“Noi a Pavia sperimentiamo l’infusione di plasma iperimmune sui malati. E aiuta”

Dopo aver incontrato i medici cinesi in visita all’Ospedale San Matteo di Pavia, il dottor Cesare Perotti ha deciso di sperimentare il plasma iperimmune ottenuto da pazienti guariti. Con il placet dell’Istituto superiore della sanità, il professor Perotti, direttore del servizio di Immunoematologia e medicina trasfusionale del San Matteo, ha fatto partire la sperimentazione al Policlinico di Pavia.

Dottore, ma questa non è una vecchia terapia ?

Sì, è una procedura già collaudata, ma è la tecnologia a essere nuova. Mi spiego: oggi abbiamo separatori cellulari in grado di separare il plasma dal sangue in modo più efficiente rispetto al passato. Risulta pertanto più efficace e molto meno costoso adottare anche questa terapia che non è alternativa ai farmaci in uso bensì aggiuntiva. Potrebbe contribuire alla guarigione.

Il plasma iperimmune può essere infuso sempre e a tutti i malati di Covid-19 ?

Prima lo si infonde, meglio è. Su un paziente che inizia ad aver bisogno del casco per respirare può essere di grande aiuto. Più la malattia è avanzata meno gli anticorpi dei pazienti guariti aiuteranno il malato a sopravvivere.

Ci sono effetti collaterali?

Di fatto no. Tengo a spiegare che il plasma infuso non può presentare rischi essendo analizzato secondo le indicazioni, molto stringenti, del Centro nazionale sangue.

È già stata applicata questa procedura per le recenti epidemie?

Il plasma iperimmune è già stato utilizzato anche in passato per Sars ed Ebola con risultati incoraggianti.

Voi siete l’ospedale capofila del protocollo. È prevista la condivisione dei dati con altri ospedali ed enti ?

Il San Matteo, attraverso il suo protocollo, potrà svolgere il ruolo di hub per tutti gli altri ospedali che vogliono aderire. Qui non sono in ballo interessi economici, ma solo la salute delle persone e la possibilità di salvare i malati più gravi. Ha già aderito l’ospedale di Mantova e stanno arrivando richieste da molti ospedali di altre regioni e anche dalla banca del sangue di New York dove la pandemia rischia di trasformarsi in un vero disastro.

I dati sull’uso del plasma iperimmune cosa hanno fatto emergere?

I dati sono pochi e derivano soprattutto da segnalazione di casi clinici. Ma l’analisi mostra che la somministrazione di plasma proveniente da pazienti immunizzati possa essere applicata in maniera sicura, registrando una riduzione della degenza ospedaliera e soprattutto minor mortalità con una risposta positiva nella maggior parte dei casi entro due giorni.

Anti-malarico introvabile: bloccato dalla burocrazia

È un antimalarico: il principio attivo è l’idrossiclorochina, il nome commerciale Plaquenil. Associato a un antibatterico, l’azitromicina, sembra essere efficace contro il Covid-19, se somministrato alla comparsa dei primi sintomi. Ma il farmaco sul mercato italiano non è reperibile. La denuncia arriva dallo Smi, il sindacato dei medici, che ha scritto al premier Giuseppe Conte, al ministro della Salute Roberto Speranza, alla Protezione civile e all’Aifa, l’agenzia del farmaco, per chiedere “l’urgente diffusione sul territorio nazionale di linee guida validate, rivolte ai medici di famiglia, sull’uso di tali farmaci rapportato alle varie fasi della malattia”. Il Plaquenil è introvabile. “Perché l’Aifa ha dato sì il via libera alla distribuzione, ma solo nelle farmacie ospedaliere: sul territorio non c’è”, dice Giuseppina Onotri, segretaria generale dello Smi. “Eppure sembra ridurre sensibilmente la percentuale di pazienti le cui condizioni evolvono in polmonite interstiziale. Di fronte al collasso del sistema ospedaliero e di quello di urgenza ed emergenza, i medici di famiglia devono essere messi nelle condizioni di prescriverlo anche off label, vale a dire anche se è previsto per altre patologie con procedure semplificate”.

Il Plaquenil è utilizzato contro la malaria da circa 70 anni. In Francia lo produce il gruppo Sanofi. A Marsiglia, l’infettivologo Didier Raoult, direttore dell’istituto ospedaliero-universitario, ha realizzato la prima sperimentazione in Europa di una terapia che lo combina all’azitromicina, utilizzata per le infezioni delle vie respiratorie. A Marsiglia, lo studio su 26 pazienti Covid ha dimostrato che dopo sei giorni di trattamento il virus aveva una carica virale negativa. Anche per il virologo Roberto Burioni il Plaquenil potrebbe avere una reale efficacia. Test effettuati nel laboratorio di virologia del San Raffaele di Milano, “hanno dimostrato – ha scritto Burioni sul sito Medical Facts –, che il farmaco può bloccare il virus se somministrato prima e dopo l’infezione, associando profilassi e terapia”.

Da Catania arriva una conferma: “Lo abbiamo utilizzato su 60 pazienti, notando un significativo miglioramento clinico”, spiega Bruno Cacopardo, che dirige il reparto di malattie infettive dell’ospedale Garibaldi. “Su nove di loro, nell’arco di otto giorni, abbiamo poi rilevato la negatività al tampone. È importante la precocità del trattamento. Se infatti viene somministrato otto o dieci giorni dopo la comparsa dei sintomi, è molto meno efficace. I dati raccolti sinora lasciano ben sperare…”.

