zona Venezia un signore passeggiava senza mascherina, ma aveva la sigaretta in bocca: nessun commento, nessun controllo in vista.

Mattinata con messa in Duomo per arcivescovo e tre fedeli: monsignor Mario Delpini ha celebrato la liturgia delle Palme a porte chiuse, presenti solo il sindaco Giuseppe Sala, il presidente Fontana e il prefetto di Milano Renato Saccone. Si sono scambiati, a distanza, il segno della pace. Ma Sala aveva poco prima mosso guerra a Fontana proprio sulle mascherine: “È un po’ disorientante la sua ordinanza, se anche il capo della Protezione civile Angelo Borrelli dice che non la metterà. Certo che chi è responsabile della sanità deve fornire le mascherine e deve regolamentare il prezzo nelle farmacie: non è una cosa normale, ma questi non sono momenti normali”.

Fontana replica, dopo messa, annunciando che da oggi le mascherine saranno regalate. E ripetendo che chi proprio non le trova può arrangiarsi: “Certo, le mascherine risolvono il problema al 100 per cento, i foulard al 30-40 per cento, ma a Milano si dice: Piutost’ che nient’ l’è mej piutost”. Piuttosto che niente è meglio piuttosto. La Protezione civile sta comunque distribuendo 3 milioni di mascherine gratuite, nelle farmacie, nei negozi alimentari, edicole, poste, banche, tabaccherie e supermercati. Con un’avvertenza: “La mascherina non è un gadget, è per utilità pubblica e dovrà essere regalata a chi ha difficoltà economiche”. Borrelli intanto, al solito, deve rettificare: “Ho detto che io non indosso la mascherina perché posso rispettare le distanze. Ma l’uso della mascherina è importantissimo in ambienti come metropolitana o supermercati”.

L’assessore in perenne diretta tv Giulio Gallera ribadisce: “Abbiamo deciso un’ordinanza così importante a tutela della salute. Nei prossimi mesi dovremo sempre uscire con la protezione”. C’è anche chi si lamenta per le mascherine regalate: “Abbiamo dovuto pagare per sdoganare quelle arrivate gratis dalla Cina”, hanno protestato Pasquale Griesi, sindacalista della polizia a Milano, e Stefano Di Martino, “ambasciatore per l’amicizia del popolo cinese nel mondo”: “Ci hanno fatto pagare lo sdoganamento, anche quando erano destinate a ospedali come il Niguarda”.

Intanto la Toscana sta pensando di seguire l’esempio della Lombardia: il presidente della Regione Enrico Rossi sta preparando un’ordinanza per rendere obbligatorio l’uso delle mascherine all’aperto. In altre regioni sono obbligatorie solo per accedere nei supermarket, nei negozi alimentari e nei mercati. Così in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Alto Adige, Valle d’Aosta. In Piemonte si sta valutando di prevedere l’obbligo della mascherina, ma solo per determinate categorie di persone più a contatto con il pubblico. In Liguria, invece, il presidente Giovanni Toti comunica: “Ci stiamo impegnando a distribuirle gratuitamente a tutta la popolazione e solo dopo valuteremo che cosa fare”. Nessun obbligo, almeno per ora, in Emilia Romagna, Lazio, Campania, Sicilia.

Meno vittime, meno ricoveri, contagi stabili e più multe

Per la prima volta dal 19 marzo i morti registrati come Covid-19 in un giorno sono scesi sotto i 600. È la prima buona notizia, se così si può dire per 525 decessi in 24 ore, nel bollettino del direttore della Protezione civile Angelo Borrelli. Le vittime attribuiti all’epidemia nel nostro Paese, come ormai sappiamo sottostimate in presenza di migliaia di morti in eccesso sulle medie degli anni scorsi a cui non è stato fatto il tampone, sono in tutto 15.887. L’incremento dei contagi rilevati rimane stabile: ieri erano 128.948, cioè 4.316 in più rispetto a sabato per una crescita del 3,5 per cento in leggero calo sul 4 per cento di sabato. Siamo su quei livelli da giorni, con 34 mila tamponi registrati contro 37 mila sono numeri che confermano una discesa lentissima. Sottratti i 15.887 deceduti e i 21.815 dichiarati guariti, i soggetti positivi dei quali si ha certezza sono 91.246. In quasi tutte le Regioni l’aumento giornaliero dei contagi è sotto il 5 per cento. Frena anche in Lombardia ma un po’ meno in provincia di Milano. Preoccupa il Piemonte. Continuano a diminuire in tutta Italia, per il secondo giorno consecutivo, gli accessi in terapia intensiva. Sono 3.977 i malati in rianimazione, 17 in meno, erano stati 74 in meno da venerdì a sabato. Per la prima volta anche i ricoverati nei reparti ordinari si riducono: ora sono 28.949, ovvero 61 in meno rispetto a sabato. In Lombardia solo 7 pazienti ricoverati (12.009 in tutto) e 9 in meno nelle terapie intensive (1.326).

