I medici: “Noi a giudizio solo per colpa grave”

Uno scudo penale e civile contro il rischio di errori in corsia. La richiesta è arrivata dai medici in prima linea contro il coronavirus – anestesisti, pneumologi, infettivologi –, ma anche dai colleghi con altre specialità che, con ordini di servizio, vengono catapultati in questi giorni nei reparti Covid. Ed è diventata uno delle otto proposte di emendamento ai decreti del premier Giuseppe Conte del 9 e del 17 marzo. Tutte presentate dall’Anaao, il sindacato dei medici, alle forze di maggioranza e opposizione.

Per fissare prima di tutto un paletto: la punibilità dovrà esserci solo in caso di lesioni intenzionali o di colpa grave, con “la macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria, dei protocolli o programmi emergenziali”. E per la valutazione della colpa – per tutto il periodo dell’emergenza – bisognerà tenere conto anche delle risorse effettive a diposizione in relazione al numero dei pazienti e del fatto che potrebbero essere anche un nefrologo o un pediatra a doversi occupare di un ricoverato infettato.

Per il paziente, di fatto, non cambierebbe nulla: in caso di lesioni sarebbe comunque risarcito dall’azienda sanitaria. Per il medico, invece, cambierebbe molto: si ridurrebbe sensibilmente lo spazio di manovra della stessa azienda per rivolgersi alla Corte dei conti e intimargli di risarcire il danno all’erario. Paletto necessario, secondo il segretario dell’Anaao Carlo Palermo. “Abbiamo medici che lavorano anche ottanta ore alla settimana e ortopedici chiamati in pneumologia – dice Palermo –. Il carico eccessivo o la prestazione al di fuori della propria specialità dovuti all’emergenza possono anche inficiare la qualità della performance clinica”. Ci sono poi due emendamenti che riguardano alcune delle norme dei decreti Conte più contestate: quella che dà il via libera alle mascherine chirurgiche come dispositivo adeguato a prevenire il contagio (e non a quelle filtranti come la Ffp2 e Ffp3, più protettive) e quella che impone al personale sanitario di stare in corsia, se asintomatico, anche se è venuto a contatto senza Dpi con un soggetto a rischio. In quest’ultimo caso, se approvato, l’emendamento introdurrebbe l’obbligo dell’isolamento per 72 ore e il rientro al lavoro solo previo tampone negativo. Un tema molto sentito. Il numero degli operatori sanitari contagiati è infatti in costante aumento. Ieri erano saliti a 7.763, 618 in più in ventiquattr’ore. Di questi, circa il 52% sono costituiti da infermieri, il 28% da operatori sociosanitari e tecnici di laboratorio, il 20% da medici. Anche gli infermieri continuano a combattere. All’ospedale di Pesaro, denunciano, tutti le analisi dei tamponi sono stati fatte per circa un mese in un unico laboratorio, quello di Ancona. “Con il risultato – dice Domenico Sanfilippo, del sindacato Nursing Up –, che i referti arrivavano anche dopo una settimana, durante la quale infermieri e medici continuano a lavorare, senza sapere se erano stati infettati: e alcuni lo erano. Solo venerdì, con Pesaro zona rossa dall’8 marzo, è entrato in funzione un laboratorio”.

“Mia madre lasciata morire”. Ora si indaga per epidemia colposa

“Mia madre era vitale e non si era mai abbattuta, da sola prendeva l’aereo, si è ammalata all’ospedale Umberto I di Enna, lì l’hanno contagiata ed è morta da sola”. La voce di Chiara Maddalena è spezzata dal pianto, poi un lungo silenzio. La madre, Maria De Gregorio, di 76 anni, si è spenta nel letto del nosocomio Chiello di piazza Armerina, lo scorso 21 marzo, dov’era stata trasferita il giorno prima.

Un calvario durato due settimane, che ha spinto i familiari a presentare un esposto dettagliato con l’assistenza dell’avvocato Fabio Anselmo, lo stesso del caso di Stefano Cucchi, allegando le conversazioni via chat con i medici alla Procura di Enna. Il procuratore capo Massimo Palmeri e la sostituta Stefania Leonte hanno già acquisito la cartella clinica e aperto un fascicolo contro ignoti per epidemia colposa.

L’anziana De Gregorio è ricoverata al reparto di medicina generale dell’Umberto I il 7 marzo. La figlia Chiara, preoccupata, rientra in Sicilia, però arrivando da Genova, per precauzione si mette in autoisolamento e si registra al portale della Regione. Affitta una stanza in una struttura vicina al nosocomio, ma non potendo far visita alla madre, contatta i medici del reparto.

