Il sindaco: “Distribuiamo mascherine”. E in centinaia si ammassano per strada

Anche le buone intenzioni, a volte, possono provocare grossi danni. E così ieri a Massa la distribuzione di alcune centinaia di mascherine è diventata causa di assembramenti per strada, generando l’effetto opposto a quello auspicato.

Due giorni fa il sindaco di centrodestra Francesco Persiani aveva annunciato l’iniziativa su Facebook: “Cinquecento mascherine saranno consegnate dalle 10 alle 12 e, se saranno ancora disponibili, dalle 16 alle 18 in cinque zone della città”. Nessuno ha pensato però che l’annuncio avrebbe fatto uscire di casa centinaia di persone nello stesso momento e che, senza adeguate misure di sicurezza, le stesse si sarebbero riunite intorno ai luoghi di consegna. E infatti, come testimoniano foto e racconti dei massesi, le precauzioni sono saltate. Su Facebook una cittadina parla di un’ora e mezza di fila, in linea con le parole di un’altra ragazza: “Non avete idea della fila che c’era. È inutile chiudere l’acqua sui monti (sono state chiuse diverse fontane, ndr) se poi gli assembramenti si fanno per le mascherine”.

Il consigliere leghista Filippo Frugoli ha rivendicato comunque l’iniziativa: “Ovviamente l’invito è quello di stare a casa, ma l’amministrazione e la Lega vogliono mostrare vicinanza alla popolazione anche con questi gesti”. Ma sulla “vicinanza”, di questi tempi, sarebbe meglio stare attenti.

“Sulla sanità regionale dobbiamo chiedere scusa”

“Il governo deve guardare a tutti i 21 milioni di lavoratori privati in Italia, regolari e irregolari”. Ecco il primo messaggio di Gianni Cuperlo, una delle menti più influenti del Pd, storicamente a sinistra. Il secondo riguarda l’organizzazione della sanità: “Sulla riforma del Titolo V dobbiamo chiedere scusa”.

Il reddito di emergenza è la soluzione giusta?

Le misure del governo impattano più o meno su 14 dei 21 milioni di lavoratori privati in Italia. Lo fanno con ammortizzatori che per la prima volta guardano anche al lavoro autonomo. Ma circa 7 milioni di persone rimangono escluse: il decreto di aprile dovrà considerarli. L’impianto di Fabrizio Barca, Enrico Giovannini e Cristiano Gori ribadisce che a quei 7 milioni si deve arrivare. Non parliamo solo di irregolari, ma di 2 milioni e mezzo di regolari a tempo determinato in scadenza di contratto o a contratto scaduto, di 200-300 mila lavoratori a chiamata e di quelli che hanno esaurito la Naspi. Peraltro buona parte di questi vive al Nord per cui sgombriamo il campo da letture superficiali e un po’ razziste.

Quindi, bisogna considerare anche il lavoro nero?

Non puoi lasciare nessuno senza una forma di protezione: sarebbe un errore e un disastro sociale. Bisogna garantire un reddito per l’emergenza perfezionando il meccanismo e estendendo la platea. Ma subito.

La ministra del Lavoro, Catalfo, dice che si deve varare un nuovo sistema, il reddito di emergenza.

Ho apprezzato le sue parole. Io credo che si devono semplificare le procedure d’accesso e verificare i criteri di ammissione. Se vuoi espandere la platea sociale, devi rivedere i parametri a partire dal patrimonio immobiliare. Non esiste che una famiglia per mangiare debba vendersi la casa. Bisogna rinnovare l’intervento per gli autonomi e portarlo a 800 euro.

Gualtieri ha detto che è per il reddito di cittadinanza senza se e senza ma. È abbastanza?

Gualtieri sta lavorando benissimo e con lui Conte. Sanno che per estendere le tutele serve iniettare più liquidità.

Il sito dell’Inps è andato in tilt il giorno che sono iniziate le richieste per l’una tantum. Tridico si deve dimettere?

