Onorato, viaggi pagati a Grillo e al dem della legge Marittimi

Viaggi in nave regalati a Beppe Grillo e famiglia. E anche all’ex senatore Pd Roberto Cociancich padre di una legge sui marittimi che piacerà e molto a Mr Moby Vincenzo Onorato. Che pagava, sempre e comunque. Dando anche la sua cabina armatoriale al leghista Edoardo Rixi. Dice al Fatto Cociancich: “Ho conosciuto Onorato solo dopo l’approvazione della legge, ma non ci furono pressioni, anche se quel biglietto non l’ho pagato”. L’armatore si mostra pronto a esaudire pure le richieste del fondatore del M5s anche in tempi brevi e in periodi estivi affollati. Questo emerge dalle email di Onorato trovate nei suoi supporti informatici sequestrati nell’ambito dell’inchiesta fiorentina sulla fondazione Open di Matteo Renzi. Tra i contatti anche i parlamentari Luigi Di Maio, Danilo Toninelli, Carla Ruocco. Oltre a loro i leghisti Alessandro Morelli e Rixi. Parte del materiale ha interessato la Procura di Milano che ha indagato Grillo e Onorato (i politici sono estranei all’inchiesta) per traffico di influenze illecite in relazione a un contratto pubblicitario tra Moby e il blog di Grillo da 240mila euro pagati da Onorato per avere in cambio, per i pm, l’interessamento di Grillo sui propri politici.

La email “il Contratto con Beppe mi sembra alto”

Tra le email “calde” c’è proprio il prequel al contratto, siglato il 1º marzo 2018, tra Moby e il blog di Grillo. Le prime risalgono al febbraio 2018. Scambiate tra Giovanni Savarese di Moby (perquisito dalla Finanza di Milano ma non indagato) e Onorato che scrive: “Ti devo parlare di Grillo al più presto”. Savarese ha qualche dubbio sul prezzo del contratto: “Mi sembra un po’ alto”. Onorato: “È importante (…). Accetta la proposta di Grillo. Digli che hai parlato con me e va bene”. Il 4 maggio 2018 compare un primo contenuto sul blog. Onorato scrive a Grillo: “Grazie! Comandante a nome della nostra gente. Vincenzo”. La “nostra gente” cui si riferisce Onorato sono i marittimi a cui l’armatore tiene a tal punto da aver creato e foraggiato l’associazione Marittimi per il futuro di Torre del Greco utilizzata anche per i rapporti con la politica e per la quale, in altre occasioni, si spenderà anche Matteo Renzi.

Cociancich “Non far pagare il senatore del pd”

Il tema “marittimi” emerge dalle email in relazione all’emendamento del senatore Cociancich sugli sgravi fiscali approvato nel 2016. Il 30 ottobre 2017, a pochi mesi dalle elezioni del 2018 con i 5Stelle lanciati al governo, Onorato scrive a Grillo e chiede di non smontare quell’emendamento anche se scritto dal Pd. Ma mesi prima Mr. Moby non dimentica i dem: il 25 luglio 2017 viene inviata una email della segreteria dell’allora senatore Cociancich a Moby per prenotare un viaggio da Napoli. Onorato ordina di non farlo pagare e di offrirgli un trattamento vip. Così avverà. Cocianchic: “I marinai ridevano, alla fine accettai”.

Tra il 30 ottobre, dopo il messaggio di Onorato a Grillo sui marittimi, e il primo novembre 2017, prima della firma del contratto ritenuto penalmente rilevante dalla Procura di Milano, ci sono poi altre email scritte a Onorato dalla deputata pentastellata Carla Ruocco in cui la parlamentare promette a Onorato di informarsi e fargli sapere. I messaggi risultano mandati per conoscenza a Grillo che, stando agli atti, l’aveva interessata per conto di Onorato. Subito Onorato scrive all’ex comico per ringraziarlo. Sentita dal Fatto Ruocco dice: “Questa è una intimidazione”, dopodiché annuncia querela, ma non smentisce le email inviate, solo le minimizza. Onorato è pronto poi a muovere i suoi marittimi per un comizio del Movimento. Lo scrive a Grillo il 2 gennaio 2018. Lo avvisa che per il comizio del 4 febbraio ha sentito la segretaria del futuro vicepremier Luigi Di Maio e che “siamo pronti a muoverci”.