Eppure nelle farmacie italiane non ce n’è traccia. La produzione c’è, ma non da soddisfare la domanda (l’idrossiclorochina è utilizzata anche come antireumatico) e, come rilevano i medici, c’è chi ha evidentemente fatto incetta di scorte, depauperando il mercato. La soluzione potrebbe essere in India, dove c’è infatti un’azienda che lo produce. Diverse imprese italiane, già contattate dal centro studi dello Smi, sarebbero pronte a importarlo e a distribuirlo in Italia. Solo che lo stabilimento indiano, che ha l’autorizzazione della Food and Drug Administration americana, è privo del via libera da parte dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco. Come se non bastasse, un altro vincolo è rappresentato dalla chiusura delle esportazioni da parte dell’India. “Solo una richiesta specifica da parte del nostro ministro degli Esteri potrebbe risolvere il problema”, dice Onotri. Una alternativa, secondo i sanitari, potrebbe essere la produzione del principio attivo nello stabilimento chimico-farmaceutico militare di Firenze.

Ma bisogna fare presto, avverte Federico Anselmucci, direttore del centro studi dello Smi. “Il Governo si attivi per un’urgente approvazione dell’importazione e della commercializzazione del farmaco. ll momento impone una gestione che deve essere scevra dall’ordinaria burocrazia: è in gioco la salvaguardia della vita dei cittadini”.

Il centro contro le epidemie fu rottamato da Ricciardi

Essere preparati, rispondere in modo coordinato, potenziare la ricerca e il sistema sanitario: moniti sacrosanti, oggi, che arrivano da ogni ospitata in tv e dagli interventi degli esperti più accreditati. Dimenticando però che l’Italia aveva un sistema funzionante e un centro epidemiologico che avrebbe potuto contribuire a guidare la risposta nazionale all’epidemia già dai primi contagi da Covid-19. E che, invece, è stato smantellato, nel 2016, nel riordino dell’Istituto superiore di sanità (Iss) dall’allora presidente Walter Ricciardi , oggi membro del Comitato consultivo dell’Oms e consulente del ministro della Salute.

Il Centro nazionale di epidemiologia e sorveglianza dell’Iss (Cnesps) nasce nel 2003, ma il primo nucleo risale a fine anni 70 per rispondere a emergenze sanitarie come l’epidemia di colera. É qui che si studiano gli aspetti scientifici della risposta all’influenza aviaria (2005) e alla pandemia influenzale (suina del 2009), per intercettare i primissimi casi, isolarli, individuarne tempestivamente i potenziali contagi e registrare i dati per il monitoraggio dell’epidemia, includendo anche la sorveglianza dei quadri clinici o degli accessi settimanali ai pronto soccorsi. Dati con i quali è possibile monitorare e stimare il numero di persone infette, la grande incognita del Covid. Il Cnesps contava infatti su una rete di oltre duemila operatori sanitari formati in casa e la gestione dei dati era centralizzata e coordinata. La loro uniformità aiutava a valutare gli scenari di rischio e l’efficacia di misure di contenimento a seconda delle aree geografiche. Un prezioso coordinamento che, secondo chi faceva parte di quella rete, stavolta, è stato più difficile se non assente . “Il Cnesps era la cerniera con le Regioni”, spiegano.

Il Centro era infatti spesso al tavolo del coordinamento interregionale della prevenzione della Conferenza Stato Regioni per discutere insieme protocolli e documenti guida che poi gli enti potevano applicare in modo coordinato per evitare il caos del regionalismo sanitario (ad esempio, in Veneto tamponi a tappeto, in Emilia-Romagna tamponi per nucleo familiare, i mille rivoli strategici della Lombardia, o la politica zero-tampone-ai medici sostenuta dal consulente del governatore Emiliano, in Puglia).

Quando venne smantellato, ci furono molte polemiche. Quotidiano Sanità pubblicò un appello a Ricciardi di circa duemila operatori sanitari per non chiuderlo “visto il ruolo svolto nella prevenzione, sorveglianza e controllo delle malattie infettive”. L’allora direttrice, Stefania Salmaso, a fine del 2015 si dimise. Una parte degli epidemiologici fu smistata in altri reparti dell’Iss quasi che – in linea con una visione riduttiva e datata secondo la letteratura internazionale – l’epidemiologia fosse una disciplina ancillare di altre aree. “In Italia abbiamo 21 tra Regioni e Province autonome, responsabili della gestione sanitaria locale – spiega Salmaso – Non si può avere un sistema completamente centralizzato, ma neanche è opportuno che di fronte a una pandemia ognuno vada per conto proprio. I colleghi certamente stanno lavorando al massimo, ma si è persa la massa critica e la rete di competenze diffuse sul territorio, necessarie a fronteggiare una crisi del genere. In molti servizi territoriali il personale competente e formato è andato in pensione e non è stato rimpiazzato”. Il 24 marzo, la stessa Salmaso e, tra gli altri, Paolo Vineis, vice direttore del Consiglio superiore di sanità, e ordinario di Epidemiologia ambientale all’Imperial College di Londra pubblicano un appello sulla rivista Epidemia e Prevenzione: rendere accessibili i dati italiani su Covid-19 per permettere agli epidemiologi di contribuire a combattere l’emergenza. E si invoca l’attivazione delle “competenze epidemiologiche italiane, ora disperse”.