Non è tempo di capri espiatori, ma è assurdo quello che abbiamo visto anche perché era prevedibilissimo. Bisogna dividere gli accessi per fasce e dire chiaramente che le risorse bastano per tutti e non serve arrivare primi.

Anche il Copasir si interroga su eventuali hackeraggi.

È molto inquietante l’idea che centrali straniere possano inquinare un organismo strategico come l’Inps. Se non è un plot di Ken Follett è un rischio per la democrazia.

Si parla molto in questi giorni di tornare a un sistema sanitario centrale, non regionale. D’accordo?

Nel 2001 si riformò il Titolo V pensando di togliere voti alla Lega. Fu un errore e gli italiani lo hanno pagato caro. Dopo questa tragedia si tornerà a investire sul servizio sanitario pubblico. Purtroppo a lungo a sinistra si è ceduto all’idea che il privato fosse di per sé moderno e il pubblico una zavorra, anche per questo abbiamo perso voti e fiducia. Adesso è tempo di ripensare le priorità del dopo.

Non ci siamo fatti trovare impreparati, proprio a livello di Sanità, sulla gestione di questa emergenza?

Nessuno aveva immaginato potesse accadere ciò che è accaduto. Ma voglio ricordare quanto scriveva Walter Ricciardi un anno fa: ‘Il Sistema sanitario nazionale è uno dei maggiori successi della nostra storia, ma mostra segni di logoramento’. Senza affrontarli “rischiamo morti e feriti”. Non era una profezia macabra, ma la fotografia del reale e si indicavano le risposte a partire da una regia nazionale che oggi si rivela decisiva.

Come vede la trattativa in corso con l’Europa?

Ci sono segnali incoraggianti, da ultimo il fondo Sure ma il punto è uno: o l’Europa ne esce insieme o non ce la farà nessuno. Rispetto ad alcune rigidità nordiche, ricordo le parole di Helmut Schmidt, 93 anni, nel 2011 al congresso dell’Spd: ‘La verità è che dobbiamo difenderci da noi stessi’. Ecco, anche oggi la sfida è questa.

Basta ca ce sta ’o sole e la Troika ovvero lettere dalla Germania

Ieri, ancorché ostacolati dal mandolino e dagli schizzi di pummarola, abbiamo letto con piacere la pagina di solidarietà che Bild, il più diffuso quotidiano tedesco, ha dedicato all’Italia. Dice: “Piangiamo insieme a voi i vostri morti”. Dice: “Ci avete portato cose buone da mangiare (…) antipasti, farfalle, tiramisù”. Dice: “Vi venivamo a trovare col maggiolino sulla Riviera, a Rimini, poi a Capri, Venezia e in Toscana. Cercavamo il mare azzurro e il profumo dei limoni, canticchiando Umberto Tozzi e Paolo Conte”. Abbiamo continuato tra le lacrime, ovviamente abbracciati a mammà: “Volevamo essere un po’ come voi. Con la vostra rilassatezza, la vostra bellezza, la vostra passione. Volevamo saper cucinare la pasta come voi, bere Campari come voi, amare come voi. La dolce vita”. Stravaccati sul divano in questa clausura che, pare, somiglia alla nostra giornata tipo, abbiamo salutato felici alle parole “ci rivedremo presto. A bere un caffè o un bicchiere di vino rosso. In vacanza o in pizzeria”. Dice: “Ce la farete” – e qui, singhiozzando, abbiamo sputato gli spaghetti – perché “la forza dell’Italia è donare amore agli altri”. Curiosamente sui giornali c’era pure un’altra lettera da Berlino, quella in cui Commerzbank invita a vendere i titoli italiani: “L’aumento dei rendimenti e la discesa dei Btp sotto l’investment grade (spazzatura) aiuterà a superare le resistenze politiche, contrarie a un intervento dell’Ue condizionato a misure di finanza pubblica”. Massì: Basta ca ce sta ’o sole, ca c’è rimasto ’o mare, la Troika a governare e na canzone pe cantà…

Il secondo tragico Renzi (all’1,9 per cento)