Incontri Quello con Di Maio e coi parlamentari leghisti

E Onorato, secondo quanto emerge dagli atti, aveva rapporti anche con Di Maio nel periodo in cui era vicepresidente della Camera. L’11 gennaio 2018 la segretaria di Onorato lo avverte che lo staff di Di Maio le ha comunicato la volontà del politico di parlargli. Siamo a meno di un mese dal comizio di Torre del Greco a cui parteciperanno sia Grillo sia Di Maio. Il 26 gennaio 2018 Onorato scrive al pentastellato. “Caro Luigi, da martedi fino a venerdì sarò a Roma, hai 5 minuti per me?”. Su questo aspetto, l’ufficio stampa del ministro degli Esteri, contattato, non ha risposto. Dalle email di Onorato però risultano contatti anche con il mondo della Lega. Il 27 settembre 2018 una email conferma l’incontro tra Onorato e il leghista Alessandro Morelli, eletto in Parlamento nel 2018 e messo alla presidenza della Commissione Trasporti della Camera. Il fedelissimo di Salvini, emerge dagli atti, si mostra disponibile e consiglia un incontro con Toninelli che, stando al materiale informatico sequestrato da Firenze, sarà programmato il 19 giugno 2019. Quando Onorato incontra Morelli, quest’ultimo si raccomanderà di far riferimento anche a un influente collega di partito, Edoardo Rixi, all’epoca sottosegretario del Mit. Che pure ha avuto un incontro con Onorato, avvenuto il 30 luglio 2018 negli uffici romani di Rixi. Il 2 agosto 2018 poi l’armatore viene avvertito che il leghista vorrebbe prendere una nave Moby per andare in Sardegna. A rispondere è il figlio di Onorato: viene data disposizione di concedere al parlamentare la “loro cabina”. Sentito dal Fatto, Rixi conferma l’incontro e la concessione della cabina armatoriale, ma spiega: “I biglietti li ho pagati io”.

Infine c’è il capitolo del contratto con la Casaleggio Associati. È l’11 agosto 2019, il gruppo Moby-Tirrenia è sull’orlo del fallimento, Achille Onorato scrive al padre proponendo di tagliare voci di spesa per 6 milioni. Tra queste i 600mila euro all’anno per il contratto con la Casaleggio Associati. Contratto agli atti della Procura di Milano e che a ora non ha alcuna rilevanza penale. Onorato risponde: “Però ti devo parlare”. In una email del 20 agosto si capisce che i tagli sono approvati. Tutti tranne uno: il contratto con Casaleggio.

Catalogna, scuse alle streghe: “Erano vittime di misoginia”

Non erano streghe, eran donne”vittime di misoginia: il Parlamento regionale della Catalogna ha approvato una risoluzione per “riparare” la “memoria storica delle donne ingiustamente condannate, giustiziate e represse nel corso della storia per stregoneria”, in modo tale da “nobilitarle e rivendicarle”, dichiarandole “vittime di persecuzione misogina”.

A favore hanno votato sia i partiti della maggioranza indipendentista (Esquerra Repubblicana, Junts Per Catalunya e Cup) sia le formazioni di centrosinistra Partito Socialista ed En Comú Podem. Contrario invece il centrodestra.

 

La tassonomia della Ue non cambia: Bruxelles si spacca su gas e atomo

La Commissione europea adotterà il 2 febbraio l’atto delegato che include gas e nucleare nel regolamento sulla Tassonomia europea, ovvero l’insieme dei criteri che identifica come sostenibili dal punto di vista ambientale le attività su cui indirizzare gli investimenti “verdi” (in ballo ci sono miliardi di euro, a partire dal Green Deal europeo). Arriverà così com’è o con qualche “piccola modifica” che possa accontentare alcuni Stati membri. Il nocciolo, però, non cambierà. Lo ha detto ieri in un’intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung la commissaria responsabile del dossier, l’irlandese Mairead McGuinness. Si è quindi chiusa l’ultima finestra possibile per la modifica del testo prima che venga sottoposto al voto del Consiglio e del Parlamento Ue, che potranno al massimo bocciarlo e rispedirlo così al mittente.

Dopo almeno due rinvii, proteste e discussioni si va avanti tra i malumori. Martedì il commissario al Bilancio, l’austriaco Johannes Hahn, aveva annunciato la sua opposizione alla bozza proprio a causa di gas e nucleare e comunque in linea con la posizione di Austria e Lussemburgo che si sono dichiarate più volte pronte a portare la questione davanti alla Corte di giustizia europea. “Il denaro europeo non può essere utilizzato per le centrali nucleari o per le centrali a gas” spiega Hahn, citando quanto scritto “sul nostro regolamento che include anche i fondi strutturali”.

