Ai miei Nipoti ho spiegato Draghi e Panebianco

Ieri sera ho radunato i miei nipotini in videoconferenza e ho detto loro: ragazzi, allegri, siamo ricchi. Nonno stai bene, hai misurato la febbre? Benissimo tranquilli, ma tenete a mente queste due magiche paroline: helicopter money (money! money!). Silenzio perplesso. Massì, l’ha detto il grande economista Milton Friedman e significa che lo Stato distribuirà a tutti un mucchio di soldi gratis lanciandoli dall’elicottero, o qualcosa del genere. Evviva, hanno esultato i frugoletti ma dicci nonno come sarà possibile? Semplice: whatever it takes, fare tutto il necessario, come ha detto Mario Draghi (Draghi! Draghi!). Ma quei soldi non andranno un giorno restituiti?, ha insistito il più grandicello (che temo tifi Merkel). Uffa, lo vedremo ma poi che vi frega, debito più o debito meno…

Leggete invece Angelo Panebianco sul Corriere della Sera

che, una volta terminata l’epidemia, prevede: “Uno stato di diffusa euforia, simile a quello simboleggiato dalla foto del marinaio che bacia l’infermiera a Times Square dopo l’annuncio della fine della Seconda guerra mondiale”. Non è fantastico? Però senza mascherina baciarsi non si può, ha insistito il saputello. Se non credete all’illustre politologo date retta almeno a Luca Cordero di Montezemolo che ha detto al Foglio

: “Liberare gli spiriti animali dell’imprenditoria italiana”. Significa che la nostra gattina deve andare via?, hanno chiesto i piccini con un fil di voce. Ma che dici, vuol dire che gli industriali devono essere lasciati liberi di fare tanti soldi che poi ci pensano loro a distribuirli dall’elicottero. Alla grande! Indebitiamoci! Quindi con le birbe abbiamo cantato all’unisono gioiosi: sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno / ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno/ anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno (Draghi! Draghi!).

Una libbra o un chilo

Non ha senso comunicare ogni giorno il numero dei positivi SarsCov2. Serve solo a confondere un quadro che è già incerto. Nella diagnostica vige il principio che troviamo ciò che cerchiamo e, di contro, non troviamo se non cerchiamo. Sembra un gioco di parole, ma è una delle chiavi di lettura del sali-e-scendi delle curve che ogni giorno ci angosciano. Mi spiego. La positività o negatività è il risultato dell’esame di un tampone. Più tamponi si analizzano, più positivi troviamo; meno ne analizziamo, meno positivi troviamo. Pertanto, visto che le modalità di indagine, in due mesi, sono cambiate decine di volte, i numeri hanno seguito queste indicazioni. È che, se cambiano le regole, cambiano i numeri. Più gente esaminiamo e più ne troveremo positive. I numeri reali sono quelli dei ricoverati con diagnosi clinica e di laboratorio per Covid-19. Conosciamo il numero dei decessi, ma – come abbiamo ripetuto più volte – la stima delle cause non è assolutamente priva di errori. In una condizione di così diffuso contagio, troveremo sempre più deceduti positivi, perché ciò rispecchia la condizione della popolazione. Non voglio mettere in discussione la severità della pandemia, ma ricondurre a una valutazione numerica corretta, tenendo conto del numero di soggetti e non di tamponi, della rappresentatività del campione (per esempio: le fasce d’età), delle comorbosità (patologie gravi in atto al momento in cui si è contratto il virus). Queste valutazioni dovrebbero essere standardizzate e rispondere a una rigorosa condivisione internazionale. Come dire, non possiamo comparare una libbra a un chilo: sono pesi diversi.

Tutti davanti alla tv: volano tg, film e fiction, ma cala il “trash”

Volendo astrarsi per qualche minuto dalla drammaticità dell’emergenza Covid-19, per gli studiosi è un momento unico. Perché 60 milioni d’italiani chiusi in casa per la maggior parte del tempo diventano una sorta di Grande Fratello nazionale, un campione irripetibile da analizzare. A partire dai comportamenti televisivi. Per media e tv, infatti, è un momento ghiottissimo, visto che gli ascolti sono schizzati verso l’alto, ma è anche tempo di grandi responsabilità. La platea televisiva, infatti, è praticamente esplosa. Gli italiani a casa guardano molta più tv, specialmente sulle reti generaliste.