“Se questi dati si confermano, dovremo cominciare a pensare alla fase 2”, dice per la prima volta il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro. “Abbiamo vari indicatori – aggiunge – e l’atteso è che nei prossimi giorni vedremo ancora questo trend diminuire”. “Non bisogna abbassare la guardia”, avverte Borrelli in vista delle giornate di Pasqua e Pasquetta. Le persone denunciate sabato dalle forze di polizia per i divieti sugli spostamenti sono state 9.284 mentre venerdì, il giorno precedente, erano state 8.187. In totale sono state 176.767 dall’inizio delle misure.

Fontana ordinò alle Rsa: “Ricoverate malati Covid”

L’8 marzo scorso, mentre l’epidemia si diffondeva facendo vittime prima di tutto tra gli anziani, la Regione Lombardia dava il via libera al ricovero di pazienti Covid nelle case di riposo, per liberare posti letto negli ospedali, soprattutto nei reparti di terapia intensiva e sub intensiva. Disposizione decisa con la delibera XI-2906 – ne ha scritto ieri Il Quotidiano del Sud – che ordinava alle Ats, le aziende sanitarie, di fare una ricognizione dei posti letto disponibili per le cure extra-ospedaliere e di individuare le Rsa dotate di “strutture autonome dal punto di vista strutturale e dal punto di vista organizzativo” per l’assistenza a bassa intensità dei contagiati.

“Incredibile”, dice Luca Degani, presidente regionale di Uneba, l’associazione alla quale in Lombardia fanno capo 400 case di riposo. “In Regione – prosegue Degani –, nessuno si è reso conto del fatto che non si poteva scaricare un simile peso in luogo dove vivono anziani con patologie croniche. Un luogo che dovrebbe essere quello più tutelato e che non può essere utilizzato in modo strumentale per supportare gli ospedali”.

Fu proprio Degani, il 9 marzo, a scrivere all’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera e al suo direttore generale Luigi Cajazzo. Lettera di due pagine con la quale alzava un muro. Troppo pericoloso accogliere pazienti Covid “in complessi, strutture, reparti, nuclei che abbiano una vicinanza ad ospiti delle Rsa… Non si può pensare di rischiare, nei confronti di pazienti mediamente ultraottantenni. Questo perché la bassa intensità assistenziale di tali pazienti non si manifesterebbe certamente negli stessi termini se fosse trasmessa a soggetti immunodepressi quali sono mediamente gli ospiti delle case di riposo”. Quella delibera avrebbe dovuto essere subito riscritta, secondo Degani: “E invece è ancora lì, risultato di una mancanza di programmazione regionale che continuiamo a vedere anche ora”. Una mezza retromarcia del direttore Cajazzo non ha cambiato le cose.

In teoria, di fronte al no di Uneba, non dovrebbero essere state molte le case di riposo che hanno accettato di accogliere pazienti Covid. Ma le eccezioni ci sono. Lo hanno fatto, per esempio, le Fondazione Don Gnocchi (Milano), Sacra Famiglia (Cesano Buscone), Uboldi (Paderno Dugnano). Questo proprio mentre il personale delle Rsa diminuiva, drenato dal reclutamento di medici e infermieri da impiegare negli ospedali varato dalla stessa Regione. Resta l’interrogativo su quanti anziani ricoverati nelle case di riposo siano stati stroncati dal virus.

I decessi nelle Rsa, nel mese di marzo, in tutta la Lombardia sono notevolmente aumentati. Ma in assenza del tampone non è possibile avere un dato certo. “Sappiamo solo – spiega Degani – che negli ultimi giorni le aziende sanitarie hanno iniziato a chiedere alle strutture quanti ospiti sono deceduti”. La delibera regionale, nel dare indicazioni alle Ats, ha disposto anche, per le Rsa, il blocco delle accettazioni di nuovi pazienti, oltre allo stop del 50 per cento del turn over delle strutture che abbiano alcune caratteristiche come la presenza medica e infermieristica 24 ore su 24, la possibilità di garantire ossigenoterapia e indagini di laboratorio. “Ma anche se mi mandano un paziente clinicamente guarito – spiega Degani –, in assenza di un tampone che attesti la negatività al virus, rischio di portare il contagio tra i nostri ricoverati. E adesso non basta che ci arrivino dotazioni di mascherine e di tamponi, le Rsa devono essere ospedalizzate. Gli anziani hanno diritto a un percorso di cura”.

