Edicole aperte. Un servizio che nessuno (neanche in divisa) può contestare

 

Sono un edicolante, uno di quei lavoratori ritenuti di primaria importanza in questo periodo di emergenza. Ritengo che effettivamente l’importanza sociale del nostro impegno sia rilevante ancor più ora che, oltre a fornire l’informazione garantita da redazioni di giornalisti e non dal caos social, offriamo anche un piccolo momento di “normalità” in questi giorni di grande pressione e incertezza. Tutto questo porta anche a essere esposti a maggiori rischi rispetto a chi, per scelta o per obbligo, rimane in casa e limita al massimo la possibilità del contagio. È con profondo sconcerto e, non lo nego, rabbia, che apprendo da alcuni clienti che a volte le forze in divisa preposte al controllo gli hanno impedito di recarsi nel chiosco per l’acquisto del prodotto cartaceo, che sia il quotidiano, il settimanale o l’enigmistica per passare il tempo. Alcuni sentendosi dire che l’acquisto non era necessario, altri che lo devono fare nel chiosco più vicino, anche quando questa vicinanza è opinabile e non tiene conto dei servizi in abbonamento che chiunque del mio mestiere gestisce con la propria clientela. A questo punto chiedo che venga fatta chiarezza sulla reale importanza dei nostri presidi d’informazione e, se sono dunque ritenuti di primaria necessità, che si permetta all’utenza di potersene giovare senza sconfinare dalla tutela delle persone al limitarne ingiustamente la libertà.

Claudio Mura

 

Gentile Claudio,chiariamo prima la questione. Le edicole sono uno dei servizi più legati alla nostra quotidianità normale che il governo ha deciso di mantenere aperti: come i negozi di alimentari, ma anche quelli di telefonia, di ottica ecc. Dunque, sostenere che non è lecito uscire di casa per andare a comprare il giornale viola le disposizioni del governo (che sono già precise e chiare) e nessuno può affermare il contrario, anche se indossa una divisa. Semmai, dovremmo suggerire a tutti di non approfittarne. Come? Unendo la spesa al supermercato con la visita all’edicola, per esempio. Ma tutto questo a parte, c’è qualcosa soprattutto che vorrei dire a lei e a ciascuno dei suoi colleghi: un grazie per il vostro impegno che prosegue ogni giorno, con gli stessi rischi di tutti coloro che, in queste ore, devono affrontare rapporti con il pubblico. E grazie perché consentite al nostro lavoro (fare giornali) di arrivare ai cittadini. I giornali e i giornalisti hanno bisogno di voi. E credo che assieme sconfiggeremo anche i profeti di sventura (giornalisti purtroppo, ma mediocri per fortuna) che stanno vaticinando la fine, dopo il coronavirus, della carta stampata.

Ettore Boffano

Il virus di Briatore: scambiare l’Italia per il “Billionaire”

Menomale che, in questi tempi bui, Flavio Briatore ci indica la via. Domenica era da Giletti. Il conduttore di La7, come tutti (io per primo), aveva sottovalutato il Coronavirus. A inizio marzo, durante una puntata di Otto e mezzo, Severgnini (che abita a Milano ed è nato a Crema) provava a dirgli: “Guarda Massimo che la situazione qui è molto seria”. E lui: “Sì, okay, però non esageriamo e adesso apriamo tutto”. All’epoca ci stava. E invece siamo stati tutti travolti.

Per fortuna Briatore ci ha dispensato il verbo. Due sere fa ha sentenziato che “Conte e Speranza hanno commesso tre reati”, mentre “Trump ha salvato l’America in 10 giorni”. Me cojoni. I tre reati sarebbero: “tacere” (a gennaio e inizio febbraio), “diffondere” (nel senso che il virus ce l’hanno attaccato personalmente Conte e Speranza) e adesso “non agire”. Invece Briatore sapeva tutto, perché lui – che è figo – lavora con la Cina e dunque conosceva da mesi la ferocia del virus. Anche chiudere i voli dalla Cina, secondo lui, è stato un errore. E adesso? Adesso i soldi andrebbero dati ai cittadini (non ai Comuni) e alle industrie (cioè a quelli come lui). Altro che le elemosine di Conte. Fa piacere che il virologo e intellettuale Briatore ci detti la linea. Qualche considerazione.