“La Commissione europea ignora il parere scientifico degli esperti (che oltretutto erano stati incaricati proprio da Bruxelles, ndr), il palese dissenso di alcuni Stati membri come la Germania, la Spagna, l’Austria e il Lussemburgo e anche il monito arrivato da numerosi gruppi del Parlamento europeo e persino dal Responsabile Ambiente del Ppe, il tedesco Peter Liese – ha detto ieri l’europarlamentare del M5s Ferrara –. È proprio il caso di dire che non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”. Proprio agli europarlamentari, i Verdi tedeschi hanno rivolto un appello affinché respingano l’atto delegato (possono farlo con la maggioranza assoluta dei voti). La Germania che – con buona parte dei paesi dell’est Europa – di fatto ha molto da guadagnare dall’inserimento del gas in tassonomia soprattutto grazie alle deroghe concesse per la conversione delle centrali a carbone, si è infatti opposta solo al nucleare che è, invece, un favore alla Francia e alla sua industria statale. In mezzo c’ è l’Italia che nei giorni scorsi ha chiesto meno rigore sui limiti del gas perché altrimenti non vi rientrerebbero buona parte delle realtà italiane e degli investimenti fatti (senza però esprimersi sul nucleare) e gli altri paesi che sono stati meno timidi e hanno contestato la bozza per intero perché da tempo hanno orientato i loro investimenti sulle rinnovabili, dall’Austria alla Danimarca, al Portogallo, al Lussemburgo e infine alla Spagna, che potrebbe finanche decidere di non riconoscere lo standard europeo e adottarne uno proprio anche per l’emissione di green bond.

Gli Usa: “Per noi la soluzione è diplomatica, la Russia scelga”

Adesso tocca alla Russia: l’ambasciatore americano a Mosca, John Sullivan, ha consegnato al ministero degli Esteri russo la risposta di Washington alle richieste avanzate dal Cremlino sulle garanzie di sicurezza. Il documento non verrà reso pubblico, ma si tratta di “un serio percorso diplomatico da seguire”, ha detto il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che nei prossimi giorni incontrerà il ministro degli Esteri di Putin, Serghey Lavrov. Dal conflitto imminente al ritorno al tavolo dei negoziati per la de-escalation. Sull’Ucraina l’Ue arriva spaccata. Contro Berlino, che si è rifiutata di inviare armi a Kiev e allinearsi alla linea di Nato e Stati europei orientali, se la prendono non solo gli Usa, ma anche l’ex pugile e sindaco di Kiev, Vitaly Klitschko: “La Germania ci ha inviato 5.000 elmetti, una barzelletta. Poi ci invierà cuscini?”. Il cancelliere Olaf Scholz ha incontrato ieri il presidente francese Macron, che sentirà al telefono Putin venerdì prossimo: hanno rassicurato che Francia e Germania non abbandoneranno il dialogo con la Russia. Il “Formato Normandia” procede intanto a Parigi tra consiglieri di Ucraina, Russia, Francia e Germania. Anche il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, ieri ha tentato di ridimensionare la crisi: al confine ai soldati russi “mancano sistemi militari necessari per una grande offensiva”, la Russia vuole solo “diffondere panico”.

Romania, Bulgaria e Ungheria chiedono truppe supplementari agli Usa, ma altri Stati dell’Alleanza atlantica non concordano. Washington ha assicurato che 8500 soldati Usa sono pronti a raggiungere l’est, ma il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg “da tempo ha perso contatto con la realtà” ha detto Lavrov: “L’Occidente è vittima di isteria e frenesia militaristica”.

Business as usual, cortesie e miliardi tra italiani e Putin

Ha scatenato un putiferio, in tempi di crescenti tensioni sull’Ucraina, l’incontro di ieri tra gli amministratori di alcune delle maggiori imprese italiane e il presidente russo Vladimir Putin. A montare il caso ci si è messa l’agenzia Bloomberg, ripresa dal Financial Times. È scattata così la moral suasion di Palazzo Chigi, mirata a dissuadere le imprese partecipate dal Tesoro dal presenziare. All’incontro non è andato l’ambasciatore a Mosca. Ma il summit era programmato già dal 21 novembre dalla Camera di commercio italo-russa (Ccir). È vero che la crisi tra Kyev e Mosca si sta surriscaldando, ma il clamore per il rendez vous pare fuori luogo, visti che i rapporti tra Occidente e Russia non si sono interrotti nemmeno dopo l’invasione della Crimea da parte di Mosca nel 2014 e le successive sanzioni.