“Mi dicono che ha la polmonite, le hanno fatto un rx al torace e ha del liquido nei polmoni – spiega Chiara –, mia madre era affetta da fibrosi polmonare, preoccupata chiedo subito che le facciano il tampone, per scongiurare che possa avere il Covid”.

I medici però non le fanno il tampone, escludendo che la donna, pur essendo tornata a Pietraperzia (Enna) a fine gennaio, dopo aver trascorso alcune settimane tra Milano e Perugia, potesse avere il coronavirus.

Nella prima settimana, la situazione sembra stabile. I medici rassicurano la figlia dicendole che la madre “risponde bene alle medicine ed è in miglioramento”. Si sente un po’ stanca. “Mia madre mi racconta che nelle stanze veniva molta gente, che passava a far le visita – spiega Chiara –, ma nessuna aveva le mascherine, in più condivideva la stanza con un’altra paziente. Ho chiesto al medico se fosse normale, il quale mi ha risposto che non c’era sovraffollamento, che le mascherine non sono obbligatorie, bisogna mantenere la distanza di un metro”.

Qualche giorno dopo però la donna inizia ad accusare una forte tosse. “Mi spiegano che va tutto bene, è solo il normale percorso della polmonite – racconta Chiara –, e le hanno prescritto una tac al torace”. Poi le arriva un sms dal medico della struttura ospedaliera. “Signora entro domani dimettiamo tutti perché dobbiamo svuotare il reparto. Avrà notizie”.

“Contatto di fretta e furia il medico, il quale mi risponde che dai risultati della tac non c’è più il liquido dei polmoni, per la tosse non dovevo preoccuparmi, dipende dalla sua patologia, quindi la dimettono”, racconta la figlia.

L’azienda sanitaria provinciale di Enna ha spiegato che avendo “individuato l’Umberto I come ospedale Covid”, molti pazienti sono stati dimessi o trasferiti in altre strutture.

L’ansia di Chiara però cresce, e non potendo intervenire direttamente, essendo ancora in quarantena, continua a chiamare medici e dirigenti sanitari, chiedendo che la madre possa essere ricoverata in un’altra struttura. Alla fine l’anziana donna è trasferita la sera del 20 marzo all’ospedale Chiello di piazza Armerina (Enna). Il giorno dopo però arriva la brutta notizia. “Mi chiama una dottoressa per dirmi che mia madre è grave – racconta Chiara Maddalena –, ha una situazione polmonare critica. Sbalordita mi chiede che cosa mi avessero detto da Enna, le racconto che avevo chiesto che le facessero il tampone, ma mi avevano rassicurato che stava bene e poteva essere dimessa”. La sera però l’anziana si spegne nel suo letto.

“C’è stato un eccesso di zelo nel trasferire questi pazienti – spiega Francesco Iudica, Direttore generale Asp di Enna – non siamo in condizione di dire quando si è ammalata la signora, alla donna non era stato fatto il tampone, però l’esame della tac rendeva evidente l’estrema probabilità che si trattasse di una persona Covid”.

Diversi focolai si sono accesi nella provincia di Enna, dove i casi di contagio sono arrivati a 158 (92 ricoverati e 9 decessi). Positivi anche 3 medici dell’ospedale Umberto I, mentre nel nosocomio di piazza Armerina il personale medico è risultato negativo al tampone.

“La donna ricoverata nella stanza con mia madre è morta, e altre persone che erano in quel reparto sono risultate positive – racconta Chiara –. Non mi do pace, mi dicevano che andava tutto bene, avrei dovuto farla trasferire subito a Catania, forse si sarebbe salvata”.

Superati i diecimila morti. Ma la crescita si è stabilizzata

La soglia è scavallata. D’un colpo le 889 unità di cui il commissario all’emergenza Angelo Borrelli ha dato notizia nella consueta conferenza stampa delle 18 hanno portato il numero dei morti oltre il limite tutto psicologico dei 10 mila casi. Il Covid-19 ha ucciso 10.023 persone e lo stillicidio delle cifre comunicate a metà pomeriggio non può dar conto del dolore che si vive nei reparti ospedalieri dalle zone più colpite né nelle case di chi ha perso un caro o un amico. I numeri sciorinati dal capo della Protezione civile, tornato al suo posto dopo qualche giorno con la febbre, confermano che il contagio continua, anche se le cifre suggeriscono che la crescita si stia stabilizzando.

Sono infatti arrivate a 92.472 le persone contagiate dal nuovo coronavirs nel nostro Paese, con un aumento di 5.974 da venerdì che corrisponde al 6,91%. L’incremento percentuale continua a scendere, sia pure lentamente. Sono 70.065 le persone attualmente positive, al netto dei morti e dei 12.384 guariti. Una buona notizia arriva proprio dal fronte delle guarigioni perché sono 12.384 le persone che hanno sconfitto il coronavirus, 1.434 in più di venerdì, quando l’aumento dei guariti era stato di 589: è l’incremento più alto registrato dall’inizio dell’emergenza, ben più consistente del precedente record del 18 marzo, giorno in cui la lancetta si era fermata a quota 1.084.