Lo dice anche Ricciardi a Repubblica lo scorso 27 febbraio: “Di epidemiologia di campo ci sono pochi esperti in Italia, non in ogni regione. All’Iss avevamo una grande scuola”. Che però è stata chiusa. La gestione anti-Covid si è così accentrata nella mani della Protezione civile e del comitato tecnico-scientifico del governo, fatto di figure scientifiche di rilievo, ma non nel campo dell’epidemiologia degli outbreak pandemici. L’articolo di Epidemiologia e prevenzione invoca anche il rafforzamento delle indagini epidemiologiche per la ricerca dei contatti e l’isolamento dei contagi, in modo coordinato, nelle Regioni dove la trasmissione è ancora contenuta, ben prima dunque di qualsiasi tracciamento digitale: “É stata la chiave di volta nel contenimento in Corea del Sud”.

In Europa il “paziente zero” arrivò a gennaio da Shanghai

In Europa SarsCov2 non è arrivato direttamente dalla regione cinese dello Hubei e dalla città di Wuhan, ma con buona probabilità dalla metropoli di Shanghai. E così se il paziente zero italiano ha contratto il virus in Germania riportandolo nella zona del Basso lodigiano attorno al 26 gennaio, il paziente zero europeo, secondo i ricercatori, è da identificarsi in una donna o in un uomo che è arrivato direttamente da Shanghai e non dal primo focolaio cinese. Questa è l’ipotesi che emerge dal continuo studio sulle sequenze complete del virus. A circa tre settimane dalla scoperta sui primi tre ceppi isolati dai pazienti di Codogno risultati parenti stretti e poco più giovani del virus circolato in Baviera tra il 21 e il 22 gennaio, si aggiunge un tassello importante alla ricostruzione filogenetica di SarsCov2 in Europa. Sulla mappa degli scienziati si è così progressivamente costituito un clade (gruppo) che tiene dentro almeno dieci sequenze di altrettanti Paesi europei, tutte molto simili tra loro e tutte, questa la novità, sovrapponibili a due sequenze cinesi di Shanghai.

Sulla linea filogenetica di questi due ceppi, la prima data di modifica del virus risale a circa la metà di gennaio. Il contagio in Europa sarebbe nato da qui. E che l’ipotesi appaia percorribile lo dimostra il fatto che in Baviera il virus è partito dopo un incontro di lavoro al quale ha partecipato una donna sempre di Shanghai. Qui SarsCov2 è passato su altre quattro persone tedesche, una di queste ha subito avvertito le autorità sanitarie locali permettendo alla Germania di isolare il virus a poche ore dal suo ingresso nella regione della Baviera. Secondo l’ultima ricostruzione, le due sequenze di Shanghai non sono legate temporalmente alla donna che dalla Baviera è rientrata in Cina sentendosi male in aereo. Non sarebbe lei il paziente zero. Si tratta dunque di due ingressi nuovi che hanno dato il via al contagio in Europa e in Lombardia. I passaggi potrebbero essere questi: Shanghai, Germania, Italia. Le nostre sequenze risultano poi progenitrici rispetto a quelle degli altri Stati coinvolti, come Finlandia, Svizzera, Galles. La mappa inoltre fissa uno scambio del virus tra Italia e Germania anche successivamente al 26 gennaio, con il nostro paziente zero che dopo essere rientrato nella zona di Codogno (e non essersi rivolto alle autorità sanitarie) è tornato in Germania contagiando altre persone.

L’analisi a ritroso sulle sequenze dei primi tre ceppi è consistita nel seguire gli errori di replicazione del virus. Una traccia che ha portato i ricercatori dell’ospedale Sacco di Milano a fissare una prima mutazione attorno al 26 gennaio. Questo il periodo in cui SarsCov2 è entrato in Lombardia. Il che, a differenza della Germania, ha reso terribile la diffusione. Il virus, infatti, per quasi un mese ha viaggiato sotto traccia fino al 20 febbraio quando all’ospedale di Codogno si è scoperto il primo paziente Covid in Italia. Da quella data e in meno di 72 ore casi di Covid sono emersi in quasi tutto il nord Italia. La diffusione della malattia si è poi concentrata attorno ad aree rurali come Codogno, la provincia di Cremona, il comune bresciano di Orzinuovi e quelli bergamaschi di Nembro e Alzano Lombardo in Val Seriana. Qui la mappa del contagio ha avuto almeno due vettori umani. Da un lato le fiere del fieno tra Codogno e Orzinuovi con i relativi scambi commerciali, dall’altro una balera del Lodigiano frequentata da persone di Cremona. Sul Bergamasco i collegamenti restano più incerti, ed è proprio per tale motivo che in questi giorni i ricercatori dell’ospedale Sacco di Milano stanno analizzando le sequenze arrivate da quelle zone geografiche.

L’obiettivo è capire come il virus sia arrivato da Codogno. Viene, infatti, escluso che tra la zona di Nembro e Alzano si sia sviluppato un focolaio autoctono e slegato dal Basso lodigiano. Stessa cosa per il focolaio veneto di Vo’ Euganeo per il quale è già stata stilata una ricostruzione epidemiologica che lo lega al Lodigiano. Oggi le sequenze che vengono studiate sono oltre 30. Un numero che promette una precisa ricostruzione filogenetica. In questo modo si comprenderà il suo spostamento e ciò permetterà una maggiore capacità di previsione nel caso si verifichi una seconda ondata di contagi. A 39 giorni dall’emergenza italiana, dunque, sappiamo qualcosa in più: il paziente zero per l’Europa è un cittadino di Shanghai.