Prendendo come riferimento il periodo che va dall’8 al 25 marzo (l’8 è il giorno seguente alla “chiusura” della Lombardia e dei primi inviti del governo a stare a casa), secondo le elaborazioni dello Studio Frasi di Milano sui dati Auditel, il pubblico televisivo nel giorno medio è arrivato a 14.384.430 persone, un aumento di quasi 4 milioni rispetto allo stesso periodo del 2019: per l’esattezza 3.965.843. Il 38% in più. Un aumento di oltre 5 milioni sia nel day time che nella prima serata, dove si giunge alla cifra “monstre” di 29.884.449. Quasi trenta milioni di persone la sera stanno davanti al teleschermo, più 21,4%, mentre nel day time l’aumento è più consistente: 43,8%. Le persone accendono la tv anche di giorno, quando prima si era fuori per lavoro o altre attività.

La torta riguarda soprattutto Rai e Mediaset: più 37,5% per Viale Mazzini e più 30,4% per le reti del Biscione.

Guardando ai programmi, tranne rare eccezioni, sono tutti in aumento, a cominciare dall’informazione. Ma non tutti salgono come dovrebbero. Tra i 15 programmi più visti in assoluto, nel periodo 8-25 marzo, al primo posto c’è l’edizione straordinaria del Tg1 del 9 marzo, vista da 10.780.449 telespettatori, per uno share del 34,3%. Ma nella top 15 troviamo, all’ottavo posto, anche l’edizione straordinaria del Tg1 del 21 marzo (oltre 6 milioni, 22,3%), lo speciale pandemia del Tg1 dell’11 marzo al nono posto (5 milioni e 600 mila, 18,6%) e l’edizione straordinaria del Tg5 del 21 marzo (5 milioni e 300 mila, 19,7%), al 13esimo posto.

A crescere meno sono i programmi più frivoli. Segno che in questo periodo di quarantena gli italiani chiedono informazione e intrattenimento di qualità: grande fiction e show intelligenti.

Mentre cala la voglia di trash, tipo Barbara D’Urso o Grande Fratello Vip. Sempre guardando ai primi quindici, troviamo soltanto due show: C’è posta per te del 14 marzo al quinto posto (7.184.933) e Il meglio di Viva RaiPlay di Fiorello del 21 marzo (5.547.341) all’undicesimo. Per il resto è tutta fiction, con Montalbano al secondo e terzo posto, Don Matteo al quarto e al sesto, la mini-serie Bella da Morire, e la serie La vita promessa.

 

Nel prime time, per esempio, L’eredità e I soliti ignoti

guadagnano, mentre meno bene va Striscia la notizia che, pur salendo, come share sta sotto al Tg5 quando, a febbraio, era stabilmente sopra. Per quanto riguarda la prima serata, invece, a crescere meno del previsto sono Pechino Express (tra il 10,4% e il 9,2% di share), il Grande Fratello Vip (18,7% e 19%) e Amici (18,5% e 19,4%), mentre Chi l’ha visto, rispetto allo stesso periodo di febbraio, perde addirittura telespettatori (6,6%). La domenica, poi, Barbara D’Urso aumenta spettatori ma perde in share (14,3% e 13,2%), mentre sale in maniera più stabile Fabio Fazio con Che tempo che fa (9,3% e 9,8%). Bene anche Ulisse di Alberto Angela (3 milioni e mezzo per il 12,9% di share).

Molto bene, dicevamo, fiction e film, come Harry Potter, Montalbano, Assassinio sull’Orient Express, Don Matteo, Benvenuti al Nord.

Per l’informazione, ottime performance fanno il Tg2 Post, su Raidue, e Stasera Italia di Barbara Palombelli, su Rete 4. Bene anche Massimo Giletti sul La7 la domenica e Dritto e Rovescio di Paolo Del Debbio il giovedì. Buoni numeri anche per 8 e mezzo di Lilli Gruber.

Una bella iniezione di dopamina arriva poi per i tg. Sempre nel periodo 8/25 marzo 2020, secondo lo Studio Frasi, per quanto riguarda le edizioni serali, rispetto al marzo del 2019 il migliore scatto in avanti spetta al Tg1, con una media di 7.645.030 telespettatori, per il 25,7% di share, più 2 punti in più, tallonato a vista dal Tg5 (6.539.540, 21,8%, più 2,9), ma il miglior balzo è quello dei Tg regionali Rai (4.747.660, 17,2%, più 4,9). Seguono poi il Tg3 delle 19 con un più 2,4 e il Tg2 con più 1,8.

