I medici in rivolta: adesso lo scudo penale può slittare

E ora lo scudo penale e civile per medici e ospedali potrebbe slittare. Perché allo stato attuale “è un problema e forse ora non ce lo possiamo permettere” riassume in serata una fonte di governo. Perché è vero, tutti i partiti hanno presentato in Parlamento emendamenti al decreto Cura Italia per proteggere da richieste di risarcimento e cause penali i camici bianchi e gli infermieri, in lotta contro il coronavirus.

Ma in diversi testi , primo tra tutti quello elaborato dal Pd, lo scudo si è dilatato fino a proteggere anche i dirigenti di strutture pubbliche e private, dagli ospedali fino a cliniche e Asl. Così molte associazioni di medici e tanti avvocati hanno alzato la voce. E diversi partiti si stanno sfilando, convincendo il governo che “forse ora non siamo pronti”. E c’entra innanzitutto l’emendamento dei dem, a prima firma del capogruppo in Senato Andrea Marcucci. Un testo dove è previsto che “le condotte gestionali e amministrative poste in essere in violazione dei principi del Servizio sanitario nazionale” siano punibili solo nei casi in cui venga accertato “il dolo dell’agente o del funzionario che le ha poste in essere o che vi ha dato esecuzione”. Proposte “sprezzanti” secondo l’Ordine dei medici di Parma, infuriato per “le immunità che si stanno cercando di adottare a favore delle strutture sanitarie in caso di danni agli operatori e per il contentino ambiguo che si vuole elargire ai camici bianchi in prima linea”. Ed è insorto anche l’Ordine dei medici di Roma: “Ci sono emendamenti vergognosi che offendono medici e sanitari, e vanno ritirati subito”. Una slavina a cui si è subito adeguato Matteo Salvini, che sabato ha fatto ritirare un emendamento simile della Lega. Ieri mattina Marcucci lo faceva notare, accusando: “Era la Lega a volere una sanatoria di massa per tutti i datori di lavoro, il mio testo non l’ha mai prevista in nessun caso”.

Però in serata il peso delle polemiche, con la forzista Mara Carafagna a pungere di rinforzo (“Nessun emendamento può consentire di farla franca ai dirigenti che non hanno fornito le protezioni necessarie”) ha spinto Marcucci a una parziale marcia indietro: “Domani (oggi, ndr) incontrerò in video conferenza i rappresentanti della Federazione degli ordini medici per valutare le correzioni che risultano più utili al mio emendamento”. Sempre oggi potrebbero vedersi i capigruppo dei partiti in Senato, proprio per cercare una quadra sullo scudo. E anche da ambienti parlamentari soffiano che “sarebbe il caso di prendere più tempo”. Anche se le indiscrezioni nei Palazzi raccontano che il provvedimento starebbe molto a cuore al Quirinale, e questo potrebbe essere un freno al rinvio. Nell’attesa il M5S è attestato su uno scudo ‘solo’ per medici e infermieri. E fonti grilline sussurrano: “L’emendamento Marcucci non piace neanche a diversi del Pd”.

 

“Così, per tre volte, ho provato a vendere mascherine all’Italia”

Antonio Manca Graziadei è un avvocato e ha, tra i suoi clienti, una multinazionale brasiliana quotata alla borsa di Johannesburg. “Per dieci giorni – spiega – ho trattato con la Protezione Civile e Invitalia per un milione e mezzo di mascherine a settimana dal Sudafrica, poi dalla Cina. Ho fatto tre offerte, cambiato prezzi e condizioni. Finché è stato lasciato cadere tutto”.

Avvocato, quando si è messo in contatto con la Protezione Civile?

Il 17 marzo ho inviato la prima offerta da 1 milione di mascherine FFP2 a settimana dal Sudafrica: 4,2 dollari al pezzo, consegna a Fiumicino immediata e pagamento anticipato al 50% e 50% alla consegna.

Ha avuto risposta?

Dopo un sollecito e l’invio di altre informazioni ho ricevuto una mail. Intavoliamo una trattativa.

La Protezione civile ci dice che la proposta era esosa.