Disperati, criminali e mafiosi: chi scommette sulla rivolta

“Allora picciotti nuatri dobbiamo mettere in conto che se scenniamo giù ‘a galera ne facciamo. Chistu e poco ma è sicuro. Pecché se tutti dentro il supermercato di Zamparini (Conca D’oro, grande centro commerciale di Palermo) e mettiamo le macchine a fare barriera vediamo se gli sbirri entrano da dentro. Possiamo rompere le corna pure al Signore”.

Questo audio, finora inedito, è circolato giovedì a Palermo nelle chat che programmavano l’assalto ai supermercati. In dialetto un signore descrive il piano e mette in conto le conseguenze: la galera. Per fortuna c’era la Polizia ad aspettarli. Nulla è successo. Poi è arrivato il decreto Conte con i 400 milioni da spargere subito. Poco più di una pioggerella sul deserto.

La Polizia, dopo che altri audio simili sono stati trasmessi da Le Iene sul web e da In mezz’ora in tv domenica, ha emesso un inedito comunicato su Facebook e Twitter che offre uno specchio dei tempi duri. La Polizia ricorda a tutti che l’incitamento alla violenza, anche sui social, è un reato gravissimo.

A Benevento il 25 marzo la signora Veronica, che campava grazie a un bar chiuso come tutti da settimane, registra un audio diretto al sindaco Clemente Mastella (ne farà altri) che circola nei social e poi su un sito locale. L’audio è sconvolgente: “Sindaco Mastella, stamattina ho raccolto 5 mila firme di persone senza stipendio fisso, mamme di figli che non sanno come mettere il piatto a tavola. Tu stai inguaiato. Se ti trovamm innanz ci magnamm pur’ a te. Le saracinesche non le abbiamo potute aprire. Aspettiamo il 3 aprile. Se non succede nulla, il 4 mattina con queste 5 mila persone abbiamo preparato i bastoni di ferro, andiamo a fare la spesa a modo nostro al Carrefour. Entriamo, prendiamo la spesa per i figli e ci ritiriamo. Quindi o scendi a patti con noi … perché queste famiglie si puzzano di fame”.

Mastella al Fatto racconta di essere scosso perché il video circola ancora: “Questa signora fomenta e la Polizia non riesce a bloccare il video virale”. In realtà la Polizia ha già identificato e denunciato la signora. Poi Mastella aggiunge: “Va detto che la situazione è terribile. La fame e la rabbia sono reali. Qui è saltata l’economia del sommerso, quella che io chiamo l’economia del vicolo. Io sto usando la ditta che serviva i pasti alle scuole per servire pasti alla popolazione. Con i soldi del comune, nonostante sia dissestato, ho dato 250 euro a testa a 400 famiglie. Con i soldi del Governo vorrei farli arrivare a 400 al mese. Mi piacerebbe arrivare a 700 famiglie. Con questi soldi al massimo arrivo a coprire due mesi, ma a Benevento sono migliaia quelli che hanno bisogno”.

La situazione più delicata è forse a Palermo. Alcuni temono ci sia la mano della mafia dietro i messaggi whatsapp. Il sindaco Leoluca Orlando spiega: “La cosa preoccupante sono questi audio virali che eccitano agli assembramenti. È una cosa nuova. A Palermo siamo di fronte a una situazione da economia di guerra. Il nostro Banco Alimentare di solito serve 600 persone. Abbiamo richieste per 9 mila persone! Non solo ambulanti e commercianti in nero. Ci sono pure i proprietari di bed and breakfast, la piccola borghesia che non arriva a fine mese. La Questura dice che non ci sono quasi più reati. Bene ma quelli che vivono commettendo reati come vanno avanti? Magari arruolano dei disperati che registrano i messaggi sui social. Se non arriva il medico, la gente va dallo stregone”.

Il Centro di Accoglienza Padre Nostro di Maurizio Artale è un termometro del territorio. “Abbiamo più del doppio delle famiglie da seguire nei quartieri dove abbiamo i nostri centri: Brancaccio, Falsomiele e Zen. Non solo ambulanti ma molti lavoratori edili in nero. Da 26 anni conosco questi tre quartieri e siamo in fase di vera emergenza”. Artale sta cercando di sopperire ai bisogni nuovi: “Per la prima volta devo pagare le bollette per evitare il distacco della luce alle famiglie. Ci aiuta il Rotary con 5 mila euro e la Fondazione Giovanni Paolo II di Firenze con 20 pacchi spesa fino a fine maggio. I bisognosi vedono questo impegno e questo controlla l’esasperazione. Qualcuno ha apprezzato invece gli incitamenti audio alla violenza andati in onda in tv e abbiamo avuto una discussione su questo”. La situazione più difficile allo Zen: “C’è stato l’episodio del rider derubato: gli hanno preso 80 euro e la spesa che portava. La ditta non consegna più aggravando l’isolamento del territorio”. Però Artale non vede la mano della mafia: “Non ci credo assolutamente. Questa è violenza che monta sul disagio. Dobbiamo dare risposte. Il decreto di Conte è importante ma bisogna spiegare che per far arrivare i buoni servono giorni”. Il sindaco Orlando spiega: “A Palermo spettano 5,2 milioni. Non daremo soldi ma beni alimentari attraverso un sistema elettronico sul telefonino che poi si usa per pagare con carta d’identità e codice fiscale”.