Interessante dare un’occhiata ai giovani, anch’essi costretti a casa. Tra i programmi più visti dai ragazzi tra i 15 e i 19 anni, a sorpresa, c’è la Santa Messa su Raiuno (10,6%). Mentre tra quelli tra i 19 e i 24 va forte Storie italiane, il programma di Eleonora Daniele, sempre su Raiuno (23,4%). Legato ai giovani è anche il discorso sui device, ovvero la tv vista su pc, tablet, smartphone e smart tv, dove la crescita maggiore si ha per SkyTG24 e Rainews 24. Anche in questo caso, dunque, a dominare è l’informazione.

L’ultimo editto contro le “sette del godimento”

Nel suo andirivieni tra la sede istituzionale di Palazzo Santa Lucia a Napoli e la sala-bunker ricavata nel Genio Civile salernitano, ieri il governatore della Campania Vincenzo De Luca ha parlato. Di nuovo. Attraverso la consueta diretta Facebook del venerdì da Salerno. Con il linguaggio, i tempi e i toni che hanno strappato i complimenti di Carlo Verdone. “Portasecce con un buco nero nel cervello che non fa uscire il pensiero”, “mascherine del coniglietto bugs bunny”, “setta del godimento perpetuo”. Ce l’aveva con chi dice che la Campania è vicina al collasso nella guerra al Coronavirus: “Io ho detto che senza forniture eravamo vicini al collasso, ma non è arrivato alcun collasso”. Ce l’aveva con le 553 mila mascherine arrivate dalla Protezione Civile che sono ottime solo “per pulire gli occhiali, ma per gli ospedali lasciamo perdere”. Ce l’aveva con la circostanza che “in tempo di guerra” escono fuori gruppi e associazioni di “varia umanità accomunata dalla tendenza a fare ammucchiate”. E spargono il contagio.

A bocce ferme qualche esperto di comunicazione spiegherà perché De Luca alterna toni apocalittici come quelli del 25 marzo, sulla Campania che senza dispositivi di protezione e ventilatori da Roma “sarà costretta a contare i suoi morti”, ai guizzi di avanspettacolo di ieri. Peraltro inseriti a margine di un discorso per nulla divertente. Il governatore sa che ci sono problemi e ritardi, e non li ha nascosti. Che i posti letto di terapia intensiva non bastano per stare tranquilli, ieri 101 posti occupati mentre i positivi al virus sono saliti a 1454, “ad aprile ci sarà il picco di 3 mila contagiati, ce lo dice un algoritmo che tiene le previsioni da qui a una settimana, e dovremo avere pronte 350 terapie intensive”. E qui si innesta il conflitto con la Protezione Civile accusata di non aver inviato niente, i ventilatori con il contagocce, “5 ieri, 2 lunedì, 16 ne arriveranno giovedì”, mentre ne erano stati promessi 225, e 621 caschi per la terapia sub intensiva, e chi li ha visti? La Campania però è ultima nel rapporto tamponi-abitanti e la filastrocca ripetuta anche ieri che questo è dipeso dal fatto che esisteva un solo laboratorio al Cotugno, un dato frutto dei tagli di una sanità commissariata a lungo, va detta al completo. Ossia che l’ultimo commissario è stato De Luca. E che ancora il 2 marzo il governatore comunicava di donare 20 posti letto alla Lombardia. Un gesto generoso che però fece passare un messaggio sbagliato: l’emergenza qui sarebbe stata gestita senza affanno.

Invece ora si corre. Per rimontare. Con il piano De Luca. Altri 9 laboratori processano i tamponi. Altri numeri sparsi: 10 posti di terapia intensiva al Loreto Mare di Napoli, ospedale interamente Covid, altri 14 al Moscati di Avellino, più 24 in realizzazione in un’ala del plesso, e 7 ad Ariano Irpino. Ieri i primi 4 posti al Cardarelli di Napoli, da salire a 6. Si punta a realizzarne 120 in due settimane in un ospedale prefabbricato a Napoli. E’ una delle scommesse da vincere. L’altra è l’acquisto di un milione di kit del sangue in Cina per uno screening di massa. Lo conferma al Fatto il consigliere di De Luca, Enrico Coscioni: “I primi arrivano oggi, reperiti da fornitori privati grazie a collaborazioni della Regione con multinazionali del farmaco e della diagnostica che hanno offerto collaborazione a costo zero interloquendo direttamente loro con il ministero cinese. E così i costi sono risultati molto contenuti”. Meno di cinque euro l’uno.