Per questo propongo un nuovo prezzo: 3,5 dollari e stesse condizioni. Aumento la fornitura a 1,5 milioni di FFP2 a settimana e per il pagamento propongo un acconto del 40% su un ‘escrow account’ di un notaio nominato da loro con l’arrivo a Fiumicino entro i due giorni successivi.

Ma la Pa non può anticipare soldi…

Sì, il 21 marzo me lo spiegano e decidiamo per il pagamento del 100% alla consegna con bonifico istantaneo e dopo i controlli da parte loro.

E poi che succede?

Alle 18:05 mi telefona un funzionario e mi dice: “Mi dispiace ma non possiamo finalizzare l’ordine perché è in corso una ‘riprocedimentalizzazione interna’”. Una parola che non dimenticherò mai. Aggiunge: “Ci dobbiamo risentire lunedì (23 marzo, nda), poi le faremo sapere a chi rivolgersi”. Intanto cerco di avere un contatto. Mi dicono che il nuovo soggetto per ‘proseguire’ la trattativa è Invitalia e che devo inviare una mail con l’indicazione: “Condizioni negoziabili”. La invio il 23 marzo di mattina, poi sollecito alle 13. Mi rispondono che l’offerta “è in fase di valutazione”. Poi mi chiamano per dirmi che la stanno esaminando. A voce mi chiedono altra documentazione, inclusi certificati di qualità e sicurezza delle mascherine. Invio e aspetto. Il giorno dopo, il 24 marzo, sollecito una risposta e li avviso che ogni ulteriore ritardo renderà impossibile mantenere l’offerta in standby e la consegna della merce entro fine settimana. Niente. Altro sollecito, sono passati sei giorni dalla prima offerta, li avviso che il Sudafrica sta per andare il lockdown e che non sarà più possibile far uscire la merce via DHL. Dopo diversi contatti telefonici informali viene incaricato della pratica un funzionario che mi dice che è all’attenzione degli organi deliberanti.

E poi?

Passa un altro giorno e solo dopo altri solleciti, la sera, mi dicono che “la struttura commissariale è operativa, seppure in fase transitoria dal Dipartimento Protezione Civile, in quanto sta formalizzando gli ordini precedentemente acquisiti dalla Protezione Civile. Pertanto…siamo costretti a dare precedenza a quanto già impegnato per non perdere le occasioni già acquisite”. E poi conclude scrivendo: “Laddove fosse possibile uno slittamento delle tempistiche, sarà nostra cura valutare l’offerta”. A voce mi spiegano che non dispongono ancora né di fondi né di un conto corrente per acquisti.

L’offerta quindi cade?

Non proprio. Il 26 marzo mi telefonano e mi chiedono certificazione di legge per le mascherine per “completare la registrazione dell’offerta”. In mattinata invio tutto e la sera comunico che il Sudafrica è in lockdown e che non è più possibile consegnare. Chiedo a Invitalia se siano sempre alla ricerca di Dpi e se sono in grado di perfezionare i contratti. Siamo al 28 marzo…

Sì. Faccio una seconda offerta da un altro cliente, stavolta cinese. Un milione di mascherine FFP2/KN95 e 2 milioni di chirurgiche. Il prezzo include la consegna a Fiumicino: 2.85 dollari per le FFP2 e 0.80 per le chirurgiche con disponibilità immediata e fornitura settimanale. A quel punto le nostre comunicazioni si incrociano, da Invitalia mi rispondono alla mail del 26 dichiarando formalmente l’interesse e la disponibilità “a prendere in esame nuove offerte anche di mascherine FFP2. In attesa di sue proposte”. Il 29 marzo invio una terza offerta di 1 milione di mascherine chirurgiche e 500mila FFP2.

A che prezzo?

Queste sono da ritirare a Shanghai, costano 0,36 euro le chirurgiche e 1,18 euro le FFP2, offerta valida per 72 ore. Mi chiedono dati e documenti. Li invio. Solo il 31 marzo mi riferiscono che l’istruttoria è completa e che l’offerta è dal pomeriggio del 30/3 all’attenzione degli organi deliberanti. Poi , poco dopo mi informano verbalmente che “al momento, l’acquisto di queste mascherine non è per noi una priorità”.