Ballo in mascherina

La nuova geniale ordinanza del governatore-umarell Attilio Fontana che impone, in lieve ritardo sul Carnevale, a tutti i cittadini della Lombardia di uscire di casa soltanto “utilizzando la mascherina”, ovviamente introvabile, “o, in subordine, qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca”, anche “semplici foulard o sciarpe”, si è subito prestata a qualche problema interpretativo e applicativo. Nulla da dire sulle intenzioni, al solito ottime: il pover’uomo spera di imbavagliare l’incontinente assessore Giulio Gallera o almeno di non sentire le cazzate che spara. Eppoi, vedendo altri lombardi con la mascherina, confida di capire finalmente come si fa a indossarla, per non rischiare di strozzarcisi come l’ultima volta che ci provò in diretta Facebook; e soprattutto come si fa a levarla, onde evitare di tenere altre conferenze stampa con la bocca tappata che, pur giovando all’estetica, pregiudica lievemente l’acustica e la comprensione, rendendo il suo eloquio simile a quello del rag. Ugo Fantozzi quando telefona al megadirettore galattico con la patata in bocca, la testa nella pentola e l’accento svedese per non farsi riconoscere (“Prontiiiii?!”, “Fantocci, è lei?”). Certo, a saperlo prima che bastava un foulard o una sciarpa per scongiurare il rischio di contagi attivi e passivi, ci saremmo risparmiati settimane di ricerche più o meno vane e comunque costosissime di mascherine omologate in giro per il mondo e di inutili polemiche su quelle di “carta igienica” inviate per errore da Roma ladrona. Ma Fontana spiega testualmente che, “piuttosto che niente, è meglio piuttosto”, e ha detto tutto. Ora però ha messo mano a una circolare esplicativa della suddetta ordinanza, che il Fatto è in grado di pubblicare in esclusiva.

“Il comma che recita ‘…utilizzando la mascherina o, in subordine, qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca…’ non intende limitarsi a sciarpe e foulard, ma – per chi ne fosse sprovvisto – si estende ad altre forme di protezione orale-nasale di sicura efficacia e di agevole reperimento. Ad esempio, per erotomani feticisti e pervertiti collezionisti, mutande da uomo e da donna, slip, boxer, tanga, coulotte, guepière e reggiseni (questi ultimi, meglio se rafforzati modello Wonderbra). I sub potranno circolare per le città indossando le maschere da immersione (rammentando il bocchettone col tubo per respirare) o, già che ci sono, le mute complete in gomma; e così i palombari con gli scafandri d’ordinanza. Chi ha un collo di visone o di ermellino lo usi alla bisogna, altrimenti si attorcigli attorno al mento pure un gatto, vivo o morto.

Ottimi i caschi integrali da astronauti, da MotoGp o da Formula uno. Chi ne fosse sprovvisto può sopperire calzando la scatola dell’uovo di Pasqua o della colomba o, se l’ha conservato, del panettone o del pandoro natalizi. Per jihadisti e islamici di stretta osservanza, il velo integrale andrà benissimo, il burqa anche meglio. Piduisti e massoni in genere potranno indossare il caratteristico cappuccio nero (Berlusconi, Cicchitto e Bisignani prendano buona nota, anche se il Cavaliere dispone pure di ottime bandane). Per i tipi più simpatici, si consigliano le zucche di Halloween o le maschere di Arlecchino, Brighella e Gioppino. Cuochi e chef hanno quei cappelloni bianchi così lunghi che basta tirarli giù fino al gargarozzo. Idem i vecchi comunisti col colbacco. Ladri e rapinatori sono autorizzati a girare in divisa da lavoro, con passamontagna o calzamaglia o collant sul capo, possibilmente a distanza di sicurezza da banche, uffici postali, negozi e supermercati, sennò rischiano non il Covid, ma la Colt. Le suore dovranno indossare il velo, ma all’incontrario: su volto anziché sulla nuca. E così i frati, rovesciando sul davanti il cappuccio del saio. Idem Salvini quello della felpa.

Papi, cardinali e vescovi dovranno calarsi le tiare e le mitre almeno fino al mento. Beppe Severgnini dovrà semplicemente srotolare fino alle sopracciglia il collo maglione dolcevita alla Montanelli. I reduci di guerra riesumeranno dalla soffitta la maschera antigas e le loro signore il cappellino con veletta o il velo da sposa (il tulle traspira un po’, ma piuttosto che niente, è meglio piuttosto). I portatori di parrucca o toupet non hanno che da applicarseli al mento, tipo barba. Eccellenti, per i portatori di cani (di proprietà o a noleggio), le museruole: tanto pare che le bestie – pipistrelli a parte – siano immuni. Per i mafiosi, la coppola può andar bene, purché calzata sul davanti. Evitare gli elmi medievali alla Braveheart del trisavolo: coi primi caldi si finisce arrosto e si rimpiange pure il Covid. Sconsigliate anche le cuffie di plastica per doccia: chi ci infila il capo e tira la cordicella non muore per coronavirus, ma per soffocamento. Per l’assessore Gallera è prevista una dispensa speciale: se non trova di meglio, va bene anche un tappo di sughero”.

