Isis attacca nel caos: 25 morti al tempio sikh

Donald Trump e i talebani avranno pure firmato, il 29 febbraio, una loro pace. Ma l’Afghanistan continua a vivere in guerra, anche Kabul, la capitale, ripetutamente insanguinata, nell’ultimo mese, da attacchi e attentati e dilaniata da faide politiche magari incruente, ma esasperanti. Ieri, ci sono state almeno 25 vittime nell’attacco contro un tempio hindu-sikh rivendicato dai miliziani dell’Isis, il sedicente Stato islamico che ha trovato suoi santuari in questo tormentato Paese. Uomini armati hanno preso d’assalto un Gurrwara, cioè un tempio sikh-indù nel centro di Kabul: c’è stato uno scontro con le forze di sicurezza, durato ore; alla fine, un’ottantina di persone sono state fatte uscire sane e salve, ma, oltre alle vittime, si contano vari feriti. Secondo il ministro dell’Interno afghano, Tariq Arian, tutti gli assalitori sono stati uccisi, ma di fatto si ignora quanti fossero gli attaccanti e se uno o più di essi siano riusciti a fuggire o a confondersi nella folla all’uscita dal tempio: ennesima testimonianza dell’approssimazione e dell’inaffidabilità delle forze di sicurezza afghane, nonostante la quantità di risorse investite nel loro addestramento. È accaduto tutto di prima mattina: verso le 7.45, il commando di miliziani è entrato in azione, irrompendo nel tempio, dove vi sono state momenti di panico. Alcuni fedeli hanno dato l’allarme con i loro telefonini, altri si sono nascosti o hanno cercato di farlo; si sono sentiti spari ed esplosioni, forse di granate; poi l’assedio, il conflitto a fuoco, l’irruzione.

I talebani hanno negato qualsiasi coinvolgimento nell’attacco terroristico. La rivendicazione dell’Isis è stata invece intercettata dal Site, che monitora le comunicazioni degli integralisti. I miliziani hanno una storia di assalti contro le minoranze religiose in Afghanistan e, il 6 marzo, avevano colpito una cerimonia in memoria di un leader della comunità Hazara Abdul Ali Mazari, uccidendo oltre trenta persone. Circa un migliaio di sikh e indù, poco più di 300 nuclei familiari, vivono nel Paese a stragrande maggioranza musulmana. Discriminati e repressi, vittime di attentati – uno a Jalalabad nel 2018 particolarmente cruento –, sikh e indù hanno spesso cercato asilo in India negli ultimi anni. L’Isis, che ha fatto dell’Afghanistan la sua base principale, dopo le disfatte subite in Iraq e in Siria, è contrario all’accordo di pace raggiunto tra americani e talebani e cerca di sabotarlo, in un contesto in cui è difficile stabilire chi controlla cosa: il presidente proclamato vincitore delle ultime elezioni Ashraf Ghali; o il suo rivale politico Abdullah Abdullah, pure proclamatosi presidente; o i talebani, che gestiscono larghe porzioni del territorio afghano, o l’Isis, o quel che resta di al Qaeda. L’attacco di ieri giunge il giorno dopo l’annuncio della decisione degli Stati Uniti di tagliare l’aiuto all’Afghanistan di un miliardo di dollari.

Digital revolution: l’arma degli 007 svelata dai nerd

Intorno a noi ci sono oggetti vivi: quelli capaci di registrare informazioni dettagliate, mappare i luoghi in cui si trovano, comunicare dati a distanze lontanissime in tempo reale. Rimangono immobili e silenziosi in case, edifici strategici, palazzi del potere. Esiste però anche uno strumento per insinuarsi nei loro pannelli di gestione, assumerne il comando e metterli fuori uso. Nome in codice: Fronton. È un software capace di penetrare e prendere il controllo dei dispositivi intelligenti grazie all’Idc, “l’Internet delle cose”.

Fronton è un mezzo maligno capace anche di “distruggere, smantellare e rendere inaccessibile Internet per ore in interi Paesi”. È l’ultima cyber-arma segreta di Mosca, progettata dalle aziende digitali al servizio del Cremlino. Ma i programmatori che volevano spiare sono stati a loro volta spiati: gli archivi dei mercenari digitali, assunti solo per difficili e peculiari progetti virtuali, sono stati violati. Alcuni pirati informatici hanno scrutato, serpeggiato tra i loro archivi e hanno trovato un bug per rubare i documenti.