L’angoscia del momento non consente di apprezzare appieno le poche belle notizie che ogni tanto ci giungono. Per esempio, Italia viva all’1,9% (sondaggio Ixè per Cartabianca

): lo avreste mai detto? Uno parte col presunto 40,8% personale dopo aver fatto il Jobs Act, tagliato la Sanità pubblica, rovinato la Scuola; si apre un’attività in proprio imbarcando la crema dell’alta società; fa una campagna per eliminare reddito di cittadinanza, Quota 100, riforma della prescrizione; gli mettono sotto inchiesta la Fondazione che lo finanzia, il babbo, la mamma, l’amico del cuore e gli animali domestici; minaccia ogni giorno di far cadere il governo che si vanta di aver fatto nascere; poi arriva il Coronavirus, e dopo una serie di sabotaggi a sfregio, mentre il governo obbliga tutti a stare a casa e tutti stanno a casa piangendo più di 10mila morti, lui vuole riaprire tutto: “Le fabbriche prima di Pasqua, le scuole il 4 maggio”, guadagnandosi gli apprezzamenti di tutta la comunità scientifica, che vanno da “folle” a “irresponsabile”. E invece di assurgere alle vette dell’80%, Italia viva precipita dal 5 al 4 al 3 all’1,9%, sotto qualunque soglia di sbarramento, pure sotto a +Europa, mentre il genio che ne è ideologo e capo finisce sotto a tutti, pure sotto a Crimi. Ora: è vero che gli italiani non sono in grado di apprezzare l’estro visionario di quest’uomo, simile a quello di chi durante un’inondazione proclama: “asciugare tutto!” e pretende di passare per uno stratega. Ma le gioie del momento sono così poche che allieta l’immagine dello Statista che legge i sondaggi e assume la gamma di colori di Fantozzi a cena a casa della contessa, quando prende la tragica decisione di ingoiare il tordo intero: “Rosso, rosso pompeiano, arancio aragosta, viola, viola addobbo funebre, blu tenebra”. Di fronte alla tragica fatticità dell’1,9%, è chiaro che l’antipatia per Renzi, insieme alla lotta al Coronavirus, è il più forte sentimento unitario che percorre la penisola.

“Anche i ricchi rubano” (ma a loro si perdona tutto)

Anticipiamo uno stralcio di “Anche i ricchi rubano”, il saggio di Elisa Pazé, sostituto procuratore della Repubblica a Torino, edito dal Gruppo Abele, ora disponibile in eBook.

Anche i ricchi rubano. E imbrogliano, e giungono a uccidere. Lo fanno nelle forme più disparate: inquinando le acque e il suolo, imbottendo gli animali di antibiotici, sfruttando gli operai, non rispettando le regole di sicurezza sul lavoro dei dipendenti, vendendo ai risparmiatori prodotti finanziari farlocchi, approfittando delle condizioni di difficoltà economica dei piccoli imprenditori per farli entrare in una spirale di debiti senza fine, portando i capitali all’estero. I loro reati producono mediamente più danni patrimoniali e sofferenze sociali di quelli commessi dai poveri, non solo in termini di ritardo nello sviluppo del Paese e per gli effetti diretti sulla salute dei cittadini, ma per la disperazione cui inducono le vittime, talora spinte al suicidio. Ancora più devastanti sono i crimini commessi dai potenti appellandosi al diritto internazionale (guerre e occupazioni travestite da missioni di pace, torture, vendita e uso di armi), giustificati in nome della difesa preventiva dal terrorismo o presentati come esportazione di democrazia, ma il cui vero motore sta negli interessi dei grandi gruppi industriali.

Eppure ai ricchi si perdona qualsiasi cosa. I loro delitti godono, se non di vero e proprio consenso sociale, di un certo grado di acquiescenza. Lo rilevava già Adam Smith: “Vediamo frequentemente i vizi e le follie dei potenti molto meno disprezzati di quanto non lo siano la povertà e la debolezza degli innocenti”. Da qui deriva una scala distorta di valori: le rapine sono considerate più gravi delle morti sul lavoro e l’immigrazione irregolare più dannosa delle tangenti. In certi casi passa addirittura il messaggio che non vi è stata violazione delle leggi, ma ribellione a regole autoritarie.