Tutti ripetono che la situazione resta difficile e le misure di distanziamento sociale sono indispensabili: “Se non fossero state adottate, registreremmo ben altri numeri – ha spiegato Borrelli in conferenza stampa – e le strutture sanitarie che sono in situazione critica in alcune regioni sarebbero in situazione ben più drammatica. Ci saremmo trovati in una situazione insostenibile”. Il momento è fotografato dai numeri. I ricoverati con sintomi negli ospedali sono 26.676, con un incremento di 647 rispetto a ieri. Di queste, in terapia intensiva ci sono 3.856 persone (+124 rispetto a venerdì): il 26 marzo erano 3.612. E cresce anche il numero delle persone in isolamento domiciliare: 39.533, con un aumento di 2.880 unità.

Le cifre nazionali trovano corrispondenza con quelle registrate nel focolaio della crisi. Nella Lombardia flagellata il numero dei decessi resta alto e costante, ma l’incremento giornaliero dei positivi registra una flessione. Il numero totale dei contagi nella regione più colpita è di 39.415, 2.117 in più rispetto a venerdì quando però l’aumento era stato di 2.409 casi. Stabile il numero dei deceduti: 542, uno in più dell’altro ieri per un totale di 5.944. Continua, tuttavia, la frenata dei nuovi ricoveri: in terapia intensiva restano a lottare per la vita 1.319 pazienti, solo 27 in più, mentre i pazienti accolti negli altri reparti sono 11.152, 15 in più. La provincia di Lodi, da dove il morbo è partito, è ancora una vota quella che fa registrare l’aumento più basso nei contagi tra le dodici della Regione: solo 23. Due sono i nuovi casi a Codogno, uno dei dieci comuni dichiarati zona rossa nella fase iniziale della diffusione. Tira un impercettibile sospiro di sollievo Bergamo: la sua provincia continua a lottare contro lo tsunami e rimane la più colpita con 8.349 casi: 289 in più di 24 ore prima, quando però l’aumento era stato di 602 unità. Il morbo continua invece a diffondersi a Brescia, altro territorio martoriato, con 373 nuovi positivi: venerdì erano stati 374.

“Ci sono dati che non stanno più crescendo in maniera esponenziale”, ha commentato ieri l’assessore al Welfare della Regione Giulio Gallera. Ma per parlare di riapertura, anche solo “graduale” come suggerito dall’ex premier Matteo Renzi, è presto. L’Italia sarà “al sicuro solo quando l’indice di contagio, il cosiddetto ‘R con zero’, sarà inferiore a uno – ha spiegato l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco – cioè quando un positivo potrà infettare meno di una persona, ma è difficile dire quando accadrà”. “Molto dipenderà dall’andamento dell’epidemia in Lombardia e speriamo che non ci sia un aumento a Milano (in provincia i 314 nuovi positivi – venerdì erano stati 547 – portano il totale a 7.783. In città sono 150, a fronte dei +261 dell’altro ieri, ndr) – ha aggiunto l’ordinario di Igiene all’università di Pisa e responsabile Emergenze epidemiologiche della Regione Puglia – Al momento, cioè, ci sono troppe incognite”.

Fatturo col Covid-19: il video “piazzista” di Cairo

Insomma a Urbano Cairo le cose vanno bene. Il mago della pubblicità l’ha declamato con un video – che gli fa pessima pubblicità – ai suoi venditori, un messaggio per motivarli a inseguire i clienti, i mai domi inserzionisti, oggi meglio dell’anno scorso che non fu in quarantena. Il Papa prega nel vuoto di San Pietro, Cairo fattura nel salotto di casa.

Il patron di Rcs dice che gli ascolti di La7 e i lettori del Corriere crescono, gli spot volano, la gente seppur reclusa vuole comprare, ci sono i negozi di alimentari, le farmacie e persino le profumerie prese d’assalto dai consumatori.

La figlia ha notato una bella donna con marito, “accontentata” con una spesa di oltre 300 euro di cosmetici. “Mi sento come se fossi nel 1996, quando ho lanciato la Cairo Pubblicità, allora eravamo pochissimi, scatenati più che mai”.

