“Tiger King”, quando la realtà (animalesca) supera la fiction

Il segreto del successo delle docuserie che hanno a che fare con il crimine – come Making a Murderer e The Jinx, ma in un certo senso anche Wild Wild Country e Fyre – si può riassumere con queste tre parole: incredibile ma vero. Guardi le puntate e intanto pensi: ma com’è che io non sapevo niente di questa storia? E come ho fatto a vivere fino a oggi senza conoscerla? L’ultima in ordine di tempo è Tiger King, disponibile da qualche giorno su Netflix. La serie è un viaggio nell’insana passione degli americani per i felini di grossa taglia. I personaggi principali sono tre: Joe Exotic, Doc Antle e Carole Baskin. Ma i veri protagonisti sono tigri e leoni, giaguari e leopardi delle nevi… Bestie feroci che per molti diventano animali da compagnia (nel 2011 a Zanesville, in Ohio, ne scapparono una cinquantina da uno zoo privato). Con la sua associazione Big Cat Rescue, Carole Baskin si batte da anni per chiudere gli zoo: una crociata che ha trovato il suo nemico numero uno in Joe Exotic, che ne gestisce uno in Oklahoma, e il numero due in Doc Antle, che fa lo stesso in South Carolina. Le due figure meriterebbero un romanzo a sé. Joe Exotic è un cantante country che ha due mariti, assume come dipendenti ex carcerati e va in giro sempre armato (“per difendermi dalle persone, non dalle tigri”). Doc “Bhagavan” Antle si sposta in sella a un elefante e vive circondato da quattro, cinque, qualcuno dice nove mogli, che sceglie preferibilmente vergini e che lavorano per lui gratis o quasi (ecco che ritorna l’atmosfera da setta di Wild Wild Country!).

La tensione, soprattutto fra Joe e Carole, è alle stelle. Lui usa la sua tv online per sparare a zero contro Carole, accusandola fra l’altro di aver ucciso l’ultimo marito e di averlo fatto sbranare dalle tigri; lei approfitta dei milioni di follower che Big Cat Rescue ha sui social per mettere in piedi campagne aggressive. Come andrà a finire lo sappiamo già, visto che Joe Exotic sta scontando 22 anni di carcere per il tentato omicidio di Carole Baskin… Ma la cosa davvero affascinante di Tiger King è che ti fa entrare poco a poco in questo mondo folle, così improbabile e nello stesso tempo così vero.

 

La terza Babilonia sopra Berlino

Anni Venti: Borse in picchiata, economia sotto stress, inquietudine sociale, e il virus. Le analogie si sprecano, eppure il contagio non si deve al Sars-CoV, bensì all’incipiente nazionalsocialismo. La Hitlerjugend, la gioventù hitleriana, non marca visita, il Mein Kampf è il livre de chevet, sullo schermo il Führer è citato e ritratto una sola volta, ma non crediate: se il nazismo ancora non dispiega tutta la sua potenza, è già virale. E non fa prigionieri. Arriva il 1° aprile su Sky Atlantic (ore 21.15, anche in streaming su Now Tv), la terza stagione della (fuori)serie Babylon Berlin, ambientata in Germania nel 1929, all’apogeo della decadenza della Repubblica di Weimar. Protagonisti ancora gli ottimi Volker Bruch e Liv Lisa Fries nei panni del detective Gereon Rath e dell’aspirante omologa Charlotte Ritter, i nuovi dodici episodi adattano il best-seller di Volker Kutscher La morte non fa rumore (Feltrinelli), secondo volume della saga dell’ispettore.

