Roma ricordi il Sacco

Mi scuso con quanti mi leggono, ma oggi desidero cedere questo spazio ai miei collaboratori, ai miei angeli. Mi hanno fatto trovare una lettera che non posso non pubblicare. E per chi vorrà, domani, darò ampia documentazione di quanto affermano.

“Gentile professoressa Gismondo, da ricercatori impegnati da circa vent’anni nella bioemergenza, la dichiarazione apparsa sul sito della Difesa che cita unicamente lo Spallanzani come centro di riferimento per le bioemergenze ci ha profondamente feriti, poiché esclude l’ospedale milanese Sacco che, proprio per provvedimenti ministeriali sin dal tempo dell’emergenza antrace, poi Sars, Ebola, è indicato come centro di riferimento nazionale. Ma Roma è lontana e sempre più lontana… tanto che all’art. 2 dell’Ordinanza del capo di dipartimento della Protezione civile del 2 febbraio viene indicato nel Comitato tecnico-scientifico, oltre a rappresentanti necessari per mansione e istituzione, solo membro outsider, ‘il direttore scientifico dell’ospedale Spallanzani di Roma’. È così lontana, la nostra Capitale, da non aver mai tenuto conto del nostro lavoro in prima linea, elargendo riconoscimenti e cospicui fondi solo a quell’ospedale. Siamo pronti tutti i giorni a rispondere a un eventuale pericolo biologico, lavoriamo, studiamo. Dal 21 febbraio viviamo in ospedale, abbiamo dimenticato le nostre famiglie. Continueremo accanto a lei questa lotta impari, ma vorremmo fare sentire la nostra voce. Siamo abituati a essere offesi da anni, ma non ci arrendiamo. Combattiamo con lei”.

Quell’errore lombardo del “tutti ricoverati”

Non è il momento dei processi, ma quando si dovrà comprendere e analizzare la natura degli errori commessi teniamo a mente quanto dichiarato l’altroieri al Corriere della Sera

dal virologo Giorgio Palù, a cui il governatore Luca Zaia ha affidato gli studi sul virus nella regione Veneto: “Nessuno si è ricordato della Sars. Che è stato un virus nosocomiale, così come lo è il Covid-19. A diffusione ospedaliera. La scelta della Lombardia di trasferire i malati dall’ospedale di Codogno, che era stato il primo focolaio, ad altre strutture della regione, si è rivelata infelice”. Palù parla di “esportazione del contagio” da parte di chi ha agito sull’“onda emotiva del tutti dentro”, mentre “invece dovevano tenerne fuori il più possibile”. Probabilmente è ciò di cui parlò Giuseppe Conte quando lo scorso 25 febbraio disse che uno dei focolai era nato “complice un ospedale che non ha osservato determinati protocolli”. Si riferiva a Codogno e subito fu accusato di sciacallaggio da parte dei vertici lombardi. Il premier tacque per non alimentare dannose polemiche, ma da ora in poi non si può più tacere alla luce di numeri spietati. Uno in particolare: perché la Lombardia ha un tasso di mortalità che ha raggiunto anche il 14% mentre il Veneto è fisso sul 3,3%? Palù lo spiega anche con la diversa dimensione socio-morfologica delle due regioni: la densità dei condomini di Codogno-Lodi e i paesini sparsi dei Colli Euganei. Però c’è molto di più da capire: per il passato e presente, e per il futuro. Quando dopo Pasqua potrebbe cominciare quella che Conte definisce la fase di “convivenza con il virus” non si potrà ignorare che nella mappa del contagio la Lombardia resta un drammatico caso a parte. Che protrarne l’isolamento dal resto del Paese non sarebbe una punizione ma una misura indispensabile. Conseguenza anche di certi sbagli purtroppo irrimediabili.

Allerta sulle scalate ostili di Olanda, Francia e Cina

Ci sono le attenzioni di gruppi francesi e olandesi che guardano con particolare interesse al mercato italiano, e poi quelle della Cina più attenta al 5G, la tecnologia delle reti mobili di quinta generazione oggetto di scontro serrato con gli Stati Uniti.

L’intelligence italiana continua a monitorare i gruppi esteri potenzialmente interessati alle aziende del Paese travolte dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus. Buona parte dei colossi italiani ha infatti dimezzato il valore in Borsa. Gli 007 da giorni partecipano a gruppi di lavoro con il governo che intende blindare le società quotate oggi fuori dal perimetro dei poteri speciali a difesa dei gruppi strategici, il cosiddetto Golden power che permette di bloccare acquisizioni estere.