C’è un pudore anche nel linguaggio: come diceva Trilussa, “la serva è ladra, la padrona è cleptomane”. Così il pubblico amministratore che ruba è accusato di peculato, vocabolo di cui si è smarrita l’etimologia; l’imprenditore che fa sparire soldi è responsabile di bancarotta, termine che evoca un intoppo; il contribuente che non paga le tasse risponde di evasione fiscale, come se si trattasse di fuggire. La considerazione sociale non viene meno nonostante il ricco che delinque lo faccia deliberatamente, avendo di fronte un ventaglio di scelte legali che il povero non ha.

Se Gramsci fosse vivo direbbe che le classi dominanti sono riuscite nel capolavoro di imporre la loro egemonia culturale sulle altre. Decenni di propaganda hanno consolidato l’idea che la contrapposizione sociale è nociva, che il profitto da un lato e la moderazione salariale dall’altro rispondono all’interesse, prima ancora che dei proprietari e dirigenti d’azienda, degli operai che altrimenti perderebbero il posto di lavoro. Che le voragini nei conti pubblici non sono colpa di chi li ha gestiti inseguendo logiche clientelari, ma dei pensionati. Che ai risparmiatori non deve importare come le società finanziarie e le banche investono i loro soldi, ciò che conta è il rendimento… Oggi la politica economica dei Paesi occidentali è scandita dalle ricorrenti stime delle “agenzie di rating”, strettamente legate alle multinazionali che lanciano allarmi ogni volta che l’esecutivo allarga i cordoni della borsa per le spese sociali e plaudono ogni volta che si svendono i beni comuni.

Paradossi: i meno svantaggiati sono gli anziani

Chi sono i meno svantaggiati dal Coronavirus? Gli anziani. Perché fanno quello che hanno sempre fatto: stare a casa. Le giornate sono lunghe, immobili, inutili, come sempre. Nulla è cambiato. Ci si sveglia fra le 4 e le 5 del mattino, ma c’è la compensazione del tempo che ci si mette a vestirsi, diciamo un paio d’ore, perché quando infilarsi le mutande diventa un problema tutto si fa difficile.

Quanto ai giornali, a parte che è meglio non leggerli perché stressano e basta, l’unica, vera questione è che è inutile comprare la Gazzetta dello Sport. Eh sì, il ghiotto bottino degli Europei, e forse anche della Champions (quel baraccone delle Olimpiadi non le guarda più nemmeno un centenario) è sfuggito di mano, il 2021 sembra, ed è, tremendamente lontano, un anziano, Corona o non Corona, non può ragionare con prospettive così lontane. Però se è single ha alcuni vantaggi non trascurabili, oltre a quello, implicito, di essersi sbarazzato a tempo, in un modo o nell’altro, di un coniuge rompicoglioni: gli portano il cibo a casa. Gratis.

Si narra che a Genova il tripudio sia stato grande e che una task force di anziani sia stata approntata per infettare, volontariamente e proditoriamente, il resto della cittadinanza, il che spiegherebbe, secondo alcuni epidemiologi, i picchi di quella città. E così col cibo che, facendo un numero dedicato, ti portano a casa bell’e pronto, ti puoi anche liberare di quell’antica domestica che sta da tempo immemorabile in casa tua e ormai non sa far più altro che cucinare, male, e nel cui inesorabile declinare ti rispecchi.

Ma il vero poker d’assi calato dal Corona a favore degli anziani sono i nipotini. Basta con questa lacrimevole impostura. Basta con questa retorica. Basta con questa pratica egoistica e ipocrita per cui i genitori te li appioppano a comodo loro, mentre tu vorresti dormire, riposare, guardarti una cassetta porno in santa pace (l’attuale generazione di anziani è quella della cassetta, non dei dvd) e quelli fanno un baccano infernale e pretendono da te prestazioni che non sei più in grado di dare.