Partorita dalla collaborazione fra Sky Deutschland, Beta Film, X Film Creative Pool e la rete pubblica ARD, diretta a sei mani da Henk Handloegten, Achim von Borries e Tom Tykwer, interpretata anche da Lars Eidinger, Leonie Benesch, Benno Fürmann, Mišel Maticevic e Hannah Herzsprung, Babylon Berlin è la più costosa (circa 50 milioni di euro per le prime due stagioni), acclamata e premiata delle serie tedesche: tra i riconoscimenti, il neonato European Achievement in Fiction Series Award degli EFA, gli Oscar continentali. Avevamo fatto conoscenza a fine 2017, trovandoci catapultati nei Roaring Twenties: Berlino capitale di intrighi geopolitici, omicidi efferati e suicidi torbidi, lotte sociali ed esuberanze sessuali, dal sadomaso al fisting. L’arte non sta a guardare: Fritz Lang ed Espressionismo, Nuova Oggettività e Weimar, sarà pure Babilonia, ma valore e talento si capiscono benissimo e verranno esaltati dai posteri. Nella crescente divaricazione tra miseria e lusso, marginalità e eccezionalità, sussistenza ed eccesso, Gereon Rath ritrova organizzazioni mafiose e paramilitari di estrema destra, ossessioni private e minacce pubbliche, sullo sfondo di una città che non dorme mai e, complice la ricostruzione di pezzi di Friedrichstrasse, Charlottenburg e Kreuzberg in studio a Babelsberg, non cessa di stupirci. Non è solo reduce della Grande Guerra, ma di un presente che tutto può verso l’abisso: inflazione e speculazione lastricano la strada del nazismo, dalla fame e dalla paura germogliano fermento e creatività, e per la prima volta i film diranno la loro. La vittima predestinata è una star degli inediti talkies, Betty Winter, che trova una morte metaforica schiacciata da un riflettore di scena: Gereon e Charlotte cercano di fare chiarezza, ma il principale sospetto è un’entità fantasmatica che incarna trame criminali (l’Armeno e accoliti), secondi fini polizieschi, suggestioni espressioniste. Che fare? Intanto, non farsi travolgere dalle incombenze personali: archiviata la dipendenza dagli stupefacenti, Gereon deve giostrarsi tra compagna precaria e fratello redivivo, mentre l’umile estrazione e la famiglia problematica di Charlotte, già flapper e prostituta, continuano a condizionarla. L’unione fa proverbialmente la forza, ma i due poliziotti sono pedine senzienti di un gioco che a malapena intuiscono: i notabili che osteggiano Weimar scommettono sulla rovina del loro Paese, e vinceranno (la Grande Crisi del ’29 effusa da Wall Street al mondo intero); segretamente si procede al riarmo del Reichsweh, inibito dagli accordi postbellici; le SA spargono sangue senza farsi troppi problemi; l’apparato poliziesco e la nomenclatura militare tradiscono pavidità e corruttela. Non resta che vivere, fino all’ultimo respiro: il viaggio è al termine ma la notte giovane, le pulsioni non si tengono, il romanticismo butta il cuore oltre la Depressione. Alla fine del nono episodio, ancor più in questi nostri tempi di quarantena, un bacio lungamente desiderato e infine rubato a una festa ci rapisce occhi e sospiri: si chiama libertà di circolazione, corpi e sentimenti a piede libero, e quanto ci manca?

 

Babylon Berlin Dal 1° aprile su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv

Home fitness. Yoga, muscoli o incontinenza: vietato fermarsi

Se in tempi non pandemici le scuse per non allenarsi erano molteplici e pure ragionevoli – non ho tempo, né soldi – oggi, chiusi in casa, trovare giustificazioni al mancato esercizio è un’impresa impossibile: dal fitness alla zumba, dallo yoga al pilates, basta avere una connessione e un pavimento per accedere alle lezioni più disparate, che siano video su app, Youtube, Instagram o dirette Facebook. Spesso gratis, o con formule di abbonamento del tutto abbordabili. Tra le applicazioni per appassionati di muscoli vitali e addominali tonici, oltre alle classiche Sworkit, e BEFIT, ci sono quelle basate su allenamenti di sette (numero biblico) minuti, come J & J 7 Minutes Workout o 7 Min Workout, mentre 30 day Fitness punta al successo mensile. XHIT Daily propone video dai nomi fantasiosi (tipo: “Come bruciare un frappuccino di Starbuck in 5 minuti”), Freeatletics abbonda di storie esemplari di “Prima e Dopo”. E se l’app Carrot Fit è l’unica che opta, invece che per l’incoraggiamento collettivo, per un sadico trainer virtuale, l’italiana 8Fit mischia spunti di fitness e alimentazione (con articoli come “Gli Spuntini Notturni Sani che Non Ostacoleranno i Tuoi Obiettivi di Fitness”). Per chi ama l’allenamento firmato ecco Nike Training Club, con atleti di ogni razza e i consigli di personal trainer famosi, mentre per chi detesta gli anglicismi c’è Esercizi a casa senza attrezzature, ottima in tempi di mancata consegna Amazon.