Ha sentito il capo di Conad, i carrelli sono pieni, più 20 per cento rispetto a quando, chissà, si mangiava poco. Ha parlato col suo amico Zanetti di Segafredo, che sta in Polinesia, molto interessato a Rcs, perché “o cafè pure ’n carcere (domiciliare) ‘o sanno fa”. Urbano macina soldi, non chicchi di caffè, e stacca anche 15 milioni di euro di dividendi per gli azionisti di Rcs, e il comitato di redazione di via Solferino protesta invano. Con una mano taglia, con l’altra telefona, fa proposte al tizio dei salumi che, tac, gli stacca un assegno da 230.000 euro, poi un altro imprenditore, di questi tempi, ne spende così 150.000, e pure Dompè, e poi Francesco Starace, l’amministratore delegato di Enel (auguri, per gli altri Urbano che seguiranno), ha pronto un milione di euro, ma che milione, precisa Cairo mentre conciona e saltella dalla gioia, un milione e centomila euro. Perché gli italiani dovranno pure accenderla la luce nel bilocale, immaginatevi se privi di finestre. Enel a tutta pagina, a tutto schermo. Ma poi chissà se questi “freschi” clienti gradiscono davvero questa messa in pubblico… Anche dalle spiagge della Polinesia.

In serata, dopo il video che ha divertito e indignato, Cairo ha cercato di rimediare, e con meno entusiasmo. Sostiene che già l’8 marzo (anche previdente) disse di “prendere misure drastiche” e che polemica inutile per questo video, al solito “interpretato in maniera malevola”.

“È il video della speranza”. La sua. Cairo è il lato b (o B.) del dramma Covid-19. E anche il lato a.

Arcobaleni nei disegni dei bimbi e gli anziani che scoprono il web

 

Un mio regalo per gli amici del Fatto

Mi chiamo Arianna Careri e ho sette anni. In questi giorni disegno molto, guardo video su You Tube e faccio i compiti. Tanti saluti.

(il disegno di Arianna è l’arcobaleno nella foto qui accanto)

Arianna

 

Nei giorni più duri basta cercare bene

Buongiorno, sono un medico chirurgo romano 67enne. Lo studio ha limitato l’attività ai soli casi urgenti che contattano la mia assistente con trasferimento di chiamata e una signora 78enne, mia paziente da una vita, ha richiesto il mio intervento. Mi bardo con guanti e mascherina e vado in studio. Risolvo il problema e a debita distanza scambiamo due chiacchiere. “Lo sa dottore – mi dice –, che io abito con la famiglia di mio figlio e di questi tempi è una grande consolazione! Lei sa benissimo – continua –, che io ho avuto sempre problemi con cose tipo bancomat e cellulari; mi si ingarbugliano le idee anche se ho a che fare con la sua segreteria telefonica. Ho un nipote che studia, ma ora sta a casa e poveraccio non può neanche vedere la fidanzata, e in queste settimane mi sta insegnando a usare il cellulare e il Pc! Una meraviglia! Pensi che comincio a navigare in Rete! È proprio vero, caro il mio dottore, che anche nei periodi più duri come questo del coronavirus ci sono tante porticine che si aprono, basta cercarle!”.

La sera, in tv, ho visto la preghiera di papa Francesco, e mi ha colpito il vangelo della barca nella tempesta. Mi è tornata in mente la signora e le sue porticine quando il Papa ha detto che la vita non può essere uccisa.

La simpatica 78enne ha fatto sua questa affermazione di un’altezza e profondità incredibili, e mi ha consolato dalla tristezza di uno studio chiuso e dei miei due figli che lavorano (lavorano?) nel turismo. Cerchiamo queste porticine di speranza che ci consentono di non trasformare la paura in disperazione pur in mezzo alla tempesta.

Roberto Giagnori

 

Ho dipinto la piazza che sto per lasciare

Sono Luciana e vivo in un palazzo storico nel centro di Genova… ho tre figli adulti che vivono nelle loro abitazioni. Ho 73 anni e mi sono autopensionata qualche anno fa… continuo, anche in questi giorni, ad ascoltare e sostenere ex pazienti (ero psicologa e docente), a condividere parole e sentimenti con amici e parenti… Certamente ascolto musica, leggo e dipingo.

Vi mando l’ultimo mio quadretto su piazza Sauli (nella foto a sinistra): è il mio viatico per la futura separazione da questa mia casa per un altro quartiere… Penso che ogni separazione, anche se ci porta un po’ o tanto dolore – come questo periodo in cui tanti, come me, vivono da soli – sia veramente un distacco, uno scalino da fare per un successivo cambiamento… che sempre ci rinnova. È la storia della nostra età evolutiva che dura non solo fino all’adolescenza ma in tutte le fasi della nostra esistenza…

Luciana Urbini

 

La sorpresa di Tommy a tutto il condominio

Nel nostro condominio siamo 14 famiglie con una media di 60 anni. Ci siamo svegliati con una sorpresa fuori della porta. Questa sorpresa è stata realizzata da un bambino di 3 anni. L’unico bambino che abita nel condominio. È stata una bella sorpresa che ci ha fatto felici. Grazie Tommy.