La misura è allo studio di Tesoro e Palazzo Chigi e confluirà nel decreto di aprile. L’esempio è la Spagna, che mercoledì ha varato un decreto che aumenta ancora il golden power, permettendo di bloccare acquisizioni di società nazionali da parte di aziende con sede Ue ma controllate da soggetti extracomunitari. Madrid ha anche potenziato il monitoraggio degli investimenti esteri nel Paese. La scorsa settimana Bruxelles ha lanciato l’allarme, chiedendo di aumentare lo screening soprattutto nel settore biomedicale.

La normativa italiana già copre le possibili mire di soggetti esteri che usano veicoli europei. Ma si vuole aumentare i settori coinvolti. Il golden power copre al momento difesa, sicurezza, energia, trasporti e comunicazioni. A fine 2019 è stato esteso anche alla cyber sicurezza e al 5G, la rete superveloce diventerà fondamentale nell’era del coronavirus visto che le misure di distanziamento sociale potrebbero diventare la norma per molto tempo. Pechino è leader globale in questa tecnologia e le aziende cinesi hanno accordi con diversi Paesi europei, nonostante il tentativo degli Usa di arginarne lo strapotere.

Nel decreto di aprile i poteri speciali saranno estesi anche al settore farmaceutico e a quello finanziario, per ricomprendere assicurazioni e banche (per quest’ultime, però, è in corso un dialogo con la Bce, titolare della vigilanza). Qui i timori però riguardano le attenzioni dei gruppi europei, verso i quali non si possono attivare i poteri speciali del governo perché violerebbero le norme Ue. “Vogliamo rinforzare il golden power anche per le operazioni intracomunitarie”, ha detto il premier Giuseppe Conte al Fatto. Per questo è in corso una trattativa serrata con Bruxelles, ma non si esclude di procedere anche senza l’ok dell’Ue. Qui la paura è soprattutto per Unicredit e Generali, che peraltro custodiscono in pancia miliardi di titoli di Stato italiani. Le voci di mire francesi sul settore sono note da tempo. I servizi segreti però guardano anche all’Olanda. Tra i pochi colossi nazionali, i Paesi Bassi vantano il gigante petrolifero Shell. Il crollo del greggio innescato dalla guerra tra Arabia Saudita e Russia ha fatto crollare i corsi azionari e alimentato le voci di possibili riassetti del settore. L’italiana Eni rischia di essere preda più che predatore. Da gennaio ha perso il 28% per cento della capitalizzazione di Borsa Shell ha perso il 36%, ma in Borsa vale 130 miliardi, contro i 36 dell’Eni. La francese Total invece è sopra i 90 miliardi.

La preoccupazione dell’intelligence è nota al governo. Tanto più che a chiedere un intervento è stato il Copasir, il comitato che vigila sui servizi. È in questo quadro che va vista la mossa della Consob, l’authority di controllo sulla Borsa, per limitare il rischio scalate: nei giorni scorsi ha fatto scattare l’obbligo per gli azionisti delle 48 società italiane a più alta capitalizzazione di comunicare le partecipazione per soglie più basse di quelle stabilite finora: oltre l’1% delle grandi società, prima era il 3%, mentre per le piccole e medie si passa dal 5 al 3%. Durerà fino a giugno, ma nel decreto di aprile sarà esteso e, forse, allargato a tutte le quotate.

Vincitori e vinti del primo mese di crisi economica

L’impatto della pandemia sta stravolgendo l’economia mondiale. Il “distanziamento sociale” e i blocchi hanno messo a nudo la fragilità di interi settori, facendone decollare altri. Ma il quadro dei vincitori e dei vinti non è affatto stabile e potrebbe mutare radicalmente. Tra i settori che stanno guadagnando clienti e fatturato ci sono quelli che consentono di ridurre l’impatto della quarantena: i servizi di streaming. A livello globale, le imprese che offrono video on demand nel 2018 avevano fatturato 226 miliardi di euro e prima della crisi si prevedeva che entro il 2024 avrebbero raggiunto i 633,6 miliardi. Ma l’esplosione del Covid19 farà aumentare gli abbonamenti di un 5% aggiuntivo rispetto alle stime precedenti, pari a 47 milioni di nuovi abbonati entro l’anno. A beneficiarne: Netflix, Walt Disney, AT&T, Hbo, Comcast, Amazon, Twitch, Fire TV e Apple Tv+. Secondo i dati Usa, nelle prime settimane della pandemia l’aumento dei consumi di video on demand è stato tra il 20 e il 70% rispetto al mese precedente. Ma la pandemia blocca anche le nuove produzioni: solo a Hollywood hanno perso lavoro oltre 120mila persone.