Chi ha un animo femminista, invece, può scegliere Female fitness oppure la community rosa Blogilates, guidato dalla fondatrice del “Pop Pilates” Cassey Ho. E poi ci sono le centinaia di guru e influencer di ogni sport – da Kayla Itsines a Tracy Anderson, solo per fare due nomi – con milioni di seguaci, che in genere alternano consigli per allenarsi, ricette salutiste e psicopillole. Tra gli italiani, da segnalare, per mariti e compagni, il trainer Oliver Montana, che offre consigli per sviluppare “un fisico da dio greco”, ma anche il Team Commando (ricco blog con articoli come: “La colazione del palestrato”) e ancora il canale di Umberto Miletto, autore del libro Burning Revolution.

Ovviamente, va fortissimo lo yoga: oltre ad allungamento e flessibilità, regala al single nell’ampio salotto, o al genitore rifugiato nello sgabuzzino, anche pillole di pace, accettazione e serenità. A parte le iniziative delle varie scuole o siti (come “Integral Yoga Shanti” a Milano, “Ryoga” di Roma e il sito Lifegate) che hanno messo online lezioni gratis dove gli insegnanti si muovono un po’ impacciati tra gatti che attraversano lo schermo e video improvvisati, ci sono canali consolidati da anni. Yoga con Adriene, dove potrete praticare insieme a quasi altre sette milioni di persone in perfetto stile new age oppure – se preferite il guru maschio – Yoga with Tim. Consigliatissimo per questi tempi incolori il canale rosa-violetto La Scimmia Yoga, una pratica ben fatta e per tutti i livelli. Daily Yoga, Do You Yoga, My Free Yoga, Fightmaster Yoga, Yoga Wave, Gaia, Yoga studio sono altre piattaforme o app utili. E visto che il momento è propizio per iniziare anche i propri figli, lo si può fare con i video di Cosmic Kids Yoga, costruiti con un’ambientazione da cartone animato.

E la danza? L’offerta è più limitata, per modo di dire: non mancano infatti canali dedicati alla Zumba (Zumba Fitness e Strong by Zumba) e all’aerobica, come Cyberobics, mentre la piattaforma Just Dance now trasforma la stanza in una pista da ballo. Impossibile dimenticare, inoltre, che con una qualsiasi consolle si possono simulare partite di tennis o ping pong (Nintendo propone Ring Fitness Adventure, videogioco dove si usano solo tecniche fitness per sconfiggere i nemici).

In tanta abbondanza di video per giovani o semi-giovani, c’è per fortuna chi si ricorda di chi è anziano o acciaccato. Ad esempio Massimo Defilippo, fisioterapista, che pubblica una serie di video dai titoli eloquenti: “Esercizi di Kegel per l’Incontinenza Urinaria”, “Dolore al muscolo Piriforme: Cosa Non Fare”. Ma c’è anche il canale e profilo Instagram Postura da paura, per una perfetta seduta da smart working. In breve, con tante sollecitazioni stare fermi non si può. Per leggere in pace un libro, l’unica soluzione è l’androne del palazzo. Dove cominciare a pensare, anche, se dopo il coronavirus l’abbonamento alla palestra serva davvero. E magari decidere che si tornerà, ma sapendo che quella che si paga – ormai l’abbiamo capito – è soprattutto la (preziosissima) socialità.

