Scrivere una lettera accorata e metterci il nome di un’altra donna, al posto di quello dell’amata: il lapsus, detto anche “alibi”. Precipitare – o sognare di – dalla propria finestra spiaccicandosi sul marciapiede e trovando al proprio fianco… chi altri, se non la madre. Tremare al pensiero di compiere un atto dopo aver rimosso, in maniera più o meno conscia, il trauma da cui quel tremore è stato generato. Se volete fare bella figura al bar illustrando la psicanalisi senza saperne una mazza, allora Freud è la serie che fa per voi. Altrimenti, non fatevi abbagliare dal gusto fine-ottocentesco per la monarchia austro-ungarica corredata di sesso, horror e crimini efferati.
Se nelle intenzioni l’opera austriaca arrivata sulla piattaforma il 23 marzo – e presentata alla Berlinale – ha il mirabile intento di riportare sullo schermo la vita di un giovane “Sighi”, studente di medicina alle prese con l’isteria e la cocaina, nei fatti il regista Marvin Kren e gli sceneggiatori Stefan Brunner, Benjamin Hessler, Marvin Kren infarciscono la psicanalisi di luoghi comuni e, soprattutto, di una trama prêt-à-porter. Freud, che nella vita pare fosse appassionato di gialli, è chiamato a risolvere una serie di efferati omicidi con l’aiuto di una giovane finta medium, manipolata ipnoticamente dai genitori adottivi, due nobili ungheresi che tentano di portare avanti la causa anti-imperatore. Contornato da occhi cerchiati di nero, uomini ricoperti di sangue e tenori cannibali, il Nostro lavora a stretto contatto con un ispettore di polizia e guarda caso, oltre alla medium, psicanalizza anche lui. Bella l’ambientazione (ma finta: i dintorni di Praga anzi che Vienna), bella la fotografia (con qualche sbavatura, crediamo voluta, rosso sangue), belli i costumi (comprese le mascherine di una scena che cita il Doppio sogno dell’amico Schnitzler), ma il racconto potrebbe fermarsi qui. Perché non solo la battaglia di Freud contro il “sistema” della vecchia medicina non sta in piedi, ma l’incrocio con il metafisico splatter accompagna il sonno e fa rimpiangere il caro, vecchio Dylan Dog. Almeno lì si ride con Groucho.