Commissionato nel 2018 dall’Fsb, ex Kgb, servizi segreti russi, il progetto Fronton è stato perfezionato negli anni nelle sue versioni Fronton-3D e Fronton-18 dalle aziende Informinvestgrup e la subappaltatrice 0day, per l’unità 64829, più nota come Centro sicurezza informazioni. Scopo di Fronton è organizzare attacchi sincronici, infettare server e dispositivi, unirli in una rete sola di gestione che li mette fuori uso contemporaneamente, come in simultanea finirono in tilt i server americani della costa est Usa nel 2016, evento citato da esempio nel materiale poi reso pubblico. “Possiamo dimostrare che i tirapiedi del Cremlino ci spiano” dice la scritta rossa sulla schermata nera del sito dei pirati russi venuti dal deep web. Nella nazione dell’“Internet sovrano”, dove il traffico della rete è analizzabile e filtrabile dallo Stato, hanno sintetizzato quasi tutto nella scelta del loro nome: i russi che hanno svelato i piani dell’Fsb si fanno chiamare Digital Revolution e non si sa precisamente dove e quanti siano. Un teschio dal cappuccio rosso per icona sventola sopra il loro motto: “I prossimi ad agire budem my, saremo noi”. E loro “sono il volto della rivoluzione cifrata, sono tanti e sono ovunque” e “non tollerano più le offese del governo. Conduciamo la lotta per il diritto di vivere normalmente”. Si dichiarano coraggiosi, nuovi guardiani dei tubi e dei cavi della Federazione.

Il leak dell’algoritmo della distruzione. Sono rimasti sconsolati e inascoltati dai media in patria finché la prima emittente a pubblicare i documenti da loro sottratti è stata la britannica Bbc: si tratta di dodici pagine in cui si susseguono codici sorgente, diagrammi e algoritmi dell’ultima, potente cyber-arma. Incomprensibili ai non addetti ai lavori, gli schemi sono stati analizzati e resi decifrabili per tutti. Per descrivere gli effetti di Fronton è stata scelta una parola a cui gli slavi ricorrono spesso: “zombie”. I server e gli oggetti Idc diventano manipolabili fantasmi dal controllo eterodiretto e un serbatoio di informazioni da cui attingere per rubare dettagli sensibili e non. Alla nazione, a Paesi stranieri, a chiunque ovunque.

Se la sfida del tempo per le potenze mondiali è il controllo digitale, il duello dei giovani e anonimi nerd russi è violare, ripetutamente e vorticosamente, la filiera di aziende che lavorano per gli uffici della sicurezza di Mosca. “Continueremo a esporre i progetti che mostrano come le autorità stanno cercando di spingere tutti sotto il controllo dell’FSB”. Nel 2018 per presentarsi al mondo, dichiarare guerra al potere centrale di Mosca e dimostrare le loro intenzioni, gli hacker della Digital revolution hanno violato i server della Kvant, altra compagnia a cui il ministero dell’Interno russo ha fatto spesso ricorso.

“Qui manca anche lo spazio per isolare i contagiati”

Nei rifugi per migranti alla frontiera con gli Stati Uniti è partito l’allarme su capacità e mezzi insufficienti a seguire le raccomandazioni dell’Oms contro il Coronavirus: “Ci manca lo spazio fisico per isolare un malato di Covid-19”. Il reportage de El Pais racconta di una delle nuove colonie in cui alloggiano gli immigrati in arrivo dal Sudamerica che si accalcano al confine in attesa di trovare asilo negli Usa. Tijuana, colonia di Nueva Aurora. Qui l’emergenza è anche andare al bagno, il virus non è possibile neanche immaginare di frenarlo. Il responsabile, Albert Rivera, parla di “popolazione a rischio” alla vigilia dell’arrivo della pandemia che necessariamente troverà il centro senza mezzi per porvi rimedio, né tanto meno per le cure. Stessa cosa vale per gli altri centri della Bassa California, la frontiera con maggior passaggio al mondo, soprattutto dopo che il presidente degli Usa, Donald Trump ha firmato con l’omonimo messicano, Andrés Manuel López Obrador il progamma “Quedate en Messico”, cioè resta in Messico, volto a dare alloggio e lavoro ai migranti che arrivano perché si rassegnino a non chiedere asilo agli Usa. La maggior parte di loro vive nei centri di accoglienza, 40-50 letti a stanza. Manca lo spazio per isolare i malati, denunciano le Ong che gestiscono i rifugi. “Siamo seriamente preoccupati perché non esiste un piano, un protocollo di coordinamento da parte delle autorità, denunciano, mentre il governatore della Bassa California dichiarava venerdì che ci sono solo due casi confermati di coronavirus nello Stato e che non bisogna “certo preoccuparsi di contagiare gli Usa, casomai il contrario, non possono certo colpevolizzarci”, ha aggiunto. Eppure Trump ha annunciato che rimanderà in Messico chiunque provi ad attraversare la frontiera sud, e i due paesi hanno chiuso il passaggio transfrontaliero non essenziale per i prossimi 30 giorni.

