La guerra commerciale tra Usa e Cina ora dipende dal virus

Tra le tante vittime del Covid-19 c’è la politica commerciale degli Stati Uniti verso la Cina, in particolare la guerra dei dazi decisa da Donald Trump nel 2018. Senza grandi annunci, il 10 e il 12 marzo l’Amministrazione Trump ha deciso di esentare alcuni prodotti cinesi da dazi in vigore da due anni perché servono nella lotta contro il Coronavirus. Un’ammissione di colpa che non è sfuggita al Peterson Institute, autorevole think tank che monitora la guerra delle tariffe: tra il 2018 e 2019, per effetto dei dazi decisi da Trump, le importazioni di prodotti medici cinesi sono crollate del 16 per cento, per un controvalore di 200 milioni di dollari.

In un’audizione del 20 giugno 2019 presso lo US Trade Representative – il negoziatore commerciale del presidente – Linda O’Neil dall’associazione dei distributori di materiale sanitario aveva avvertito la Casa Bianca: “Sono sicura che tutti voi leggiate le notizie, è scoppiata una epidemia di ebola in Africa, un singolo caso negli Stati Uniti farebbe aumentare in modo esponenziale la domanda di dispositivi di protezione sanitaria. E la Cina è uno dei primi tre Paesi da cui ci riforniamo”.

Quasi il cento per cento dei guanti usa e getta usati in America, uno degli strumenti cruciali per maneggiare i pazienti Covid, è di importazione cinese. Ma per Trump l’esigenza di ostentare una linea dura contro la Cina era assai più importante di quella di farsi trovare pronto nel caso di un evento così improbabile come una pandemia globale che facesse salire all’improvviso la domanda di prodotti così banali come guanti e mascherine. E quindi ha introdotto i dazi anche sui prodotti sanitari che hanno reso le importazioni più costose e, soprattutto, hanno frammentato le catene di fornitura (le imprese americane hanno iniziato a cercare fornitori più economici fuori dalla Cina). Col risultato di rendere la caotica risposta degli Stati Uniti all’epidemia ancora più costosa e meno efficace.

Mentre i nemici del presidente cercano le sue impronte digitali su quello che si delinea come un disastro sanitario, i suoi sostenitori avviano una campagna di tipo diverso: indagare sulle responsabilità della Cina nella prima fase dell’epidemia. Lo scopo principale è contrastare la formidabile macchina della propaganda del Partito comunista di Pechino che presenta il contrasto del Covind-19 a Wuhan come un successo dovuto alla superiorità di un governo autoritario sulle inefficaci democrazie occidentali.

Trump e i trumpiani non possono permettersi che la Cina venga guardata con ammirazione per il contrasto alla pandemia e con riconoscenza da Paesi un tempo molto filo-americani, come l’Italia, che ora sono sempre più vicini a Pechino, che ringrazia mandando medici e aiuti durante la crisi.

Il deputato repubblicano del Texas, Michael McCaul, ha scritto una inusuale lettera agli amministratori delegati delle quattro grandi aziende del web – Google, Amazon, Facebook e Twitter – per chiedere di “fermare la diffusione della disinformazione cinese sulle vostre piattaforme”. Nello specifico, scrive il deputato McCaul, il Partito comunista sta usando piattaforme digitali americane “nel tentativo di far dimenticare quello che tutti noi sappiamo essere vero sulle origini della pandemia, cioè che è scoppiata a Wuhan, mentre media vicini al partito e funzionari continuano a diffondere la bugia che il virus sia stato portato da militari americani”.

Il presidente Trump non perde occasione per chiamare il Covid-19 il “virus cinese”, scandalizzando tutti i liberal e il New York Times che sono molto più sensibili al pericolo del razzismo che a quello della propaganda di Pechino.

Questo livello di polemica serve giusto a guadagnare qualche titolo sui siti web, Facebook, Google, Amazon e Twitter non faranno nulla per arginare la propaganda cinese, come non hanno fatto molto per fermare quella dei russi, tuttora in corso. Ma lo scontro su come è stata gestita la fase iniziale della pandemia è serio. In tanti, negli Stati Uniti, stanno sollevando dubbi sulle responsabilità cinesi. Per Pechino è vitale difendere la propria narrazione visto che finora è riuscita a trasformare quello che tutti vedevano come il suo “momento Chernobyl” (le autocrazie prima o poi producono catastrofi planetarie) in una formidabile operazione di immagine e soft power.

“Perché credete alla Cina sul Covid-19”, domanda Derek Scissors, un analista dell’American Enterprise Institute, bellicoso think tank conservatore piuttosto ostile a Pechino. Il punto che solleva Scissors, però, è fattuale: la notizia che gli Stati Uniti hanno più contagiati della Cina si basa sul monitoraggio condotto dalla Johns Hopkins University (la mappa nera e rossa che si vede spesso sul web) la quale, a sua volta, attinge le informazioni sulla Cina da un aggregatore di notizie che si chiama DXY.

Su DXY – assicura chi sa leggere il cinese –, le informazioni sono volutamente ambigue: si parla di “diagnosi” di Covid, ma non di tamponi fatti, quindi nessuno sa bene se e come è stato monitorato il contagio.