Infine puoi toglierti alcuni sfizi, piccoli e grandi, innocenti e meno. Girare spavaldamente in città, mentre i giovani, tappati in casa, tremano di paura, tanto per te se non è oggi sarà domani, è quindi meglio spendersi gli ultimi spiccioli in libertà (infatti, se vi guardate in giro, fra gli sparuti passanti predominano gli anziani). Oppure puoi accoppare finalmente quel borioso, tracotante quarantenne, tuo vicino di casa, che a ogni momento ti fa pesare la sua insopportabile giovinezza. Tanto il massimo che ti possono fare è metterti ai “domiciliari”. E tu ci sei già.

Non basta la velocità a fare il buon giudice

Il bucato deve essere bianco (“che più bianco non si può”, recitava una pubblicità anni 80), mentre l’aria la si vuole pulita, la giornata bella, la strada dritta e la convivenza civile. Quanto alla Giustizia, passato il tempo in cui doveva essere giusta, oggi la si preferisce efficiente, qualsiasi cosa questo significhi. In realtà, significa semplicemente più rapida. Stando almeno a quanto si legge nell’atto di indirizzo politico istituzionale per l’anno 2020 del ministro Bonafede, dove si parla quasi esclusivamente di “drastica riduzione” e “dimezzamento” dei tempi. Obiettivo certamente necessario, ma che non può costituire la priorità assoluta nel campo del processo, la cui unica priorità è la giustizia della decisione.

Si dice che Nerone fosse criticato come giudice perché celebrava troppi processi in un solo giorno. Oggi rischierebbe di essere esaltato come un esempio di efficienza e di giustizia performante. Ma, ribadisco, il buon giudice non è quello veloce, ma piuttosto quello riflessivo, che si dà i suoi tempi. D’altronde, se la gatta frettolosa fa i gattini ciechi, il giudice frettoloso fa giustizia sommaria. Che sarà magari efficiente, ma non va bene. Più rassicurante la preoccupazione di Carlo Magno, che obbligava i suoi giudici a tenere udienza nelle ore antimeridiane, per evitare la nefasta influenza di libagioni troppo generose a pranzo. Perlomeno il re dei Franchi si preoccupava della qualità delle decisioni, piuttosto che della velocità delle stesse.

E il problema vero è quando l’efficienza si dimostra incompatibile con la qualità del giudizio, quando la velocità di decisione è appunto sintomo e giustificazione di un modo di giudicare che sarebbe meglio definire sbrigativo, piuttosto che efficiente. La questione è attuale col ricorso sempre più frequente – anche per ragioni di emergenza sanitaria – a sistemi di comunicazione a distanza o da remoto. A mio avviso, procedure indispensabili. In questa prospettiva, appaiono sicuramente apprezzabili tutte le iniziative davvero straordinarie, da parte dei dirigenti degli uffici giudiziari, che in queste ultime settimane vanno in tal senso. Capisco però anche la preoccupazione degli avvocati che vi vedono una sorta di “espulsione” dell’imputato dal processo. E capisco anche che il sistema di videoconferenza rischia di limitare di molto le possibilità di difesa, non foss’altro che per l’impossibilità di rapide consultazioni (specie in corso di esami e controesami) col proprio assistito, con la concreta difficoltà di garantire all’imputato la “facoltà di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico”.

Da parte mia, vorrei segnalare un’ulteriore criticità. La riduzione dell’imputato a mera immaginetta confinata in un monitor rischia di produrre fenomeni di de-responsabilizzazione del giudice. Vado spesso in Corte di Assise e mi piace immaginare che i giudici del collegio, mentre decidono la sorte dell’imputato, abbiano sempre presente che devono leggere il dispositivo (e l’eventuale condanna all’ergastolo) dinanzi all’imputato: sotto i suoi occhi, in un confronto muto ma intenso, cui non ci si può sottrarre. Oggi, invece, la riduzione della presenza del detenuto a un francobollo incollato su una parete rischia di accentuare il carattere burocratico della decisione del giudice, esentato oramai anche da quel momento supremo di confronto (da uomo a uomo) un tempo inevitabile.