Una delle cose che potrebbero replicarle è che prima di importare ci sia bisogno del vaglio dell’Iss o dell’Inail (servono 3 giorni) e che le sue scadenze fossero troppo brevi, oltre che diano priorità a offerte da oltre 5 milioni di pezzi, evitando intermediari…

Queste condizioni non me l’hanno mai poste né indicate. Le scadenze erano nel loro interesse, se lo avessero chiesto bastava fare un impegno soggetto a tali verifiche. Lo ribadisco, queste questioni non sono state sollevate né accennate, altrimenti avremmo trovato una soluzione così come per i pagamenti alla consegna, espliciti nel primo caso e trattabili negli altri due. L’ultima proposta cinese, poi, era senza intermediari.

E ora? Perché lo racconta?

Ora sto offrendo le stesse FFP2 e le FFP3 al NHS britannico (SSN), ad alcuni ospedali e al Governo della Gran Bretagna. Lo racconto per senso civico. Mi preoccupa l’apparente disfunzionalità di una struttura cardine sul fronte dell’emergenza, con la potenziale perdita di credibilità e di fiducia sia da parte dei cittadini che iternazionale.

Maria Luisa è arrivata a 100 anni. Le regole hanno fermato il virus

Maria Luisa a cent’anni c’è arrivata domenica scorsa. Ma l’Ambrogino d’oro, questa volta, il Comunale di Milano non gliel’ha potuto consegnare. Vietato l’ingresso a chiunque nella Rsa Sant’Ambrogio di Milano, privata accreditata, sin dal 24 febbraio. L’importante però è che abbia potuto festeggiare con tutti i suoi compagni: su 150 ospiti neanche un contagiato. E neanche tra i 70 operatori. Anche in questo caso, come racconta la responsabile amministrtiva della struttura, la scelta di un isolamento rapido è stata efficace.

“Sin dal 24 febbraio – dice Paola Gallo – abbiamo limitato gli accessi ai parenti. Era consentita una visita di 15 minuti in stanza e nessuna sosta nelle zone comuni. Dal 4 marzo chiusura completa e nessun accesso. Con 2 ipad abbiamo creato la possibilità di video chiamate al ritmo di 2 appuntamenti settimanali”.

E così i 150 ospiti ieri hanno potuto festeggiare tutti la Domenica delle Palme. L’età media si aggira tra gli 85 e i 90. “E la scorsa settimana – conclude Paola – una grande festa per i cento anni di Maria Luisa. Una festa con balli di gruppo degli operatori e degli utenti. All’inizio per i familiari è stata dura. Ma adesso tutti ci ringraziano”.

Le lettere inutili alla Regione mentre il SarsCoV-2 fa strage

Dopo i primi quindici tamponi (otto positivi) agli ospiti della Rsa di Comeana, tra Carmignano e Poggio a Caiano (Prato), i sindaci della provincia e la direttrice della struttura avevano chiesto a Regione e Asl Toscana Centro i test per il virus. Tre lettere in un mese per chiedere tamponi per ospiti, operatori, familiari e fornitori. Nel frattempo sono morti sette anziani e i test di giovedì scorso hanno fatto emergere una situazione agghiacciante: 28 positivi (14 ospiti e 14 infermieri) sui 53 totali. La direttrice della Rsa toscana, Paola Lombardi, parla di “gestione da terzo mondo” e anche i sindaci dei due Comuni limitrofi attaccano la Regione: “Se avessero fatto i tamponi un mese fa, non saremmo a questo punto” dice il sindaco di Poggio a Caiano, Francesco Puggelli. Ribadisce il collega di Carmignano, Edoardo Prestanti che minaccia di “chiudere la Rsa”, visto che sabato la Asl ha deciso di non trasferire i pazienti positivi in un’altra struttura. Comeana è solo una delle Rsa in grossa difficoltà in Toscana: su 13 mila ospiti, 800 sono positivi al Covid-19 (30 morti), senza considerare gli asintomatici e coloro a cui è stato fatto il tampone. I contagiati potrebbero essere il doppio. Preoccupano anche i casi di Bagno a Ripoli (78 contagi), Dicomano (41) e Bucine (37).