“Si può (e si deve) scrivere di migranti, pur senza esserlo”

Per anni Jeanine Cummins ha cercato di scrivere una storia di immigrazione. Ha intervistato centinaia di migranti, medici, operatori, gente che vive al confine. Ha scritto due versioni. C’era però sempre qualcosa che non andava. “Non lo sentivo vero”. Poi è successo qualcosa. “Nel 2016 è morto mio padre. Improvvisamente. Ho smesso di scrivere. C’era solo il mio lutto”. Dopo quattro mesi, Jeanine prende il computer, se lo porta nel letto e scrive la prima scena di Il sale della terra.

La storia è quella di Lydia e Luca, madre e figlio di Acapulco, in fuga verso gli Stati Uniti dopo che una gang ha sterminato la loro famiglia. Viaggiano sul treno dei migranti, La Bestia. Attraversano il deserto. Il racconto è straordinariamente vivido, appassionato, tanto che quando Cummins lo consegna si scatena la battaglia per la pubblicazione tra nove diverse case editrici. Alla fine il contratto di Flatiron Books per Jeanine Cummins – sinora autrice di tre libri di medio successo – è milionario. Ancor prima di uscire, il romanzo ottiene le lodi di Stephen King, John Grisham e Don Winslow. Autori messicano-americani come Reyna Grande prevedono che Il sale della terra “cambierà il cuore degli americani”. Una delle massime scrittrici Usa, Sandra Cisneros, lo definisce “il grande romanzo delle Americhe”. Quando Oprah Winfrey seleziona Il sale della terra per il suo “Book Club”, il trionfo è definitivo. Poi succede qualcosa. Compaiono alcune recensioni negative. Si levano, nella comunità ispanica Usa e in Messico, le prime voci critiche. Cummins non è messicana. Cummins non è una migrante. Cummins ha sfruttato la sofferenza dei veri migranti. Cummins ha riempito il suo libro di stereotipi sui messicani. Si parla di “razzismo”, di “imperialismo culturale”. Flatiron è costretta a cancellare il tour promozionale per non meglio precisate “minacce alla scrittrice e ai librai”. In una lettera a Oprah, 142 scrittori chiedono di levare il libro dal “Book Club”: “Fa del sensazionalismo sulla vita dei migranti”, dicono.

Jeanine Cummins, si aspettava tutto questo?

Sì e no. Per anni ho resistito all’impulso di raccontare la storia dal punto di vista di Lydia. Mi chiedevo: chi sono io per farlo? Non ho vissuto davvero quell’esperienza. Temevo le critiche che sono puntualmente arrivate: ‘Perché scrivi di qualcosa che non conosci?’.

Perché ha deciso di farlo ugualmente?

Sono una scrittrice ‘di stomaco’. Se sento una cosa, la scrivo. E dopo la morte di mio padre, ho sentito che la mia sofferenza, il mio trauma, erano anche la sofferenza e il trauma di Lydia. E ho trovato la voce giusta.

Perché pensa se la siano presa così tanto col suo libro?

All’inizio ero al settimo cielo, le reazioni erano tutte positive. Poi però le mie paure si sono materializzate. Negli Stati Uniti esiste un problema. L’industria editoriale è fatta di bianchi privilegiati. Donne e minoranze sono da sempre poco rappresentate, dimenticate. Ma è il passo successivo che non mi piace: cioè l’idea che, ammesso il pregiudizio, ammessa la sofferenza terribile di alcuni gruppi, ci siano soltanto loro a potersi occupare di certi temi. Non è così. È un modo di pensare che nega l’idea stessa della scrittura.

Cos’è la scrittura, per lei?

È immaginarci nei panni degli altri. È libertà assoluta di scrivere ciò che muove il nostro cuore. Bisogna farlo con rispetto. Ascoltando le altre culture. Evitando stereotipi. Ma si deve poterlo fare.

Ora al confine con il Messico la situazione, se possibile, è peggiorata. I richiedenti asilo vengono rimandati indietro subito: si teme che possano contagiare col Covid-19 gli agenti di frontiera e gli altri rifugiati nei centri di detenzione.

Il tema immigrazione viene usato strumentalmente dai politici. Ma nell’opinione pubblica esiste una volontà di ascolto. Per questo l’arte, la letteratura, sono così importanti. Creano uno spazio di empatia, una disposizione al dialogo al di fuori dei pregiudizi.

Per questo ha scritto Il sale della terra ?

Sì, anche. Ma l’ho scritto soprattutto per me. Perché era la storia che mi emozionava.

Madrid oltre la Cina: 3.400 i morti

Nel giorno del sorpasso dei morti per Covid-19 in Cina – 3.434 vittime totali, 738 solo ieri e quasi 48 mila contagiati – il Parlamento spagnolo, nel vuoto dell’Aula con i parlamentari in voto da casa, prolunga le misure per l’emergenza.