Altro settore che beneficia del distanziamento sociale è quello dei giochi online, che prima della pandemia era previsto arrivare a un fatturato di 71,4 miliardi di euro entro fine anno. Il lockdown delle scuole ha portato a un aumento dei giocatori stimato in decine di milioni, specialmente in Nord America e in Cina. Ma man mano che la disoccupazione esplode, i primi servizi a essere tagliati saranno gli abbonamenti online. In Italia gli altri boom sono stati registrati dalla grande distribuzione organizzata (Gdo). Secondo Nielsen Connect tra il 9 e il 15 marzo, le vendite per la terza settimana sono cresciute a doppia cifra rispetto allo stesso periodo del 2019, +16,4% a valore, con un aumento più marcato al Sud (+28,4%) e nel Nord Est (+18,6%). Il balzo è stato trainato da un raddoppio delle vendite di prodotti di largo consumo online (+97,2%), in rialzo del 15% rispetto alla settimana precedente. I prodotti più acquistati: alimenti a lunga conservazione, guanti, detergenti, carta igienica, saponi, alcol denaturato, termometri. Poi il boom delle consegne a domicilio che, dopo una crisi iniziale dovuta alla chiusura dei ristoranti, ha fatto più che raddoppiare il volume di vendite alle società. Vola anche la domanda di prodotti biomedicali nel quale l’Italia è tra i leader europei grazie al distretto industriale di Mirandola (Modena) nelle plastiche monouso, mascherine e apparecchiature e tecnologie per la sanità. Le richieste di sistemi di ventilazione e altre tecnologie sono più che triplicate.

Altri settori però sono in crisi. È crollata la domanda di cereali e zuccheri agricoli usati nei biocarburanti, facendo perdere a marzo il 4,3% all’indice dei prezzi agricoli della Fao. L’impatto colpisce anche le produzioni italiane. Nei campi mancano anche le braccia: secondo Coldiretti con la chiusura delle frontiere all’Italia mancheranno 370mila stagionali che forniscono il 27% delle giornate di lavoro del settore. A rischio ci sono filiere come l’ortofrutta e il vino. La chiusura della ristorazione colpisce duramente anche le carni, dagli allevamenti ai macelli sia bovini che suini, anche per lo stop all’export. Il calo della domanda sta facendo scendere i prezzi di alcuni animali da macello e impatta sulle produzioni di qualità, come quelle dei suini per le filiere dei prosciutti Dop di Parma e San Daniele. A picco l’auto. Le stime di Ihs Markit prevedono un calo annuo del 14,4% delle immatricolazioni in Italia a 1,8 milioni di veicoli, dove a marzo sono state immatricolate appena 28.326 auto, l’85% in meno dello stesso mese del 2019. L’epidemia sta sconvolgendo anche il settore del noleggio, che vede un crollo del fatturato dell’80%, e del car sharing, che sconta una riduzione del 30%.

Piano “Sure”, il primo passo per gli Eurobond

Alla fine il piano si chiama “Sure”, ma è una base di negoziato per costruire la cosa più simile agli Eurobond (o Coronabond) che l’Unione europea è in grado di produrre in questo momento. Vale 100 miliardi, può aggirare il veto di Olanda e Austria e ottenere il via libera della Germania.

Annunciato mercoledì dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il piano Sure (“sicuro”, in inglese) prevede interventi a beneficio dei Paesi più colpiti dalla crisi “come Italia e Spagna”. Saranno fondi assegnati a ciascun Paese, ma raccolti dall’Unione europea nel suo insieme, attraverso un’emissione di debito congiunta e garantita da tutti gli Stati. Ci sono alcune piccole ma cruciali differenze con lo schema di intervento previsto dal fondo salva-Stati Mes che l’Italia, con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, prima ha auspicato e poi rifiutato per timore che il prestito avrebbe avuto abbinate condizioni troppo pesanti.