Tiepolo, il pittore felice che inseguiva le nuvole

Esattamente duecentocinquant’anni fa, il 27 marzo 1770, a Madrid moriva l’ultimo gigante della nostra storia pittorica: il veneziano Giovan Battista Tiepolo. Per sua e nostra fortuna, i cinquecentenari della morte di Leonardo (1519) e Raffaello (1520) gli hanno rubato la scena, risparmiandogli feroci strumentalizzazioni e infine evitandogli pure la tragicomica farsa toccata a Raffaello, quella di una mostra indecentemente inaugurata a pandemia iniziata (il 3 marzo…) e poi subito forzosamente chiusa per sempre.

Tiepolo, dunque: uno dei pittori più felici per questi giorni di clausura coatta tra quattro mura. Formatosi nella pittura ancora tenebrosa della Venezia settecentesca, infatti, Giovan Battista inseguì per tutta la vita la luce, l’aria, la leggerezza delle nuvole, la libertà di spazi infiniti. Una delle conseguenze di questa vocazione, è che Tiepolo non è un artista da museo. Nonostante che abbia dipinto bellissimi quadri da cavalletto, egli raggiunge l’apice negli sterminati soffitti (da quello di Palazzo Clerici a Milano a quello della reggia del principe vescovo di Würzburg in Germania, da quello di Villa Pisani a Stra a quello della Sala del trono del Palazzo Reale di Madrid…), nelle grandi decorazioni monumentali. Tiepolo è un grande frescante e dunque i suoi massimi capolavori sono cuciti alle pareti, inamovibili: in un’epoca in cui il rapporto con l’arte del passato si consuma sostanzialmente nelle mostre, Tiepolo ci obbliga invece a uscire di casa, seguendolo nei mille luoghi in Italia e in Europa dove i muri grondano della sua pittura di luce.

Prendiamone uno: Palazzo Labia, a Venezia. Nel 1746 la famiglia che lo possedeva celebrò il primo secolo di nobiltà: comprata grazie agli sterminati proventi della sua attività mercantile. I Labia erano così ricchi che si raccontava di un antenato che, alla fine dei sontuosissimi banchetti che offriva, faceva gettare in canale le stoviglie d’oro su cui si era mangiato, scherzando così, in veneziano: “Che l’abia o non l’abia, sarò sempre Labia”. Per celebrare quei cento anni di aristocrazia, i Labia chiesero a Tiepolo (e al suo fidato collega Girolamo Mengozzi Colonna, specialista di illusionistiche architetture dipinte) di trasformare il salone centrale del palazzo nella sala dei banchetti di Cleopatra.

La figura della celeberrima regina d’Egitto esercitava un gran fascino sull’élite veneziana del Settecento, che era ben conscia della decadenza economica e militare della Repubblica Serenissima, ma era anche snobisticamente convinta di superare le più giovani e muscolari potenze europee (come la Francia, che nel 1797 mise fine alla libertà veneziana) attraverso il gusto, il lusso, l’arte: proprio come Cleopatra aveva surclassato la Roma che pure ne conquistò il regno. È proprio questo che Tiepolo celebrò, in affreschi che nonostante le traversie (una barca carica di munizioni scoppiata sul Canal Grande nel 1945, un restauro per lo meno discutibile…) conservano ancora tutto il fascino che fece innamorare Joshua Reynolds e Degas, Maupassant e Proust.

Siamo ad Alessandria, nel palazzo di Cleopatra aperto sul porto dove hanno appena attraccato le navi di Marc’Antonio: le grandi vele bianche, le bandiere che garriscono al vento, e la incredibile corte di orientali che circondano la sovrana fanno da cornice ad una straordinaria scena di seduzione. Il condottiero romano è vinto dal primo sguardo della “regina meretrice”: “Forse non esiste nella storia dell’arte un’opera che come questa rappresenti il turbamento all’apparire della bellezza” (Adriano Mariuz). Nell’altra grande scena, i due sono a banchetto: Cleopatra ha scommesso che consumerà milioni di sesterzi in una sola portata. E mentre l’incredulo Antonio la guarda, ella scioglie nell’aceto una delle sue perle di leggendario valore: la sfida è vinta. Per secoli quelle sale hanno ospitato feste che si ispiravano al lusso sfrenato di Cleopatra: fino al 1951 quando vi danzarono, immortalati dal grande fotografo Cecil Beaton, invitati come Orson Welles, Salvador Dalì, l’ex re di Inghilterra Edoardo VIII, l’Aga Khan e il re d’Egitto, tutti rigorosamente in costume.