L’appuntamento – considerato di carattere privato – è stato promosso dal presidente della Ccir, Vincenzo Trani, azionista di riferimento di Delimobil, società russa di car sharing nel cui cda siede il leader di Italia Viva, Matteo Renzi. Né la Camera italo-russa né il Cremlino hanno reso noti i presenti. Nonostante tre defezioni dell’ultimo minuto, considerate diplomaticamente imprevisti per malattia o sopravvenuti impegni, era presente un parterre dei roi dell’imprenditoria nazionale: Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli e co-presidente di Ccir, l’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace (il gigante elettrico partecipato del Tesoro, contattato, non ha commentato), Andrea Orcel, ad di UniCredit, Gabriele Galateri, presidente di Generali, Emma Marcegaglia, Andrea Clavarino (Coeclerici), Francesco di Amato (Maire Technimont), Gianpiero Benedetti (Danieli), Guido Barilla, Luigi Scordamaglia (Cremonini), Antonio Fallico, capo di Intesa Sanpaolo Russia e dell’associazione Conoscere Eurasia, ed Ernesto Ferlenghi, vicepresidente di Confindustria Russia, longa manus dell’associazione industriale nella Confederazione. Hanno invece dato forfait l’ambasciatore a Mosca – e fratello dell’ad di Enel – Giorgio Starace, l’ad di Saipem Francesco Caio e quello di Eni, Claudio De Scalzi.

Durante il videocollegamento, il presidente russo Vladimir Putin ha spiegato che per la Russia l’Italia è “uno dei principali partner economici”, mentre la Russia è “un affidabile fornitore di risorse energetiche ai consumatori italiani. Durante la pandemia”, ha aggiunto il presidente russo, “la situazione non ha permesso di realizzare nuovi progetti e iniziative”, ma “possiamo dire con soddisfazione che i nostri Paesi sono riusciti a mantenere la cooperazione economica a un livello piuttosto alto”.

Gli affari italo-russi, nonostante il crollo dai 29,2 miliardi di euro del 2013 ai 7,5 del 2014 per le sanzioni dopo l’invasione della Crimea, non si sono mai fermati e sono in ripresa, così come gli incontri imprenditoriali e politici. Secondo l’Istat, nei primi 9 mesi del 2021 l’interscambio tra i due Paesi è aumentato di oltre il 43% sullo stesso periodo del 2020 a 17 miliardi di euro: l’import russo dall’Italia è stato di 8,7 miliardi (+26,48%). L’Italia è ottava tra i partner commerciali della Russia, da cui riceve un terzo dei suoi approvvigionamenti di energia, e terza nella Ue dopo Paesi Bassi e Germania.

D’altronde nessun Paese ha totalmente boicottato Mosca dopo le sanzioni per la Crimea: il primo novembre 2018 Putin riceveva al Cremlino una delegazione di aziende tedesche, il 20 marzo 2019 una di businessmen inglesi e il 18 aprile successivo gli imprenditori francesi. Normali appuntamenti periodici ai massimi livelli, mentre gli ultimi incontri e accordi di Confindustria Russia e Ccir sono di giugno e novembre scorsi. Difficile stupirsi o dichiararsi “più atlantisti di Washington”, se già il 17 maggio 2017 Paolo Gentiloni, allora presidente del Consiglio e oggi commissario Ue, incontrava a Sochi Vladimir Putin e affermava che l’Italia “ha messo le relazioni con la Russia al centro anche nei momenti difficili. E ha fatto bene, perché c’è una ripresa che si riflette negli scambi tra imprese”. Business is business.