Ed è credibile che nella provincia dello Jiangsu, vicina a quella del focolaio di Hubei, ci siano stati soltanto 640 casi e nessun morto su 80 milioni di abitanti mentre nell’altrettanto vicina Singapore 700? “La Cina ha sempre misurato in modo scorretto la disoccupazione di proposito, ora sta facendo lo stesso con il Covid-19”. Questo genere di polemiche non avrà mai risposte nette, ma fornisce carburante a uno scontro per l’egemonia che è rimasto latente finor,a ma che adesso sta esplodendo.

Gli Stati Uniti hanno costruito l’ordine mondiale di cui sono stati protagonisti sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, ora vogliono impedire che la Cina faccia lo stesso tra i cadaveri del Covid. E il primo campo su cui si sta combattendo questa guerra sempre meno fredda è proprio quello della Organizzazione mondiale della sanità, l’agenzia Onu che coordina la reazione dei Paesi alla pandemia.

L’Oms ha un bilancio annuale di 3,8 miliardi di dollari, versati dagli Stati membri, per l’80 per cento su base volontaria, ma contribuiscono anche altri soggetti privati come la fondazione di Bill Gates che da sola vale l’8 per cento di tutti i contributi volontari. Eppure la Cina, che nel 2019 ha versato soltanto 86 milioni, sembra avere ormai un’influenza assoluta sull’Oms.

In campo sanitario, per la verità, la Cina si muove soprattutto in modo bilaterale, come quando ha supportato contro l’epidemia di ebola i vari Paesi africani in cui investe. Ma da anni Pechino ha trasformato l’Oms nella leva per aumentare il suo potere nelle organizzazioni multilaterali: tra il 2007 e il 2019 l’Oms è stata la prima agenzia Onu ad avere un funzionario del Partito comunista come presidente, Margaret Chan (i critici ricordano gli elogi al sistema sanitario della Corea del Nord e gli attacchi a Taiwan, rispettivamente principale alleato e principale nemico di Pechino). Nel 2017 la Cina avalla l’elezione del medico etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, un infettivologo esperto di malaria.

La diffusa convinzione che la Cina abbia gestito bene la pandemia si basa sulle relazioni dell’Oms che però, a loro volta, si basano soprattutto sulla versione ufficiale delle autorità di Pechino. Il 14 gennaio scorso, per esempio, l’Oms twitta che “le indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato alcuna evidenza chiara di trasmissione da uomo a uomo del nuovo coronavirus”. Ma oggi sappiamo che il primo contagiato a Wuhan era addirittura di novembre e che a gennaio la pandemia stava già galoppando. Soprattutto gli scienziati taiwanesi avevano già avvisato l’Oms, ma per Tedros conta di più la versione della Cina.

Il comitato di emergenza dell’Oms si riunisce per la prima volta il 23 gennaio, tre giorni dopo che la Cina ha annunciato di aver riportato sotto controllo il contagio, e proclama la pandemia soltanto l’11 marzo, quando già si contano i morti a decine in Italia. In quel lasso di tempo il contagio si è diffuso, la situazione è precipitata, ma la Cina è passata da focolaio a modello di successo. “Bisognerà stabilire le responsabilità individuali, per il momento è chiaro che l’azione dell’Oms è stata molto limitata dalle scarse comunicazioni dei funzionari cinesi e dalla negazione del problema fino al 20 gennaio, oltre che dalla chiara volontà politica del vertice dell’organizzazione di non chiedere conto a Pechino delle sue responsabilità”, scrive Francois Godement dell’Institut Montaigne, influente esperto di Cina.

Lo scontro per la supremazia economica (e politica) tra Cina e Stati Uniti si sta combattendo su molti terreni – dall’Intelligenza artificiale al commercio –, ma sembra che sarà la crisi del Covid-19 e soprattutto, quella che diventerà la sua narrazione prevalente, a stabilire i nuovi rapporti di forza.

La scoperta della politica basata su dati

Uni dei mali atavici della politica italiana è l’incapacità di maneggiare i dati: in ogni talk show c’è un Pil di maggioranza e uno di opposizione, il governo che sbandiera l’aumento del numero di occupati e il commentatore critico che sottolinea il record di precari. La pandemia ha reso evidente a tutti che una politica senza dati è pericolosa o inutile (vedi le teorie di Boris Johnson su contagio di massa per avere immunità di gregge), una che maneggia i dati in modo confuso è poco efficace e perde legittimità in fretta.

Ogni giorno milioni di italiani seguono i briefing della Protezione civile e anche i meno portati alla matematica ora conoscono concetti come “appiattire la curva” (rallentare il contagio). Ma hanno anche capito che quei numeri grezzi dicono ben poco: il numero dei contagiati dipende dai tamponi fatti, oltre che dalla diffusione del virus, quello dei morti può essere gonfiato o ridotto a seconda dei criteri (chi muore di infarto perché mancano le ambulanze, tutte occupate dai pazienti Covid, è una vittima del virus o no?).