Un’altra città monitorata con attenzione è Napoli. Anche se il sindaco sembra più ottimista sulla possibilità che la situazione degeneri e la camorra ne approfitti. “Il rischio è concreto”, spiega Luigi De Magistris: “Bisogna vedere chi è più rapido ed efficace. Noi stiamo intervenendo con il Banco alimentare di mutuo soccorso e Giuseppe Conte ha dato un buon segnale. Napoli avrà 7,3 milioni sui 400 milioni totali. Però anche usurai e criminalità organizzata non stanno fermi. Dobbiamo sfamare noi le persone prima che arrivi questa gente. Io con i sette milioni posso reggere un mese e mezzo al massimo due mesi. Non si va oltre”.

Benzina sul fuoco

So già che quello che sto per scrivere verrà usato dal Partito Divanista Italiano per attribuirmi cose mai dette né pensate: e cioè che il governo Conte è infallibile e incriticabile perchè va tutto bene. Ma lo scrivo lo stesso. Quello che si sente e si legge in certi social, talk e giornali è benzina sul fuoco della rivolta popolare. E in questo momento di tutto abbiamo bisogno, fuorché di irresponsabili che soffino sulla cenere che cova nelle case di molti di italiani ai domiciliari, senza lavoro nè stipendio, terrorizzati dal contagio e dal futuro, in cerca di un colpevole visibile su cui scaricare la rabbia, essendo il virus invisibile e inadatto alla bisogna. Chiedere un pizzico di responsabilità agli irresponsabili è forse fatica sprecata. Ma forse non tutti lo sono e comunque vale la pena tentare.

Caro Vittorio Feltri, titolare a tutta prima pagina “Assalto ai supermercati”. Il cibo c’è, mancano i soldi per comprarlo” per un paio di episodi circoscritti al Sud (enfatizzati anche da Maurizio Molinari su La Stampa) significa incoraggiare altri a provarci. E descrivere l’Italia come un lazzaretto di mendicanti fa a pugni con la tua teoria della “presunta povertà” che ti fece scrivere su Libero il 13.4.18: “Non è vero che siamo alla canna del gas, al contrario il nostro è uno dei Paesi più ricchi del mondo. Peccato che non ce ne accorgiamo perché ci descriviamo quali straccioni… I numeri della nostra economia, anche domestica, sono invidiabili. I risparmi privati sono mostruosamente alti…”. E il 12.5.19 aggiungevi con la consueta eleganza: “Probabilmente quelli che noi, semplificando, cataloghiamo alla voce pezzenti non sono altro che lavoratori in nero, in grado di guadagnare quanto basta onde sopravvivere. Non pagano le tasse e magari ottengono il reddito di cittadinanza… I poveri sono più finti che reali, e non abbocchiamo. Chi è squattrinato muore di fame e al presente non si registrano decessi per inedia”. Possibile che, dopo un mese scarso di quarantena, siamo già tutti alla fame?

Caro Maurizio Belpietro, continua pure a raccontare ai lettori de La Verità che in Italia il problema non è il virus, ma Conte. Quella è una sciocchezza (secondo me), ma innocua. Però forse titolare sulla “Rabbia di esercito e polizia” e tradurre l’allarme dei Servizi sul Sud “Meridione affamato: tira aria di rivolta” potrebbe rivelarsi un tantino pericoloso. Dai un’occhiata al video postato su Facebook da una gentildonna beneventana che minaccia il sindaco Mastella di andarlo a prendere con 5mila squadristi armati di “mazze di ferro” e capirai cosa potrebbe uscire dal vaso di Pandora, se lo apriamo.

Caro Alessandro Sallusti, il tuo editoriale sullo statista di Rignano che vuole riaprire tutto e dovrebbe fare da cavia con tutta la famiglia, è perfetto. So che sei contro il reddito di cittadinanza, ma non credi che ora sia una benedizione dal cielo che mette al riparo 2,5 milioni di italiani dalla miseria (e da certe idee strane) e andrebbe allargato anziché abolito (come chiede il centrodestra e dunque l’Innominabile)? Persino B., in un lampo di saggezza, lo propose nel 2017. Se non a me, dài retta a lui.
Cari dirigenti dell’Unione sindacale di base, ma che vi dice il cervello quando postate su Fb “Reddito o rivolta”? Ma lo sapete che vuol dire “rivolta”? E contro chi?
Caro Cazzaro Verde, capisco che tu sia in lutto perchè Conte ti ha strappato di mano, anzi di bocca pure la bandiera della polemica contro quest’Europa di bottegai. Dunque continua pure a martellarlo su tutto lo scibile umano. Ma evita, se puoi, di impartirgli lezioni di matematica, tu che non riesci neppure a calcolare il Pil (sbagli di tre zeri), i metri quadri di casa tua (“un bilocale in periferia”: sì, buonanotte) e temo pure la tabellina del 2. Prendi nota: se il governo aggiunge per l’emergenza, cioè per questi giorni, 400 milioni al fondo semestrale di solidarietà di 4 miliardi per i Comuni (anche a quelli governati dalla Lega) affinchè aiutino i poveri a fare la spesa, non puoi dividerli per 60 milioni e ricavarne una mancia di “7 euro a testa”. Perchè i poveri non sono 60 milioni (altrimenti ci saresti pure tu), e neppure 5 milioni (grazie al Rdc votato anche da te e subito rinnegato come le altre poche cose buone fatte a tua insaputa). Sono molti meno: i 400 milioni aiutano le famiglie bisognose per 3 settimane con buoni pasto di 3-400 euro.
Caro (si fa per dire) Innominabile, continua pure a trafficare per buttar giù il governo che hai contribuito a creare. Ma, siccome fino all’altroieri volevi “Tutta l’Italia zona rossa”, piantala di chiedere di riaprire tutto dopo il 3 aprile (prima scadenza del “lockdown”). Non per coerenza, che per te è un vizio capitale insieme alla lealtà e alla correttezza, ma per motivi di ordine pubblico. I gruppi Facebook che minacciano rivolte, jacquerie, grand guignol, assalti ai forni e ai supermercati fissano tutti il D-Day al 3 aprile. Quindi evita, per il tuo e nostro bene, di alimentare quest’attesa messianica del 3 aprile. Si dice che chi gioca col fuoco fa la fine del pollo arrosto. Tu pollo già lo sei: vuoi pure finire arrosto?