“Chiamavo la Asp e dicevano: ‘Avete già troppe mascherine’”

Settantuno anziani ospiti della casa di riposo “Come d’incanto” di Messina, 41 a tutt’oggi i positivi (erano 45, 4 sono guariti) e venti morti, il bilancio di una strage finito in una denuncia in questura: l’ha presentata la proprietaria della struttura, Donatella Martinez, secondo cui molti dei suoi ospiti “si potevano salvare’’. “La Rsa si è trasformata in un reparto di malattie infettive – dice con un groppo in gola – ma nessuno ha preso in mano la situazione’’. E racconta: “Il 17 marzo ho telefonato al numero verde 1500, mi hanno detto che mi avrebbero messo in contatto con un dottore, ma non è arrivato nessuno, l’indomani ho fatto partire mail e Pec per tutti, dal prefetto, alla protezione civile, all’Asp. Sono arrivati il 19 marzo a fare 23 tamponi, ne volevano fare solo 10, ma io mi opposi. Il referto è arrivato solo a voce: 21 positivi. Ma non succedeva nulla, gli operatori sono rimasti al lavoro, distrutti. Chiedevo le mascherine, ma l’Asp mi rimproverava: ‘Gliene abbiamo date troppe’. Ho comprato 18 dispositivi che erogano ossigeno per sei mesi’’. E conclude: “La Protezione civile e il sindaco hanno capito fin da subito, con un team attrezzato altri anziani si sarebbero salvati: lo sa che una nonnina negativa al tampone si è aggravata ed è morta perché contagiata da altri positivi?”

Indagini del Nas sui decessi e sull’intervento della Asl

Tamponi mai arrivati, protezioni assenti e morti sospette. I Nas hanno avviato a Torino e provincia una decina di attività d’indagine sulle Rsa. Fino a cinque-dieci blitz solo nel Torinese. La Procura di Torino ha aperto una prima inchiesta sulla San Giuseppe di Grugliasco, dove i morti sono 26. Gli inquirenti dovranno accertare se le suore avvisarono tempestivamente la Asl, segnalando la gravità del contagio. La Asl To3 ribadisce di essersi attivata subito. Ma si valuterà anche la sua posizione. Un contagio che ha fatto morire 26 persone in pochi giorni è spiegabile, secondo i Nas, anche con l’assenza di misure di protezione per i sanitari. Si indaga dunque anche sotto questo profilo. E alcuni operatori socio sanitari hanno già sporto denuncia ai carabinieri. Così Garessio, nel Cuneese, resta un’eccezione. Il sindaco ed ex ministro della Salute di Berlusconi, Ferruccio Fazio, è riuscito a contenere il contagio nella casa di riposo blindandola quando sono insorti i primi sintomi a un anziano e facendo tamponi a tutti, sanitari e pazienti. Dunque, gli anziani deceduti a Garessio sono il 6,2 per cento contro la media del 9,4 percento nelle Rsa del report dell’Iss del 30 marzo. Ma può dipendere anche dai tamponi, che in molte Rsa non sono arrivati. Solo oggi partono i contolli.

“Io, costretta a mentire per scovare il focolaio”

Ha forzato le procedure, “mentendo” sui sintomi degli anziani ospitati nella sua Rsa. In questo modo ha ottenuto che la Asl intervenisse facendo i tamponi a tappeto nella struttura. Ed è stato così, grazie a questo bluff, che s’è scoperto il potenziale focolaio: su 92 anziani, i soggetti positivi al Coronavirus erano 60. Uno su tre.

Jessica Veronica Faroni è la direttrice generale del gruppo Ini, che fra le sue cliniche annovera anche la Rsa Città Bianca di Veroli, in provincia di Frosinone. Qui, il 22 marzo scorso, la Asl ciociara ha trovato i primi 3 anziani pazienti positivi, dando il via all’indagine epidemiologica che alla fine ha visto il virus essersi diffuso su circa due terzi degli ospiti.

