Boris Johnson è positivo al virus, forse vittima della strategia iniziale del suo governo, quella che favoriva il contagio per garantire l’immunità di gregge. Lo ha annunciato lui stesso in un messaggio video da Downing Street ieri mattina: ha sintomi lievi, si è auto-isolato, continuerà a guidare il governo e, in caso di peggioramento, sarà sostituito dall’attuale ministro degli Esteri Dominic Raab. Positivo anche il ministro della Salute Matt Hancock, mentre il Chief Medical Officer Chris Whitty ha i sintomi e si è auto-isolato. Ora si teme il contagio dei ministri dei dicasteri più rilevanti, che si sono visti regolarmente alle riunioni del comitato di emergenza Cobra, fra cui il responsabile dell’Economia Rishi Sunak, di un numero imprecisato di parlamentari e funzionari e dei cronisti presenti alle conferenze stampa sull’emergenza, insomma il cuore della risposta britannica al Covid. Il Regno Unito ha sia l’erede al trono Carlo che il primo ministro infettati da un virus che nel paese si sta diffondendo a ritmi elevati: ieri un salto del 31% nel numero dei morti, 181 in 24 ore per un totale di 759.
Come in Italia, sulla affidabilità dei dati c’è più di un dubbio, visto che le procedure di raccolta non sono omogenee e che la legge di emergenza appena approvata dal parlamento consente la constatazione dei decessi da parte dei medici da remoto. Il governo continua i preparativi a rotta di collo: ieri ha iniziato a funzionare, con i primi 500 letti sui 4.000 previsti e un’ampia sala mortuaria, l’ospedale di emergenza Florence Nightingale al centro congressi Excel nell’est di Londra. Due simili saranno costruiti a Birmingham e Manchester, rispettivamente con 5.000 e 1.000 letti.
Che ci si aspetti un numero molto ampio di vittime è confermato dall’allestimento di una camera mortuaria all’aeroporto di Birmingham, inizialmente per 1.500 cadaveri. Resta enorme il problema della scarsità di materiale protettivo per il personale medico in prima linea: il Guardian ha rivelato che, nel 2017, l’allora ministro della Salute, il conservatore Jeremy Hunt, rifiutò di farne scorte perché sarebbe costato troppo. Scelta di risparmio per cui ora il paese paga un prezzo altissimo, politico e in vite umane.
Francia
L’ultimo saluto a Julie, 16 anni I poliziotti senza mascherine
Alle 20 di ieri delle candele accese sono comparse ai balconi di tutta la Francia in ricordo di Julie, 16 anni, morta giovedì all’ospedale Necker di Parigi: la più giovane vittima francese del Covid-19. Poco prima, come tutte le sere, Jérôme Salomon, direttore generale della Sanità, ha stilato il quotidiano bollettino del contagio: i casi ufficiali in Francia sono ormai 32.964, 3.809 di più in 24 ore. Il numero di morti è salito a 1.995, 299 in 24 ore. I francesi vivono “confinati” dal 17 marzo, ma le due settimane previste in un primo tempo, come sembrava inevitabile, non sono sufficienti. Ieri il premier Edouard Philippe ha annunciato che il blocco totale sarà prolungato almeno di altre due settimane, fino al 15 aprile. “Siamo soltanto all’inizio dell’ondata epidemica – ha detto Philippe – che ha sommerso le regioni dell’est e di Parigi”. Le regole non cambiano: si può uscire solo per necessità o per fare sport, ma non più di un’ora. In caso di controllo bisogna presentare l’auto-certificazione. Già 3,7 milioni di controlli sono stati effettuati, 225 mila multe. I poliziotti hanno minacciato lo stop per carenza di mascherine.
Luana De Micco
Spagna
La partita dei 9 mila test rapidi poco affidabili “falsa” i numeri
Sono 659 mila in tutto i test rapidi per il Coronavirus acquistati dal governo di Pedro Sanchez da un’azienda cinese e risultati non funzionanti. Di questi, 9 mila sono stati distribuiti alla Comunità di Madrid, la regione con più casi di Covid 19 in Spagna (19.243.) e subito utilizzati. La sensibilità dei tamponi – il 30% al posto dell’80 come i normali test ¬ non soltanto non ha rilevato le persone positive al Covid-19, ma evidentemente ha ritardato la conta dei contagiati e così “falsato” le statistiche degli ultimi giorni. Il ministro della Sanità, Salvador Illa, e lo stesso Sanchez hanno rassicurato i cittadini spiegando che i test sono stati rimandati indietro e che al loro posto è già stato acquistato un nuovo stock. Ma il dato non è irrilevante, se si pensa che il governo rosso-viola aveva puntato proprio sui tamponi con risposta in 15/20 minuti per frenare il contagio. Questo mentre il Paese iberico ieri contava il più alto numero di morti per Coronavirus in un giorno: 769, arrivando a 4.858 vittime totali. Quanto ai contagi, al contrario, ieri il trend è sembrato scendere per la prima volta in 15 giorni con il 14% di nuovi infettati, che in tutto sono ora 69.059.
Brasile
Bolsonaro minimizza l’epidemia ma i ministri non gli credono più
Fosse solo l’aspra accusa del britannico The Economist, che lo definisce “Bolsonerone”, cioè un Nerone che se la ride mentre il Brasile piange, il presidente Jair Bolsonaro, si farebbe una grassa risata. Peccato che minimizzare la pandemia di Coronavirus dapprima definendola “un’influenzina” e un “raffreddorino” e violando le norme minime contro il contagio, e poi opponendosi a misure di restrizione e isolamento per il suo Paese, gli stia mettendo contro anche i suo sostenitori, dai quali dipende la sua presidenza. Malgrado la positività al Covid-19 di ben 23 membri del suo staff, 3.000 contagi e 77 morti in Brasile, Bolsonaro infatti ha lanciato la campagna “Il Brasile non può fermarsi”, per promuovere la flessibilità nelle misure di distanziamento e puntare sulla ripresa economica. Una posizione contraria a quella del ministero della Salute, che lunedì ha chiesto di “restare in casa il più possibile”, nonché dei brasiliani, per l’80% favorevoli alla quarantena. A voltare le spalle al presidente sono stati anche i “suoi” governatori, i medici e il suo vice, Hamilton Mourão. Intanto al Congresso si fa spazio l’ipotesi impeachment.