La prima differenza col Mes è che Sure è un intervento di tutti i Paesi dell’Unione, non soltanto di quelli dell’eurozona. Le basi legali stanno nel trattato fondamentale dell’Ue, in quell’articolo 122 che è stato usato già nel 2010 per un primo schema di intervento di emergenza: per un prestito ponte alla Grecia e soprattutto per dare 24,3 miliardi al Portogallo e 22,5 all’Irlanda con il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (Efsm), prestiti agevolati senza il monitoraggio della “troika” (Commissione, Bce, Fondo monetario). Visto che è già stato fatto e dopo soli due anni – nel 2013 e 2014 – Portogallo e Irlanda sono tornati a finanziarsi normalmente sul mercato, Olanda, Austria e asse del Nord non possono opporsi troppo. Come dieci anni fa, per attivare Sure serve una decisione del Consiglio europeo a maggioranza qualificata: 15 governi su 27 devono approvare, il fronte pro-Eurobond conta già nove Paesi, guidati da Francia e Italia.

L’altra differenza rispetto all’intervento del Mes sta nelle condizioni da rispettare: il Paese che chiede l’intervento deve soltanto provare di aver subito danni da Coronavirus e che userà i soldi per integrare misure limitate nel tempo e necessarie a gestire l’emergenza (tradotto: si possono usare i miliardi europei per pagare integrazioni al reddito o garantire liquidità alle imprese ma non per infrastrutture o misure strutturali tipo una riforma delle pensioni).

Italia, Francia, Grecia, Spagna e il fronte degli Eurobond ottengono quindi un primo risultato: c’è una reazione comune, politica, dell’Unione e viene fissato il principio che mitigare l’effetto della pandemia è questione separata da ridurre debito e deficit pubblici. Il nuovo strumento ha anche parecchi limiti che possono ridurne l’efficacia, ma è presto per dire se è il punto di arrivo o il grimaldello per scardinare l’asse del Nord e produrre qualcosa di più ambizioso (nel 2010-2011 cose che parevano impossibili sono poi state fatte nel giro di poche settimane).

Per quanto riguarda l’Italia, Sure ha due limiti principali: ci sono 100 miliardi disponibili, ma l’articolo 9 della bozza di regolamento stabilisce che i tre Paesi che beneficiano di più dell’aiuto non possano ottenere più di 60 miliardi e – cosa inspiegabile – si legge che “l’ammontare dovuto dall’Unione in un dato anno non può eccedere il 10 per cento” dei 100 miliardi, cioè 10 miliardi. Quindi nel 2020 l’Italia potrebbe avere, nel migliore dei casi 10 miliardi? Pare strano possa essere questa la versione finale del testo.

L’altro limite, più strutturale, è che non si tratta di interventi europei in un Paese membro, ma di prestiti contratti dalla Commissione e girati a un singolo Stato. Che vanno quindi a sommarsi all’indebitamento pregresso. Ma i mercati potrebbero guardarli con occhi diversi e non fare una vera addizione, perché sempre all’articolo 9 si legge che se uno Stato non rimborsa, la Commissione è autorizzata a fare “roll over” del suo debito, cioè a rifinanziarsi. In pratica è vero che i singoli governi devono dare garanzie per permettere l’emissione dei nuovi titoli – cosa che di per sé rende il debito pregresso meno garantito e più costoso –, ma il fardello e il rischio sono davvero condivisi dall’Unione. Sono tecnicalità, ma il segnale politico è chiaro: le istituzioni europee – Commissione e Bce – sono impegnate per una reazione comunitaria alla crisi, anche per non lasciare argomenti a sovranisti e nazionalisti.

Resta da vedere se questa spinta è sufficiente a superare le resistenze di singoli Stati membri, come Olanda e Austria (in Germania c’è, come sempre, più dibattito). Il primo test per capirlo sarà l’Eurogruppo, cioè la riunione dei ministri economici della zona euro del 7 aprile.