Istituzioni e cittadini si trovano concordi sul fatto che decisioni impegnative e dalle conseguenze pesanti – come chiudere l’economia o riaprirla – devono essere legittimate dai dati. È un enorme passo avanti rispetto alla fase precedente. Ora si tratta di completare l’evoluzione: le decisioni devono essere motivate e legittimate da una analisi di quei dati fatta con criteri trasparenti e verificabili, soprattutto ex post. Quando riaprire le fabbriche? Non lo si decide guardando intensamente il calendario, ma con simulazioni basate su ipotesi esplicite che dicano quale beneficio economico e quale rischio di vite umane è associato a ogni scelta. Soltanto così si potrà stabilire se un governo ha fatto bene o ha fatto errori. L’unico errore davvero imperdonabile sarebbe prendere queste decisioni sulla base dei sondaggi, dell’istinto o di qualche evidenza aneddotica, tipo singoli episodi di violenza o criminalità.

“Ecco come ripartire:bisogna testare tutti ogni due settimane”

Prima o poi l’economia dovrà ripartire: più lunga è la chiusura, più dura sarà la recessione. C’è il problema, d’altra parte, che aprire troppo presto rischia di far ripartire i contagi. Che fare? Una proposta interessante arriva da Paul Romer, premio Nobel per l’economia nel 2018. Ex capo economista della Banca Mondiale, insegna all’università di New York e ha ottenuto il prestigioso riconoscimento per aver integrato l’analisi tecnologica in quella economica. E proprio una soluzione tecnologica è quella che propone.

Si può salvare l’economia proteggendo al tempo stesso la salute?

La tragica realtà è che al momento non possiamo fare entrambe le cose ma, se facciamo alcuni investimenti, in poche settimane potremmo riuscirci. Ed è molto importante per ogni nazione farli, perché è orribile dover scegliere fra mettere l’economia in un angolo o esporre molte persone al rischio di morire.

È meglio dare soldi direttamente a imprese e lavoratori o fare investimenti e stimolare la produzione?

La cosa più importante adesso è investire nella nostra capacità di testare le persone su larga scala. Questo richiede investimenti in attrezzature per i test e nel personale. Dopo potremo applicare una politica di isolamento intelligente, che significa che si testano tutti ripetutamente, una volta ogni due settimane. Se sei negativo, torni al lavoro e alla vita quotidiana. Se sei positivo, vai in quarantena. La chiave per contenere un’epidemia è isolare le persone contagiose. Ora isoliamo tutti perché non sappiamo chi è infetto.

Cosa possono e devono fare le Banche centrali in una crisi del genere?

Possono provare a fornire liquidità in modo da evitare una serie di fallimenti e debiti a cascata, ma non guidare gli investimenti necessari.

E i governi?

La loro sfida è molto ben definita: produrre macchinari per i test, creare siti appositi e addestrare personale. C’è un tipo di macchina per i test che sembra una grande fotocopiatrice. Se avessimo 5mila di queste macchine negli Stati Uniti, potremmo testare 20 milioni di persone al giorno. Non è per niente difficile pensare di produrle.

L’Eurozona, che ha una moneta unica ma senza un governo, può sopravvivere a questa crisi?

Il compito dei governi europei ora è mobilitare la loro capacità industriale per mettere in campo un sistema di test. Ogni governo deve farlo per conto suo. Tuttavia, la cosa per cui tutti i governi devono organizzarsi è che ce ne saranno alcuni che non riusciranno a contenere questa pandemia: ci saranno centri di contagio in diversi Paesi, che continueranno a infettare anche quelli che adottano buone politiche. Perciò abbiamo bisogno di una strategia di contenimento per almeno due anni. In due anni potremmo avere un vaccino, che è un modo meno costoso per proteggere l’economia.

La maggiore differenza fra i Paesi dell’Eurozona e gli Stati Uniti è che i secondi hanno una possibilità illimitata di spendere, molti tra i primi no.

Non prendo per buona questa analisi. C’è una differenza fra “non potere” e “non fare”. Ogni Paese in Europa può mobilitare i suoi cittadini e le sue risorse per creare un’infrastruttura per i test, ottenere le macchine e il personale di cui c’è bisogno, iniziare a testare tutti e mandare in isolamento chi è contagioso. Ogni Paese in Europa è abbastanza ricco e sviluppato per farlo. I Paesi europei, però, potrebbero non farlo per ostacoli politici o impedimenti istituzionali. Ma se non lo fanno è perché hanno deciso di non farlo piuttosto perché era impossibile farlo.

Cosa conviene fare all’Italia se l’Ue reagisce come nella crisi del 2011, senza interventi straordinari?

Per prima cosa deve mettere in campo un’infrastruttura per i test, in modo da proteggersi contro un aumento delle morti e allo stesso tempo lasciar tornare al lavoro le persone: se riesci a far tornare l’economia a produrre, nient’altro conterà. E poi bisogna essere pronti a trovare con i test chi è diventato contagioso, perché l’infezione entrerà anche dal resto del mondo. Nelle guerre del passato i Paesi hanno mobilitato la produzione per produrre nuove attrezzature. Devono farlo di nuovo.

Come si può far accettare alle persone di tornare al lavoro anche se l’epidemia non si è fermata?