La caccia a chi esce: il modulo Raggi e gli scontrini-farsa

Prima gli “zozzoni” dei materassi. Poi i “pendolari dei rifiuti”. Ora gli assembramenti in tempi di quarantena da Coronavirus. Virginia Raggi torna a chiedere l’aiuto dei romani per segnalare comportamenti illegali nel tentativo di arginare gli irresponsabili e, in generale, situazioni pericolose in piena emergenza pandemica. Attirandosi, da destra e da sinistra, accuse di “incentivo alla delazione” e “caccia all’untore”. Lo strumento è sempre lo stesso: il Sus (Sistema unico di segnalazione), la piattaforma creata nel 2018 per incanalare le denunce dei romani contro la “diffusa inciviltà”. Ci si iscrive sul sito del Comune e si invia un testo corredato da foto o video. La segnalazione viene lavorata e girata alla sala operativa Lupa, che poi la smista ai vigili urbani. Niente di nuovo, in realtà. “Le comunicazioni al Sus già arrivavano – spiegano dallo staff della sindaca – solo che non c’era la sezione apposita. Finivano insieme alle denunce di molestie o degrado urbano”.

In queste tre settimane, molti cittadini hanno scritto sui social della sindaca, nei commenti ai post oppure sulle pagine di assessori e consiglieri. “Almeno 2.000 in 20 giorni”, dicono da Palazzo Senatorio: “È solo un modo per convogliare queste segnalazioni su un portale in cui bisogna lasciare nome e cognome. Dunque nessuna delazione, anonima per definizione”. Nelle prime 24 ore, sono una decina le comunicazioni pervenute.

L’iniziativa di Raggi è solo l’ultima di una serie di prese di posizione di sindaci e governatori che in tutta Italia vogliono disincentivare comportamenti pericolosi. Dal sindaco di Bari, Antonio Decaro, andato lui stesso in giro per la città a rimandare le persone a casa, al presidente della Campania, Vincenzo De Luca, che minacciava di mandare “i carabinieri con i lanciafiamme” alle feste di laurea. Fino all’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato, che nel weekend precedente al lockdown ha postato sui canali ufficiali foto di ragazzi accalcati nelle zone della movida romana, sotto l’hashtag #nunsepofa. Certo, nessuno fin qui aveva chiesto a persone comuni di denunciare altri cittadini. Ed è questo l’aspetto “morale” che ha scatenato la polemica politica a Roma. Il Pd capitolino parla di “delazione istituzionalizzata”, Italia Viva di “caccia all’uomo”, mentre l’ex presidente del Lazio, Francesco Storace, dice che “la Raggi vuole i romani spioni”. “Avviene una selezione – spiegano dalla Polizia locale di Roma Capitale – come già accade per le chiamate smistate dal 112. Tanti sono segnalatori seriali, altre sono denunce vere: feste condominiali, partitelle notturne, assembramenti abusivi e reiterati. Oppure supermercati e posti di lavoro che non rispettano le indicazioni dei decreti”.

Tema, quest’ultimo, piuttosto sentito. Sul profilo di Virginia Raggi, ad esempio, il 12 marzo era apparsa la denuncia del fratello di un addetto al call center dove lavorava Emanuele Renzi, il 34enne romano morto per il Covid-19 a Tor Vergata. Dai supermercati romani arrivano invece le proteste del personale. Giovani che si danno appuntamento in fila per chiacchierare; discount presi d’assalto più volte al giorno per beni non di prima necessità; ingressi finalizzati a “perdere tempo” con conti che a volte non superano i 2 euro, come dimostrano le decine di scontrini fotografati dagli addetti. Col risultato che in molti stanno contingentando le vendite: “Per l’acquisto dei seguenti prodotti è previsto un limite massimo a persona”, si legge su un avviso di un supermarket al Prenestino, in cui si elencano anche farina e lievito.

Parlamento a distanza: non c’è accordo

Quando David Sassoli invita i suoi interlocutori a riflettere sul tempo e sullo spazio nell’età digitale, l’immagine si sgrana e l’audio si interrompe. Ma alla fine riesce a dire che se il Parlamento europeo che presiede non avesse potuto votare da remoto, ora non sarebbero disponibili 37 miliardi per fronteggiare l’emergenza e che anche per questo “è indispensabile una democrazia funzionante”.