1. Col senno di poi, gentil Briatore, son bravi tutti. Se mio nonno avesse avuto le ruote, sarebbe stato una Maserati.

2. Simili interventi, oltre a essere inutili, in una fase storica simile equivalgono a teoriche polveriere perché esacerbano colpevolmente gli animi. Dico “teoriche” perché il tenero Briatore non lo ascolta nessuno, ma la gravità delle parole resta.

3. Prendere a esempio Trump fa ridere, tenendo conto che fino a dieci giorni fa (nonostante la pandemia in Europa) il gerarca statunitense minimizzava come quei carciofi fascio-tordi di Boris Johnson e Bolsonaro. Tutta gente che immagino piaccia molto al compagno Briatore.

4. Il governo italiano ha senz’altro inizialmente sottovalutato (come tutti) il virus, ma se adesso in ogni Paese si fa quello che abbiamo fatto noi per primi, forse il parere del camerata Briatore vale meno di Gasparri. Cioè niente.

5. Prestare politicamente ascolto a uno che vuole fondare un partito dal nome “Movimento del Fare” per cercare la sponda con Salvini, Meloni, Berlusca e Renzi, sarebbe quasi come chiedere a Ventura se ha un’idea per rilanciare la Nazionale. Dai, su.

6. Non c’entra niente, o forse sì, ma uno che indossa quelle babbucce esteticamente empie non può pretendere pure di essere preso sul serio.

7. Per Briatore “l’idea Paese” coincide col Billionaire. Tutto molto bello. Ci perdonerà però se molti continueranno a pensare a Calamandrei o Parri come padri nobili. E non a lui.

8. Non c’entra niente, o forse sì, ma sarebbe ora che Briatore imparasse a parlare in italiano e non si esprimesse in “crozzese”. Quel suo eloquio da Stanlio irrisolto, con le vocali a caso e la fonetica vilipesa, è oltremodo esecrabile.

9. Soprattutto: se il garbato Briatore vuole pontificare per forza, abbia almeno l’accortezza di dare l’esempio. A partire dal suo rapporto, sin qui vagamente conflittuale, con il fisco italiano. In caso contrario, parli di Formula 1 o di come fare soldi. Non d’altro. E se proprio avverte l’urgenza di delirare di cose più grandi di lui, lo faccia in un privé del Twiga con la Santanchè, magari mentre sorseggiano Krug scambiandolo per un prosecchino chimico (o viceversa). La situazione è già difficile così: avere pure lui come ennesima molotov caricaturale, sarebbe davvero troppo.

I “disconnessi” sopravvivranno alla catastrofe

Quello che si respira nell’aria non è solo il Coronavirus, ma una paura collettiva, alimentata anche dall’immagine spettrale della città, deserta, metafisica come in un quadro di Savinio e di De Chirico o in un qualche romanzo di fantascienza. E c’è il modo sordido di questo morire, monitorizzati, intubati, oggetti, senza la possibilità che la salma del “caro estinto” sia vegliata e portata a quella che pudicamente viene chiamata “l’ultima dimora” da coloro che gli hanno voluto bene (quest’ultima cosa non mi riguarda, non credo che l’anima, se mai esiste, continui ad albergare nel corpo, se ne andrà altrove come narra Alberto Savinio in un bellissimo racconto raccolto nel libro Tutta la vita intitolato appunto “Anima”).

Ghiacciai che si sciolgono, foreste che scompaiono, le barriere coralline che perdono il loro colore per sbiadirsi progressivamente. Si respira un’atmosfera da fine del mondo, di un certo mondo, quello creato, con l’ottuso ottimismo di Candide, dall’uomo occidentale negli ultimi due secoli e che ha invaso ormai quasi l’intero pianeta.