I funzionari pubblici devono dire la verità, perché quando mentono perdono la loro legittimità e le persone smettono di fidarsi. Se i tuoi colleghi sono risultati negativi al test negli ultimi giorni e le persone sanno che è vero, saranno felici di tornare al lavoro.

La chiusura completa dell’economia è praticabile?

Solo per poco tempo. Dobbiamo avere un piano credibile per cui saremo in grado a breve di revocare la chiusura e garantire la sicurezza dei lavoratori, anche se il virus è ancora presente. Dire “non faremo niente e lasceremo tutti tornare al lavoro” non è credibile, perché i contagi torneranno a crescere rapidamente. Bisogna fare test frequenti a tutti e seguire la regola che se sei positivo, vai in isolamento; se sei negativo, torni alla tua vita quotidiana.

Il problema, dunque, è di volontà politica?

Sì, ed è anche un problema di produzione. Ma non è difficile produrre qualche migliaio di macchinari per i test.

Bob Dylan non esiste, ma per fortuna canta

Se avete 17 minuti liberi fatevi un favore e ascoltate Murder most foul, l’omicidio più sordido, canzone incisa “un po’ di tempo fa” che Bob Dylan ha pubblicato il 27 marzo. Il titolo è una citazione da Amleto, ma forse lui direbbe che è solo il titolo di un vecchio film di Miss Marple. Parla dell’assassinio di JFK, e molto alla Jim Garrison per così dire, e già che c’è fornisce un’utile lista di decine di canzoni da ascoltare (“se vuoi ricordartele è meglio se ti scrivi i nomi”). Per i cultori in Rete si trovano già traduzioni, note e articoli molto belli, sempre tenendo a mente che “io non sono tenuto a sapere cosa significa una canzone: ho scritto ogni genere di cose nelle mie canzoni” (dalla Nobel Lecture). In Murder most foul c’è un po’ tutto l’universo dylanesco, cioè tutto l’universo: le citazioni e le autocitazioni, i film e la musica, i rimandi biblici e voci captate chissà dove, c’è l’intera America parlante e vivente e regicida e c’è lui, ovviamente, che la fa esistere dandole voce. E qui vorremmo esporre brevemente una nostra teoria. Proprio come il suo caro Omero, Bob Dylan non esiste: è un’antenna, un diapason, un microfono piazzato in strada, è la somma delle migliaia di Dylan esistiti dall’inizio dei tempi, ognuno con la sua canzone o il suo verso nella “marea montante” della cultura orale, in cui “non c’è onore, né immortalità” e le canzoni sono solo “vive nel mondo dei vivi” e tutto significa tutto, ma solo per un momento e per una sola persona. “Odio doverglielo dire, signore, ma solo i morti sono liberi”. Parla di JFK o parla a noi reclusi?

Non multate il buonsenso (e la libertà)

Ci avete fatto caso? Non si fa che parlare di “furbetti”. Ora declinati come “furbetti della passeggiata” incarnano perfettamente il sentimento anti-italiano che inspiegabilmente si è radicato così bene proprio in Italia (non bastasse quello che alberga altrove). Si sente ripetere con malcelata soddisfazione, che ora i furbetti della passeggiata sono diminuiti, perché spaventati dalle multe. Ecco, parliamone un momento di queste multe.

Due giorni fa a Vigliano, nel Biellese, un uomo è stato fermato e sanzionato perché controllando il contenuto della busta della spesa i carabinieri hanno trovato “tre bottiglie di vino e un pacco di pasta”, che non sono stati considerati una “necessità”. Il malcapitato si è spostato in bicicletta e questa circostanza è stata considerata un’aggravante: la bici lo avrebbe esposto al rischio di incidenti, ipotesi nella quale avrebbe rischiato di andare ad aumentare il numero dei pazienti del pronto soccorso. Totale: 102 euro di multa. In un paesino del Trevigiano sono stati fermati tre bambini (con cagnolino al guinzaglio) autorizzati dai genitori a una passeggiata fino alla casetta dell’acqua. Scrive il Messaggero che il tragitto, secondo Google maps, è di trecento metri e praticamente tutta la strada si vede dalla finestra della casa. Il padre ha spiegato che da tre settimane i bambini, che abitano in un piccolo appartamento con lui e la moglie, erano chiusi in casa. “Durante la settimana i compiti dettano il ritmo della giornata e per il resto del tempo ci si ingegna come si può per far passare loro il tempo ma una casa di metratura limitata non aiuta”, ha spiegato il padre. Morale? 400 euro. A Firenze, venerdì scorso, un altro papà è stato fermato con il figlio di quattro anni a 150 metri dalla loro abitazione. L’uomo ha verbalizzato le sue obiezioni: era uscito da dieci minuti, abita a cento metri dal luogo in cui è stato fermato, e questo è consentito. Gli hanno detto di fare ricorso. E comunque, 400 euro pure a lui. A Taurianova, in provincia di Reggio Calabria un signore fermato ha dichiarato di essere diretto in edicola a prendere il giornale e al supermercato. L’agente gli ha risposto: “Il giornale è superfluo. Vada al supermercato e torni a casa”. Obiezione: se le edicole sono aperte, perché il giornale è superfluo? Se i supermercati sono aperti, perché non siamo liberi di acquistare ciò che vogliamo? Il Dipartimento di Pubblica sicurezza, a proposito del caso edicola, ha chiarito: “Nonostante sia disponibile anche l’informazione online il giornale è un bene di prima necessità. Da parte di chi ha fatto il controllo c’è stato un eccesso di zelo”. Eccesso di zelo che prospera grazie alla confusione: finora in materia di Covid sono stati emanati 7 decreti legge, otto Dpcm, 19 ordinanze della Protezione civile, più altre dei ministeri, a non contare quelle di Regioni e Comuni. Non è facile orientarsi, ma se il buonsenso viene richiesto ai cittadini, vieppiù va preteso da chi deve fare rispettare regole eccezionali.