A Kiev fanno più paura le tasse che l’Orso russo

Sono passate da poco le otto del mattino, il termometro digitale che sovrasta piazza Maidan segna sette gradi sotto lo zero. I manifestanti arrivano a grandi gruppi con le bandiere della propria regione: hanno viaggiato di notte da tutto il Paese. Non protestano contro la Russia, sono venuti per manifestare contro l’aumento delle tasse proposto dal governo. “È la più grande mobilitazione popolare dal 2014, oggi riapre il Parlamento e devono ricordarsi che ci siamo”. Anna Kyslenkio, 50 anni, non sembra infastidita dal freddo. Con le mani nei guanti sta sistemando la bandiera ucraina su un’asta telescopica. “Vivo in un paesino poco lontano dal confine con la Bielorussia – racconta la donna – il governo continua a parlare di invasione, di un attacco. Ma sono loro che ci vogliono togliere tutto”. L’esecutivo ha deciso di aumentare la pressione fiscale su partite Iva e piccoli imprenditori. L’aliquota minima passa dal 10 al 20% poi si sale per scaglioni di reddito. Ma secondo i manifestanti i numeri sono ben diversi. “Mi sono trasferita da Odessa a Kiev perché il Covid mi ha tolto il lavoro che avevo” dice Natalia, che una decina di anni fa ha aperto una microazienda che si occupa di traduzioni. “Per le tasse pago un fisso mensile, più il 6% del fatturato. Ho delle deduzioni perché ho una madre invalida a carico. Con la riforma dovrei pagare il 40%. Non posso. Semplicemente mi stanno dicendo di chiudere l’attività”.

Sul cassone di un pick-up nero ci sono due enormi altoparlanti. Non c’è un microfono, trasmettono solo musica: ballate e canzoni popolari. In ogni brano si sente sempre la parola Ucraina. Accanto alle casse c’è un ragazzo alto, biondo, indossa una felpa sportiva e ha la giacca aperta: Igor è un giocatore professionista di pallavolo. “Putin è uno psicopatico e non si può mai sapere cosa aspettarsi da lui. Ma io ho paura per il futuro economico, mio e di tutto il Paese”. Igor è originario di Charkiv la grande città ucraina, vicino al confine russo dove è ammassato l’esercito del Cremlino. “Dopo il 2014 mi aspettavo un cambiamento – continua il ragazzo – non di Mosca, ma del nostro governo. Dignità per tutti. Invece continuo a vedere sempre le stesse cose: corruzione, poi arrivano nuovi politici, e c’è ancora corruzione”. Durante la giornata il corteo si scontra più volte con la polizia. Davanti a Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, lacrimogeni e arresti. Secondo le autorità sono oltre 13 gli agenti feriti, intanto in Internet viene diffusa la notizia di un morto tra i manifestanti. La polizia nega il decesso e in una nota fa sapere di aver fatto ricoverare un uomo che si era sentito male. “L’aumento delle tasse è solo una parte – incita Otar Spirin con un megafono in mano – il governo sta cercando di uccidere una parte della nostra economia”. Nel pacchetto di misure proposte dall’esecutivo c’è l’obbligo di installare registratori di cassa in tutti gli esercizi commerciali. “Non siamo pronti, i negozi delle campagne non possono fare un salto così. Ci dicono che dobbiamo preoccuparci della guerra, ma non è che con la pace si stia molto meglio”. L’invasione russa che riempie i media di tutto il mondo è lontana dalla mente di chi vive a Kiev. Il Comune ha mappato i bunker presenti in città. Adesso sono cantine, bar, ristoranti, fermate della metro. “Qui sotto c’è un rifugio, è del condominio. Per accedere ci sono due scale nel cortile dietro l’edificio”. A parlare è una delle residenti di via Gorodetskogo 6, una piccola stradina in pieno centro. Al piano terra c’è un elegante franchising francese di dolci e lieviti. “Vogliamo che il bunker rimanga del palazzo – continua la donna con la testa nascosta in cappuccio di pelliccia – non ci stanno bombardando, la guerra non c’è e difficilmente arriverà a Kiev”. L’amministratore del condominio ha mandato una lettera di diffida al Comune, dove assicura che la proprietà mantenuta e gestita dai privati sarà in migliori condizioni rispetto a quelle in mano al pubblico: “Se mai ce ne sarà bisogno, il bunker lo apriremo a tutti”.

Mail box

 

Mario si sta mostrando per come è davvero

Il Re è nudo! Supermario ha abbandonato il solito basso profilo, entrando a gamba tesa per la residenza al Colle: pare gli spetti per diritto divino. Io vorrei alla presidenza della Repubblica una persona perbene, libera e indipendente. Se fossi una grande elettrice voterei per Gustavo Zagrebelsky, oppure per Rosy Bindi. Secondo me non mancano altre personalità degne nella società civile, come Carlo Galli e Paolo Flores d’Arcais, o l’ex ministro Sergio Costa. Una di queste persone ben rappresenterebbe l’Italia e sarebbe una mano santa, nonché una ventata di aria pulita rispetto al puzzo (ri)corrente. Ovvio che il mio è un sogno da desta, ma farlo non costa nulla.