L’Inps riparte a fatica. Aperta un’istruttoria

Si riparte. Peggio di mercoledì era impossibile, ma ieri si è comunque andati a singhiozzo, con l’avvio di un’istruttoria del Garante per la Privacy sulla violazione dei dati personali legata alla falla che si è aperta nel sito dell’Inps, definita “un data breach pericolosissimo”. Il giorno dopo le 24 ore più nere vissute dall’Istituto di previdenza sociale, il suo presidente Pasquale Tridico si presenta in tv nel tardo pomeriggio e si scusa per i problemi che si sono verificati, annunciando che ieri, nel secondo giorno di richiesta dell’indennità da 600 euro cui hanno diritto 5 milioni di lavoratori tra autonomi, Partite Iva e co.co.co. rimasti senza lavoro a causa dell’emergenza coronavirus, è invece andata “decisamente meglio” cambiando metodo e scaglionando gli accessi in orari differenziati: patronati e intermediari possono accedere al sito dalle 8 alle 16, mentre dalle 16 in poi è il turno dei cittadini. Così alle 19 di ieri l’Inps annota 1.996.670 di domande ricevute, per circa 4,44 milioni di lavoratori. Sono 1,66 milioni le richieste di indennità di 600 euro, 86.140 quelle per la cassa integrazione ordinaria per 1.661.200 beneficiari, 54.000 le domande di assegno ordinario per 931.700 beneficiari, 181.683 di congedo parentale e 14.047 di bonus baby sitting. Le richieste hanno viaggiato a una velocità di 60/70 mila all’ora, che significa circa 20 al secondo. Cioè un decimo del picco registrato mercoledì mattina e che secondo Tridico è stato il motivo che ha mandato in tilt il sito (“Gli utenti si sono fiondati tutti insieme”), prima che alle ore 11,51 si registrasse “il violento attacco informatico” per il quale l’Inps ieri ha sporto denuncia alla polizia postale, mentre nei prossimi giorni farà anche una denuncia alla magistratura.

La falla che ha permesso a centinaia di utenti di entrare negli account di altre persone è stata anche notificata al Garante della Privacy che dovrà ora effettuare opportune verifiche e valutare l’adeguatezza delle contromisure adottate dall’Inps per evitare che venissero violati i dati personali degli utenti. In ballo c’è una sanzione pecuniaria che può arrivare fino a 10 milioni di euro se si dovesse dimostrare che nei giorni scorsi c’è stato un data breach non comunicato e non un attacco hacker che invece esonererebbe l’Inps. Una lettura che, tuttavia, ha lasciato più di qualche dubbio. Come ha spiegato ieri Virginia Della Sala sul Fatto, gli esperti consultati hanno escluso che i disservizi registrati mercoledì possano derivare esclusivamente da un attacco hacker. Tra le ipotesi più probabili c’è un errore nella configurazione del sistema delle rete dell’Inps “alleggerita” apposta per gestire l’emergenza.

Intanto, anche se ieri la situazione è stata più agevole, il sito Inps ha lavorato ancora a singhiozzo. “Siamo riusciti a gestire meno del 40% del numero di pratiche che ordinariamente riusciremmo a inviare. Al mattino – spiega Nicola Preti, direttore generale del Patronato Acli – il sito era pressoché irraggiungibile. È andata meglio nel pomeriggio, quando però i nostri operatori si sono ritrovati erroneamente qualificati dall’Inps sotto un altro patronato. A dimostrazione che si è trattata di un’altra giornata poco felice”.

Per Guglielmo Loy, il presidente del Civ dell’Inps, è chiaro il problema che c’è stato: “Se in cinque giorni decidi una manovra di aiuti a milioni di persone, devi pensare alle problematiche a cui vai incontro. Il sito è in gestione diretta però con un forte supporto di fornitori esterni, cioè grandi aziende che supportano l’attività informatica dell’istituto. Tra i 400 e i 430 milioni l’anno l’importo del costo generale dell’infrastruttura informatica”. Dall’Inps intanto continuano a spiegare che non c’è un ordine cronologico per l’accettazione delle domande di indennità per i lavoratori autonomi che inizieranno ad essere pagate dal 15 aprile.

Medici, arriverà lo scudo. Ma il Pd vuole il liberi tutti

Tutti lo vogliono, la maggioranza, opposizioni e anche il ministro della Salute, Roberto Speranza. Ma lo scudo penale e civile per medici e infermieri impegnati contro il coronavirus non sarà facile da mettere nero su bianco. Innanzitutto perché va trovata una sintesi della pioggia di emendamenti in Parlamento al decreto Cura Italia. E poi perché ne va definito con grande attenzione il perimetro, visto che il Pd, con un testo che ha come primo firmatario il capogruppo in Senato Andrea Marcucci, vorrebbe estenderlo anche a “strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche o private” e al personale tecnico e amministrativo. Tradotto, “coprire” tutti, ospedali, cliniche e Asl.