Ma non è la fine del mondo, di questo mondo, ne è solo una inevitabile anticipazione, perché le crescite esponenziali su cui si basa, e che gli uomini politici continuano stolidamente a cavalcare, esistono in matematica non in natura e alla fine l’attuale modello di sviluppo collasserà su se stesso.

Si salverà la gente di campagna o chi, anticipando gli altri, vi si sarà ritirato, avrà imparato a lavorare di zappa, a mungere una mucca e si sarà provvidenzialmente provvisto di un paio di kalashnikov. Si salveranno le comunità autoctone, gli indigeni delle Isole Andamane che sfuggirono allo tsunami e cacciarono a colpi di freccia l’elicottero indiano che veniva ad accertare quel che ne era di loro, si salveranno gli indios dell’Amazzonia che nessun Bolsonaro potrà abbattere con le sue armi modernissime perché non ci sarà più nulla per alimentarle. Si salveranno insomma i “disconnessi”.

Ma potrebbe anche andare diversamente. Finalmente rinsaviti ci convinceremo a fare parecchi passi indietro abbandonando un mondo che, anche in situazione normale, rulla a un ritmo che ci fa basculare fra nevrosi e depressione, la nevrosi di chi cerca di starne al passo, la depressione di chi non ci riesce, si sente inadeguato e inesorabilmente tagliato fuori.

Cosa voleva dire Draghi all’Europa

Tutt’altro che incline a spettacolizzare le sue scelte di gestione economica e meno che mai la sua persona, Mario Draghi ha scritto un articolo molto importante pubblicato dal Financial Times qualche giorno fa. Tristemente, nel dibattito pubblico, l’articolo di Draghi ha finora ricevuto molta meno attenzione di quella che merita. Cercherò di spiegare perché formulando alcune ipotesi e traendo quelle che ritengo essere conseguenze ineludibili.

Per cominciare, sottolineo che il Financial Times è, insieme al Wall Street Journal, il più importante quotidiano economico del mondo, e che, in generale, la sua visione dell’economia e dell’Unione europea è sempre stata piuttosto distante da quella di Draghi e dalle modalità con le quali ha agito come presidente della Banca centrale europea. La decisione di pubblicare è, probabilmente, stata dettata dalla straordinarietà della crisi prodotta dal coronavirus e dalla convinzione condivisa del senso di urgenza e drammaticità della situazione (da fare conoscere anche al primo ministro della Gran Bretagna). Tutto l’articolo di Draghi argomenta, punto per punto, politiche che gli Stati-membri dell’Unione europea dovrebbero attuare molto rapidamente e che gli organismi dell’Unione europea dovrebbero accompagnare e sostenere senza esitazioni. La risposta indirettamente pervenuta dalla riunione telematica del Consiglio dei capi di governo è stata assolutamente deludente. Benissimo ha fatto Giuseppe Conte a non firmare il documento conclusivo e a imporre un altro incontro fra due settimane. Sostanzialmente, Draghi propone quasi un rovesciamento delle politiche economiche neo-liberali finora seguite dall’Unione in buona misura poiché imposte dalla Germania, con la sua ideologia dominante dell’Ordoliberalismus, ma – questo punto è molto importante – condivisa da non pochi altri Stati-membri dell’Europa centro-settentrionale fra i quali si distingue per durezza e malposta intransigenza l’Olanda. C’è una componente quasi religiosa nel chiedere che chi fra gli Stati del Sud si trova in difficoltà paghi sulla sua pelle il prezzo dell’indisciplina, dei “peccati”, non solo economici, che li hanno condotti a chiedere sostegno. In maniera soffice ed elegante, non meno laicamente “religiosa”, Draghi fa notare in avvio del suo articolo che in situazioni di tragedie umane abbiamo un dovere di solidarietà reciproche. Poi, affonda uno degli elementi chiave dell’Ordoliberalismus (inserito nel Patto di Stabilità e Crescita), cioè il tabù del debito pubblico il cui incremento deve essere accettato. Cito: “Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato”. La ineluttabilità che il debito pubblico aumenti è strettamente collegata ai compiti che gli Stati debbono svolgere a cominciare dal “fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro” e a “incanalare la liquidità verso le imprese in difficoltà”. Ancora più esplicitamente, dovranno essere “i governi ad assorbire una grande parte della perdita di reddito… se si vogliono proteggere posti di lavoro e capacità”. Infine, Draghi chiede “un cambiamento di mentalità” affinché, “in quanto europei” ci si sostenga “a vicenda nel perseguimento di ciò che è evidentemente una causa comune” (corsivo mio).