Il processo è un meccanismo delicato e che inseguire il fantasma della sola “efficienza” e della “rapidità” non solo è sbagliato, ma rischia di produrre effetti negativi sulla qualità delle decisioni giudiziarie. Che poi i tempi della giustizia debbano essere drasticamente ridotti, anche con sistemi di videoconferenza e di comunicazione a distanza, mi pare fuori discussione. L’importante è che l’obiettivo non si traduca in un fine in sé, ma resti chiaro a tutti che il processo deve essere “giusto”, prima ancora che “efficiente”.

Forse, in questa ottica – e soprattutto immaginando l’effetto di “ingolfamento” che questa fase emergenziale inesorabilmente produrrà sui dibattimenti – sarebbe auspicabile che noi ci adoperassimo per garantire un esercizio dell’azione penale meno burocratico (è necessario fare in modo che i dibattimenti processuali vengano celebrati solo quando sussistono davvero i presupposti per impegnare le energie del tribunale), e chi può cominci a mettere mano a un qualche – ben ponderato – progetto di amnistia e di indulto, oltre che a un “massiccio” progetto di depenalizzazione. Solo così avremmo speranza di venirne fuori. Senza troppi danni, garantendo da una parte la celebrazione, con i tempi necessari, dei processi riguardanti i fatti di più rilevante disvalore (come, per esempio, quelli relativi ai reati più gravi contro la Pubblica amministrazione), e consentendo d’altra parte di alleggerire l’altrettanto grave situazione degli istituti penitenziari che vede il nostro Paese versare in una condizione di imbarazzante difetto, e non da ora.

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Caro dottor Woodcock, condivido buona parte del suo ragionamento. Non però il finale, quello sull’amnistia e l’indulto, che mi hanno sempre visto e sempre mi vedranno assolutamente contrario.

(m. trav.)

Mail box

 

Covid-19, i falsi dati della Cina e la nostra sottovalutazione

Abbiamo avuto la conferma che in Cina i decessi reali sono stati più numerosi di quelli comunicati ufficialmente. A Wuhan sono cominciate le operazioni di consegna ai familiari delle urne con le ceneri dei morti per il Coronavirus: 3.500 urne al giorno per 12 giorni consecutivi. Se moltiplichiamo 3.500 per 12 abbiamo 42.000 e quindi è questo il numero dei morti per Covid-19. Aggiungendo a questo numero i decessi nel resto dello Hubei e della Cina si arriva ragionevolmente a 60.000. Si tratta di considerazioni importanti su quanto è stato nascosto all’Occidente, che aiutano a capire perché inizialmente da noi il fenomeno è stato sottovalutato.

Enrico Fagnano

 

In Puglia i consultori sono gestiti (male) dagli psicologi

Gentilissimo Travaglio, condivido a pieno la mancanza di efficacia delle gestione regionale in Sanità. In qualità di medico ho constatato la totale incongruenza delle gestioni: mi riferisco in particolare, in Puglia, al governo regionale che ha gestito i consultori familiari dando in primis la gestione al distretto socio-sanitario e a cascata la responsabilità dirigenziale agli psicologi. In Puglia la “lobby” degli psicologi ha il ruolo di dirigenza medica e in particolare un luogo come il consultorio, che dovrebbe interagire con il dipartimento materno-infantile e di prevenzione, non ha alcun ruolo funzionale coordinato. I Livelli essenziali di assistenza (Lea) del consultorio. Noi medici ginecologi abbiamo chiesto un tavolo ma nessuno ha risposto. Medici sottomessi agli psicologi per meri squilibri di potere fanno collassare i servizi sanitari e danneggiano il sistema.