Il centro Juve aperto a tutti? Una bufala

“Tutti meritano un centro medico da campioni” recita lo slogan sul sito internet. Eppure pare che non proprio tutti vengano trattati come i campioni. Anche in tempo di Coronavirus. Succede allo Juventus Medical center di Torino, struttura medica legata al club della famiglia Agnelli, dove i giocatori vengono seguiti per qualsiasi tipo di cura, ma che è anche aperta al pubblico. “Per rispondere a un bisogno crescente e insoddisfatto di larga parte della popolazione: potersi affidare tempestivamente e a costi sostenibili a un’équipe medico specialistica di alto livello supportata da tecnologie all’avanguardia” viene spiegato come presentazione del centro medico.

E in questa grande emergenza che il Nord Italia soprattutto sta vivendo, cosa c’è di più all’avanguardia che effettuare i tamponi per il Coronavirus? I calciatori della Juventus i test per il Covid li hanno effettuati nel centro medico di casa dove sono state riscontrate le positività di Rugani, il primo giocatore di Serie A a contrarre il virus, Matuidi e Dybala. Ma se non indossi la maglia bianconera o non sei dello staff allo Juventus medical center il tampone non te lo fanno. “Il nostro centro non effettua la prestazione da lei richiesta” è infatti la mail che ha ricevuto un bresciano che, proprio alla luce dei test effettuati sui giocatori juventini, aveva chiesto di effettuare il tampone Covid. “Avrei la necessità di verificare la positività al Coronavirus essendo stato a contatto con un familiare che purtroppo è risultato positivo” è la richiesta inviata alle 20.34 di lunedì 23 marzo. Il mattino successivo il centro medico della Juve risponde tempestivamente. Rigettando però la richiesta. “Non me l’aspettavo” ammette il bresciano che nel frattempo sta affrontando la quarantena a casa senza ancora essere stato sottoposto al test Covid. “In questa grande emergenza credo – aggiunge – che la sanità dovrebbe essere uguale per tutti. Per me come per il signor Dybala”.

I Comuni in ordine sparso sui buoni spesa. Il reddito d’emergenza non partirà dal Rdc

La firma di Angelo Borrelli è arrivata in serata. E dunque da oggi è operativa l’ordinanza della Protezione civile che distribuisce ai Comuni i 400 milioni per aiutare le famiglie che non riescono a fare la spesa, dopo i primi segnali preoccupanti arrivati dal Sud Italia.

Per l’Anci è un primo passo, anche se a breve servirà un rifinanziamento (si parla di almeno 1 miliardo). Il 75% dei fondi – 300 milioni – verrà ripartito in proporzione alla popolazione residente, il restante 25% (100 milioni) in base al reddito pro capite degli oltre 8mila Comuni. Si va dai 15 milioni per Roma ai 7,2 per Milano, dai 5,1 per Palermo ai 574 mila euro per Crotone.

Saranno i Comuni a decidere la distribuzione. Potranno spendere i soldi erogando buoni spesa fino a 50 euro per nucleo familiare per l’acquisto di generi alimentari (la lista dei negozi dove spenderli verrà pubblicata online) o comprando direttamente generi alimentari e di prima necessità che saranno distribuiti dalle reti di volontariato e terzo settore che già operano con le amministrazioni.

La platea dei beneficiari sarà invece individuata dai servizi sociali di ogni Comune, che dovranno selezionare tra “i nuclei familiari più esposti agli effetti economici” e tra quelli “in stato di bisogno”. La priorità andrà alle famiglie che non percepiscono già “un sostegno pubblico”, quindi prima a chi non riceve già il Reddito di cittadinanza o altri aiuti.

Proprio in tema di sostegno pubblico, il governo sta lavorando al cosiddetto “Reddito di emergenza” (Rem). L’idea lanciata nei giorni scorsi dalla vice ministra dell’Economia, Laura Castelli (M5S) e confermata sabato dal premier Giuseppe Conte sarà inserita nel decreto di aprile. La cifra è ancora da definire, ma potrebbe partire dai 600 euro previsti dal decreto di marzo per partite Iva, professionisti, co.co.co. e stagionali del turismo: è il “reddito di ultima istanza” per il quale dal primo aprile si potrà effettuare la richiesta tramite il Pin Inps e che per ora è una tantum. La nuova misura allo studio allargherà le maglie e dovrebbe riguardare tutte le persone senza reddito e senza ammortizzatori sociali. Difficile al momento calcolare la platea. Probabile che sia destinata anche alle migliaia di lavoratori precari, insieme a colf e badanti, e a coloro a cui sta per scadere il rapporto a termine. Potrebbero non essere previsti requisiti patrimoniali ed eliminati quelli reddituali oggi previsti per il bonus una tantum. Solo in quest’ultimo caso si potrebbe arrivare a coprire anche i lavoratori in nero, stimati in 3,7 milioni di persone. L’ipotesi è che i disoccupati autocertifichino la loro condizione. Il beneficio potrebbe essere attivato con un’erogazione di denaro o sotto forma di pagamento di bollette o affitti. Tutto però dipenderà dalle risorse che il governo riuscirà a stanziare.