Unità nazionale a parte espressa – chi più chi meno – da maggioranza e opposizione, a Madrid viene il dubbio che il governo rosso-viola di Pedro Sanchez avrebbe potuto agire prima, mentre la capitale passa per il picco di malati e di morti in questi giorni e Barcellona inizia la salita dei contagi. ll dubbio maggiore resta per quell’allerta del Centro europeo per l’emergenza del 2 marzo che, a parere dei magistrati che hanno aperto un’inchiesta al riguardo, “potrebbe essere stata disattesa” non impedendo le massive manifestazioni femministe dell’8 marzo non soltanto nei piccoli centri, ma soprattutto nella capitale.

Da festa a festa, il ministero della Sanità spera di poter iniziare a riaprire le case dei madrileni per la “semana santa”, cioà la settimana di Pasqua, momento in cui i cittadini vanno appunto in vacanza per 7 giorni. Il presidente della Generalit catalana, Quim Torra, al contrario, prevede la fine della quarantena a giugno, se il contagio continua a salire come in questi ultimi giorni. In attesa del picco, la città catalana comincia a costruire ospedali da campo per sopperire alle urgenze che si presenteranno. Secondo un dossier della Generalitat, nello scenario peggiore, perderanno la vita 13 mila persone.

Il governo Sanchez – la cui numero due, Carmen Calvo è risultata ieri positiva al coronavirus dopo un primo test negativo – continua la corsa al materiale sanitario mancante per 432 milioni tra mascherine e test per il coronavirus, e rimanda gli esami scolastici a giugno e luglio, a seconda delle necessità regionali. Ma soprattutto, cerca un fronte comune con il premier italiano, Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron per i cosiddetti coronabonus dell’Unione europea, cioè il meccanismo di salvataggio dalla crisi del coronavirus appunto, dopo il fallimento dell’Eurogruppo di martedì scorso. Tra i dati sconfortanti per l’economia spagnola, infatti, oltre ai 300 mila disoccupati che si teme lascerà la serrata per il Covid-19, la notizia di ieri che la più grande catena di centri commerciali spagnola, El Corte Ingles, ha annunciato un Erte (il licenziamento temporaneo) di 25.900 impiegati, pur assicurando loro la parte di stipendio non coperta dall’aiuto previsto dallo Stato.

La svolta di Trump: lo Stato salverà tutte le grandi aziende

Questa volta non ci sarà nessuna Lehman Brothers: negli Stati Uniti i Democratici e i Repubblicani hanno trovato l’accordo sul più grande pacchetto di misure anticrisi della storia americana, 2.000 miliardi di dollari (il record precedente erano 800 miliardi nel 2008). Nessuna grande azienda sarà sacrificata per dimostrare che il mercato funziona e che chi sbaglia paga, come fu con Lehman il 15 settembre 2008.

Mentre l’Unione europea si scopre impotente come nell’altra crisi, con la Bce che non basta a sostenere i mercati, le istituzioni comunitarie paralizzate e i governi in ordine sparso, negli Stati Uniti la reazione è molto più rapida e diversa rispetto alla crisi precedente. Lo spiegamento di risorse è senza confronti. Come ha osservato Paul Krugman, nella recessione 2007-2009 in America svanivano 800.000 posti di lavoro al mese. Con il virus stanno evaporando milioni di posti alla settimana, così rapidamente che non abbiamo ancora neanche le statistiche. Mentre la Banca centrale, la Federal Reserve, cerca di evitare che dall’economia reale la crisi contagi la finanza, governo e Parlamento intervengono, anche a costo di spingere il deficit 2020 sopra il 20 per cento del Pil. Ogni americano dovrebbe ricevere 1.200 dollari al mese per due mesi, con il beneficio che si riduce all’aumentare del reddito (ma arriva a tutti quelli che guadagnano meno di 99.000 dollari all’anno). Una specie di reddito di base deciso da un presidente Repubblicano come Donald Trump che dovrebbe evitare il crollo della domanda, che però dipende soprattutto da quanta gente resterà disoccupata. Ci sono incentivi fiscali a tutte le imprese con meno di 500 dipendenti che rinunciano a licenziare, cosa che negli Usa è facilissima, visto che non ci sono obblighi di preavviso, giusta causa o liquidazioni da pagare. Mentre le grandi aziende emettono bond e possono accedere alle misure di sostegno alla liquidità della Federal Reserve, quelle piccole – che contano l’83 per cento dei dipendenti – sono appese alle decisioni della politica. Eppure gran parte del pacchetto di intervento in discussione in Senato non va alle piccole imprese, ma a quelle grandi e grandissime anche in settori che nulla hanno a che fare con il Covid.