Franca

Cara Franca, magari! Purtroppo i migliori (quelli veri) in questo Parlamento non hanno i numeri. Speriamo almeno che non prevalga uno dei peggiori.

M. Trav.

 

La lezione di Luttazzi sulla democrazia italiana

Martedì Luttazzi ci ha regalato una lectio magistralis sulla politica italiana. Una sintetica, drammatica, ed efficacissima sintesi in cui viene rappresentata la “half democracy” italiana.

Paolo Littarru

 

“Un Paese di musichette ma fuori c’è la morte”

Come tutti sto seguendo le elezioni per il nuovo presidente della Repubblica, evitando accuratamente di ascoltare lo spoglio delle prime giornate, perché ancora una volta dobbiamo assistere alla mortificazione delle istituzioni da parte di chi, credendo di trovarsi in una scuola elementare, scrive nomi come “Alfonso Signorini” sulla scheda. Penso che in questa prassi ormai consona, ci sia una profonda mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini nel momento più alto della democrazia. Perché se non sono i parlamentari a essere i primi a portare rispetto per l’Aula, come possono pretendere che lo facciano i cittadini? Concludo con una citazione da Boris che calza a pennello: “L’Italia, un Paese di musichette, mentre fuori c’è la morte”.

Valentina Felici

 

Casini il surfista punta in direzione Quirinale

Pierferdi presidente della Repubblica sarebbe la perfetta rappresentazione dell’attuale italiano medio, dunque della maggioranza degli italiani. Vincerebbe anche con l’elezione diretta. Un campione di surf di Palazzo, capace di cavalcare l’onda vincente cogliendo le opportunità (e potrebbe essere così anche in questa occasione); trasformista per convenienza; mimetico e in seconda linea nei momenti di battaglia; armato di una morale pubblica cui in privato si consente di abiurare. E a chi gli mette di fronte le contraddizioni risponde serafico: “Io sono sempre me stesso, sono gli altri che sono cambiati”.

Melquiades

 

DIRITTO DI REPLICA

La vostra affermazione per cui “la Consulta cancella la censura sulla corrispondenza fra i detenuti al 41-bis e avvocati. Geniale: così i boss potranno ordinare omicidi e stragi per lettera”, non può che far esprimere a nome di tutta l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga) sdegno e preoccupazione per la deriva giustizialista che propone agli occhi dei lettori. Sono parole gravissime ed irricevibili che mancano di rispetto a tutta l’Avvocatura ed in particolar modo a quei colleghi, come Fulvio Croce e Serafino Famà, che hanno pagato con la vita quel dovere di indipendenza che ogni avvocato assume con il giuramento, testimoniandone la funzione sociale di difesa della legalità. Condanniamo questa deriva demagogica che vuole identificare l’avvocato con il proprio cliente credendolo complice di ogni sua azione, svilendo il suo ruolo: non può esserci un giusto processo senza una vera difesa delle parti, altrimenti sottoposte al totale arbitrio della Magistratura. Come ha ricordato Alessio Cerniglia, Responsabile Conferenza degli eletti Aiga: “oltre ai colleghi tali affermazioni offendono le Istituzioni Forensi, di cui tanti giovani fanno parte, che quotidianamente si impegnano a tutelare e vigilare su quell’indipendenza che è l’essenza stessa funzione difensiva che la Costituzione dispone nell’interesse di tutti i Cittadini.” Noi non saremo mai complici né servi di nessuno, nemmeno di chi ci vuole solo meri spettatori nel processo.

Francesco P. Perchinunno
Presidente AIGA

Caro avvocato, io credo che i suoi colleghi disposti – per collusione o per paura – a trasmettere all’esterno ordini delittuosi dei loro clienti mafiosi e stragisti reclusi al 41-bis siano un’esigua minoranza e che la stragrande maggioranza non lo farebbe mai. Ma purtroppo in ogni professione si annidano le mele marce. Un anno fa, per fare un esempio tra i tanti, è stata arrestata un’avvocatessa di Canicattì che nel suo studio organizzava summit di mafia e faceva uscire dal carcere i messaggi dei mafiosi al 41-bis. Per questo ritengo pericolosa e criminogena la sentenza della Consulta che cancella la censura sulla corrispondenza fra i detenuti al 41-bis e i loro legali: perché incoraggia queste gravissime deviazioni.