Bello il tempo in cui la Rai aveva la volontà e il denaro per rendere bene comune un palazzo nato per la ricchezza privata come questo: accadde nel 1964, ed era la stessa Italia che costruiva un grande servizio sanitario pubblico. Poi abbiamo cambiato idea: nel 2008 e ancora nel 2010 la Rai ha provato ad alienare Palazzo Labia, per fortuna senza riuscirci. Erano gli stessi anni in cui i posti letto in rianimazione venivano allegramente falciati. Oggi abbiamo l’occasione di progettare un futuro diverso, di tornare al progetto della Costituzione: quello in cui perfino le perle di Cleopatra, trasformate da Tiepolo in purissima luce, dovevano appartenere al popolo.

Knesset a Gantz e Bibi premier per diciotto mesi

La più gravecrisi istituzionale di Israele, con uno scontro aperto tra presidente del Parlamento, deputati eletti e la Corte Suprema, è stata risolta ieri sera con una soluzione che lascia l’amaro in bocca a molti israeliani che avevano sperato in una svolta dopo vent’anni di Benjamin Netanyahu. Bibi, in breve, ce l’ha fatta ancora una volta.

Con una drammatica inversione a U il presidente del partito Kahol Lavan, Benny Gantz – che solo una settimana fa era stato incaricato dal presidente Reuven Rivlin di formare un governo – è stato eletto presidente della Knesset come parte di un accordo di unità nazionale, mandando in pezzi la sua alleanza centrista per entrare in un governo con Netanyahu premier.

Ricevendo il pieno sostegno del blocco di destra, Gantz è stato eletto al prestigioso posto con 74 voti: 18 hanno votato contro e una fazione di Kahol Lavan si è astenuta.

Secondo l’accordo, Gantz si dimetterà dalla carica entro breve – sarà sostituito da un deputato del Likud – e dovrebbe collaborare con Netanyahu in un governo di unità, servendo inizialmente come ministro degli Esteri e poi subentrando a Netanyahu come primo ministro nel settembre 2021. In questo governo, per i fedeli di Gantz ci saranno anche i dicasteri della Difesa, dell’Economia e della Giustizia. Nel suo primo discorso da oratore alla Knesset, subito dopo il voto, Gantz ha promesso di “promuovere” un governo di unità nazionale, citando la crisi per il coronavirus, per affermare che Israele aveva bisogno di un governo “di emergenza” per combatterla. Sono davvero in pochi in Israele a credere che Netanyahu tra 18 mesi lascerà la poltrona a Gantz. La sospensione dei procedimenti giudiziari vale solo per il premier in carica e Netanyahu ne dovrà affrontare 3 per corruzione, frode e abuso di potere.

Narcos, nuova puntata. Stavolta il “boss cattivo” è il presidente Maduro

Il presidente Nicolas Maduro è stato incriminato negli Stati Uniti per traffico di droga sulla base dei risultati di un’inchiesta delle autorità federali a Washington, New York e in Florida. Insieme a Maduro, sono finite sotto accusa una decina di altre persone: esponenti del governo e dell’intelligence venezuelani e pure elementi delle Forze armate rivoluzionarie colombiane, le Farc, che si sono a lungo finanziate con il traffico di cocaina. Il Dipartimento di Stato offre fino a 15 milioni di dollari a chi fornirà informazioni utili all’arresto del presidente venezuelano e fino a 10 milioni per l’arresto di altri esponenti venezuelani accusati. Nella lista, c’è il presidente dell’Assemblea nazionale costituente, che gli Usa ritengono illegittima, Diosdado Cabello Rondón, l’ex capo dell’intelligence militare Hugo Carvajal Barrios, l’ex generale dell’Esercito Clíver Alcalá Cordones e il ministro dell’Industria Tareck Zaidan El Aissami Maddah. Dura la reazione di Maduro: “Usa e Colombia cospirano per riempire il Venezuela di violenza. Non ci riusciranno! Ho il dovere di difendere la pace e la stabilità di tutta la Patria”. Il presidente rilancia le accuse di campi d’addestramento di mercenari in territorio colombiano con istruttori statunitensi: le bande dovevano entrare in azione nei giorni scorsi, coi venezuelani in quarantena per l’epidemia di coronavirus, ma l’operazione sarebbe saltata.