(Il regalo di Tommy è il messaggio con il cuore nella fotografia qui accanto)

Gianni Dal Corso

Tra Torah e Corano, cosa fanno le altre fedi

C’è chi studia la Torah, chi recita il Sutra del Loto e chi impara a memoria il Corano. L’Italia delle minoranze religiose, in questi giorni, è in pieno fermento. Chiese, templi, moschee, è tutto chiuso. Ci si coordina sul web. Si scandagliano i testi di riferimento. Si prega incessantemente, a distanza, anche con praticanti di altre confessioni. E poi ci sono gli aiuti economici, ciascuno come può.

L’Unione delle comunità ebraiche italiana, che rappresenta circa 20mila fedeli, si è lanciata subito nella sfida di vincere l’isolamento attraverso internet. Su Facebook ogni giorno c’è una rassegna stampa commentata, oltre ai contribuiti dei rabbini e alle lezioni di lingua ebraica. Una parte dell’otto per mille l’Ucei la destinerà al supporto diretto dell’emergenza. “La storia ebraica – fa sapere la presidente Noemi Di Segni – è caratterizzata dall’assunzione di responsabilità, verso se stessi e verso il prossimo”.

Stessa raccomandazione è arrivata ai fedeli musulmani della Confederazione islamica italiana (1 milione circa). Gli imam in questi giorni invitano i credenti a donare il sangue. “È stata emanata una Fatwa – ha detto il referente Walid Bouchnaf al Fatto – che concede ai musulmani di non recarsi a pregare, ciò che conta è l’intenzione”. Per l’Islam quest’emergenza è una prova offerta da Dio: è lui che decreta il destino.

Il presidente della Federazione delle Chiese evangeliche, il pastore Luca Maria Negro, invece, la definisce “un assordante gemito della creazione”, che sprona i fedeli ad essere fiduciosi e concreti. Le Chiese Valdesi e metodiste hanno stanziato 8 milioni di euro e incoraggiano a non avere paura: “La nostra fede – spiegano – ha come fondamenta l’assoluta fiducia in Dio”.

Con l’hashtag #Iopregoacasa anche l’Unione induista italiana ha lanciato una campagna di preghiera collettiva. “Ne abbiamo tanto bisogno, serve consapevolezza e spirito comune”, fa sapere la monaca Swamini Hamsananda. Per gli induisti “ciclicamente l’uomo cade in momenti di disgrazia per recuperare un equilibrio spirituale in armonia con le leggi dell’universo”. A pregare per l’Italia ci sono anche i buddhisti. L’Unione buddhista italiana, che rappresenta circa 50 centri, destinerà all’emergenza 3 milioni di euro: una parte alla Protezione civile ed una al terzo settore. “Sentiamo forte – ha dichiarato l’Ubi – l’invito a tradurre in azioni la compassione verso l’altro. Questa è un’opportunità per approfondire la condizione di fragilità che accomuna tutti gli esseri umani”. Anche l’Istituto buddhista italiano Soka Gakkai, che riunisce i praticanti (100mila in Italia) del buddhismo di Nichiren Daishonin, ha deciso di devolvere alla Protezione civile 500mila euro, oltre all’otto per mille che riceverà per la prima volta a giugno. “La nostra pratica – spiega l’Ibisg – si basa sul proteggere e preservare la vita di ogni essere umano. Crediamo che la preghiera inevitabilmente contribuirà ad uscire al più presto da questa grave crisi in Italia come nel resto del Pianeta”.

Undici milioni per il Papa in tv: “C’è bisogno di lui per sperare”

“Papa Francesco ci ha dato un motivo per tenere accesa la speranza”. La voce di padre Enzo Fortunato, direttore della sala stampa del Sacro Convento di Assisi, è strozzata dall’emozione quando gli si chiede della solitaria e storica benedizione Urbi et orbi del venerdì di Quaresima in piazza San Pietro. Lui e i francescani di Assisi l’hanno guardata in tv: “Quando l’ho visto ho pensato subito a un’immagine del cardinal Henry Newman: cor ad cor loquitur, il cuore del Papa ha parlato al cuore di Dio e il cuore di Dio ha parlato al cuore del Papa che in quel momento rappresentava il battito dell’umanità”.

Cosa l’ha colpita più?