M. Trav.

Un figlio orgoglioso. “Ciao mamma, libera e battagliera, come il ‘tuo Fatto’”

Caro Direttore e cara redazione, vi scrivo per comunicarvi la scomparsa di una vostra grande ammiratrice e una supporter della prima ora del vostro giornale, di cui era avida e fedele lettrice.

La signora Anna Maria Rizzuto, mia madre, era afflitta da un male profondo che stava cercando di curare con tutte le sue forze, ma che non le ha dato scampo una volta che il suo fisico indebolito ha dovuto fronteggiare anche questo virus maledetto, che sta distruggendo tante famiglie in Italia e nel mondo.

Mia mamma ha avuto un carattere da battaglia per i propri ideali contro tutto e contro tutti, probabilmente era per questo che era affezionata così tanto al vostro giornale. Classe 1948, aveva proprio vent’anni quando ci sono state le manifestazioni studentesche a Milano, dove lei era in prima linea. E fino alla fine, anche in un periodo di così tante preoccupazioni per la propria salute, non si è smentita. Proprio prima di Natale, infatti, era stata contentissima di avere visto pubblicata sul vostro giornale (il 18 dicembre 2021) una sua lettera in cui si lamentava che suo marito, mio padre, aveva subito dei ritardi clamorosi sulla terza dose, nonostante fosse riconosciuto come soggetto fragile dalla Regione Lombardia.

Quando era stata ricoverata nel reparto di malattie infettive all’ospedale di Busto Arsizio lo scorso 8 gennaio, mi aveva chiesto di metterle nella borsa l’ultimo libro di Marco Travaglio, Il Conticidio, di cui le mancavano una manciata di pagine alla fine. Sfortunatamente il segnalibro non si è mai mosso fino alla pagina conclusiva.

Non sono sicuro che esistano metodi sul vostro giornale per presentare un ultimo saluto a una persona intelligente, onesta, determinata e dolce come mia mamma, ma se fosse possibile sarebbe un bel ricordo per tutti noi e chissà, magari anche per lei.

Vi ringrazio profondamente per la vostra attenzione e per tutto il lavoro della vostra redazione.

Marco Pellegrini, un figlio orgoglioso

La “nota di cautela” e il “foro Mussolini”

In questi giorni,forse in queste ore, si compie il rito, necessario e importante, dell’elezione del prossimo capo dello Stato. Quando avremo il nome, sarà forse il caso di domandarci, col poeta, “Cos’è un nome?”. Dal punto di vista del farsi della storia niente, ci suggerisce Tolstoj, per quanto importante sia quel nome: è impossibile dirigere i milioni di volontà che creano la storia e che si fanno uno solo nel farsi degli eventi, deciso da Dio, causa prima non causata. Non avendo la fiducia dell’autore di Guerra e Pace nella Divina Provvidenza e non volendo chiudere bottega, sottoscriveremo l’opinione del commissario Ingravallo, che – com’è noto – sosteneva che “bisognasse ‘riformare in noi il senso della categoria di causa’ quale avevamo dai filosofi, da Aristotele o da Emmanuele Kant, e sostituire alla causa le cause”. Ecco, quali che siano i grandi nomi e le molteplici cause, il fatto (e anzi, filologicamente, il fattaccio) è che – a 11 mesi dal pieno ritorno all’opera dei vincoli di bilancio Ue – martedì ci è arrivata da Bruxelles una “piccola nota di cautela” (così il vicepresidente della Commissione Dombrovskis), diciamo un avvertimento: la spesa corrente italiana è troppo alta. Nota a cui il nostro governo, peraltro, s’era già adeguato da solo: il CorSera domenica ci ha spiegato che questa cosa di concedere ristori ridicoli o nulli a chi è in difficoltà per il Covid o il caro-bollette risponde a una “idea di fondo”, e cioè “non affrettarsi a deliberare scostamenti di bilancio in deficit”. Motivo: pare che ci tratteranno meglio nel futuro Patto di Stabilità, “se il controllo sui conti pubblici sorprende il resto d’Europa in positivo”. Se state pensando ai “compiti a casa” di cui già Mario Monti non siamo lontani: oggi, più gentilmente, si dice “il debito va ridotto, anche se in modo realistico” (il commissario al Bilancio Hahn) o, meno gentilmente, “prima o poi bisognerà tirare la cinghia” (l’economista tedesco Gros). Ecco, mentre riflettiamo sulle cause e concause e sul peso dei leader, ci porteremo avanti facendo sin d’ora un ulteriore buco alla cintura: durante il fascismo lo chiamavano, a mezzabocca, “Foro Mussolini”; noi, pur preso atto delle vibranti proteste del conte Tolstoj, per il nome aspettiamo il Parlamento.