“Salvare una grande azienda significa salvare gli investitori che hanno investito in quella azienda, e salvare gli investitori è ingiusto. Gli investitori sapevano che i loro investimenti avevano rischi e gli alti rendimenti quando l’economia andava bene li hanno più che compensati”, hanno scritto oltre 150 economisti dalle principali università americane in un appello al Congresso pubblicato dal sito ProMarket.org. Ma amministratori delegati e la Casa Bianca hanno capito che il Coronavirus è una formidabile opportunità per socializzare perdite dopo aver privatizzato profitti. Le richieste sono infinite, da Boeing, che stava collassando sotto il peso dei suoi aerei che cadono e di troppi errori di gestione e ora pretende miliardi senza condizioni, all’Adidas che vuole incentivi fiscali per le attività sportive fino a due degli uomini più ricchi del mondo come Elon Musk e Jeff Bezos che chiedono 5 miliardi di prestiti pubblici per sostenere le loro (insostenibili) aziende di viaggi spaziali. Il Segretario al Tesoro Steve Mnuchin vuole accontentare tutti e ha inserito nella legge sul bailout anche un fondo da 425 miliardi (miliardi, non milioni) di dollari che il governo potrà usare a sua discrezione per investimeni e prestiti ad aziende, senza rendere conto al Parlamento.

Sulla base delle bozze circolate – manca il testo definitivo (non accade solo in Italia) – nel pacchetto di misure anti-crisi finiscono anche misure a beneficio di Wall Street che sembrano aver ben poco a che fare con il virus, per esempio l’autorizzazione alla Federal Deposit Insurance Corporations di garantire, oltre ai conti correnti delle famiglie, anche migliaia di miliardi di debiti bancari ad alto rischio. Ci sono anche le basi legali per salvare fondi di investimento nel mercato monetario che dovessero andare in crisi, non certo strumenti alla portata dell’americano medio.

Trump vuole riaprire “ampie porzioni dell’economia americana” entro Pasqua, cioè il 12 aprile. Difficile che succeda, ma quando le restrizioni verranno meno grandi imprese e grandi banche saranno più solide di prima della crisi e molto grate a un presidente in cerca di rielezione. Quelle piccole saranno spazzate via.

“Tutte le mie strade (letterarie) adesso portano a Trieste”

Chissà se è davvero un buon momento per scrivere, e soprattutto per leggere, come ci ripetono tutti chiamando a testimoni Boccaccio, De Maistre, Manzoni, Camus, Saramago (ma Il Decameron venne iniziato un anno dopo la fine della peste di Firenze). Lo abbiamo chiesto a Franco Cordelli, scrittore e critico senza soluzione di continuità (i suoi romanzi sembrano critiche all’idea platonica di romanzo, ma nei suoi saggi batte un cuore romanzesco). Anche lui non ha certezze, “il tempo lo abbiamo, ma l’occasionalità della lettura è tutta da dimostrare”, però è pronto a dare il buon esempio. “I classici che non abbiamo mai avuto il tempo di aprire li darei per scontati. Ogni lettore abituale ha i suoi alleati. Poi ci sono i percorsi di lettura in cui si incappa più o meno consapevolmente. In questi giorni ne sto seguendo uno che mi permetto di suggerire”.

Da dove parte questo percorso?

Da Trieste, in particolare dalla scoperta dalla scrittrice croata Daša Drndic. In Italia sono stati tradotti tre libri, i due racconti raccolti nel piccolo volume Il doppio (Oltre Edizioni), e i romanzi Trieste (Bompiani) e Leica Format (La Nave di Teseo).

Di cosa scrive la Drndic?

Dell’Europa. Dell’orrore della storia recente d’Europa. Non è la prima, ma lo fa con una violenza inaudita, sia per lo sguardo impavido, sia per la forma a dir poco eccentrica. Nessuna continuità narrativa dei capitoli, e nemmeno grafica. Una destrutturazione esplicita della forma romanzo, se di questa possiamo parlare. Nelle pagine di Trieste e di Leica Format non c’è probabilmente una cosa che non sia vera, ma per definirli non posso usare altro che la parola “romanzo”.

Noto qualche assonanza con un altro grande autore di fine secolo, W.G. Sebald.

Daša Drndic conosce Sebald, e lo cita. Ma in Sebald c’è qualcosa di più accessibile. Lei ha una crudezza, e una potenza della sessualità che solo una donna può riuscire ad avere.

È stata la Drndic a traghettarla verso la letteratura triestina?

Sì. Anche in questo caso darei per scontati Svevo e Quarantotti Gambini. Ho sentito il bisogno di riprendere due autori amati in gioventù. Il primo a tornarmi in mente è stato Renzo Rosso, che avevo letto mezzo secolo fa. L’altro è il quasi sconosciuto Franco Vegliani.

Rileggere è sempre un azzardo. A volte troviamo conferma di vecchi amori letterari, altre volte ci sembrano irriconoscibili.

Qui la conferma c’è stata. I due primi libri di Rosso, L’adescamento e La dura spina, sono due piccoli capolavori nati all’ombra della tradizione di Saba. Quanto a Vegliani, ha pubblicato solo tre romanzi, che però sono di una formidabile intensità morale. È quasi incredibile che il suo autore sia così poco riconosciuto.