L’accusa di traffico di droga è un classico, nei confronti di figure latino-americane scomode: se non riescono a disfarsi d’un dittatore latino-americano foraggiando l’opposizione e magari organizzando un cambio di regime con parvenze istituzionali, gli Stati Uniti possono giocarsela come un asso nella manica. Tra l’altro, c’è pure che la possibilità che sia vero. In base all’atto d’incriminazione, Washington potrebbe ora arrogarsi il diritto di andare ad arrestare Maduro. Nel 1989, il presidente Usa George H.W. Bush ordinò l’invasione di Panama per catturare il dittatore Manuel Antonio Noriega, ‘faccia d’ananas’ per via del viso butterato dalle cicatrici lasciategli dal vaiolo. Noriega era stato a lungo un uomo della Cia, ma quando si mise contro gli Usa nel 1987 cominciarono a circolare contro di lui accuse di traffico di droga. Sottrattosi alla cattura al momento dell’invasione e rifugiatosi nella nunziatura apostolica, il generale dittatore si consegnò agli americani nel 1990: condannato a 40 anni di carcere nel 1992 per spaccio di droga e violazione dei diritti umani, morì nel 2017 a Panama, dov’era stato estradato per scontare condanne per omicidio.

La mossa di Washington contro Maduro rilancia gli sforzi dell’Amministrazione Trump per ‘fare fuori’ l’erede di Hugo Chávez, essendo chiaramente fallito il tentativo, operato a fine gennaio 2019, di sostituirlo con Juan Guaidó, un centrista, già presidente della dissolta Assemblea nazionale, auto-proclamatosi presidente, ma incapace di coagulare il sostegno dei militari e delle istituzioni e anche di suscitare un largo consenso popolare.

Nonostante le condizioni socio-economiche drammatiche del Paese, accentuate dalle sanzioni Usa, il regime di Maduro, aiutato, fra gli altri, da Russia e Cina, non s’è sbriciolato anche se molti Paesi hanno riconosciuto – si ignora su quale base giuridica – Guaidó come legittimo rappresentante del popolo venezuelano. Maduro, 57 anni, autista di autobus, sindacalista, deputato e uomo ombra di Hugo Chávez, come ministro degli Esteri e vicepresidente, fa sopravvivere il ‘chavismo’ senza esserne il fondatore e senza averne il carisma, Al potere da quasi sette anni, non riesce a portare il Paese fuori dalla crisi e ricorre a crescenti limitazioni delle libertà fondamentali.

Di Chávez, Maduro ha ereditato la filosofia politica, un impasto di marxismo e bolivarismo, condito con socialismo terzomondista (dove c’era un po’ di Che Guevara e un po’ di Fidel Castro), teologia della liberazione e nazionalismo di sinistra. Molti attribuiscono la crisi del Venezuela, ricco di petrolio e materie prime, alle scelte economiche di Maduro, che, invece, dà la colpa alle sanzioni, alla speculazione e alle imposizioni americane.