Una dottoressa pugliese

 

Io italo-tedesco mi sento offeso da Solenghi: è razzismo

In risposta alle stupidaggini dette da Tullio Solenghi sui tedeschi, premetto che sono un italiano che è cresciuto in Germania, tesserato e impegnato nel Partito socialdemocratico tedesco (Spd), già dirigente nazionale del sindacato, tutt’ora presidente dell’associazione contro il razzismo “La Mano Gialla” e insignito della Croce al merito della Repubblica federale tedesca. Nel suo video, Solenghi fa una serie di appunti storici inesatti e in parte non conformi a verità. Quanto agli italiani “empatici e umani”, di cui egli è fiero, gli va ricordato che lasciare in balia delle onde per settimane profughi, come ha fatto l’ex ministro degli Interni Salvini, non è segno di empatia e umanità. Solenghi fomenta inutilmente odio nei confronti dei tedeschi. Le sue parole non fanno che spalleggiare populismi di bassa lega. Inveire che i tedeschi sono tutti nazisti, sbraitare che ancora oggi si sentono superiori non è altro che razzismo puro ed è anche un’offesa a tanti italiani nati in Germania con doppia cittadinanza. È anche un insulto a persone come me che si impegnano quotidianamente per una società giusta ed equa e per difendere lo Stato democratico e di diritto dagli attacchi dell’ultradestra. A questo punto mi preme ricordare a Solenghi che i così tanto cattivi tedeschi organizzano voli per andare a prendere e ospitare nei loro ospedali i pazienti italiani affetti dal virus. Infine, il fatto che la Merkel sia contraria agli eurobond non vuol dire che tutti i tedeschi siano contrari. Parte del mio partito Spd, gli Ecologisti (Die Grünen), la Sinistra (Die Linke) sono favorevoli. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un’Europa unita e solidale, non dell’odio che ci divide.

Giovanni Pollice, Düsseldorf

 

Codacons: “Mai stati contrari alle donazioni benefiche”

Il Codacons non è e non è mai stato contro le donazioni. Al contrario proprio per incentivare i cittadini a donare si è attivato anche in passato per garantire la trasparenza delle varie raccolte fondi che, purtroppo, non sempre sono avvenute nel rispetto della legalità (si veda il caso delle inchieste della magistratura sui fondi raccolti per le alluvioni degli scorsi anni). In tale ottica siamo intervenuti in merito alla pronuncia dell’Antitrust che ha dichiarato ingannevoli alcuni aspetti della piattaforma GofundMe, utilizzata da Fedez, chiedendo sia che le commissioni dall’Antitrust ritenute ingannevoli fossero restituite ai donatori, sia che tali iniziative private fossero sottoposte alla vigilanza della Protezione civile. E ciò non certo per bloccare tutte le raccolte fondi (come sostenuto dalla bufala creata ad hoc da Fedez) ma al contrario per dare certezze e garanzie a chi, in buona fede, si priva dei propri soldi per sostenere la Sanità italiana. In merito alle donazioni in favore al Codacons, da sempre la nostra associazione lancia sul proprio sito campagne simili legate ai temi di attualità: siamo una onlus e sopravviviamo grazie al supporto dei nostri sostenitori. Non ci ha mai sfiorato l’idea di pubblicare banner con donazioni da destinare alla Sanità. Come spiegato con trasparenza sul nostro sito le donazioni servivano a finanziare l’intensa attività legale del Codacons durante questa emergenza in cui i diritti dei cittadini necessitano di una maggiore tutela, e per spiegare meglio cosa abbiamo fatto abbiamo modificato la pagina inserendo l’elenco di azioni, ricorsi, denunce (tra cui la diffida che ha fatto avviare la sperimentazione sul farmaco antiartritico) da noi promossi in tema di Coronavirus, così da garantire maggiore trasparenza ai cittadini.