“Arbore for president”, meglio di gente come Pera o Casellati

Circola una petizione “Renzo Arbore for President”. L’iniziativa è di Fabio Canessa. Con tutta probabilità i lettori non sanno chi sia Canessa, non lo sa nemmeno Google che se gli fai la domanda recita: “È un giornalista, telecronista sportivo e conduttore televisivo italiano”. Cioè Google conosce Fabio Caressa, uno dei più volgari telecronisti sportivi, ma ignora Fabio Canessa. E anche questo è un segno dei tempi. Canessa è un poligrafo, è curioso di tutto, sa in profondità di letteratura, arte, musica e ne scrive benissimo. Avrebbe potuto lavorare nella sezione culturale di qualsiasi grande giornale. E invece preferisce fare il professore di liceo (per molti anni a Piombino). Fa parte della razza di quegli intellettuali di provincia che agiscono in modo carsico, emergendo ogni tanto alla superficie. Mi ricordo uno straordinario convegno su Curzio Malaparte organizzato a Nepi (cittadina del Viterbese attraversata da una cascata che ispirò Corot) insieme a Maurizio Bianchini che stufo di collaborare a Repubblica, vi aveva aperto un ristorante. Di Canessa c’è anche un delizioso libretto su Azzurro, la canzone di Celentano-Conte in cui sono raccolte testimonianze di Barbara Alberti, Renzo Arbore, Dario Fo, Giulio Giorello, Filippo Martinez. Nel Teatro di Oristano ho sentito tenere da Canessa una straordinaria “lectio magistralis” sul latino.

Ma non scrivo qui per sponsorizzare Canessa, bensì Renzo Arbore. Ecco come Canessa motiva la sua petizione: “Chissà se, da ora in poi, sarà chiamato Cavaliere, come Berlusconi. Finora sul suo biglietto da visita c’era scritto: Renzo Arbore, clarinettista. Se il biglietto avesse spazio sufficiente per l’elenco completo dei suoi mestieri bisognerebbe aggiungere: disc jockey radiofonico, presentatore e showman televisivo, regista e attore cinematografico, critico jazz, rock e pop… Un artista colto e insieme popolarissimo, con due punti fermi: lo swing e l’improvvisazione… Nominarlo Cavaliere di Gran Croce è stato l’ultimo atto di Sergio Mattarella, in attesa nei prossimi giorni dell’elezione del suo sostituto, che si preannuncia confusa e contrastata da veti incrociati. L’unico nome su cui destra, sinistra e centro potrebbero convergere sarebbe proprio quello del Cavalier Renzo Arbore”.

Ma “Arbore for President” più che una candidatura è uno sberleffo nei confronti della mediocrità della classe politica italiana di oggi. Mai apparsa così evidente come in questi giorni di elezioni presidenziali. Ho l’età per averle seguite quasi tutte e mai avevo visto una gazzarra così indecorosa. Circolano nomi al limite del surreale. Marcello Pera di cui si ricorda nei cinque anni in cui fu presidente del Senato solo la frase: “A casa mi piace stare in mutande”. E che cosa fa a casa uno in mutande? Ciò cui allude Lucio Dalla in una sua canzone: “Però mi sono rotto, torno a casa e mi rimetterò in mutande… mi son steso sul divano, ho chiuso un poco gli occhi, con dolcezza è partita la mia mano”. Maria Elisabetta Alberti Casellati vien dal Mare che ha moraleggiato sulle “porte girevoli” peccato che lei ne sia un preclaro esempio. Prima raccattata da Berlusconi in Forza Italia, poi passata al Csm e quindi proiettata alla presidenza del Senato. Ma anche il Re Taumaturgo Mario Draghi esce immiserito da queste elezioni, poiché è andato a pietire voti da tutti, perdendo così, come Andrea d’Inghilterra, il suo status di Altezza Reale. Anche lo speciale di Sky è stato deludente. Non ha seguito lo spoglio delle schede, sprecando la sua bellissima conduttrice, Stefania Pinna in inutili interviste ai soliti vecchi marpioni. Ma ha perso anche il momento clou, quello in cui il presidente della Camera Roberto Fico dava il risultato finale. E quindi bisogna ammettere che a petto di una mediocrità politica ce n’è anche una giornalistica. Non a caso Renzo Arbore nella sua vita ha fatto di tutto, mai il giornalista.