Un’ipotesi che ha già provocato le proteste di legali che rappresentano i familiari di alcune vittime del virus o dipendenti di strutture, contagiati sul lavoro. È questo l’altro aspetto del problema, lo scontro tra avvocati e medici. Con tutti i partiti che pongono il tema del “presunto” sciacallaggio di alcuni legali. La capogruppo di Forza Italia alla Camera, Mariastella Gelmini, la mette così: “Medici, infermieri e personale sanitario vanno salvaguardati da possibili speculazioni legali di avvocati senza scrupoli che tentano di adescare i parenti delle vittime”. Un fenomeno ammesso anche dalle Camere civili e sul quale il Consiglio nazionale forense ha promesso “l’attenta e forte vigilanza delle istituzioni forensi nel sanzionare i comportamenti di quei pochi avvocati che intendono speculare sul dolore”. Nell’attesa, gli emendamenti dei partiti. Per esempio quello dei 5Stelle, che vuole proteggere medici e infermieri da “procedimenti giudiziali e stragiudiziali relativi ai fatti avvenuti nell’esercizio della professione sanitaria durante il periodo di vigenza dello stato di emergenza”. Nella prima formulazione, il testo prevedeva la punibilità solo in caso di dolo: ma il Movimento lo riformulerà, per aggiungere anche “casi circostanziati” di colpa grave. Così hanno raccomandato informalmente dal governo. E anche il Pd ieri ha riformulato il suo emendamento, “sulla base delle osservazioni del ministero della Salute”.

Nel dettaglio, il testo Marcucci prevede che le strutture e il personale sanitario e amministrativo non rispondano in sede civile o per danno erariale, salvo in caso di “macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari delle professione sanitaria o dei protocolli o programmi”, Poi però, con riferimento alle “condotte gestionali”, richiede il dolo, sostanzialmente impossibile da dimostrare. Così quasi nessuno potrebbe essere risarcito. Mentre sul piano penale si risponde solo in caso di “colpa grave” e ovviamente per dolo. Così il testo del Pd, che secondo fonti di governo avrà il parere favorevole del ministero della Giustizia. Ma così com’è non piace affatto ad alcuni avvocati. Per esempio a Romolo Reboa, che rappresenta i lavoratori dell’istituto e un familiare di una anziana morta lo scorso 20 marzo all’interno della Don Gnocchi di Milano, una Residenza sanitaria assistenziale: “Sono indignato per questa sorta di amnistia, che fa venire meno la responsabilità penale e civile di chi, violando le norme, ha provocato il coronavirus”. E chissà se e come se ne discuterà in commissione in Senato, dove il dl verrà trattato in questi giorni. Il viceministro alla Salute Sileri commenta così: “Mi aspetto una discussione approfondita e condivisa. Ma in una fase come questa lo scudo va fatto”.

“Adesso le donne sono più eccitate dell’uomo”

Marlena torna a casa, cantano i Maneskin. E per Malena, pornostar internazionale ed ex membro dell’assemblea nazionale del Pd, è effettivamente così: “Sono in Puglia con mia madre, ed è un dato positivo, non accadeva da anni. Mi sento come ai tempi della scuola”.

Niente set…

Sarà un problema, tutti i performer sono stranieri; prima dello stop ero a Budapest da Rocco (Siffredi) e l’attore francese non riusciva a tornare nel suo paese (ci pensa). E poi gli Stati Uniti…

Cosa?

Non accettano più contenuti registrati in questo periodo, temono cause legali se poi uno degli attori dovesse risultare positivo.

Soluzione?

Inseriranno un altro test.

Abituata.

È obbligatorio ogni venti giorni, e sono quelli immediati.

E poi l’igiene.

Anche qui, nulla di nuovo: sono esperta, il mio lavoro mi ha reso più attenta e responsabile.

Denunciano il crollo dell’eros.

Davvero? Con le Malenite (sono le sue fan) ci teniamo compagnia e condividiamo le impressioni sulla quarantena.

Quindi?

Sono disperate.

Che succede?

L’ho detto a Rocco (sempre Siffredi): le single perché single, poi c’è chi ha il fidanzato a distanza e chi ha bambini dentro casa.

Si soffre.

Le donne mi mandano messaggi d’allarme, non sanno con chi sfogare questi ormoni (pausa) Chissà dopo cosa accadrà!

Gli uomini?

Sono più mentali e in generale risentono delle preoccupazioni.

I ragazzi?

Non si placano: sto lavorando molto sul web, e gli adulti stanno scoprendo il sesso virtuale.

Sesso virtuale?

È il mio smart working.

Non c’è sua madre di là?

Sì, ma ho i miei spazi. E poi ho 37 anni, non sono una bambina.

Giusto.

Più che altro mi domando: ma gli uomini che si collegano, non hanno le mogli nell’altra stanza?