La videoconferenza promossa dal presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia del M5S, convinto che anche il Parlamento italiano debba attrezzarsi allo stesso modo, alla fine è filata liscia: il collegamento a più voci tiene per oltre un’ora e non degenera mai nelle forme della cagnara.

Luciano Violante rimane “rispettosamente” contrario agli strumenti del telelavoro per deputati e senatori e lo dice forte e chiaro anche se il segnale di casa lo condanna a una certa fissità. Fermissimo sulle sue posizioni, per quanto l’inquadratura casalinga è quella che è, pure Pino Pisicchio: “La presenza fisica è fondamentale per i parlamentari e connaturato al ruolo come gli infermieri e i medici che lottano contro il virus” argomenta rilanciando le parole di Violante e prima di stuzzicare Brescia: “Sono perfettamente d’accordo con Roberto Fico”, che di voto a distanza, almeno finora, non ha voluto sentir parlare.

Stefano Ceccanti, costituzionalista prestato alla politica a cui né il divano, né il pile da quarantena tolgono autorevolezza, non si scoraggia: “Non possiamo affrontare l’emergenza con le regole che valgono per l’ordinario; l’esecutivo è in grado di agire tempestivamente, il potere giudiziario lavora da remoto, solo il Parlamento rischia di rimanere tagliato fuori”.

L’altro costituzionalista Francesco Clementi gli dà man forte: “Il voto a distanza ha l’obiettivo di proteggere e non di sostituire la democrazia rappresentativa” spiega mentre l’attenzione cade sulla foto che lo ritrae con il capo dello Stato che ha fatto trapelare una certa irritazione per l’ipotesi delle Camere da remoto. Ma il tema è sul tavolo: il prossimo 31 marzo tornerà a riunirsi la Giunta per il regolamento che Brescia spera possa avvalersi dell’ausilio di un comitato tecnico. Perché “la tecnologia già offre molte opportunità, come l’app con il riconoscimento dell’iride” che consentirebbe di certificare il voto personale di ciascun parlamentare.

Parole che fanno impallidire Violante, ma forse è solo una questione di luci, mentre Michele Ainis non si scompone: “La necessità giustifica lo strumento” dice prima di aggiustarsi il nodo della cravatta: lo attende una seduta, in videoconferenza, dell’Antitrust di cui è membro: “Se qualcuno di noi si dovesse ammalare, l’istituzione si paralizzerebbe”.

“Conte sul Mes ci rafforza. Ma il M5S dovrà cambiare”

La vita ai tempi del virus è questa, tutta a distanza: “Lavoro in videoconferenza otto ore al giorno, l’unica cosa positiva di questa emergenza è che l’Italia si sta abituando allo smart working: dovrebbe diventare la normalità anche in seguito”. Dalla sua casa di Bologna Max Bugani, capo staff della sindaca di Roma Virginia Raggi, veterano del M5S, osserva e talvolta lavora con il governo. E osserva il “suo” Movimento.

Con la sua battaglia contro il Mes, Giuseppe Conte sembra aver ricompattato i Cinque Stelle. Non succedeva da parecchio, no?

Più che ricompattarci, direi che ha segnato un punto per tutto il Movimento, restituendo a tutti l’orgoglio di farne parte.

Cosa rappresenta attualmente il premier per il Movimento, il leader di fatto?

Rappresenta una buona sintesi delle varie anime del M5S. È mite ed equilibrato, ma anche tenace. E porta avanti una nostra battaglia storica sull’Europa.

Voi 5Stelle eravate su posizioni molto vicine ai sovranisti: per anni avete parlato di referendum sull’euro.

In realtà Gianroberto Casaleggio voleva rimanere nell’Unione europea, ma voleva anche che fosse davvero una comunità con Paesi solidali tra loro.

Ripeto, eravate no euro.

Già ai tempi il referendum era solo l’extrema ratio, l’ultima risorsa se non fossero stati presi in considerazione i nostri punti con cui cambiare l’Europa.

Ora c’è l’europeista Conte. Magari troppo accentratore, no?

No, non penso. Non abbiamo bisogno di uomini soli al comando, ma di normalità e buon senso. E Conte incarna questi valori. Sento evocare da alcuni Mario Draghi come se avesse poteri magici ma non abbiamo bisogno di questo, men che meno di governissimi.

Sarà: ma la situazione è difficilissima. Un peso enorme anche per il M5S.

È evidente che tutto questo cambierà profondamente anche i 5Stelle, che nei prossimi mesi avranno bisogno di un profondo rinnovamento. Storicamente, dopo le pandemie arrivano le carestie e poi le guerre. Noi, come movimento di governo, dovremo lavorare per evitare tutto questo, i conflitti, innanzitutto economici. E cambiare.