Alle mail rispondevano così: “I tamponi non servono”

Controlli sollecitati, dai vertici della clinica, andando oltre la “verità clinica” e parlando di sintomi più gravi di quelli che non fossero effettivamente. “Ho dovuto fare necessariamente questa forzatura, altrimenti non sarebbero mai venuti”, racconta Faroni al Fatto. “Da giorni segnalavo qualche caso sospetto – racconta – ma mi è stato sempre risposto che per effettuare i testi i sintomi dovevano essere chiari. Ho tanto di e-mail dove mi si dice che i tamponi non servono. Così dopo un paio di giorni abbiamo ricontattato la Asl, parlando di sintomi gravi e difficoltà respiratorie. Solo a quel punto sono venuti”. L’arrivo dei sanitari è stato provvidenziale. Perché ben 58 fra gli anziani ospiti erano positivi ma asintomatici, in due presentavano dei sintomi leggeri, mentre gli altri 32 non avevano contratto il virus.

“Se ho salvato qualcuno, sono felice di aver mentito”

Ora la Rsa Città Bianca è divenuta Covid Hospital, i negativi sono stati separati dai positivi. “Mi sono dovuta violentare, nel mentire alla Asl, perché non è nella mia indole, ma mi rende felice se tutto è servito a far star meglio anche una sola persona”, afferma Faroni, che aggiunge: “Quando leggo che i tamponi sono il vero sistema per salvare la gente, sono proprio contenta delle mie forzature”. E rivela: “Stiamo studiando il modo di far fare brevi passeggiate all’aperto, in totale sicurezza, ai positivi asintomatici. Stiamo raccogliendo pareri di esperti. La vitamina D può aiutare a superare l’infezione”.

È partita da una settimana l’indagine a tappeto della Asl

La Regione Lazio ha avviato una settimana fa un’indagine a tappeto nelle strutture per anziani. Sia quelle sanitarie, ben 112, sia le “case di riposo”, oltre 700. In totale, oltre 20.000 persone ricoverate in un migliaio di centri, di cui – stima l’associazione Anaste Lazio – un buon 25 per cento potrebbero essere abusivi. Esiste una fitta coltre attorno ai numeri degli anziani positivi. Ancora impossibile ottenere cifre ufficiali. Allwe erichieste del Fatto sulle stime dei decessi e dei contagi, infatti, soltanto la Asl Roma 1 (Roma nord-ovest) ha contribuito a ricostruire la situazione, parlando di 10 casi positivi su circa 1000 ospiti (“un centinaio” i tamponi effettuati). Le altre, invece, si sono trincerate dietro il silenzio istituzionale.

Ad oggi, sono 9 le strutture isolate dalla Regione Lazio. La situazione più grave alla Rsa Madonna del Rosario di Civitavecchia, con 43 infezioni su 60 anziani ospitati e ben 13 decessi; positivi anche 12 fra medici infermieri. Dramma anche alla casa di riposo Maria Immacolata di Nerola, dove hanno contratto il virus 56 residenti e 16 dipendenti: già 2 i decessi. La Asl Roma 5 ha trasferito i positivi al “centro Covid” del Nomentana Hospital, che ha protestato: “Abbiamo già troppi casi, ma poco personale e materiali: non siamo in grado di gestire l’emergenza”.

“Isolati dal 10 febbraio, salvati tutti gli anziani”