Sostanzialmente, l’ex presidente della Banca centrale europea sta, da un lato, spingendo quella Banca in una direzione fortemente interventista, in larga misura, sembrerebbe, condivisa dalla presidente Christine Lagarde, dall’altro, qui forzo un po’, fa rivivere il keynesismo, impossibile in un solo Stato, come politica economica e sociale europea, dell’Unione. Invece di “tirarlo per la giacchetta”, operazione alla quale non obietto, per chiamarlo a salvare la patria Italia, con modalità tutte da definire, sarebbe preferibile che le autorità politiche italiane mirino a ottenere un consenso ampio fra gli Stati-membri dell’Ue proprio sulle politiche delineate da Draghi.

Date a Cairo la cura di Cantournet

Urbano Cairo non si rassegna alla figuraccia con il video da “spogliatoio” dice lui, da “piazzista” dicono altri, per motivare i cacciatori della pubblicità del suo gruppo. Per rimediare, Cairo ha scelto la strada più breve e forse più complicata: cancellare dalla memoria l’esistenza stessa del video in cui fattura inserzioni pubblicitarie in quarantena per Rcs e La7. Corriere e Gazzetta ci provano, ieri il quotidiano di via Solferino, a pagina 15 sotto le cronache da Bergamo, ha parlato di un video alla “forza vendita”, tipo una legione d’onore. Dopo le ricette alla “forza vendita”, ieri lo scatenato Cairo ha carezzato Draghi e dato ricette al governo contro la crisi: maggiore liquidità, contributi sospesi e solite amenità. Poi ha rivelato di aver scoperto la mano lesta, e traditrice, tra i 250 destinatari del video, colui che l’ha diffuso all’esterno. Per una sana e robusta sanzione, Cairo si può rivolgere a Genséric Cantournet, l’ex militare francese che, dopo aver salvato la Rai dal terrorismo e in pochi giorni il gruppo Gedi dal coronavirus (già sono ai saluti), è sul mercato aspettando un’altra impresa. Potrebbe mettere Cairo al riparo da se stesso. Mica facile.

L’origine del virus resterà ignota

Ma da dove è arrivato questo maledetto Sars-Cov2? The Lancet e Nature riportano che l’infezione ha cominciato a diffondersi nella prima metà di dicembre 2019 con 41 casi di polmonite con causa non chiara nella città di Wuhan, capitale della provincia dello Hubei in Cina. Sempre secondo queste fonti, il primo caso risale al primo dicembre.

Si era detto che probabilmente, visti gli usi di macellazione e di vendita di diversi animali in questi tipici mercati cinesi, come era avvenuto per il coronavirus della Sars, anche per questo nuovo virus l’origine fosse stata un mercato “umido” (mercati dove si vende e si macella ogni tipo di animale domestico e selvatico) della città di Wuhan. Purtuttavia si è presto accertato che il primo caso registrato fosse una persona che non si era recata al mercato ittico di Wuhan. “La comparsa dei sintomi nel primo paziente identificato risale al primo dicembre 2019”, si legge su The Lancet: “Nessuno dei suoi familiari ha sviluppato febbre né altri sintomi respiratori”. Al momento, inoltre, “non ci sono legami epidemiologici fra il primo paziente e gli altri casi”. A complicare il quadro, i risultati di studi effettuati sui primi 41 casi esaminati dal gruppo di ricerca cinese guidato da Chaolin Huang dell’ospedale Jin Yin-tan di Wuhan: 27 soggetti (pari al 66%) erano stati al mercato a partire dal 10 dicembre, gli altri no.