Dobbiamo qui occupare qualche riga per ribadire (ormai non si può più dire nulla senza rendere omaggio all’ovvio) che la regola è restare a casa, l’unico modo per arginare il contagio e vedere la luce in fondo a un tunnel costato la vita a tante persone. Primum vivere, non ci sono dubbi. Ma qui non si vuol fare della filosofia, quanto una piccola riflessione sulla limitazione delle nostre libertà costituzionali che sono compresse a tempo. Non sono state eliminate. Non evocheremo lo Stato di polizia (né lo Stato etico, di cui puzza tanto la vicenda della multa al vino). Ci limitiamo a ricordare quanti anni ci sono voluti per smaltire le leggi speciali. Guai a invocare l’esercito: si sa dove si inizia, non dove si finisce.

Padroni dai campi e da Youtube: quelli che… la crisi ci fa furbi (e ricchi)

È sempre affascinante quella frase che “i nodi vengono al pettine”, bellissima immagine, ma qui i nodi sono enormi, e il pettine è un pettinino da bambole. Ecco alcuni esempi di nodi enormi e pettine piccolo piccolo.

Tecnologia e controllo. Si dibatte e si discute sulla possibilità di usare tecnologie di controllo per difendersi dalla peste. Chi dice sì, chi dice no (pochi), chi mette in guardia sulla privacy. I giornali pubblicano divertenti schemini: tu passeggi col tuo telefono in tasca, uno ti incrocia per la strada e il tuo telefono trilla: ti dice che quello lì che sta passando è positivo, quindi cambi marciapiede e la vita continua. Bello. Affascinante. Avanzatissimo. Coreano. Ma dunque riassumo: in un Paese dove tutti si parlano via Skype riproducendo le esilaranti conversazioni che si facevano con i primi Motorola (mi senti? No, ma ti vedo! No, non ti vedo più… ragioniere, mi sente? Io la sento!); dove per avere un certificato online servono settimane, mesi per una carta d’identità elettronica, dove le frasi più lette per i servizi online sono “Riprovare più tardi” e “Attendere prego”… ecco, in un Paese così avremmo di colpo, come per magia, una piattaforma avanzatissima e futuristica che collega tra loro cinquanta milioni di telefoni. Eh? Davvero? Dunque delle due l’una: o è pura illusione, diciamo un racconto fantascientifico che serve a rassicurare e illudere, oppure è fattibile. Il che significa che la tecnologia è in effetti avanzatissima, che non è stata (prima del virus) distribuita alla gente per semplificarle la vita, ma la si userebbe oggi per “sorvegliare e isolare” (chiedo scusa a mastro Foucault).

Socialismo padronale. Grave allarme viene dalle campagne: il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti ci fa sapere che i lavoratori agricoli stranieri regolari erano nella vita precedente circa 400.000 (il che vuol dire che, contando gli irregolari, erano almeno due o tre volte tanti), e che quest’anno non li avremo. Che fare? Semplice: rivolgersi a chi prende il Reddito di Cittadinanza e mandarlo a raccogliere fragole e asparagi “Garantendo (magnanimo, ndr) il periodo di percezione pari alla durata del lavoro stagionale”. Dunque, senza più stranieri, ecco la mano d’opera di riserva, i famosi poveri. È una cosa che odora un po’ di soviet, di kolkoz, di collettivizzazione (pure un po’ di paludi pontine), anche se non si collettivizza niente, solo piegare la schiena e riempire cassette, perché eventuali profitti non sarebbero socializzati per niente, anzi si chiede una decontribuzione (ovvio). In questo caso il nodo è grosso e il pettine, oltreché piccolo, pare anche astutissimo.