Questi autori hanno una contiguità temporale oltre che geografica. Se le dessi del nostalgico della letteratura italiana anteriore agli anni 80, lei mi smentirebbe?

No, la lascerei sospettare. A questi nomi voglio però aggiungere un’altra grande autrice, Fausta Cialente, in particolare per l’ultimo romanzo, Le quattro ragazze Wieselbeger, in cui rievoca la storia della sua famiglia.

Ancora Trieste. L’itinerario finisce qui?

Torna anche nel libro italiano più bello dell’anno passato, L’Italia di Dante di Giulio Ferroni (La Nave di Teseo). Dovessi dare un unico consiglio, direi andate e compratelo, perfino attraverso gli schiavisti di Amazon.

A cui però in questi giorni dobbiamo essere grati.

Sì, ma ciò non toglie che siano degli schiavisti. Chiunque abbia visto l’ultimo film di Ken Loach sa di cosa sto parlando.

Diciamo sempre che Dante ha inventato l’italiano. Ma forse ha inventato anche l’Italia.

Certo. Ferroni esplora i luoghi nominati nella Divina Commedia, e intanto riepiloga tanti fatti della sua vita. Un libro commovente per come lui, da storico della letteratura, diventa uno scrittore facendo la spola tra presente e passato.

E Trieste?

Sta nel nono canto dell’Inferno. Sì come ad Arli ove Rodano stagna/ sì com’a Pola, presso del Carnaro/ Italia chiude e i suoi termini bagna… Ferroni parte da questa terzina per parlare del punto più a oriente toccato da Dante. Ne nasce una minuta, meravigliosa descrizione di Trieste e della sua aura, fino all’Istria.

Alla fine del percorso si è chiesto perché questa voglia di restare a Trieste? Davvero solo casualità?

Forse perché Trieste non è solo una città, è un mondo a sé. E poi è un avamposto, un groviglio di confini. Uno dei libri di Vegliani si chiama La frontiera. La frontiera tra verità e non verità, ma anche tra ciò che è Italia e ciò che Italia non è.

Ci si scopre idraulici e la nonna usa Skype per fare ginnastica

Visto che dobbiamo “stare a casa”, chi vuole condividere con gli altri la sua vita in quarantena può farlo sulle pagine del Fatto. Siamo una comunità e mai come oggi sentiamo l’esigenza di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decameron di Giovanni Boccaccio, si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze. Inviateci foto, raccontateci cosa fate, cosa inventate per non annoiare i figli e non allarmare i nonni, quali libri, film e serie tv consigliate all’indirizzo lettere@ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.

 

Cane in isolamento? Può farsi una cultura

Buongiorno. Allego una foto del mio cane Priscilla (9 anni) che stante la forzata clausura per i ben noti motivi, passa il tempo acculturandosi col Fatto Quotidiano. Complimenti e buon lavoro: ci state tenendo ottima compagnia. Saluti da Asiago.
Annapaola Volpato

Ora lo so: so aggiustare il gabinetto da solo
Qualche giorno fa un rumore a cascata nel bagno mi fece sobbalzare. Andai a vedere, trovai il water invaso da continui getti d’acqua. Si era rotto il galleggiante. Il pensiero andò subito all’idraulico che non sarebbe mai venuto, a causa della situazione sanitaria. In verità neanche io mi sarei sentito tranquillo a far entrare una persona, seppur conosciuta. Un dramma. Non si poteva fare a meno dello sciacquone. Rinvenuto da queste angosce, scesi, comprai il galleggiante e la valvola/mandata. Riuscii nell’impresa della sostituzione. Provai soddisfazione. In tempi precedenti, sicuramente avrei atteso anche una settimana l’idraulico. Perché non era possibile, per me, potessi riuscire senza alcuna nozione tecnica. Questo è il consumismo: persone incapaci di pensare o di credere in sé stessi.
Ebbene qualcosa di positivo questo coronavirus ci ha anche dato. Farci riscoprire capacità dentro di noi assopite o che mancavano, ma pur sempre da risvegliare o da inventarsi, per necessità.
Domenico Fasano

Una foto di mia figlia da un terrazzo romano
Voglia di libertà: mia figlia Caterina gioca sul terrazzo condominiale, a Roma. (vedi foto)
Massimiliano Apollonio

Approfitto del tempo per ritrovare me stessa
La quarantena forzata mi è piombata addosso come un bilanciere sportivo di 100 kg, su di me, atleta, che ne peso la metà. Ed è difficile rinunciare alla tua routine, a quella abitudinarietà che hai tanto maledetto. Le cose le apprezzi quando le perdi! La libertà, la quotidianità, le frivolezze e la frenesia, lavoro, palestra, amici, flirt e nuove conoscenze, e le troppe paranoie. In questo bailamme avevo però perso anche me stessa. Impiego il mio tempo per ritrovarmi, per tornare nella mia casa interiore. Penso, leggo, studio, formulo nuovi desideri, faccio autoanalisi, imparo ad accettare i miei limiti. Il silenzio e l’alienazione, a piccole dosi, sono anche terapeutiche.
Ros. M.