Il pontefice ci ha assicurato che Dio non ci lascerà soli in questo momento di tempesta, ma mi hanno colpito soprattutto due passaggi. Il primo in cui ricorda di quando ci sentivamo “forti in un mondo malato”: ecco, prima di questo virus, non ci accorgevamo delle ferite dell’umanità e della Terra. Non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, abbiamo continuato a fare le guerre e a coltivare le ingiustizie.

E poi?

Quando ha detto: “La gente inizia ad avere fame”. Ci ha portato sull’altra sponda di questa tragedia, quella degli ultimi. Ci sono persone che avranno grosse difficoltà economiche e che iniziano a non avere da mangiare. Il pontefice ha messo la nudità dell’uomo dinanzi al Signore: quella del povero che ha bisogno di aiuto e quella del ricco che non ha più certezze.

Undici milioni di italiani davanti alla tv venerdì.

La gente ha bisogno del Papa e di spiritualità. Le sue immagini drammatiche sono entrate nelle vite delle persone: prima il Papa che cammina nel centro di Roma e poi che, come Mosè, implora Dio con le mani alzate perché aiuti l’uomo a vincere e superare questo momento.

Le chiese sono aperte, ma senza riti.

Noi abbiamo deciso di utilizzare i social network perché vogliamo portare nelle loro case lo spirito e la parola di San Francesco. Lo facevamo già prima dell’epidemia ma oggi ad Assisi abbiamo rafforzato il modo di comunicare la fede. Abbiamo iniziato a dialogare con giornalisti, artisti, sociologi e teologi per capire cosa sta succedendo e per dare una parola di speranza. Come la telefonata con Renato Zero che ha dialogato con i nostri follower: quali canzoni meglio di Spalle al muro o Il Cielo possono parlare ai nostri vecchi: la loro vita non è una spremuta, è una memoria, ha detto Renato. Quelle rughe, quelle mani callose, devono essere la nostra guida tutti i giorni.

Cosa vorrebbe dire loro?

Agli anziani direi: “Vi voglio bene”. Glielo dobbiamo dire, dobbiamo dire loro grazie. Oggi siamo portati a pensare che siano diventati démodé, che andrebbero buttati via.

E ai giovani che vorrebbero uscire di casa?

Dico: siate ribelli e obbedienti come san Francesco.

Cosa vuol dire?

Ribelli contro un mondo che non ci sta bene e obbedienti perché il rispetto delle regole ci fa essere più grandi.

Ci rialzeremo?

È un momento drammatico, ma è anche un’opportunità perché ci farà riscoprire le relazioni tra noi e con Dio. Sono convinto che ci rialzeremo ma per farlo serviranno gli anticorpi spirituali al virus: speranza, rispetto e coraggio.

Come sta agendo il governo Conte?

Immagino la loro sofferenza: sono chiamati a prendere decisioni difficilissime ma sono sicuro però che il governo stia agendo per il nostro bene. Io lo ascolto e prego per chi sta prendendo le decisioni.

Il premier sta diventando una guida per molti.

Sì, abbiamo bisogno di ascoltare la voce del presidente Conte e di seguire il suo indirizzo. Poi c’è la spiritualità di ognuno di noi.

Ovvero?

Guardando il cielo di questi giorni, ci accorgiamo tutti che è più limpido. E non è solo per lo smog che non c’è più: è per la profondità delle nostre domande e l’anelito della nostra spiritualità che ci aiuterà a superare questa tragedia.

Renzi vuol riaprire tutto. Gli esperti: “Folle”

Lo schema non è certo nuovo: un’uscita persino impopolare e divisiva, ma di certo sopra le righe in modo da tornare al centro del dibattito per qualche ora. Questa volta, però, Matteo Renzi sembra aver azzardato un po’ troppo, perché le sue dichiarazioni sulla riapertura di fabbriche, scuole e attività nel giro di un paio di mesi sono state bocciate da diversi virologi e duramente criticate pure sui suoi profili social.

L’idea di Renzi, esternata prima in un’intervista ad Avvenire e poi in un video su Facebook, è quella che il Paese debba riaprire il prima possibile: “Sono tre settimane che l’Italia è chiusa e c’è gente che non ce la fa più. L’Italia non può stare ibernata un altro mese perché così si accende la rivolta sociale”. E allora? Riaprire: “Le fabbriche devono ripartire prima di Pasqua. Poi il resto: i negozi, le scuole, le librerie, le messe”. A scuola, dice Renzi, si può già tornare dal 4 maggio. A prescindere dall’andamento dei contagi, il cui calo non viene mai menzionato dall’ex premier come condizione per le imminenti ripartenze delle attività.

Il progetto, però, non piace per nulla agli esperti. Persino Roberto Burioni, che da tempo stima Renzi e che era stato da lui proposto come ministro, ha stroncato il leader di Italia Viva: “In questo momento la situazione è talmente grave da rendere irrealistico qualsiasi progetto di riapertura a breve”.