Motivare la truppa. Ha fatto qualche scalpore il video di Urbano Cairo gongolante e in piena trance agonistica per gli affari che vanno benone. Elenca nomi, cifre, clienti (anche quelli in Polinesia), freme di orgoglio per fatturati e dividendi, elenca i segni “più” delle sue attività, e dice che il suo gruppo, nel 2020 “farà meglio” dell’anno precedente. È lo stesso Cairo che tre giorni prima (leggo da un comunicato del cdr del Corriere della Sera) illustrava ai giornalisti “le difficili prospettive per i conti aziendali”. Quale sarà il vero Urbano Cairo? Quello che piange miseria davanti ai lavoratori o quello che gongola in attesa di risultati migliori? Viene in mente Aristide Saccard, meraviglioso personaggio di Emile Zola (Il denaro, 1891) che concludeva la sua intemerata in difesa dell’avidità e della speculazione con un “…Saranno tutti ricchissimi”. Scriveva così bene, Zola, che Saccard pare di vederlo, come in un video su YouTube destinato ai venditori di pubblicità del gruppo Cairo: “Saranno tutti ricchissimi”. Non è vero, naturalmente: sarà ricchissimo soltanto lui, gli altri guarderanno sgomenti nodi sempre più grossi con in mano pettini sempre più piccoli.

Sanità, futura mira della ’ndrangheta

La ’ndrangheta, in questa prima fase, si limiterà a osservare l’andamento dell’epidemia, evitando iniziative palesi che possano inasprire tensioni sociali che possano far deflagrare contesti territoriali instabili, in cui marginalità e sottosviluppo sono ben più risalenti rispetto alla attuale fase di emergenza epidemiologica. Verrà privilegiata una strategia conservativa, di “operosità silente”, mirata a mantenere inalterata la collocazione della struttura nel complessivo scacchiere criminale.

Quando i numeri del contagio si stabilizzeranno e la fase emergenziale tenderà a scemare, la ’ndrangheta cercherà di comprendere a fondo i nuovi scenari economici, in Italia e all’estero. Sarà quella la fase in cui gli analisti, incaricati dalle grandi organizzazioni criminali, saranno chiamati a individuare i settori produttivi più appetibili, in cui immettere gli enormi capitali sporchi di cui il complessivo sistema mafioso dispone. Le componenti di vertice programmeranno, a quel punto, la più imponente operazione di “doping finanziario”, generata da capitali mafiosi, che la storia recente ricordi. La base dell’organizzazione criminale, in parallelo, opererà al fine di rafforzare il suo ruolo di “stabilizzatore sociale atipico” nelle aree più fragili dal punto di vista economico, dando sfogo a iniziative di “sostegno a tasso zero” delle persone in difficoltà, e delle imprese in sofferenza, che andranno ben oltre i tradizionali schemi operativi legati alla elargizione di prestiti usurari. L’usura continuerà a esistere solo quale reato tipico delle manifestazioni criminali meno ramificate ed evolute. L’alta mafia, invece, adotterà strategie orientate a perseguire due obiettivi principali: il primo, di breve periodo, sarà finalizzato a garantire forme di sopravvivenza a quelle categorie che non hanno altri paracaduti finanziari (penso alle larghe fasce di economia sommersa, irregolare o priva di garanzie). Ovviamente non verrà sprecata l’occasione di sfruttare il credito così maturato anche al fine allargare la base di consenso sociale tra coloro che hanno beneficiato di vantaggi, diretti o indiretti, riferibili alla struttura criminale di tipo mafioso.

Il secondo obiettivo della fase due sarà, invece, da leggere quale proiezione prospettica di medio-lungo periodo: le grandi mafie punteranno a consolidare, in una fase di scarsissima liquidità globale, il loro ruolo di componenti indispensabili del sistema economico e finanziario mondiale. La ’ndrangheta – come le altre componenti mafiose di rango elevato – è ben consapevole che soltanto i capitali sporchi o irregolari possono essere collocati sul mercato in modo agile e immediato, senza scontare le lungaggini correlate al rispetto dei patti di stabilità o delle regole globali di collocazione del credito bancario. Il grande pericolo a cui andremo incontro sarà collegato proprio al tentativo delle grandi mafie di dare attuazione, approfittando della profonda crisi mondiale post epidemia e delle sempre striscianti condotte corruttive, al progetto mai abbandonato di creare un “sistema bancario parallelo” a quello legale, diretto a fornire liquidità non più direttamente al piccolo imprenditore, che ne ha urgente bisogno, ma al più ampio sistema finanziario che canalizza le risorse verso la grande impresa. Quando l’emergenza sarà finita, il sistema criminale di tipo mafioso avvierà la fase esecutiva di tale ambizioso programma criminale, destinato a rendere il suo ruolo baricentrico nel mutato scenario economico mondiale. Sarà quello in momento in cui andrà avviata una ancor più approfondita attività di monitoraggio delle operazioni finanziarie sospette, le quali saranno destinate, da una parte, a condizionare la libera gestione del debito di impresa e, dall’altra, a collocare gli investimenti mafiosi negli ambiti strategici a più alta redditività.

In altri termini, la ’ndrangheta non mirerà più solo ad acquisire la gestione occulta delle imprese, piccole o grandi che siano. Cercherà, più che in passato, di rafforzare la sua presenza nella gestione dei servizi essenziali – non più limitati allo smaltimento dei rifiuti o al ciclo del cemento – ma anche al settore creditizio, a quello sanitario, delle forniture medicali o, più in generale, dei beni di prima necessità. Sarà indispensabile impedire che questo accada, adottando strumenti normativi evoluti – anche mediante interventi di riforma della legislazione antimafia diretti ad attualizzare gli strumenti di contrasto di tipo sostanziale e processuale – che possano consentire la protezione dell’economia legale e agevolare non solo la fase giudiziaria in senso stretto ma anche, e soprattutto, quella di analisi pre-investigativa, fondamentale per individuare senza ritardi le tendenze evolutive dei fenomeni criminali di tipo mafioso del Terzo millennio.