Qualcuno si è salvato. Erano isolati dal 10 febbraio. Ben prima che l’epidemia fosse ufficiale con la scoperta del Paziente 1 a Codogno. Nell’occhio del ciclone Covid-19 c’è una struttura per anziani che a oggi non ha registrato nessun infetto, né decessi. Erano 40 ospiti a febbraio e sono 40 oggi, dieci settimane dopo. I sopravvissuti della Residenza Guerreschi di Capralba (Cremona). Dove è stato somministrato l’unico vaccino: l’isolamento. Lo raccontano la responsabile amministrativa Daniela Dolci e il medico Carlo Del Boca, che vive a Lodi e fino all’autunno scorso, prima della pensione, ha lavorato nell’ospedale di Cremona. Entrambe le città sono state epicentri iniziali della pandemia, che però ufficialmente non c’era ancora il giorno della serrata. Solo una coincidenza? Del Boca risponde: “È possibile che sia stata una coincidenza basata su segnali di allarme considerati potenzialmente letali per pazienti fragili. Poi interviene il fattore fortuna”. Quali segnali? “Un aumento considerevole di polmoniti rispetto agli anni precedenti. In un contesto di timore internazionale per ciò che stava accadendo in Cina”.

Daniela Dolci spiega: “Abbiamo deciso di attuare delle restrizioni degli accessi all’inizio settimana del 10 febbraio ben prima di ogni disposizione. I nostri medici erano spaventati da ciò che già sentivano accadere negli ospedali. Abbiamo protetto tutto il personale con acquisti di tasca nostra. Siamo una struttura in regime di solvenza, non prendiamo soldi da nessuno, ci manteniamo con le rette degli ospiti. Se avessimo atteso le mascherine dell’Ats Cremona a Asst Valpadana, staremmo freschi”.

La decisione di chiudere agli esterni non è stata immediatamente compresa da tutte le famiglie degli ospiti. La scelta è pesata dal punto di vista umano sugli assistiti che da un giorno all’altro non hanno più potuto avere il conforto dei loro cari, ma alla luce di ciò che sta accadendo quella scelta per il medico è stata “l’unica terapia validante”.

Non è mai stato possibile effettuare tamponi in struttura. “È infatti solo di questi ultimi giorni – aggiunge Del Boca – la delibera regionale della Lombardia che le rende possibili su pazienti con sintomi. Portare i nostri pazienti in ospedale per sottoporli al tampone avrebbe significato farli rischiare di contrarre il virus”. Solo un’ospite è morta ai primi di marzo in ospedale, ma per un arresto cardiaco slegato dal coronavirus.

“In dieci settimane – spiega Del Boca – alla Guerreschi ci sono stati eventi polmonari acuti perché stiamo parlando di persone fragili, ma tutte sono progressivamente guarite. Se fossero stati Covid avremmo avuto risposte diverse”. E hanno usufruito di un servizio radiologico a domicilio: “Abbiamo isolato dagli altri ospiti i pazienti con problemi anche solo influenzali”.

La responsabile amministrativa fornisce i conti: “È domenica non sono in struttura vado a memoria rispetto alla spesa complessiva sostenuta finora per l’acquisto di sistemi protettivi per infermieri, operatori socio sanitari e 5 medici a turno è stata di circa 8 mila euro. Abbiamo speso altri 4 mila euro per kit di autocontrollo per tutti che arriveranno entro Pasqua. Siamo riusciti a mantenere i nostri ospiti sotto una campana di vetro”. Solo questione di risorse visto che siete una residenza privata? “La nostra retta giornaliera per ogni ospite oscilla dai 120 ai 130 euro”.

Si potevano chiudere prima anche le altre Rsa? Del Boca risponde: “Tutto il sistema sanitario è stato travolto. Si è chiuso quando da un punto di vista statistico si è visto come stavano andando le cose. Chiudere subito isolando le persone fragili dall’esterno e mettere in sicurezza tutto il personale sarebbero stati suggerimenti intelligenti”.

 

Ottimi i caschi integrali da astronauti, da MotoGp o da Formula uno. Chi ne fosse sprovvisto può sopperire calzando la scatola dell’uovo di Pasqua o della colomba o, se l’ha conservato, del panettone o del pandoro natalizi. Per jihadisti e islamici di stretta osservanza, il velo integrale andrà benissimo, il burqa anche meglio. Piduisti e massoni in genere potranno indossare il caratteristico cappuccio nero (Berlusconi, Cicchitto e Bisignani prendano buona nota, anche se il Cavaliere dispone pure di ottime bandane). Per i tipi più simpatici, si consigliano le zucche di Halloween o le maschere di Arlecchino, Brighella e Gioppino. Cuochi e chef hanno quei cappelloni bianchi così lunghi che basta tirarli giù fino al gargarozzo. Idem i vecchi comunisti col colbacco. Ladri e rapinatori sono autorizzati a girare in divisa da lavoro, con passamontagna o calzamaglia o collant sul capo, possibilmente a distanza di sicurezza da banche, uffici postali, negozi e supermercati, sennò rischiano non il Covid, ma la Colt. Le suore dovranno indossare il velo, ma all’incontrario: su volto anziché sulla nuca. E così i frati, rovesciando sul davanti il cappuccio del saio. Idem Salvini quello della felpa.