Allora, da dove è arrivato (da solo o accompagnato) questo nuovo coronavirus? Dietro l’angolo l’ipotesi del complotto che ha anche assunto un profilo ufficiale. È proprio un funzionario governativo cinese ad accusare gli americani di averlo introdotto (involontariamente) durante i Giochi internazionali dei militari tenutisi a Wuhan nel novembre 2019.

Virus naturale o costruito in laboratorio? Un paper ha evidenziato strane evidenze di inserti in coronavirus di proteine di Hiv: Uncanny similarity of unique inserts in the 2019 – nCoV spike protein to HIV-1 gp120 del Kusuma School of Biological Sciences, University of Delhi, India. La ricerca è stata stranamente ritirata due giorni dopo la pubblicazione. Molto più successo ha invece avuto una recente pubblicazione su Nature del 17 marzo, “The proximal origin of Sars-Cov2” – The Scripps Research Institute, La Jolla, Ca, Usa – che assicura, senza ombra di dubbio, che si tratti di virus naturale. Comunque la si voglia pensare, non esiste una proprietà transitiva che affermi virus naturale = virus non diffuso volontariamente o scappato dal laboratorio. Nessuno può pretendere né mai saprà la verità.

 

Schäfer&C. I politici schiacciati dal covid-19

Il suicidio del ministro della Finanze dell’Assia, Thomas Schäfer, sconvolto dalla pandemia, ci fa riflettere sul peso delle responsabilità che gravano su chi si trova oggi costretto a governare una catastrofe senza precedenti. Ha detto il governatore della regione che Schäfer era “molto preoccupato per le gigantesche aspettative della popolazione e che queste preoccupazioni devono averlo schiacciato”. Nella felice stagione della democrazia la politica raramente ha goduto di buona fama perché, soprattutto per sua diretta responsabilità, ha dato di sé l’immagine di un mondo a parte, lontano come si dice dal “paese reale”. Una classe di bramini viziati dal potere, dediti più al perseguimento di smodate ambizioni, o all’arricchimento personale, che all’interesse generale. In una parola: la casta.

Ma adesso, sinceramente, c’è qualcuno che sano di mente può giudicare una fortuna o un privilegio essere seduti sulla poltrona di presidente del Consiglio, di ministro della Salute o dell’Economia, di governatore di una regione massacrata dal virus? Conosco poco il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, non ho votato per lui ma ogni volta che appare in tv il suo viso se pur coperto dalla mascherina mi sembra sempre più scavato dalla tensione. E mi interrogo sul peso schiacciante che lui, o Luca Zaia o Stefano Bonaccini o i sindaci di Bergamo e Brescia, stanno sopportando da un mese a questa parte. E che sopporteranno quando alla speriamo calante pandemia sanitaria si sommeranno quelle economica e sociale. Sul Corriere della Sera

Ernesto Galli della Loggia ha scritto che le quotazioni di Giuseppe Conte “sono cresciute in una misura inimmaginabile prima dell’arrivo del Covid-19”. Ma che il premier “sarebbe stato il primo a preferire che ciò non accadesse”. Eh sì, gli è capitata davvero una felice opportunità.

“La salvezza è fare la spesa, poi assalto ai parrucchieri”

Appena alza la cornetta, è Ornella Vanoni a bruciare il tempo. “Come sta?”. Veramente siamo noi a domandarlo a lei. “Ieri sono uscita per la spesa, almeno una boccata, altrimenti divento pazza”.

Si mette in coda.