 

Mail box

 

Nel Totocalcio è più facile sbagliare tutto che fare 13

Sono un abbonato sin dalla nascita del giornale e debbo dire che è la prima volta che mi capita di cogliere in chiaro errore il Direttore del Fatto Quotidiano (immagino già quanti faranno maligni salti di gioia. Io ne sono invece dispiaciuto ma, da statistico, non posso fare a meno di rilevare l’errore). “I matematici sostengono che fare 0 al Totocalcio è molto più difficile che fare 13”. dice Marco Travaglio nel suo editoriale di domenica 29.3. Viene spontaneo chiedersi: ma quali matematici consulta o frequenta? Purtroppo, sia nel Totocalcio che nella vita, è molto più facile sbagliare tutto (di solito lo si può fare in più modi) che azzeccare tutto (di solito c’è un solo modo giusto). Resta immutata la mia stima, anche se con qualche piccola “crepa matematica”.

Fabrizio Antonelli

 

L’unica cosa che non ho mai perdonato al “mio” giornale sono le sillabazioni a capocchia (Gian-luca, non Gia-nluca, pur non essendo io Semprini) ma il mio adorato direttore mi ha fatto incazzare, da informatico: quale matematico direbbe mai che fare 0 al totocalcio è più difficile che fare 13? Semplifico per non tirare in ballo studi avanzati sulle statistiche delle squadre. Fare 13 ha una probabilità su oltre un milione e mezzo; fare 0 ha una probabilità su poco più di 190? Quindi, conclusione semiseria: Renzi ha maggior probabilità di portare Italia Viva (?) a 0 che a 13.

Fake news (e finte incazzature) a parte, tutta la mia stima a un direttore e a un giornale che adoro.

Gianluca Pignalberi

 

Grazie Gianluca, mi scuso per l’errore (anche con Fabrizio Antonelli) e per l’incazzatura. Ma soprattutto la ringrazio per la radiosa previsione sul futuro di Italia Viva (?).

M. Trav.

 

Mediaset considera seri tutti i giornali tranne il “Fatto”

Sono un’abbonata della prima ora e in questi giorni mi aspettavo di trovare un articolo o un puntuto editoriale del Direttore sul vergognoso spot delle reti Mediaset, in cui si invita a seguire solo i giornali e le reti televisive considerate serie, affidabili, degne di quei “professionisti dell’informazione” che fanno capo soprattutto a Berlusconi e suoi sodali. Mentre la voce enuncia il monito a diffidare di chi propala fake news scorrono le testate di vari canali e varie testate giornalistiche, praticamente tutte tranne il FQ. Trovo che tutto ciò sia infame e lesivo del vostro/nostro nome. Io un commentino lo farei.

Tiziana Gubbiotti

 

Cara Tiziana, lei non immagina l’orgoglio per noi del Fatto di non fare parte di quel raccapricciante elenco.

m. trav.

 

La vera quarantena era il nostro individualismo

Noi studenti universitari siamo discretamente liberi di organizzare il nostro lavoro e, a guardar bene, il tempo libero non ci manca di certo, ma se io ho una scadenza e tu ne hai un’altra, questa libertà si relativizza. Oggi nella disgrazia mi sono accorto di avere una famiglia, un padre e una madre che conosco appena, che vedo tutto il giorno e non più solo a sera. L’epidemia vera è quella dell’individualismo che da tempo ci costringe in quarantena volontaria.

Francesco Leone, 21 anni

 

Noi artigiani non fatturando andiamo verso il fallimento

Sono un falegname, artigiano a partita iva della provincia di Bologna, e, come tutti, ho dovuto chiudere temporaneamente la mia attività. A questa chiusura, purtroppo, non ha corrisposto la sospensione del pagamento dell’affitto, delle utenze e dei contributi e lo Stato ha previsto il rinvio (non la decurtazione) di queste ultime e un contributo di 600 euro a forfait. Stare a casa sta mettendo in seria difficoltà la mia attività e mi costringerà, presto, a disdire l’affitto del capannone e forse a chiudere del tutto l’attività, per non dovermi indebitare.

Paolo Brasa

 

Riaprite le Chiese almeno per la Santa Pasqua

Questo è il grido di aiuto di una donna che sta vivendo un momento di sconforto e sofferenza. Siamo circondati da persone che invece di aiutarci restano inerti e impaurite, impedendo a noi fedeli di ricevere il nostro pane quotidiano: la Santa Eucarestia. Come si va ad acquistare cibo, sigarette, medicine, perché con le dovute precauzioni non si può celebrare il Cristo Risorto? Cerchiamo per questa Santa Pasqua 2020 di non rimanere chiusi, intrappolati in questo silenzio: aprite le chiese.