Ancor più duro il Professor Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa: “Pensare di riaprire le scuole il 4 maggio è una follia e fare proclami in questo momento è sbagliato”.

Parole a cui fanno eco quello di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe: “Riaprire prima di Pasqua? Governo e Parlamento decidano quante vite umane vogliono sacrificare per far ripartire l’economia. Renzi dalla tragedia di Bergamo non ha imparato nulla”.

Pure sui social, però, l’uscita di Renzi non è stata granché gradita. Anche limitandosi al suo profilo Facebook, giusto per rimanere in contesti generosi, tra i commenti più apprezzati ci sono diverse reazioni negative all’intervista su Avvenire. Vincenzo Da Vinci ottiene così 126 like: “Assolutamente d’accordo, inizi lei a dare il buon esempio e vada a lavorare, magari in fabbrica, così si renderà conto del grandioso lavoro fatto dal Partito democratico nella tutela dei diritti dei lavoratori, soprattutto quando lei ne era a capo”.

Così anche Andreina Milani: “Quasi sempre d’accordo ma non in questo caso. Se in alcune provincie lombarde si fosse chiuso tutto e subito, il contagio sarebbe stato contenuto con maggiore efficacia, con buona pace di Confindustria. Stiamo piangendo ancora troppi morti per pensare ad una riapertura”.

Uno dei commenti più apprezzati (427 like) è quello di Luca Zenoni: “Non sono per niente d’accordo! Per dire una roba del genere non ha ben presente la situazione che si sta vivendo qui a Bergamo!”. Critica a cui Renzi replica assicurando che la sua idea di ripartenza è “a macchia di leopardo”. Ma ad Alessandra Lusini (236 like) non basta: “Non posso credere che tu l’abbia detto davvero, in questo momento dove la migliore sanità del nostro Paese è al collasso”.

Tra Safari e Circo Zavatta, l’Italia che se ne sta in giro

È l’Italia che va, con le sue motociclette a noleggio, le valigie pesanti e l’orario dei voli perduto nella borsa. Quella che non sa tornare e chiede aiuto allo Stato. Anzi, lo subissa di richieste, di email, di sms, di telefonate invocando l’intervento del proprio Paese, di cui finalmente ricorda l’importanza.

È l’Italia del circo bloccato in Grecia, dei motociclisti di ritorno dal Safari in Africa, dei genitori con i figli bloccati in qualche paese o di quelli che sono restati in India accorgendosi solo all’ultimo che quel paese ha ormai chiuso tutto. La Farnesina è in questi giorni destinataria di lettere, messaggi e richieste di ogni tipo. Chi chiede di farsi prenotare il volo, chi di farsi spedire la motocicletta e chi, ancora, vorrebbe un pullman speciale perché il figlio viaggia con troppe valigie.

L’altra sera, durante la trasmissione Otto e mezzo, il ministro Di Maio ha lasciato intendere di vivere a contatto con situazioni a volte serie e preoccupanti, ma spesso anche surreali. E ha buttato lì l’allusione ai reduci del Safari. Si tratta in effetti di due ventenni che dopo un lungo viaggio in Africa, dal quale non hanno ritenuto di tornare in tempo, sono bloccati a Patrasso, in Grecia, anche perché non riescono a spedire le moto prese a noleggio. Hanno ben pensato di chiedere al governo di attivarsi per spedire le due motociclette e anche per questo motivo non riescono a imbarcarsi.

Il circo Zavatta è invece bloccato a Filippiada, sempre in Grecia. La polizia di Atene ha deciso qualche giorno fa di rimuovere il suo sito e di collocare i circensi in un campeggio a Igoumenitsa. I circensi, però, non vogliono lasciare la Grecia fino a quando non sarà possibile tornare a organizzare spettacoli e chiedono all’Ambasciata di essere sostenuti economicamente. I diplomatici italiani hanno raccomandato diverse soluzioni per il rientro, compreso un volo speciale dell’Alitalia, ma l’invito non è stato accolto. È stata poi attivata la Caritas, tramite il Coasit di Atene, ma per quanto riguarda il rientro ancora non c’è una soluzione

Richieste sono giunte anche dagli italiani in gita che, evidentemente, si sono accorti in ritardo, per disattenzione o per impossibilità, dell’esplosione planetaria del contagio.

Solo quattro giorni fa, un gruppo di italiani presente a Goa, la costa indiana che affaccia sul Mar Arabico, ha telefonato e scritto per chiedere dei mezzi di rientro. La richiesta coincide con il lockdown proclamato dall’India e segnalazioni analoghe arrivano dal Marocco e dalla Tunisia dove diversi turisti si sono attivati solo il 23 marzo per rientrare in Italia. Non ci sono voli disponibili e certamente la Farnesina non può attivare dei voli di Stato per ogni richiesta.