Appuntamento alle 18: sport per la famiglia
“Nonna, questa sera alle 18 facciamo ginnastica tutti insieme, noi cinque, più zia Jachina che sono in quattro, poi ci sarà anche zia Bruna con Federica e Antonella. Dai nonna, ci colleghiamo con Skype”. “Ma io non non ce l’ho questo Skype”. “Nonno, aiuta la nonna a collegarsi”. Il gruppo l’ho chiamato “Allenamento”, così ogni sera ci colleghiamo e io o Pinotta o zia Jachina o mamma mostriamo gli esercizi. Così, da qualche giorno, ogni sera, collegamento Sanremo-Torino. Tutti sui tappetini ad allungare le gambe, a fare flessioni e mostrare la propria bravura. A fine seduta mi faccio bello coi miei nipoti mostrando la posizione capovolta che solo io so fare.
Francesco

I miei consigli di lettura per tutti i generi
In un momento difficile come questo, i libri ci vengono in soccorso. Ecco, dunque, alcuni miei consigli per godere al meglio di questa quarantena. Per gli amanti della letteratura umoristica raccomando vivamente il romanzo Aadam ed Eeva, del finlandese Arto Paasilinna. Tra episodi esilaranti e riflessioni sull’attualità, Paasilinna guida il lettore alla scoperta dei grandi temi del presente, con humor e una narrazione magnetica e accattivante. Per gli amanti dei romanzi familiari, consiglio La mia famiglia e altri animali, dello scrittore inglese Gerald Durrell. Un romanzo in cui il lettore avrà il piacere di perdersi tra meravigliose esperienze naturalistiche, avventure, tensioni familiari, tutti però stemperati in un’atmosfera di briosa leggerezza. Infine, per gli amanti dei racconti, raccomando l’ultimo libro di Amy Hempel, Nessuno è come qualcun altro. Scrittrice di culto in America, Amy Hempel esplora con sguardo acuto quindici storie raffinate, seducenti e inquietanti, tenere e cupamente divertenti, piene di rivelazioni inattese che mettono in luce il suo stile inconfondibile.
Luigi Liaci

La voce in bianco e nero: auguri Mina, ora dicci se sei felice

Niente mi toglie dalla testa che la sparizione di Mina dalle scene – correva l’anno 1978 – sia legata all’arrivo della televisione a colori in Italia. Mina nasce nel bianco e nero: i maxi toupet, i mini tubini, la sensualità convessa come il monoscopio, il sorriso irradiante degli anni Sessanta, l’energia del boom. Poi ancora il bianco e nero la trasforma in icona attraverso Studio Uno e Milleluci, i varietà optical di Antonello Falqui. Negli omaggi trasmessi per festeggiare i suoi ottant’anni (uno per tutti: il documentario In arte Mina di Pino Strabioli, Rai3, maliziosa alternanza di schegge in bianco e nero e commenti a colori) abbiamo rivisto l’inseparabilità di Mina da quel mondo: i duetti irresistibili con Walter Chiari, Alberto Sordi, Giorgio Gaber, Lelio Luttazzi, senza dimenticare Alberto Lupo, il sex-symbol più tenebroso di quegli anni in smoking.

Nessun dubbio: c’è un’Italia a colori e c’è un’Italia in bianco e nero, separate da un breve ma insondabile abisso che Mina, mossa da un istinto misterioso, non ha voluto attraversare. Come nel caso di Lucio Battisti, la carne si è fatta voce, come se il segreto per uscire dal tempo fosse lo stesso del coniglio nel cilindro. Sparire. “Non so se sono felice” dice Mina a Mario Soldati, dopo avergli confessato di leggere solo Paperino. “Magari glielo dirò a ottant’anni”. La ricorrenza è arrivata, ma la risposta ormai suona superflua. Buon compleanno, Mina. Augurarglielo è un dovere, ma la sensazione è che sia inutile.

Mail Box

 

La gestione fallimentare del lombardo Fontana

Dal momento che tutti sui social si improvvisano presidenti del Consiglio, mi permetto anch’io, da cittadina, un suggerimento. La gestione del contagio in Lombardia appare fallimentare soprattutto perché non vengono isolati i focolai, operazione che assieme al distanziamento sociale rappresenta il binomio vincente, in quanto non si fanno tamponi o test a persone con sintomi non gravi, né ai loro colleghi o conviventi, anche quando si tratti di medici e infermieri. Non tamponi, non diagnosi, non quarantene, non stop al contagio, sbilanciamento dei dati. Mi chiedo se, visti i risultati, il governo non possa procedere al commissariamento della Regione Lombardia, sostituendo magari Bertolaso con un esperto sudcoreano. In questo periodo di inevitabile sospensione della democrazia a tutela della salute pubblica, credo che il provvedimento sia plausibile.