Ordinata aspetto.

La fermano.

Non capiscono chi sono, ho i capelli indietro, bardata, mascherina e occhiali; ogni tanto mi scoprono per la voce.

Passare inosservata non le capitava da un po’…

Mi piace scegliere i prodotti, mi sento più viva; altrimenti leggo tutto il giorno.

Cosa?

Ora I miti degli altri (di Wendy Doniger), poi una rivisitazione de l’Odissea .

Film?

La mia passione sono le pellicole statunitensi in bianco e nero, tra un po’ mi arrivano, così mi salvo dalle serie tv.

Su Instagram ha lanciato un allarme per le donne.

Per forza, non c’è spazio per loro, i loro problemi, le violenze subite, e le donne stesse chiamano meno i centralini, non chiedono aiuto. Vuol dire che sono impossibilitate a denunciare.

Eppure…

In questo momento vivranno una realtà peggiore del solito; stessa storia per gli immigrati impegnati nei campi: alcuna notizia.

Quindi…

Spero anche in un intervento europeo di Draghi, la materia la conosce (ci pensa); tutto ciò mi ricorda la guerra. Io c’ero. E i soldati morivano da soli, come oggi i malati di coronavirus.

Ci pensa spesso…

Moltissimo, però i miei genitori e parenti li vedevo; oggi o vivi in una grande famiglia o niente abbracci; ah, i delfini sono tornati nella laguna di Venezia, la natura si sta riprendendo i suoi spazi.

È complottista?

No, ma amavo Asimov.

Dorme?

Meno bene di prima, perché ti svegli e sai che un giorno è uguale al precedente.

Fantasia?

Alcuni miei colleghi, come Giuliano Sangiorgi, li sento e sono creativi, altri no.

Poi c’è il telefono…

Parecchio, con gli amici o mia nipote; vorrei andare in Liguria da Gino (Paoli) e sua moglie, vorrei stare con loro, ci sto bene; (un secondo di pausa) quello con Gino è un grande amore finito, ma non mi toglie il piacere della loro compagnia. Hanno una situazione meravigliosa.

Ha un rimpianto?

Ne ho due: non essere riuscita a tenere Gino, anche se sono andata via io; l’altro è mio figlio: gli sono stata troppo poco vicino, ho perso la prima maternità, ma dovevo lavorare.

Tali situazioni acutizzano le riflessioni.

No, i rimpianti sono ben chiari da tempo.

Cosa la fa ridere?

Ho visto una foto di Rocco Casalino in costume…

I tempi del “Grande Fratello”.

Ah, io quella roba lì non la vedo, provo pena per chi partecipa.

È in onda la versione “vip”.

Davvero? I vip non ci sono più.

Lei è vip.

Solo per questione di età, perché ho vissuto l’epoca nella quale c’erano, e mi riferisco agli Agnelli o gli Olivetti. Non oggi.

Cosa teme?

Il dopo, la ricostruzione. Già c’è chi muore di fame.

Cosa la indigna?

I politici di tutto il mondo: sono miliardari e un miliardario non avrà mai il senso della realtà.

Un bicchiere di vino lo beve?

Se mi togliete anche quello mi sparo.

Ha chiamato Mina per i suoi 80 anni?

Mica siamo nemiche! Però sì, le ho mandato un messaggio, perché tanto lei non si fa sentire.

Finita l’emergenza, quale sarà il primo appuntamento?

Resto in casa.

Come?

Correranno tutti e ovunque, ci sarà l’assalto ai parrucchieri.

Va bene, e finita la frenesia.

Devo registrare il nuovo disco, tanto quest’estate non ci saranno concerti.

(La Vanoni canta in “Una bellissima ragazza”: “E mi piace ricordare quel vecchio film d’amore, dove lui era così bello. Che volavano le ore).