Sinagoghe chiuse: Litzman, il ministro ultraortodosso della Sanità, era contrario

Le strade della Città Santa si sono vuotate di colpo, così come le spiagge di Tel Aviv. Dopo la cautela dei primi giorni il premier Benjamin Netanyahu ha fatto varare norme più restrittive per tutta la popolazione per contenere il contagio. I numeri sono in crescita: 8 le vittime e quasi 3.000 i contagiati. Una App consente al ministero della Salute di seguire gli spostamenti di coloro che sono in auto-isolamento. Gli ospedali israeliani dispongono solo di 3.000 respiratori, metà dei quali già in uso. Le nuove disposizioni entrate in vigore ieri pomeriggio e che saranno in vigore per 7 giorni, includono spostamenti vietati oltre i 100 metri dalle abitazioni, a parte in determinate circostanze. Sbarrati tutti gli esercizi “non indispensabili”, banche e uffici ricevono solo su appuntamento. Chiusi tutti i luoghi di culto, sinagoghe comprese nonostante il parere opposto del ministro della Salute, l’ultraortodosso Yaakov Litzman. Secondo il National Information and Knowledge Center for the Fight Against the Coronavirus, il 29% di coloro che hanno contratto il virus in Israele sono stati infettati in una sinagoga o in una yeshiva (scuola religiosa). I regolamenti consentono agli israeliani di lasciare le loro case solo per ragioni essenziali, cure mediche e l’acquisto di generi alimentari. Il trasporto pubblico è stato ridotto al 25% e ai taxi è consentito portare un passeggero alla volta. I ristoranti possono continuare la consegna a domicilio così come per gli acquisti online. Multe di 500 NIS (200 euro) o la reclusione fino a 6 mesi per chi viola le restrizioni, sanzioni più elevate per le aziende. Nelle strade schierati polizia e soldati. Sospese le licenze ai militari per evitare che tornando a casa possano aumentare le possibilità di contagio. Strade deserte a Gaza e in Cisgiordania dove c’è stata la prima vittima. Betlemme, dove ci sono numerosi casi, è stata isolata. In totale sono 86 i contagi accertati tra i palestinesi dall’inizio dell’epidemia, di cui 9 a Gaza, i guariti sono 17. L’ufficio locale dell’Oms ha consegnato all’Anp 3 mila kit per i tamponi e 50 mila mascherine.

Dati falsati, mancano le vittime: anziani nelle case di riposo e 40mila pazienti senza tampone

Sono 29.155 i casi confermati di contagio al covid-19 in Francia e 1.696 i morti, 365 in più in 24 ore, stando ai dati dell’ultimo bollettino di ieri sera. Ieri nella regione di Parigi, dove si aspetta l’ondata di malati nelle prossime ore; è morta anche una ragazza di 16 anni. “L’epidemia continua a aggravarsi, è rapida e severa”, ha detto Jérôme Salomon, direttore generale della Sanità. Ma i dati ufficiali sono senza dubbio inferiori alla realtà. Non rientrano nei conteggi gli anziani che muoiono nelle case di riposo, forse già centinaia. Salomon promette per l’inizio della prossima settimana un nuovo tipo di conteggio che permetta una “valutazione più realistica” della situazione. Per quanto riguarda i contagi, restano fuori i dati dei medici generici che, stando all’agenzia nazionale della Sanità, hanno diagnosticato la malattia in almeno 40 mila pazienti, a cui non è mai stato fatto il tampone. Intanto si moltiplicano le denunce contro lo Stato: oltre a quella dei medici, ne sarebbero state depositate almeno altre cinque per “non assistenza a persona in pericolo” da parte di ex malati e associazioni. Nel frattempo si registra una parziale apertura alla cura del professor Didier Raoult, a base di idroclorochina.

Il piano da 2 trilioni verso l’ok: i morti sono in aumento, ma la popolarità di Trump vola