Come?

Bisognerà intercettare nuove idee. Se ci riuscirà il Movimento, bene. Altrimenti le intercetterà qualcosa di nuovo.

Ossia? Si potrebbe andare oltre il M5S?

In questi anni il Movimento è stato un grande comitato nazionale, ed è stato perfetto per questa epoca. Ora a mio avviso si tornerà in mare aperto.

Assieme al Pd e al centrosinistra? L’emergenza cementerà un’alleanza?

Di certo sono contento di non essere più al governo con la Lega. Ho lasciato un incarico importante (nella segreteria di Luigi Di Maio a palazzo Chigi, ndr) proprio perché non sopportavo più Matteo Salvini e il suo tentativo di alimentare di continuo le paure dei cittadini. Ora vedo che continua a parlare a casaccio pur di apparire.

Quindi d’ora in poi solo con i dem?

Andrei oltre le sigle di partito. Ci sarà da ricostruire un Paese e forse tutta l’Europa: sarà necessario che tutte le persone di qualità, dotate di umanità, si ritrovino e lavorino assieme, nel nome di una solidarietà reciproca.

Lei vola alto: ma la politica è molto più brutale.

Lo so. Ma presto arriverà un nuovo dopoguerra, cambieranno tutti gli schemi.

La sindaca Raggi ha posto il tema dei lavoratori in nero in difficoltà ed è stata molto criticata.

Virginia è stata solo sincera. Ha parlato da persona che ha a che fare tutti i giorni con la realtà.

La sua gestione della Capitale continua a far discutere.

Chi la critica non conosce la complessità di Roma.

Criticare è lecito: e tante perplessità sono arrivate anche dal M5S.

Tra gli iscritti e i simpatizzanti del Movimento è popolarissima. Magari qualche esponente del Movimento può avere provato invidia.

Raggi merita di essere ricandidata sindaca?

Di certo merita uno spazio politico importante.

“Presidente, può abbassarsi i capelli?”

È rimasto su Internet per pochi minuti, prima che lo staff del Quirinale si accorgesse dell’errore. Quando poi il video incriminato è stato rimosso, era già troppo tardi: sui social circolavano centinaia di spezzoni, parodie e ritagli che avevano reso il discorso alla Nazione di Sergio Mattarella un imprevisto blob, a suo modo comico nel contrapporre la compostezza del presidente all’informalità di alcune scene in onda.

Intorno alle 19, orario annunciato del video-messaggio, sul canale Youtube del Quirinale è stata infatti pubblicata una versione errata del discorso di Mattarella, ovvero quella senza il montaggio e in cui erano rimasti i fuori onda della registrazione e le prove di lettura del capo dello Stato. E allora ecco diffuse le immagini del presidente che scherza con lo staff della comunicazione o che si scusa per le ripetute interruzioni.

A un certo punto Mattarella parla serio e deciso: “Stiamo vivendo una pagina triste della nostra storia”, ma poi la tosse lo tradisce e gli fa dare qualche colpo: “Scusate…”. A quel punto qualcuno dietro la telecamera nota un ciuffo in disordine: “Presidente, potrebbe abbassarsi un po’ i capelli? – si sente da lontano – ha un ciuffetto…”. Mattarella prende atto, si sistema con la mano e poi scherza: “Eh Giovanni, non vado dal barbiere neanche io”.

Qualche secondo e si riparte, sempre senza staccare mai la registrazione: “Questa volta non ripetiamo più”, promette il presidente. Il video continua senza tagli, fino a un nuovo stop appena un paio di minuti più avanti.

Mattarella sta ringraziando tutti gli italiani che anche durante l’emergenza Coronavirus continuano a lavorare: “Ringrazio i farmacisti, gli agenti delle forze dell’ordine nazionali e locali, coloro che mantengono in funzione le linee… oh Signore!”. Nuova pausa: “Non riesco a leggere…”. Il presidente strizza gli occhi verso il gobbo con scritto il discorso: “La linea alimentare, ecco. Ricominciamo, mi dispiace, non mi è mai successo”. Va in onda anche il rimprovero bonario al suddetto collaboratore: “Giovanni, per piacere, scegli una posizione, perché se ti muovi io ti seguo e mi distraggo”.

