Tutto fa supporre che il dopovirus – drammaticamente somigliante a un dopoguerra – trasformerà il sistema politico. Vedremo cose sorprendenti, come i nostri padri e nonni dopo la Liberazione. Ce lo ricorda Marco Follini nel suo Democrazia cristiana. Il racconto di un partito, immeritatamente oscurato dal coprifuoco. L’osservazione è lasciata cadere senza enfasi: “Alla fine degli anni Quaranta l’affermazione democristiana era giunta inattesa”. Il senno di poi rimane incredulo. È il partito che ha dominato per 50 anni prima di essere schiantato di colpo dall’inchiesta Mani pulite.
Un altro volume appena uscito per sfidare suo malgrado il coprifuoco delle librerie ci regala numerose sorprese sulla storia della Dc, e spiega come la partita politica del Dopoguerra fu apertissima e i suoi esiti siano stati tutt’altro che scontati. Simile anche nel titolo, Una storia democratico cristiana è la lunga intervista con cui Ivo Butini – storico luogotenente di Amintore Fanfani nella Toscana che fu baricentro della storia Dc con leader come Fanfani ma anche Giovanni Gronchi, Attilio Piccioni, Giorgio La Pira – si racconta al figlio Francesco.
Follini, 65 anni, ha vissuto in prima persona la parte finale della parabola scudocrociata e la analizza con qualche incredulità, oscillando tra nostalgia e autoflagellazione. Ne risulta un ritratto in chiaroscuro, come se il Dna della Dc fosse caratterizzato dall’inestricabile intreccio di virtù e peccati, a somiglianza dell’Italia. Butini, morto nel 2016 a 89 anni e iscritto alla Dc dal ‘45, ha vissuto l’epopea delle origini ed è molto più netto e sanguigno nel racconto. Ma entrambe le testimonianze, nate al servizio di un’appassionata memoria diventano nella tempesta Coronavirus preziosi vademecum per il futuro.
Dallo sconvolgimento bellico nasce una cosa impensabile: un grande partito cattolico nel Paese in cui la Chiesa, dopo l’Unità d’Italia, con il non expedit per 50 anni aveva vietato ai fedeli la partecipazione alla politica. Uno scherzo della storia che Follini descrive attraverso la parole del grande giornalista Enzo Forcella: “Il primo impatto con i cattolico-democristiani provocò una reazione di sorpresa e di incredulità. Sapevamo qualcosa del liberalismo, del socialismo, dell’azionismo: non sapevamo assolutamente nulla di questi uomini che si presentavano all’insegna piuttosto buffa dello scudo crociato, cantavano Biancofiore, andavano a messa tutti i giorni e citavano in continuazione le encicliche e i messaggi papali… Più propriamente non immaginavamo neppure che potessero esistere”. Lo scrittore Pietro Citati è ancora più graffiante: “Chi era ragazzo negli anni tra il 1945 e il 1948 vide improvvisamente apparire alla luce una razza che non aveva mai conosciuto: i democristiani. Fino ad allora, avevano condotto una vita nascosta attorno agli arcivescovadi, le sacrestie, le scuole e le associazioni cattoliche; e sembravano stupefatti di apparire ai raggi del sole”. Ma non erano alieni. Butini rivendica origini proletarie e padre socialista.
Ricorda che la Dc, come il Pci, fa fare carriera ai figli degli operai e racconta come la sua generazione andata a scuola nella dittatura vuole vivere dentro la politica fino in fondo, fino a scontrarsi con i capi del partito: “Mi volete spiegare perché io vengo al partito e si parla dell’esistenza di Dio, e per parlare della Costituzione devo andare all’Azione cattolica?”. Erano anche tempi di furia giovanile contro la vecchia politica: “C’era una contestazione del mondo prefascista, per una ragione molto semplice: perché non siete stati in grado di impedire il fascismo? Ora sembrano sciocchezzuole, ma a quel tempo queste robe erano serie”.
Come serio era il sogno europeo, idee forti di gente che si guardava negli occhi: “De Gasperi, Schuman e Adenauer quando parlavano fra di loro parlavano tedesco”, ricorda Butini. Eppure, nota Follini, nella gerarchia dei valori di quel ruggente Dopoguerra, per i cattolici “il bene – quello profondo – risiedeva altrove, la politica era molto, ma non tutto”. E spiega: “Negli scritti giovanili e nelle riflessioni più attempate dei leader politici democristiani ricorre assai spesso la consapevolezza che la politica non è tutto e non può tutto, che c’è tanta vita che si svolge al di fuori dei suoi confini”. Già, c’è la politica ma c’è anche la società, ciò che oggi molti dimenticano, convinti che la realtà coincida colTruman Show dei teledibattiti.
Follini cita Robert Musil, l’autore di L’uomo senza qualità: “Democrazia, per dirlo con la massima concisione, significa: fai quel che accade”. La Dc vuole accompagnare i movimenti della società con un peculiare “rovesciamento del gattopardismo”. Ma ha idee diverse di come farlo. Ricorda Butini: “De Gasperi aveva come primo obiettivo la ricostruzione dello Stato, dalla burocrazia fino ai prefetti. La sinistra della Dc diceva: prima si cambia tutta la società e poi si vede di rimettere a posto quello che c’era prima”. E ripercorre la sua parabola giovanile, prima seguace di Giuseppe Dossetti, padre nobile della sinistra Dc, poi vicino all’atlantismo europeista di De Gasperi, poi con Fanfani continuatore di Dossetti. “De Gasperi è riformatore perché vuole correggere l’eccesso della presenza statale nell’economia, Dossetti era contestato nel mondo cattolico perché sosteneva una visione forte dello Stato. Io che ero stato educato nelle scuole fasciste, dello Stato non avevo paura”.
De Gasperi cade, tocca a Fanfani: “Quando De Gasperi perde nel 1953 perché la destra monarchica, e probabilmente borghese, non lo segue più, arriva Fanfani e dice: ‘Si sfonda a sinistra’, con la politica sociale si recupera a sinistra quello che si è perso a destra”.
Fanfani firma la stagione delle grandi riforme che avranno il culmine nella nazionalizzazione elettrica. Ma è lì che sfuma la luna di miele della Dc con il Paese. Follini affida la descrizione a Leonardo Sciascia, che in Todo modo scolpisce il sinistro raduno di “quella che si suole chiamare la classe dirigente. E che cosa dirigeva in concreto, effettivamente? Una ragnatela nel vuoto, la propria labile ragnatela”. La Dc si fa spietata bisca di correnti: “Se i leader non ci sono, sono i colonnelli che comandano, non il generale, e i generali hanno ciascuno il suo reggimento. La fine di De Gasperi apre questa partita, che dura fino alla fine della Dc”. Già, la fine: “Il sistema politico si è corrotto non perché uno fa anche carriera, e va bene, ma perché uno passa di lì per fare solo più carriera. Allora questa è politica privata”. E sembra impossibile non leggere in queste parole l’annuncio di una prossima moria di guitti e mestieranti. Spazzati dalla pandemia, in Italia e non solo.