Ci sono gli italiani che dal 22 marzo hanno deciso di rientrare da Bulgaria e Ungheria nonostante l’Italia si fosse attivata il 12 marzo per un volo Alitalia rientrato con ben 40 posti vuoti e nonostante la possibilità di rientrare via Lufthansa tramite Monaco o Francoforte.

Ci sono i genitori ansiosi per i figli, ma l’ansia si spinge fino a non poter accettare troppi scali per un viaggio di ritorno dalla Spagna, lamentando le tappe tra Roma, Firenze e Pistoia e chiedendo la disponibilità di un pulmino per il figlio in viaggio con valigie molto pesanti.

È l’Italia che va…

I “ladri dell’argenteria” sono i campioni del centrodestra

“L’Europa approfitta del terremoto per venire a rubarci l’argenteria”, ha detto la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. La cui avversione all’Unione europea è nota anche se, da giovane militante del Fronte della Gioventù, aveva nel cuore “l’Europa nazione”: Nei paradossi della politica va sempre ricordato che uno dei simboli odiosi di questa Europa che “ruba l’argenteria”, il Meccanismo europeo di stabilità, risale al governo Berlusconi del 2011 di cui Meloni era ministra della Gioventù.

Ma da chi è composta l’Europa dei ladri? In questa ultima tornata, soprattutto da forze che pendono a destra. Certo, la socialdemocrazia non si fa mancare mai nulla e così nell’intransigente fronte del Nord fa bella mostra il volto progressista della finlandese Sanna Marin. Quando si parla di Europa, del resto, più che gli interessi di schieramento contano gli interessi nazionali e la socialdemocrazia ci ha abituato al peggio.

Ma nello scontro semplificato da “Eurobond vs Mes” i partiti di sinistra più rilevanti stanno con l’Italia. Il Pd, naturalmente, i cui dirigenti assicurano la “totale compattezza” – come dichiarato da Nicola Zingaretti – dietro a Conte, il Psoe di Pedro Sanchez; il Partito socialista portoghese e anche quella sinistra rosé rappresentata da Emmanuel Macron.

A volerci rubare l’argenteria, invece, sono soprattutto le forze del Partito popolare. A cominciare da Angela Merkel, bandiera del centrodestra europeo, icona di un conservatorismo compassionevole che piace tanto anche a Silvio Berlusconi e da cui la destra italiana potrebbe difficilmente prescindere. Quel popolarismo che viene ben interpretato anche dall’austriaco Sebastian Kurz che con la destra affine ai Salvini e Meloni, ci ha già governato prima che il video-scandalo su Heinz-Christian Strache, a capo dei populisti del Fpo, portasse a elezioni anticipate.

Con il Partido popular, inoltre, ha avviato un dialogo a distanza anche la formazione spagnola Vox che con Fratelli d’Italia fa parte del gruppo parlamentare europeo Ecr, Conservatori e riformisti. Se ha una chance di tornare prima o poi al governo della Spagna, la destra dovrà trovare un’alleanza tra tutte le sue componenti.

E chissà che un domani anche l’integerrimo Mark Rutte che a capo dell’Olanda ha vestito i panni del “cattivo” nel confronto europeo sul Mes, non venga costretto dai voti a dialogare con i sovranisti che gli hanno eroso un po’ di consenso sia alle ultime Europee sia alle elezioni provinciali di un anno fa. Il Forum per la Democrazia di Thierry Baudet, anch’egli membro del gruppo Ecr, ha politiche classicamente nazionaliste ed è una spina nel fianco del centro popolare e liberale. In passato si è battuto per l’uscita dei Paesi Bassi dalla Ue, ma ora si presenta con un linguaggio più moderato di quello dell’estremo Geert Wilders. Un po’ come ha cercato di fare Meloni con Salvini.

E non è un caso se proprio Fratelli d’Italia sia riuscito a strappare al leader leghista il rapporto privilegiato con altri due bastioni conservatori molto contigui al Partito popolare. Uno, l’Ungheria di Viktor Orbán, del Ppe fa pienamente parte e non ha intenzione di uscire, mentre l’altro, il Pis polacco, è il perno del gruppo Ecr, ma finora ha assunto un atteggiamento ambivalente: alleati degli intransigenti nordici ma bisognosi di aiuti, come ha detto ieri il premier polacco. A tentare di rubare l’argenteria, insomma, sono Paesi e gruppi di interesse che non mollano l’osso nemmeno di fronte al virus. E che Giorgia Meloni potrebbe trovarsi, prima o poi, al proprio fianco.