Giuseppe Ursini, Pres. Codacons

Alzano Lombardo. La parola generosità significa 27 concentratori di ossigeno

In pochi sapevamoche cosa fossero i concentratori di ossigeno. Fino a quella mattina del 17 marzo, quando tutto ha avuto inizio, con il grido di dolore di una giornalista che implorava più ossigeno per i malati che aveva visto sofferenti durante il suo reportage nelle case di Alzano Lombardo. Quella collega la cerchiamo sui social. La troviamo. Ci risponde, e ci spiega meglio come stanno le cose, lì ad Alzano. Riportiamo il tutto al nostro editore, Ippolito Fassati. Ha un brivido, che diventa presto un’idea, un hashtag: #motociclistiperlossigeno. Da qui in poi, le cose dovranno succedere molto rapidamente. E così sarà. Apriamo su Moto.it una campagna di raccolta fondi. Ci serve il denaro necessario ad acquistare dieci, cento respiratori. Vogliamo avere tutti quelli che servono.

I nostri lettori si confermano speciali, molto reattivi. Avevano dimostrato di esserlo già all’indomani dei primi segnali seri della propagazione dell’epidemia quando – in un’era ancora precedente a quella dei Dpcm – avevamo detto loro “stop, niente moto per un po’ ragazzi, ora è troppo pericoloso rischiare di finire in un pronto soccorso già al collasso”. Per l’intera durata dell’iniziativa, siamo in contatto quotidiano con le istituzioni locali. La situazione peggiora di ora in ora e quegli aggeggi che estraggono l’ossigeno dall’aria e lo trasformano in soffi vitali sono in molti casi capaci di fare la differenza tra l’esserci ancora e il non esserci più. Sono molto generosi i motociclisti: in poco più di una settimana, arriviamo a oltre 20 mila euro. Dall’altra parte del telefono, intanto, ci dicono che non c’è più tempo. Serve ossigeno e serve adesso. Chiudiamo la campagna. Consegniamo il raccolto al Comune di Alzano che condividerà con gli altri Comuni della Media Valle Seriana i 27 respiratori acquistati anche grazie ai #motociclistiperlossigeno.

Grazie motociclisti, forza Alzano.
Luciano Lombardi, moto.it

 

Grazie. E grazie non una, ma 27 volte. Anzi, 27 moltiplicato per tutte le vite che ognuno dei vostri concentratori di ossigeno ha salvato e sta salvando.

Iniziative così colpiscono sempre. Ma ancora di più in un momento come questo, in cui la crisi coinvolge tutti, e vicino a ognuno di noi, tanti hanno bisogno di aiuto e sostegno.

E invece, avete scelto Alzano. Mai come in questi giorni abbiamo imparato che siamo tutti interconnessi. E che abbiamo conseguenze sulla vita degli altri. Che ogni nostro gesto conta. Ma ora che ogni starnuto ci ricorda quanto siamo fragili, grazie per averci ricordato anche quanto, insieme, siamo forti.
Francesca Borri

Ercolino e l’elogio dei bei tempi di B.

La crisi innescata dal coronavirus avrà effetti devastanti per l’economia. Ed è certamente fra questi che si può annoverare la riapparizione di Ercole Incalza. Intellettuale organico della “sinistra ferroviaria” nei mitici anni ‘80, artefice dell’alta velocità nelle Fs di Lorenzo Necci, poi tecnico di riferimento del partito del cemento e ministro ombra dei Lavori pubblici nella Seconda Repubblica, Incalza è stato a lungo il ras delle grandi opere in Italia, disarcionato nel 2014 dopo l’esplosione delle inchieste fiorentine. Il nostro è apparso sul Riformista, giornale edito dall’imputato Alfredo Romeo per una poderosa inchiesta in due puntate il cui unico scopo è difendere la “legge Obiettivo” che si inventò nel 2001 (governo Berlusconi, ministro Lunardi) e definita criminogena da Raffaele Cantone. In essa era contenuta l’idea balzana che il “general contractor”, affidatario dell’opera, si sceglie il direttore dei lavori, facendo venir meno la dialettica tra chi costruisce e chi controlla costi e buona esecuzione. Per Incalza il “general contractor” era invece una soluzione geniale. Di qui l’appello a sindacati, Confindustria etc. a ribellarsi al codice degli appalti del 2016 (un mezzo fallimento, va detto) e tornare al passato. Ai bei tempi di B., con lui a dettare legge.