Dieci minuti dopo la pubblicazione, il Quirinale cancella tutto e invia una nota per scusarsi dell’errore. In realtà, almeno in rete, la gaffe si è già trasformata in un successo comunicativo: “Eh Giovanni” è una tra le espressioni più cliccate su Twitter e in tanti elogiano Mattarella proprio per quei secondi di fuori onda, empatica deviazione rispetto alla consueta formalità dei messaggi istituzionali.

Il Colle avverte l’Europa: “Basta coi vecchi schemi”

Sergio Mattarella interviene in video per la seconda volta dall’inizio del dramma Covid-19, e per la seconda volta pronuncia parole di insolita durezza per denunciare “i vecchi schemi” dell’Unione europea. La risposta politica dell’Europa alla crisi è “fuori dal tempo”, nell’analisi senza indulgenze del presidente della Repubblica. È la seconda sferzata all’Ue, dopo il messaggio del 13 marzo con cui ha risposto al disastroso intervento della presidente della Bce Christine Lagarde sullo spread.

Stavolta l’affondo del Quirinale è il riflesso dello scontro andato in scena al Consiglio europeo tra il premier italiano Giuseppe Conte e i leader degli Stati del Nord (Germania in testa) su Mes e “coronabond”. Il capo dello Stato parla a sostegno del premier del suo Paese. Anche per legittimarlo all’esterno, dopo giorni in cui il nome di Mario Draghi è stati evocato da molti – oppositori e presunti alleati – come un’ombra Palazzo Chigi. Come a dire: questo in carica è il governo che gestirà l’emergenza, inutile guardare altrove.

Il preambolo di Mattarella sembra morbido – “La Banca Centrale e la Commissione hanno assunto importanti e positive decisioni finanziarie ed economiche, sostenute dal Parlamento Europeo” – ma è un artificio. Il punto arriva subito dopo: “Non lo ha ancora fatto il Consiglio dei capi dei governi nazionali. Ci si attende che questo avvenga concretamente nei prossimi giorni. Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa”. La paludata retorica istituzionale non nasconde l’urgenza e la gravità delle parole del capo dello Stato.

La seconda parte del messaggio di Mattarella è rivolta all’interno, torna a parlare all’Italia. E a chiedere unità: “Ho auspicato, e continuo a farlo, che le risposte all’emergenza possano essere il frutto di un impegno comune, fra tutti: soggetti politici, di maggioranza e di opposizione, soggetti sociali, governi dei territori. Unità e coesione sociale sono indispensabili”.

Nemmeno questo è un inedito: è dall’inizio della crisi che Mattarella pretende un atteggiamento meno conflittuale tra i partiti di maggioranza e la destra a trazione salviniana.

I primi tentativi hanno visto la luce ieri mattina, con il primo incontro della “cabina di regia” tra governo e opposizione per la gestione dell’emergenza.

Si è conclusa, per citare il sempre conciliante ministro D’Incà, “in un clima costruttivo”. Meno costruttivo lo scontro tra il leghista Alberto Bagnai e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, presente in videoconferenza. Il primo ha arringato con la retorica che gli ha conquistato vasta popolarità sui social network: “Noi non vogliamo più funzionari del Tesoro che vanno in Europa e svendono l’Italia”. Gualtieri ha preteso le scuse di Bagnai e ha minacciato di non partecipare più a nessun incontro a cui avrebbe preso parte anche lui. Il leghista si è poi effettivamente scusato.

Alla cabina di regia hanno preso parte i capigruppo e i responsabili economici dei partiti di opposizione, oltre ai citati ministri D’Incà e Gualtieri, i viceministri Laura Castelli e Antonio Misiani, le sottosegretarie Cecilia Guerra e Simona Malpezzi.

Al di là delle intemperanze verbali, qualcosa è stato concluso. Conte ha aperto a un incontro “riservato” con Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Si vedranno a inizio della prossima settimana, forse già lunedì. Il governo apre alla collaborazione (Berlusconi ha detto sì), ma intanto chiede al centrodestra di mostrare la sua buona volontà evitando ostruzionismi sul decreto “Cura Italia”. Da aprile – la promessa – ci sarà più coinvolgimento nelle scelte sulla crisi. La destra vorrebbe un relatore di minoranza in tutti i decreti sul Coronavirus: difficile. Ma il vero nodo è quello delle risorse: Gualtieri ha confermato che l’impegno pubblico sarà oltre i 25 miliardi annunciati inizialmente. Salvini è pronto a sparare altissimo: ne vuole almeno 75. Qui si sposterà la linea di trincea, dopo che la strategia della Lega di attaccare il governo sul Mes è andata a vuoto: la partita giocata da Conte giovedì ha tolto almeno questo argomento.