L’unica certezza è che la misura non partità dal Reddito di cittadinanza, per il quale il decreto di marzo ha peraltro sospeso diversi obblighi (come quello di cercare un lavoro). I 5Stelle concordano, visto che temono soprattutto di vedere stravolta la loro misura. Ci sarà una clausola di esclusione per evitare la sovrapposizione tra le due platee di beneficiari.

“I fondi servono a mandarci avanti per tre settimane”

Sindaco Decaro, è in pericolo la tenuta sociale nelle città? Si rischiano rivolte per il pane?

A Bari, ma pure nelle altre città, il tessuto sociale tiene. Non si muore di fame. Di sicuro è aumentata la domanda di servizi sociali e di generi alimentari. Ci sono famiglie anziane che hanno bisogno di qualcuno che gli porti la spesa a casa o che vada a ritirare la spazzatura. E ci sono nuclei familiari che magari prima si arrangiavano ed erano fuori dalla rete dei servizi sociali, ma oggi hanno nuovi bisogni. Per esempio chi poteva contare sulle mense scolastiche e oggi invece deve provvedere ai figli da solo. Il peso si scarica tutto sui Comuni.

I 400 milioni stanziati dal governo sono una risposta all’altezza?

Non risolvono i problemi dei Comuni italiani, ma sono importanti. È un fondo di resistenza, ci aiuterà per andare avanti per due o tre settimane. Finora a Bari abbiamo resistito un po’ con le risorse nostre, limitate, e un po’ con le donazioni straordinarie dei nostri cittadini e delle nostre aziende. Con l’aumento della domanda di assistenza rischiavamo di non farcela più, abbiamo chiesto una mano al governo e la risposta sono questi 400 milioni di euro.

Per il sindaco di Pesaro Ricci servono almeno due miliardi.

Questi 400 milioni risolvono i problemi dei Comuni italiani? Ovviamente no. Per quello ci sarà bisogno di ben altre risorse. Senza entrate fiscali non possiamo pagare l’azienda dei rifiuti, tra poco rischiamo la spazzatura per strada. Ma ora dobbiamo occuparci della prima necessità. Questi 400 non sono il ristoro alla mancata capacità fiscale dei comuni, ma una misura di breve periodo per i generi alimentari. I Comuni possono gestirli per alimentare una macchina dell’assistenza che già funziona, mentre il governo ha bisogno ancora di qualche giorno per far arrivare nelle tasche dei cittadini le risorse per le partite Iva e la cassa integrazione in deroga.

Conte sabato ha parlato anche di altri 4,3 miliardi per i Comuni.

Ma il presidente sa bene che quelli sono già soldi “nostri”. Sono risorse del Fondo di Solidarietà Comunale, ogni anno vengono distribuite a maggio e a ottobre. Il governo ha anticipato di un mese l’erogazione.

Secondo Salvini i 400 milioni sono una misura inutile. Con un calcolo sommario dice che sono solo “7 euro a persona”.

Non so che calcolo sia. A Bari arrivano quasi due milioni, tanti soldi qui non li abbiamo mai visti. Altro che inutili.

Come vi organizzerete per distribuire queste risorse alla gente che ne ha bisogno? Non temete file e disordini?

Non cambierà niente nell’organizzazione, continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto, solo con qualche risorsa in più. Ogni città si organizza come crede, secondo i bisogni del proprio territorio. Alcuni Comuni consegnano il cibo già cucinato a domicilio, alcuni portano le buste con i generi alimentari, altri distribuiscono buoni spesa, altri ancora hanno un sistema misto, oppure pagano il banco alimentare. Da noi ci affidiamo agli assistenti sociali. Sono loro a decidere. Faccio un esempio: magari ci sono famiglie che se ricevono un buono pasto lo usano per comprare il vino e non il cibo per i bambini. In quei casi porteremo la spesa a casa.

Ha l’impressione che ci sia chi soffia sul fuoco della sofferenza sociale, tifando rivolta?

Non lo so. Io devo dire una cosa che nel mio partito non è molto popolare: meno male che c’è il reddito di cittadinanza. Senza quella misura in alcuni territori sarebbe esplosa davvero l’emergenza sociale. Non so se qualcuno tifa per i disordini, ma so che oggi è davvero il momento di stare uniti. Una situazione così quelli della mia generazione non l’hanno mai vissuta, nemmeno i miei genitori. È davvero uno scenario da guerra mondiale, ci si può mettere a fare polemiche? Almeno finché non usciamo dall’emergenza sanitaria dovremmo stare tutti dalla stessa parte.

Come valuta la gestione dell’emergenza del governo Conte?