“Ora lo sblocca-cantieri, così nel giro di due mesi partiranno tutti i lavori”

Il modello è quello adottato per il ponte di Genova, l’obiettivo è far partire subito lavori per oltre 100 miliardi, anche per i Cinque Stelle da sempre contro le grandi opere. “Alla crisi sanitaria seguirà una crisi economica simile a quella del dopoguerra, e allora è necessario sbloccare i cantieri” teorizza il viceministro ai Trasporti Giancarlo Cancelleri, già capogruppo regionale del M5S in Sicilia.

Quali cantieri volete far ripartire, e come?

La proposta, che abbiamo già consegnato al presidente del Consiglio Conte e al ministro dell’Economia Gualtieri, vuole velocizzare i lavori per opere che sono già interamente finanziate e inserite nei contratti di programma dell’Anas e della Rete ferroviaria, per un valore complessivo di 109 miliardi. Parliamo del Passante di Bari o della 106 Jonica in Calabria, per arrivare all’alta velocità in Calabria o all’ampliamento del corridoio ferroviario Berlino-Palermo. Per realizzare alcune di queste infrastrutture potrebbero volerci anche dieci anni.

E vorreste rimediare con il liberi tutti per gli appalti?

No. Vogliamo semplificare tempistica e modalità, nominando come commissari straordinari per l’affidamento e l’esecuzione delle opere l’amministratore delegato di Anas e quello di Rfi. Saranno in carica tre anni, rinnovabili per altri due.

Così blindate gli attuali amministratori.

No, si nomina commissario la carica, non la persona che è amministratore delegato. Al termine dei rispettivi mandati subentreranno come commissari i nuovi ad.

Come agiranno i commissari?

Per molte delle opere, cioè per quelle non immediatamente cantierabili e non caratterizzate da estrema urgenza, gli affidamenti avverranno tramite gare ordinarie, anche se più rapide: per presentare una domanda di partecipazione le imprese avranno 15 giorni, mentre ne avranno 10 per presentare un’offerta. Per le altre opere, quelle immediatamente cantierabili in quanto già dotate di un progetto definitivo, si potrà agire tramite procedure negoziate, ma sarà sempre garantita una rotazione tra aziende, per impedire che alcune facciano incetta di lavori. E i commissari dovranno consultare almeno 5 operatori economici prima di decidere.

Come eviterete che le mafie si infiltrino? I tempi per i controlli saranno irrisori.

Non sono i tempi a garantire la legalità di un appalto, dobbiamo puntare al potenziamento del sistema di controllo. Invece di attendere i soliti 30 giorni per il silenzio-assenso delle prefetture, ne basteranno dieci. E questa volta a controllare sarà il prefetto della zona dove viene realizzata l’opera, e non quella dove ha sede dell’azienda.

Poco tempo, per prefetture spesso con poco personale.

Siamo convinti che possa bastare. Non deroghiamo né al codice antimafia né alle direttive europee, e sui lavori ci saranno controlli periodici. In seguito potremo tornare alle normali procedure, magari dopo aver riflettuto su come semplificare il codice degli appalti. Ma ora serve un volano per l’economia.

Di quanto ridurrete i tempi dei lavori?

Una volta approvato il decreto, contiamo di far partire i primi cantieri in due mesi.

Quando contate di approvarlo? E che ne pensa il Pd?

Abbiamo proposto di inserire il provvedimento già nel decreto aprile, quello per il rilancio dell’economia. Ho illustrato la bozza al ministro dei Trasporti De Micheli, e siamo aperti a integrazioni. Ma non vedo come una misura che crea lavoro possa trovare ostacoli.

Anche se sembra un bel favore ai grandi costruttori.

Non mi curo di questo tipo di critiche: cio’ che conta è il bene del Paese.

Voi del M5S siete sempre stati contro le grandi opere, e ora volete facilitarle.

Di fronte ad un contesto politico e ad un quadro economico totalmente diverso da quello di qualche anno fa, è necessario cambiare l’agenda politica. La priorità adesso è creare lavoro, usando soldi pronti ma fermi.

E sulla revoca ad Autostrade? Si parla di un accordo imminente con Aspi, senza revoca.

La linea del M5S era e resta quella: revocare la concessione ad Autostrade e adoperare l’Anas come struttura commissariale, quindi mettere a bando la concessione.

Magari il Pd non la pensa proprio così, no?

Deve chiederlo ai dem. Ma non si può pensare che il coronavirus abbia distratto il M5S.

La trattativa tra Aspi e Allianz è un’invenzione?

Le società private possono anche trattare tra loro. Ma noisulla revoca non cediamo di un millimetro.