Papi, cardinali e vescovi dovranno calarsi le tiare e le mitre almeno fino al mento. Beppe Severgnini dovrà semplicemente srotolare fino alle sopracciglia il collo maglione dolcevita alla Montanelli. I reduci di guerra riesumeranno dalla soffitta la maschera antigas e le loro signore il cappellino con veletta o il velo da sposa (il tulle traspira un po’, ma piuttosto che niente, è meglio piuttosto). I portatori di parrucca o toupet non hanno che da applicarseli al mento, tipo barba. Eccellenti, per i portatori di cani (di proprietà o a noleggio), le museruole: tanto pare che le bestie – pipistrelli a parte – siano immuni. Per i mafiosi, la coppola può andar bene, purché calzata sul davanti. Evitare gli elmi medievali alla Braveheart del trisavolo: coi primi caldi si finisce arrosto e si rimpiange pure il Covid. Sconsigliate anche le cuffie di plastica per doccia: chi ci infila il capo e tira la cordicella non muore per coronavirus, ma per soffocamento. Per l’assessore Gallera è prevista una dispensa speciale: se non trova di meglio, va bene anche un tappo di sughero”.

“Notte densa e disperata sul mondo”: la Settimana Santa senza processioni

È cominciata ieri, dunque, la settimana più importante per i cristiani. La Settimana Santa. Dalla Domenica delle Palme, ingresso di Gesù a Gerusalemme, alla Pasqua di Resurrezione. In mezzo il triduo che comprende l’Ultima Cena del giovedì, il venerdì della crocifissione e morte di Cristo, la veglia del sabato.

E per la prima volta in duemila anni, riti e celebrazioni saranno senza fedeli. Nemmeno guerre e terremoti avevano fermato la devozione popolare. In particolare quella delle processioni di incappucciati. Monsignor Claudio Magnoli, esperto di liturgia e consultore della Congregazione per il Culto divino, ha calcolato che saranno 9mila le processioni che non si terranno, la gran parte concentrate nel Venerdì Santo. Un dato “non scientifico ma ragionevole”, come ha detto all’Adnkronos. Una questione non solo italiana.

Anche in Spagna la Semana Santa è un evento centrale sentitissimo: un video che circola su Youtube s’intitola ¿Qué no hay Semana Santa?, Quest’anno niente Settimana Santa? e racconta che in questo drammatico Venti i veri Nazareni sono medici, infermieri e malati e il vero Calvario sono gli ospedali. In tutta Europa le confraternite sono 15mila per sette milioni di iscritti. Un esercito di penitenti che si manifesta appunto nella Settimana Santa.

In Puglia, in Sicilia e in costiera sorrentina, per esempio, le processioni iniziano il loro cammino nella notte tra giovedì e venerdì. Le tenebre dell’arresto di Gesù dopo l’estrema preghiera del Getsemani (“Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”). Mai come quest’anno, allora, nelle strade vuote del Venerdì Santo risuonano i versi di padre Turoldo: “Si è levata la più densa Notte sul mondo (…) Notte senza un lume: disperata tua e nostra Notte. ‘Perché’”.

Chi scrive non farà le processioni nel suo paese, Piano di Sorrento, dopo 42 anni, e solo adesso, in questo tempo pandemico di silenzio e meditazione, nota come i cortei di incappucciati si basano da secoli su due regole fondamentali di oggi: il cappuccio come mascherina e la distanza di almeno tre metri tra una fila e l’altra.