Corre al Congresso il piano da 2.000 miliardi di dollari per sostenere l’economia statunitense: sarà legge in settimana. Corre la popolarità del presidente Trump, mai così alta. E corre più forte l’epidemia: le vittime di coronavirus negli Usa hanno superato quota mille: la Johns Hopkins University, che monitora la pandemia in tutto il mondo, ne conta 1.031, su oltre 75 mila positivi. Fa un brusco tonfo, invece, il mercato del lavoro, dopo 113 mesi consecutivi di crescita ininterrotta. Le richieste di sussidi di disoccupazione aumentano di botto di circa tre milioni in una settimana, salgono da poche centinaia di migliaia a 3.328.000, un record battuto di quattro volte: furono 695 mila nell’ottobre 1982. Il tasso di disoccupazione, sceso al 3,5%, ai minimi dagli anni Sessanta, s’impenna. La Casa Bianca minimizza, ma la Fed ammette che gli Usa potrebbero già essere in recessione. Ferma come l’economia la campagna elettorale. Joe Biden è auto-isolato a casa sua. Bernie Sanders vota in Senato il piano d’aiuti e stimolo all’economia: 96 sì e zero contrari. Il provvedimento è ora alla Camera. L’intesa politica c’è e il varo dovrebbe essere rapido. Il piano contribuirà a rafforzare ulteriormente la percezione che Trump sta gestendo bene la crisi, nonostante i dati del contagio. L’epidemia esplode in Louisiana, forse per colpa del Carnevale: anche quest’anno, infatti, il Mardi Gras è stato celebrato a New Orleans come da tradizione, senza precauzioni anti-coronavirus. A Miami, in Florida, via al coprifuoco. A New York il sindaco Bill de Blasio prevede: “Metà della popolazione della metropoli sarà colpita”, quasi 4 milioni di persone. Le misure al varo prevedono aiuti diretti ai cittadini americani: fino a 1.200 dollari per adulto e 500 per bambino, per le famiglie che guadagnano meno di 150.000 dollari l’anno. Anche le indennità di disoccupazione vengono aumentate e i lavoratori autonomi potranno beneficiarne. Il piano stanzia circa 500 miliardi di prestiti e aiuti a imprese e settori chiave, compresi quasi 30 miliardi di aiuti al settore aereo (passeggeri e merci). E ci sono anche 100 miliardi per gli ospedali.

Ventilatori, lo strano appalto alla Dyson aspirapolveri

Il bollettino di guerra nel Regno unito: aumentano i morti in Scozia, Galles e Irlanda del Nord e ovunque i medici in prima linea raccontano di uno “tsunami di contagi”.

Intanto, in gran fretta, mercoledì, prima della chiusura, il Parlamento ha approvato il Coronavirus Bill, legge di emergenza che affida al governo poteri speciali per due anni, da rivedere ogni 6 mesi. Immediate le conseguenze: fra le altre, ampia discrezionalità nell’abilitazione di nuovi infermieri e assistenti sociali, ok a droni e pattuglie di polizia per impedire assembramenti e uscite non indispensabili, niente autopsie, controlli rilassati sui certificati di morte, più ampi poteri di arresto. Misure draconiane giustificate dall’emergenza, su cui il dibattito pubblico è stato minimo. Continua lo sforzo per aumentare il numero di letti disponibili, con l’annunciata costruzione di diversi ospedali da campo e un contestato appalto pubblico per la produzione di ventilatori alla Dyson, che non ne ha mai realizzati, mentre produttori storici denunciano di non aver ricevuto ordini. Criticatissima anche la scelta del governo di non partecipare alle strategie di contrasto Ue al virus, ancora accessibili in questa fase di transizione. “Non siamo più un Paese membro” è la risposta ufficiale. E resta il problema principale: mancano medici e infermieri. Erano insufficienti già prima dell’emergenza e ora molti minacciano di incrociare le braccia se non riceveranno il necessario equipaggiamento protettivo, promesso ma non ancora arrivato. Ampia invece la risposta all’appello del governo per creare un “esercito dell’NHS”. Circa 600mila persone su un target di 750mila si sono iscritte per supportare, con semplici servizi, il milione e mezzo di anziani e vulnerabili individuati dal sistema sanitario: portar loro medicine, riaccompagnarli a casa dall’ospedale, chiamarli per verificare che stiano bene. Sul fronte economico, dopo il massiccio pacchetto a supporto di imprese e dipendenti, il governo ha annunciato misure a sostegno anche di liberi professionisti e precari. E infine: secondo alcuni tabloid il principe Filippo, 98, sarebbe morto e la notizia tenuta nascosta perché in questo momento non sarebbe possibile fargli il funerale. Impossibile da verificare, se non arriva conferma dal palazzo reale, e del resto per certa stampa Filippo è morto già diverse volte.