Uno scudo penale e civile contro il rischio di errori in corsia. La richiesta è arrivata dai medici in prima linea contro il coronavirus – anestesisti, pneumologi, infettivologi –, ma anche dai colleghi con altre specialità che, con ordini di servizio, vengono catapultati in questi giorni nei reparti Covid. Ed è diventata uno delle otto proposte di emendamento ai decreti del premier Giuseppe Conte del 9 e del 17 marzo. Tutte presentate dall’Anaao, il sindacato dei medici, alle forze di maggioranza e opposizione.
Per fissare prima di tutto un paletto: la punibilità dovrà esserci solo in caso di lesioni intenzionali o di colpa grave, con “la macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria, dei protocolli o programmi emergenziali”. E per la valutazione della colpa – per tutto il periodo dell’emergenza – bisognerà tenere conto anche delle risorse effettive a diposizione in relazione al numero dei pazienti e del fatto che potrebbero essere anche un nefrologo o un pediatra a doversi occupare di un ricoverato infettato.
Per il paziente, di fatto, non cambierebbe nulla: in caso di lesioni sarebbe comunque risarcito dall’azienda sanitaria. Per il medico, invece, cambierebbe molto: si ridurrebbe sensibilmente lo spazio di manovra della stessa azienda per rivolgersi alla Corte dei conti e intimargli di risarcire il danno all’erario. Paletto necessario, secondo il segretario dell’Anaao Carlo Palermo. “Abbiamo medici che lavorano anche ottanta ore alla settimana e ortopedici chiamati in pneumologia – dice Palermo –. Il carico eccessivo o la prestazione al di fuori della propria specialità dovuti all’emergenza possono anche inficiare la qualità della performance clinica”. Ci sono poi due emendamenti che riguardano alcune delle norme dei decreti Conte più contestate: quella che dà il via libera alle mascherine chirurgiche come dispositivo adeguato a prevenire il contagio (e non a quelle filtranti come la Ffp2 e Ffp3, più protettive) e quella che impone al personale sanitario di stare in corsia, se asintomatico, anche se è venuto a contatto senza Dpi con un soggetto a rischio. In quest’ultimo caso, se approvato, l’emendamento introdurrebbe l’obbligo dell’isolamento per 72 ore e il rientro al lavoro solo previo tampone negativo. Un tema molto sentito. Il numero degli operatori sanitari contagiati è infatti in costante aumento. Ieri erano saliti a 7.763, 618 in più in ventiquattr’ore. Di questi, circa il 52% sono costituiti da infermieri, il 28% da operatori sociosanitari e tecnici di laboratorio, il 20% da medici. Anche gli infermieri continuano a combattere. All’ospedale di Pesaro, denunciano, tutti le analisi dei tamponi sono stati fatte per circa un mese in un unico laboratorio, quello di Ancona. “Con il risultato – dice Domenico Sanfilippo, del sindacato Nursing Up –, che i referti arrivavano anche dopo una settimana, durante la quale infermieri e medici continuano a lavorare, senza sapere se erano stati infettati: e alcuni lo erano. Solo venerdì, con Pesaro zona rossa dall’8 marzo, è entrato in funzione un laboratorio”.