 

Niente partite? Si scommette su meteo e tv

C’erano una volta le partite, la Formula 1, i cavalli: i palinsesti pieni, insomma. Quelli che ispiravano i novelli Mandrake – nel senso del personaggio di Gigi Proietti – a scommettere sulla corsa della vita o su un’altra magia di Ronaldo. Ma adesso, sospesi tutti gli sport, pure gli allibratori si devono riciclare ed ecco che le agenzie di scommesse hanno deciso di “bancare” online gli eventi più assurdi: che tempo farà a Pasqua? Chi farà più ascolti in tv? Ma soprattutto: il principe Carlo riuscirà a diventare Re?

Sforzi di fantasia necessari per compensare un calo  degli avvenimenti sportivi per nulla coperto – assicurano le agenzie – dalla risalita dei casinò online.  Chiunque senta la mancanza della “bolletta” settimanale ha allora materia per sbizzarrirsi.

Di gran moda sono le previsioni su matrimoni e figli vip. Sisal quota la nascita del quartogenito di Fabio Caressa e Benedetta Parodi entro il 31 gennaio 2021: punti un euro e in caso di lieto evento ne vinci 6 (avvertite gli interessati, alla scadenza della scommessa mancano giusto nove mesi). Eurobet si spinge a chiedere il sesso del nascituro, pungolando gli appassionati di politica: Matteo Salvini e Francesca Verdini daranno un nipotino a Denis? Sarà la quarantena, ma la cosa pare probabilissima: quota in picchiata sotto l’1.80. Pari possibilità, come ovvio, per il sesso del bebè. Su Stanleybet c’è poi una carrellata di possibili nozze: Valentino Rossi e Francesca Sofia Novello, Dj Afrojack e Elettra Lamborghini e il grande ritorno di Brad Pitt e Jennifer Aniston, quotato 12 volte la posta.

Più nostalgica la scommessa meteo su Pasqua e Pasquetta: chi potrà gioire di un sole visto fuori dalla finestra? Eppure il vil denaro non guarda in faccia alla quarantena e le agenzie quotano le temperature massime a Bari, Milano, Roma, Bologna e così via. Per dovere di cronaca, si segnala che nella Capitale la puntata ritenuta più sicura è quella di un “Over 22,5”. Tradotto: più di 22 gradi e mezzo; se si scommettono dieci euro se ne vincono 17 e 50.

In mancanza  dei vecchi 1-x-2 calcistici, Snai sposta la competizione in televisione.  Sfida secca: chi farà più ascolti? L’altra sera, per esempio, Striscia e I soliti ignoti partivano da quota pari (1,85), mentre Verissimo era favorito contro Beautiful (1,50 contro 2,40 volte la posta). Ma si può puntare anche sulle fortune del singolo show: L’Eredità farà più del 17,8%? Più facile di sì (quota a 1,75) ma si può pure gufare, giocare 10 euro sul no e sperare di vincerne una ventina.

Il palinsesto più cinico ce l’aveva però il già citato Stanleybet, in barba all’ipocrisia: il principe Carlo diventerà Re entro il 2020? La scommessa è stata ritirata in queste ore (che sia intervenuta Elisabetta?), ma un eventuale sì garantiva 4 volte la posta. I temerari potranno consolarsi su Bwin, dove c’è ampia scelta sulle presidenziali americane. Trump è favorito (quota 1,95) anche se Biden non è lontano (2,30). Ma occhio alle outsider: una rediviva Hillary Clinton paga 51 volte la posta, lo spariglio Michelle Obama moltiplica la puntata per 101. Non si sa mai: magari qualcuno fiuterà la Mandrakata.

In sala Benni parla con Omero e i gatti si fanno coraggio tra loro

Visto che dobbiamo “stare a casa”, chi vuole condividere con gli altri la sua vita in quarantena può farlo sulle pagine del Fatto. Siamo una comunità e mai come oggi sentiamo l’esigenza di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decameron di Giovanni Boccaccio, si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze. Inviateci foto, raccontateci cosa fate, cosa inventate per non annoiare i figli e non allarmare i nonni, quali libri, film e serie tv consigliate all’indirizzo lettere@ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.