Ancor più giusto.

In realtà sono rimasta male da alcune ragazzine.

Cosa succede?

Stanno pubblicando dei video tutorial volgarissimi. Sembrano delle disperate, non dobbiamo dimenticare che su Instagram vanno pure i minori.

A casa fa le pulizie?

Certo, sono una donna del Sud.

Cucina.

Con mia madre, l’ho messo su Internet; però non stiro, indosso solo tute e pigiama.

Tuta e pigiama, e crolla l’eros.

Ma solo pigiami di seta!

Resta la tuta.

(Le scatta un tono come a dire “povero ingenuo”) Non sono tute normali, ma leggins di pelle.

Cosa le manca?

I tacchi. Questa settimana ho indossato le autoreggenti e mi sono fotografata: mai trascurarsi.

E il sesso fisico?

Ovvio, ma evito le tentazioni: sono una professionista, so controllare gli impulsi. (ride)

Che succede?

Mi arrivano in continuazione messaggi di ex e amici che mi dicono: “Appena tutto questo sarà finito, vediamoci”.

E i politici?

Quelli no, hanno paura.

Imparare a scrivere una fiaba, a colorare e… allevare pulcini

Visto che dobbiamo “stare a casa”, chi vuole condividere con gli altri la sua vita in quarantena può farlo sulle pagine del Fatto. Siamo una comunità e mai come oggi sentiamo l’esigenza di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decameron di Giovanni Boccaccio, si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze. Inviateci foto, raccontateci cosa fate, il tempo che passate con i figli e con i nonni; quali libri, film e serie tv consigliate all’indirizzo lettere@ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.

 

Il ragazzo di campagna e la schiusa delle uova

Buongiorno cari amici, in questo periodo di quarantena, avendo più tempo, ho deciso di condividere la mia passione per la natura e in particolare per la campagna con i miei amici di Facebook creando la pagina “Giorgio il ragazzo di Campagna” e pubblicando dei video inerenti l’incubazione delle uova di gallina. La schiusa è andata a buon fine e i nuovi arrivati sono sani e forti. Vi allego una foto di un pulcino di nome “Carletto” (lo ha voluto chiamare così mio figlio Ludovico di 5 anni). È un collage di due foto appena nato e di due foto trascorsi 10 giorni (le potete vedere qui sopra).

Giorgio

 

Mia figlia ha realizzato una storia animata

La mia piccola di otto anni ha inventato una breve fiaba come compito scolastico. Io per lavoro mi occupo di cinema, illustrazioni, creatività con i nuovi media. In questo periodo ho passato più tempo con mia figlia e l’ho incoraggiata a creare il suo primo cartone animato basato sulla sua fiaba. Lei ha fatto tutti i disegni con iPad, Apple Pencil e l’applicazione Procreate. Poi abbiamo creato i movimenti e le animazioni e infine lei ha registrato la sua voce narrante. La sua fiaba per incoraggiare tutti i suoi piccoli amici che vede solo a distanza.

Alberto Coletta

 

Trump, la solidarietà e la sanità privata

Cara redazione, vi inoltro i miei pensieri sparsi (o spersi con qualche, permettetemi, interferenza camillesca) di queste ultime ore dai miei domiciliari… Gli Usa-Trump, presi da ‘mbiria nei confronti di Cina, Russia, Cuba e persino Albania, o meglio, per prenotare un “posto in prima fila” per i prossimi 50 anni, hanno deciso, udite udite, di regalarci 100 milioni di dollari. Gli italiani, da soli, me compreso, hanno donato alla Protezione civile in pochi giorni 100 milioni di euro che, diciamolo, per ragioni di quotazioni valutarie, sono un po’ più dei dollari di Trump. E sono soddisfazioni. Detto questo, non posso non pensare a quel 17enne americano lasciato morire perché privo di assicurazione… perciò, se dipendesse da me, prenderei l’assegno americano e lo rimanderei al mittente con l’obbligo di utilizzarlo per soccorrere tutti gli americani senza assicurazione e con l’invito a lanciare un appello ai compatrioti, sull’esempio italiano, per sopperire alle falle del sistema americano… ma, lo so, le mie sono fantasie da libro Cuore a-pragmatiche, contrarie al protestantesimo calvinista liberista. Queste cose solo a Hollywood, per fare il ruttino digestivo dopo la parola Fine e andare a dormire tranquilli. Avrebbe detto Dario Fo.