Una mamma con tanti figli

 

Diritto di replica

In merito all’articolo di Davide Milosa del 31 marzo, dal titolo “La Lombardia fa tutto da sé, l’ospedale in Fiera è realtà”, ai sensi della Legge 47/1948, Consip precisa che i ventilatori polmonari acquistati da Consip, così come tutto il resto delle apparecchiature elettromedicali per il potenziamento dei posti di terapia intensiva e i dispositivi di protezione individuale, vengono distribuiti sulla base delle indicazioni tassativamente ricevute dal Commissario straordinario per l’emergenza sanitaria e Protezione Civile, in raccordo con il ministero della Salute.

Comunicazione Consip

Sos affitti. L’unica soluzione è l’accordo tra le parti con la sospensione dei canoni

Vorrei segnalare che si è fatto un bel passo nel concedere la sospensione del pagamento dei mutui, ma c’è una minoranza di persone in Italia, credo un 20% fra cui rientro anche io, che pagano l’affitto. Perché per questa fascia non è prevista la sospensione del pagamento? Io non ho possibilità di chiederlo a chi di competenza, ma voi avete sicuramente gli agganci giusti per segnalare questa cosa e domandarne conto al governo (peraltro la questione è stata già segnalata anche dal Codacons, ma non trovo risposte ufficiali in Rete).

Michele Gatto

 

Gentile Gatto, purtroppo non abbiamo nessun aggancio giusto se non fare da cassa di risonanza di questa enorme difficoltà che coinvolge milioni di italiani accodandoci all’appello già lanciato dalle organizzazioni che tutelano gli inquilini. È, infatti, già scattato l’allarme affitti per lavoratori e studenti fuori sede, che a causa della chiusura delle attività commerciali, artigianali e industriali e della sospensione delle attività didattiche delle università, vorrebbero correre ai ripari. Il Cura Italia non ha però previsto nessuna sospensione del pagamento mensile: gli affitti sono contratti tra privati. È stato solo riconosciuto un beneficio ai commercianti che hanno in locazione un immobile che rientrano nella categoria catastale C/1. Ma l’affitto devono comunque pagarlo. Potranno poi recuperarlo al 60% con un credito di imposta accordato. Il Sunia, il sindacato degli inquilini, si è già fatto sentire chiedendo a “Stato, Regioni e Comuni di mettere in campo misure specifiche e mirate per agevolazioni e detrazioni fiscali e un adeguamento normativo dell’attuale disciplina degli affitti, per incentivare accordi e rinegoziazioni”. Intanto quello che il Sunia consiglia è di avviare un contatto con l’altra parte per negoziare e verificare insieme le condizioni per una risoluzione anticipata del contratto, oppure per un mantenimento del contratto con una sospensione a termine del canone o di parte di questo. Se ci sono particolari difficoltà di reddito e per assicurare maggiori certezze ai proprietari, la rinegoziazione può anche riguardare l’adozione di un affitto ridotto oppure il passaggio dal contratto libero a quello concordato, transitorio o per studenti, che potrebbe assicurare prospettive di maggiori certezze anche nella futura situazione di crisi economica. Sul fronte dei mutui, invece, è possibile la sospensione delle rate ma solo perché lo stop riguarda la quota di interesse che viene rimborsata da un fondo statale alle banche, ma solo per il 50%: il resto rimane a carico del titolare del finanziamento.

Patrizia De Rubertis

Ogni giorno il governo risponda ai cittadini

Gentile Rocco Casalino, come certo saprà, negli ultimi giorni, alla luce delle misure economiche annunciate dal governo per dare una mano agli italiani, giornali, web e tv sono assediati da domande e interrogativi a cui spesso non è facile rispondere.

Partite Iva che non hanno ben compreso come riscuotere l’indennità. Dipendenti di aziende in difficoltà che hanno problemi nel trasmettere all’Inps le domande per la Cassa integrazione, o per il bonus babysitter. Per non parlare della massa dei “senza tutele”, dagli artisti alle colf agli amministratori di piccole società che non si rassegnano a essere esclusi da qualsiasi sostegno, e che si aggirano smarriti nella selva oscura di norme e codicilli.

Vengo al punto: perché non prevedere, prima o dopo l’ormai purtroppo canonica conferenza stampa della Protezione Civile, un question time (o qualcosa del genere) con il quale ogni giorno un rappresentante del governo, dell’Inps o degli altri enti interessati, rispondano ai quesiti posti dai cittadini? Sapere che accanto all’hashtag #iorestoacasa ne esiste un altro (per esempio: #italiadomanda, o scelga lei) trasmetterebbe al Paese in grande difficoltà, un segnale concreto di fiducia e la sensazione di non essere lasciati soli dalle istituzioni.

Lei, come capo della Comunicazione di Palazzo Chigi, a proposito degli annunci del governo ha parlato sul Corriere della Sera di un “messaggio basic, il più semplice possibile, in modo che possa arrivare a tutti gli italiani, di tutte le età”. Non ritiene che oggi (e non soltanto oggi) la saldatura tra una comunicazione istituzionale chiara, autorevole e al servizio dei cittadini con una libera informazione puntuale e attendibile rappresenti la migliore garanzia per la tenuta democratica? E contro gli avvelenatori di pozzi?