Il “Salva stati” conserva i vantaggi di Berlino & C.

Ricordate la vigilia delle elezioni europee di maggio 2019? Una coalizione di destre sfidava l’establishment per costruire un’altra Europa, con piu’ deficit e meno immigrati: da Matteo Salvini a Viktor Orban (Ungheria) a Sebastian Kurz (Austria) a Marine Le Pen (Francia).

I partiti sovranisti hanno perso, ma la crisi del Covid-19 rivela che le fratture in Europa restano su base nazionale: Nord contro Sud, non destra contro sinistra. A capo degli ultimi paladini del rigore contabile, per esempio, c’è Mark Rutte, premier liberale olandese e amico personale di Matteo Renzi, sostenitore del governo Conte che chiede i “Coronabond” invisi al fronte guidato dall’Olanda. La lettera che chiede i “Coronabond” è firmata, oltre che dal premier italiano Conte, da primi ministri conservatori come il greco Kyriakos Mitsotakis o socialisti, vedi lo spagnolo Pedros Sanchez.

Il Covid-19 ha riportato gli schieramenti a prima della crisi dell’eurozona del 2012: negli ultimi anni, infatti, Paesi come Irlanda, Portogallo e Spagna avevano flirtato con Germania e altri Paesi nordici perché dopo aver applicato (con successo) riforme e spending review, non volevano essere indulgenti con chi – l’Italia – aveva fatto ben poco per affrontare le fragilità emerse negli anni della crisi e il troppo debito.

Ora lo schema è tornato Nord contro Sud. A differenza di quello che può sembrare, lo scontro non riguarda la gestione della crisi, ma il dopo. Germania, Olanda, Polonia, Finlandia hanno avallato misure straordinarie e limitate: gli acquisti della Bce per mille miliardi di titoli pubblici e privati, la riconversione del bilancio dell’Ue per l’emergenza, la sospensione del patto di Stabilità, l’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato per salvare aziende in crisi. Olanda e Germania si oppongono soltanto alla condivisione di rischi sul debito pubblico.

I tanto evocati eurobond sarebbero debito emesso dalle istituzioni europee (non si sa bene da chi) per conto dell’intera Unione, i soldi raccolti sul mercato verrebbero poi usati per progetti europei o – in questa crisi – per i Paesi più colpiti. Anche i sostenitori degli Eurobond, come l’economista spagnolo Miguel Otero, riconoscono che “se vuoi mutualizzare l’emissione del debito (e quindi il rischio di default) devi poi mettere in comune 1) le entrate necessarie a pagare quel debito 2) il destino delle risorse raccolte attraverso un processo democratico di solito gestito da un Parlamento”.

Germania, Olanda & C. si oppongono a questa condivisione con la ragione ufficiale che dei Paesi ad alto debito del Sud non ci si può fidare, e con quella occulta che lo schema attuale offre loro vantaggi (la differenza di rischio tra il debito dei vari Paesi permette alla Germania di indebitarsi ricevendo interessi invece che pagandoli). Sul Financial Times, Mario Draghi ha osservato che queste idee non hanno senso nel dopo-Covid: “Debiti pubblici più elevati che in passato diventeranno la norma nelle nostre economie”.

L’Ue ha già uno strumento per emettere debito a nome di tutti i Paesi dell’eurozona: il fondo salva Stati Mes, che può raccogliere fino a 410 miliardi e attivare le operazioni Omt della Bce, acquisti illimitati dei titoli di Stato dei Paesi beneficiari. L’Italia, con il premier Conte, prima ha chiesto un intervento del Mes a beneficio di tutti i Paesi, poi ha tolto l’argomento dal tavolo del Consiglio europeo quando ha capito che molti governi pretendevano comunque vincoli di bilancio e rientri rapidi dal debito per i Paesi che vi avessero fatto ricorso.

Nella crisi del 2012 Germania, Olanda e Finlandia si sono sempre opposte a ogni misura straordinaria ma poi hanno sempre accettato compromessi. Come ha scritto Draghi, questa volta la posta in gioco è piu’ alta: “Il ricordo delle sofferenze degli Europei negli anni Venti dovrebbe servire da monito”. Dopo gli anni Venti, in quei Paesi del Nord, ci furono Nazismo e perdita di sovranità nazionale.