 

Niente parco? Facciamo l’angolo lettura in casa

Roma: Pietro Lee, due anni, nel suo angolo lettura al posto del parco. (vedi foto)

Sabrina Biso

 

Crostate e libri parlanti: ascolto i miei eroi

Uno dei miei passatempi preferiti è quello di sfornare crostate (vedi foto) che scarabocchio con scritte di frolla (su Instagram le chiamo @crostateparlanti).

Durante la quarantena ho anche fantasticato che i personaggi di due libri posizionati vicini su uno scaffale possano parlare tra loro: “Achille piè veloce, hai sentito? Dicono che devono stare tutti a casa ormai, per il bene dell’umanità”. “So tutto caro Agamennone”. “E cos’altro hai sentito?”. “Ho sentito che un virus si sta impossessando di loro. Fa realizzare che i ritmi frenetici delle loro giornate sono spesso una follia. Fa desiderare di stringersi le mani e scambiarsi abbracci; pensa che ad alcuni basterebbe anche solo potersi guardare negli occhi, senza parlare. Fa apprezzare la casa in cui si vive e anche preoccuparsi di chi una casa non ce l’ha mai avuta.

“Ma dimmi, come si chiama questo virus?” “Si chiama gioia di vivere”. Nel salotto di casa mia guardo la libreria dove, continuando a sostenersi l’un l’altro, ci sono Achille piè veloce di Stefano Benni e l’Iliade di Omero.

Daniela

 

Mamma con le sorelline aspetta rinforzi a pranzo

Home working e english lesson via Skype. Intanto di là la mamma (che non sta lavorando) con le due sorelline: con una cerca di fare i compiti e con l’altra cerca di giocare. Forza che tra poco è ora di pranzo e anche papà termina il suo part-time orizzontale di home working. Arrivano i rinforzi!

Caterina Dainotti

 

Per il mio compleanno Sofia mi invia gli auguri

Sofia ha nove anni e vive nel Veneto. È brava a disegnare e molto affettuosa. Il suo nonno vive in provincia di Bergamo e, a differenza degli altri anni, nessuno di noi può spostarsi. Gli auguri di compleanno per il nonno, Sofia li ha affidati alle Poste Italiane. Grazie Sofia, carissima nipotina. E grazie anche ai postini. (vedi foto)

Nonno Dario

 

Pure Mirimiri e Saffolina si chiedono come andrà

“Saffolina”. “Che vuoi?”.

“Ma questi sempre qua stanno?”. “Ma che ne so, Mirimiri, dicono che non possono più uscire”. “E la nostra pappa?”. “Ho già controllato: l’armadio è pieno di scatolette”. “Sì, ma se poi finiscono?”. “I piccioni, Mirimiri, se finiscono le scatolette, acchiappiamo i piccioni”. “Dai, sul serio! E se rimaniamo senza pappa?”. “Stai tranquilla, i negozi di animali non hanno chiuso e loro possono uscire a comprare la nostra pappa”. “E se poi i negozi finiscono la nostra pappa?”. “Mirimiri, è impossibile, non preoccuparti, i beni di prima necessità ci saranno sempre”.

“Ma quanto dura questa storia?”. “Mirimiri, dura il tempo che deve durare”. “Ma finirà? Voglio dire tornerà tutto come prima?”. “Finirà Mirimiri, e tornerà tutto come prima: loro ricominceranno a lavorare e noi resteremo sole a casa”. “Io non voglio restare sola a casa”. “E allora, Mirimiri, prendi questi giorni per quello che sono, non avere paura, non pensare che debba per forza andare peggio, abbi fiducia, la loro frenetica vita senza senso ricomincerà presto, ma nel frattempo goditi ogni momento di questa nuova avventura”.

“Saffolina”. “Che vuoi?”. “Ti voglio bene”. (vedi foto)

Cecilia Mardarella