La frattura è venuta improvvisamente allo scoperto giovedì sera. La veemenza con cui gGiuseppe Conte ha rifiutato la bozza di accordo proposta ai capi di Stato e di governo (Consiglio europeo) dall’Eurogruppo (ministri delle Finanze) illumina anche la distanza tra il premier e il suo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e quella all’interno della sua maggioranza.
Un breve riassunto. C’è un pezzo di establishment italiano, Banca d’Italia compresa, che ritiene che l’Italia debba fin d’ora mettersi nelle mani della Troika accettando un aiuto del Mes con “condizionalità” (inizialmente) minime. A livello politico i fautori di questa opzione, Gualtieri in testa, sono all’interno del Pd, a partire dal commissario europeo Paolo Gentiloni, passando per il capo delegazione al governo Dario Franceschini e il ministro degli Affari Ue Enzo Amendola (tiepidamente contrarie, però, sono la “sinistra” dem e la segreteria Zingaretti, ma lo scontro non si è ancora espresso in sedi ufficiali).
La posizione dei pro-Troika è talmente scoperta che ieri firstonline.it ha pubblicato un report scritto per la Luiss School of European Political Economy e firmato da un gruppo di economisti tra cui Pier Carlo Padoan, deputato Pd e consigliere informale di Gualtieri, e da Lorenzo Bini Smaghi, ex Bce e soprattutto presidente di Société générale. Titolo: “La risposta italiana alla crisi sanitaria: pensare oggi il futuro del Paese”. Svolgimento: la crisi sarà assai brutta, bisogna fare una serie di cose per cui serviranno molti soldi (“5-10 punti di Pil”) e allora “va tenuta in considerazione la possibilità che l’Italia utilizzi una linea di credito precauzionale ‘aumentata’, offerta dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes)”, cosa che poi “aprirebbe la strada alla possibilità di interventi illimitati della Bce in caso di bisogno” (attraverso il programma Omt, che la stessa Bce, peraltro, ha fatto sapere di giudicare inadatto a questa crisi).
Insomma, all’Eurogruppo Gualtieri ha lavorato avendo in mente questa impostazione, tanto è vero che martedì non s’è opposto formalmente all’invio al Consiglio europeo di giovedì della proposta di azionare il Mes con le previste condizionalità (modello Grecia), ancorché minime al momento in cui il programma viene attivato: una previsione priva di senso visto che da Regolamento Ue le condizionalità possono essere cambiate unilateralmente dai creditori se il Paese “aiutato” non rientra abbastanza in fretta.
Conte era stato convinto dal suo ministro (e da Banca d’Italia) che questa fosse l’unica via e che fosse possibile arrivare a un “Mes senza alcun tipo di condizionalità”, cioè l’intervento chiesto nella sua intervista al Financial Times di circa una settimana fa.
Nel frattempo però, per salvare le banche (soprattutto francesi), la Bce aveva avviato il suo programma anti-pandemia (Peep) stabilizzando gli spread e un pezzo della maggioranza giallorosa s’era ribellata al ricorso alla Troika: i gruppi parlamentari 5 Stelle hanno attaccato pubblicamente Conte. Martedì poi, alla fine dell’Eurogruppo, si è scoperto che aveva ragione chi dubitava che il blocco dei Paesi del Nord – e cioè la Germania e i suoi satelliti – avrebbe acconsentito a modificare i Trattati in senso solidaristico: la proposta era il Mes con la “rigorosa condizionalità” prevista dai Trattati.
Nasce allora il cambio di rotta del premier e il conflitto col suo ministro Gualtieri: Palazzo Chigi, a quel punto, prima ha provato a sparigliare con la lettera in cui nove Paesi (Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo) chiedevano una qualche forma di eurobond contro la crisi da Covid-19, poi – visto il no piuttosto duro di Berlino & C. – è passato allo scontro duro. “Se qualcuno pensa all’uso di meccanismi di protezione elaborati in passato allora voglio dirlo chiaro: non disturbatevi, ve lo potete tenere, l’Italia non ne ha bisogno”. Parole rivolte ai leader europei che, però, parlano anche al suo ministro dell’Economia (che non le ha gradite) e a quel pezzo di establishment (e di Pd) che vuol dichiarare la resa prima che sia iniziata la guerra.