Gloria Bardi

 

Amici, ragazzi: non dobbiamo perdere mai la speranza

Ragazzi, la Vita ci ha sempre messo di fronte alle difficoltà, che siamo sempre riusciti a sorpassare, e in questi giorni siamo tutti sottoposti alla stessa prova. Ma noi ce la faremo. Pensate a quante volte ce l’abbiamo fatta. In quei momenti, anche se forse non c’era nessuno ad aiutarci, abbiamo creduto di potercela fare, perché noi ce la faremo almeno fino a quando ci sarà in noi la speranza. Ci siamo sempre adattati a qualunque situazione e siamo riusciti a rinascere anche quando sembrava ormai tutto finito, è il concetto di Resilienza. Adesso fermatevi, ora che potete, e chiedetevi cosa c’era di sbagliato nella vostra, nella nostra vita. Sempre tutti di fretta per non si sa quale ragione, sempre senza un momento per pensare, o per amare. Riflettete su quante persone vorreste abbracciare ora che non lo potete fare. Come mai ora abbiamo bisogno di questo affetto? Forse eravamo talmente distratti da quella vita confusionaria che ci siamo dimenticati di dire un “ti voglio bene” o un “ti amo”. Adesso è il momento di agire, non deprimiamoci, ma amiamo, ricordiamoci di quelle persone che hanno bisogno di noi: ora diciamo loro cosa pensiamo e cosa proviamo. Anche se sembra una guerra, non lo è: quando i nostri parenti sono andati a combattere, lo facevano per la libertà. Noi veniamo privati della nostra libertà, ma non lamentiamoci perché abbiamo tempo per fermarci e riflettere. Non perdiamo la speranza.

Michele Bori

 

Troppi infermieri precari: altro che eccellenza sanitaria

Vi ringrazio per avere portato, solo voi, il tema dei giovani infermieri precari in prima linea (pronti soccorsi, reparti Covid-19 e terapie intensive) a quattro soldi. Vi prego: ribaditelo e sottolineate che la “formazione” si riduce a una mattina di chiacchierata. È una vergogna assurda. Si sfruttano giovani sottopagati spesso con contratti determinati con cooperative per i ruoli più delicati e più a rischio. Che si sappia. Altro che il migliore Sistema sanitario del mondo.

Maurizio Migliaccio

 

Pubblico o privato, bisogna farli funzionare insieme

Nel botta e risposta tra il professor Francesco Biggi e Gianni Barbacetto non si può che concordare con quest’ultimo. Una precisazione, tuttavia, è d’obbligo. Il preconcetto c’è, eccome. Infatti preconcettualmente tutto il pubblico viene ritenuto sinonimo di “fannullonismo”, spreco di danaro, inefficacia mentre il privato di efficienza, creatività, imprenditorialità. Come disse Reagan “lo Stato non è la soluzione, ma il problema”. Il tema non è stabilire a priori se sia meglio lo Stato o il mercato ma riuscire a far funzionare sia l’uno che l’altro senza preconcetti, appunto, ma nell’interesse della collettività.

Vincenzo Tondolo

 

Gallera sindaco di Milano? I malati ringraziano

L’avvocato Gallera, assessore alla Sanità in Regione Lombardia, non contento di non aver sistemato i problemi che mettono a repentaglio l’eccellenza lombarda (liste di attesa interminabili, lottizzazione del personale, inadeguatezza di molte Direzioni generali, esternalizzazione dei servizi, riduzione dei posti letto, corruzione…), ha comunicato la sua intenzione di volersi candidare a sindaco di Milano (nel 2021). Finalmente una buona notizia! L’eccellente Sanità lombarda ringrazia, soprattutto i poveri malati. Forse così finiranno di essere perseguitati da insulse delibere e potranno tornare a sentirsi esseri umani, nella loro interezza. Certo i milanesi corrono seri rischi, ma almeno la Sanità lombarda avrà un po’ di tregua.

Albarosa Raimondi

 

DIRITTO DI REPLICA

In merito all’articolo di Virginia Della Sala di ieri, dal titolo “Mascherine, l’Italia fa da sé ma autosufficienza lontana”, si conferma che le mascherine a cui viene fatto riferimento, e oggetto di recente polemica in merito alla loro qualità, non fanno parte di forniture Consip, come tra l’altro precisato dalla stessa Protezione Civile con comunicato stampa del 18 marzo (“Mascherine tessuto non tessuto, non per personale ospedaliero”) e disponibile sul proprio sito.

Comunicazione Consip

 

Grazie per l’ulteriore conferma. Della smentita avevamo comunque dato conto nell’articolo.

Vds