Salvatore Gensabella

 

Un arcobaleno di speranza

Un saluto da Montesilvano (Pescara) alla redazione e a tutti i vostri lettori. Torneremo più forti di prima. Vi mandiamo la foto dell’arcobaleno che abbiamo colorato con nostra figlia e steso sul cancello di casa (pubblicata in questa pagina).

Manuel

“Le carceri sono ancora sicure. Lo Stato non si pieghi ai ricatti”

Nuove minacce a Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica a Catanzaro, e misure di protezione più stringenti per evitare il rischio attentati. “Non solo della ’ndrangheta”, ripete.

Chi altri potrebbe avere interesse a eliminarla, per la sua azione antimafia?

Non solo la ’ndrangheta arcaica, che immaginiamo ancora con coppola e lupara, ma la nuova ’ndrangheta che concede a chi è al più alto livello nell’organizzazione, con la “prima dote” del “santista”, la doppia affiliazione, alla ’ndrangheta e alla loggia massonica deviata con dentro i professionisti, che una volta chiamavamo colletti bianchi e che ora sono organici al sistema.

Nelle carceri ci sono state rivolte per la paura dell’epidemia da coronavirus.

Una premessa: da anni sento parlare di sovraffollamento e di condizioni disumane di detenzione. Ebbene: perché mai nessun governo ha fin qui realizzato un piano per costruire quattro carceri in Italia che possano ospitare 5 mila persone? Basta fare un unico progetto, replicarlo in quattro luoghi del Paese e in sei mesi sarebbe possibile porre fine all’affollamento carcerario. È giusto che le persone detenute abbiano spazi adeguati e la possibilità di lavorare e studiare in carcere.

Oggi ai problemi di sempre si è aggiunta la paura del contagio. E c’è un morto.

Nelle carceri italiane ci sono 19 persone infettate su 62 mila detenuti. È giusto che si preparino infermerie apposite per i contagiati da Covid-19, ma se questi sono i numeri, mi pare si possa dire che oggi San Vittore o il carcere di Opera a Milano sono più sicuri di piazza Duomo.

La paura dentro gli istituti ha però fatto scoppiare rivolte in diverse parti del Paese.

Uno Stato moderno ed europeo non può permettersi di dare un messaggio di cedimento a chi ha organizzato rivolte, ha fatto danni per milioni, ha usato violenza nei confronti degli agenti della polizia penitenziaria. Non può mostrare di cedere al ricatto e premiare la violenza. Sarebbe, in piccolo, ripetere quello che lo Stato ha fatto dopo le stragi di mafia, quando a molti mafiosi è stato tolto il carcere duro, il 41 bis.

Le rivolte sono scoppiate contemporaneamente in diversi istituti penitenziari.

Indagini sulle organizzazioni criminali ci dicono che in cella entrano cellulari. Questi possono aver permesso di sincronizzare le rivolte. Com’è possibile altrimenti che alle 10 del mattino scoppi una rivolta a Foggia e nello stesso tempo a Modena? Per questo propongo che le carceri vengano schermate, per impedire l’uso di cellulari ai detenuti.

Qualcuno chiede l’amnistia.

Le parole amnistia, indulto, sanatoria, condono dovrebbero essere bandite dal lessico di un Paese civile. Non devono essere impiegati questi strumenti per ovviare alle incapacità di dare risposte vere ed efficaci ai problemi della Pubblica amministrazione e della giustizia.

Dopo l’emergenza virus sarà necessaria una ricostruzione. È prevedibile che vogliano parteciparvi anche le organizzazioni criminali?

Certamente ci proveranno. Per questo ho proposto che i Comuni che riceveranno dal governo fondi da distribuire ai cittadini diano gli elenchi dei beneficiari a carabinieri, polizia e Guardia di finanza, per impedire che i sindaci faccendieri o mafiosi li distribuiscano ai loro amici. Poi l’emergenza coronavirus dovrebbe essere colta come occasione per azzerare il lavoro nero e il caporalato, per strappare alle mafie chi lavora in nero a 30 euro al giorno nelle campagne o nelle pizzerie. Poi, a lungo termine, ci sarà il rischio che gli imprenditori in difficoltà, per ripartire, si affidino agli usurai delle mafie che daranno prestiti facili con l’obiettivo di impossessarsi delle loro attività economiche. Potrebbero essere tentati di ricorrere al falso aiuto mafioso anche quelli della “nuova primavera” che avevano denunciato gli uomini delle cosche. Il rischio è di tornare indietro di 20 anni.