Noi sindaci abbiamo fatto una scelta: non metterci a discutere le decisioni della cabina di regia. È un momento di emergenza nazionale, non un talk show. Abbiamo anche chiesto di rinunciare al potere di ordinanza sanitaria, che sulla carta spetta ai primi cittadini: se non ci fidiamo nemmeno dell’autorità sanitaria nazionale non andiamo da nessuna parte. Mi sarei aspettato che anche le Regioni facessero un passo indietro.

I giornali, Salvini e i suoi fratelli: chi fa il tifo per l’esasperazione

Ieri l’ha detto anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando: “Ci sono sacche di sofferenza sociale. Se lo Stato non le affronta c’è il rischio che sfocino in violenza”. La società è stremata dal Coronavirus e dal blocco delle attività produttive. Ma non tutti lavorano per risolvere l’emergenza: c’è chi tifa rivolta. Qualcuno considera le tensioni sociali che attraversano l’Italia un’opportunità. È così che si spiegano le parole di quei politici che soffiano sul fuoco dei disordini sociali. Ed è così che spiegano i titoli dei giornali che a quegli stessi politici tirano la volata.

La stampa. È illuminante lo sfoglio delle prime pagine dei giornali di destra.

Su Libero la frase che colpisce è l’occhiello rosso sopra il titolo d’apertura: “Assalto ai supermercati”. Perché “Il cibo c’è, mancano i soldi per comprarlo”. Sembra strano, ma sono gli stessi che tre giorni prima, nell’editoriale di Vittori Feltri, rassicuravano: “Chi vi dice che il Coronavirus è una guerra sta delirando”.

A proposito di guerra, Il Giornale di casa Berlusconi, diretto da Alessandro Sallusti, preferisce la suggestione bellica. Il titolone sparato in prima è questo: “Tessera annonaria (come in tempo di guerra)”. Sottotitolo: “Superati i 10 mila morti, ora Conte ha paura: soldi per il cibo”.

La Verità di Maurizio Belpietro invece fa un lavoro più sofisticato. Il primo richiamo non è direttamente alla violenza sociale, ma alla condizione delle forze armate: “La rabbia di esercito e polizia: ‘Allo sbaraglio senza difese’”. Sfogliando il giornale, si capisce presto dove si vuole andare a parare. A pagina 3 c’è appunto l’articolo sulle forze dell’ordine: “Chi ci protegge è lasciato senza protezioni”. A pagina 5 il suo naturale complemento: “Meridione affamato: tira aria di rivolta”.

Ad aumentare il senso di anarchia imminente, anche l’articolo di taglio basso: “Milano, brucia il tribunale. La giustizia resterà paralizzata per dei mesi”.

Infine Il Tempo di Franco Bechis: “Non c’è pane? Mangino briciole”. La parafrasi di Maria Antonietta serve a presentare – come scrive il direttore – “un Paese (quasi) alla fame”. Insomma, nei titoli e negli editoriali della stampa di destra ci sono tutti gli elementi del caos: riferimenti alla guerra, alla giustizia paralizzata, a fame e mancanza di cibo, alla paura, alle difficoltà di chi deve mantenere l’ordine pubblico. Ma senza drammatizzare, anzi: si legge in filigrana quasi un certo compiacimento.

I politici. Se i giornali di destra sembrano tifare rivolta, è perché quella parola è stata sussurrata da qualcuno. Il primo a evocarla non poteva che essere Matteo Salvini. Il 25 marzo, prima di altri, ha rilasciato un’intervista alla Stampa con questo titolo: “Spendiamo tutto, anche 100 miliardi o sarà la rivolta”. Salvini ha liquidato i 400 milioni stanziati dal governo per i Comuni con un calcolo disarmante: “Sono 7 euro a testa”. Come se quei soldi andassero divisi e consegnati individualmente a 60 milioni di italiani. Una sciocchezza che pare concepita apposta per soffiare sulla collera di chi è in difficoltà.

A differenza del collega, Giorgia Meloni non ha mai parlato di violenze o disordini. Si limita a smontare sistematicamente qualsiasi proposta arrivi da Palazzo Chigi. A volte in modo comico. Ieri, su Twitter, ha cambiato giudizio nel giro di 40 minuti. Prima ha lodato il “suo” governatore: “La Regione Sicilia stanzia 100 milioni per l’assistenza alimentare dei meno abbienti. Complimenti a Nello Musumeci”. Mezz’ora più tardi ha criticato la stessa misura, però adottata dal governo: “Presidente Conte, a che serve l’umiliazione dei buoni e delle derrate alimentari?”. Accortasi del pasticcio, ha cancellato entrambi i tweet. Troppo tardi.

Di Matteo Renzi basterà dire questo: pur di ricevere qualche forma di copertura mediatica, mentre il governo di cui fa parte impone il sacrificio di chiudere tutto, lui propone di “riaprire”. L’ha detto in un’intervista all’Avvenire: “Bisogna consentire che la vita riprenda. Sono tre settimane che l’Italia è chiusa e c’è gente che non ce la fa più. Non ha più soldi, non ha più da mangiare. Così si accende la rivolta sociale”. Rieccoci.

Il sindacato. Per completare il quadro, soffia sul disordine anche il sindacato di base. Secondo l’Usb “il governo ha sentito l’esigenza di intervenire solo dopo che gli organi di sicurezza hanno segnalato seri rischi per l’ordine pubblico. Sanno che la situazione è drammatica e intevengono solo in modo simbolico”. Lo slogan dell’Usb non è esattamente un inno all’unità nazionale: “Reddito o rivolta”.