Ora il compleanno si fa in chat. Il virus? Battuto a Portogruaro

Visto che dobbiamo “stare a casa”, chi ha tempo libero e vuole spenderlo per raccontare la sua vita in quarantena e condividerla con gli altri ha a disposizione le pagine del Fatto. Siamo una comunità e mai come oggi sentiamo l’esigenza di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decameron di Giovanni Boccaccio, si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze. Inviateci foto, raccontateci cosa fate, cosa inventate per non annoiare i figli e non allarmare i nonni, quali libri, film e serie tv consigliate all’indirizzo lettere@ ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.

Con la nipote organizzo la festa per mia figlia

Tra qualche giorno è il compleanno di mia figlia Paola e la mia nipotina mi ha detto: “Nonna, perché non facciamo un regalo a mamma fatto da noi due online?”. Rispondo: “Va bene, ma come facciamo?”. “Io ti dico e tu fai. Potresti aprire la tua valigia dei tessuti e cuciamo un bel cuscino a forma di cuore, poi io faccio un fiore di carta e lo appiccichiamo”. “E come te lo consegno?” . “Viene mio fratello grande (che può uscire) e così poi facciamo una grande festa a mamma online!”.

Una pedalata sul balcone sempre leggendo il Fatto

Io mi alleno a casa. Pedalando con il Fatto Quotidiano! (vedi foto) Saluti da Codogno.

Il pianeta è deserto e così il nemico se ne va

In questo periodo di forzata clausura, assecondando la mia passione per il disegno, sto realizzando alcune vignette e storie a fumetti. Questa che vi invio (vedi foto) descrive un terribile virus che, partito dalla Cina, attraverso il Medio Oriente giunge in Europa. Non trovando essere umano per le pittoresche stradine di Portogruaro (la città dove risiedo, in provincia di Venezia), decide allora di spostarsi in un altro pianeta. O almeno, questo è quello che mi auguro succeda!

Festa alle finestre, così ci sentiamo meno soli

Questa esperienza sta facendo venir fuori, nella maggior parte dei casi, il meglio del genere umano sia tra coloro che si occupano della nostra salute e di far sopravvivere la popolazione, sia tra la gente comune. Nel nostro condominio ogni giorno alle 18, complice la presenza al primo piano di una coppia di musicisti, ci affacciamo insieme ad altri alle finestre, balconi e giardini e ci teniamo compagnia per una buona mezz’ora cantando belle canzoni. Credo che ci sentiamo così meno soli e parte di una comunità che vuol superare insieme anche questa delicatissima e complicata fase. Certo mi manca il contatto con i figli e con le mie nipotine che non posso coccolare come mi piacerebbe, ma sto tenendo il conto delle carezze e bacetti che ora non posso dare e appena questo brutto virus me lo consentirà ho intenzione di rifarmi con gli interessi.

C’è il pericolo dell’epidemia: commemorazione virtuale per ricordare i desaparecidos

Il coronavirus in Argentina mette in quarantena anche il 24 marzo. A 44 anni dal colpo di Stato militare di Videla, mentre nel Paese vige il distanziamento sociale obbligatorio, la giornata nazionale della memoria dei desaparecidos argentini trascorrerà senza il tradizionale corteo per le strade di Buenos Aires.

Non era mai successo, ma l’emergenza sanitaria da Covid-19 (dichiarata anche in Argentina come in altri Paesi dell’America Latina) ha indotto le associazioni per i diritti umani e le Madres de la plaza de Mayo a modificare i connotati di una ricorrenza ancora oggi tra le più sentite nel Paese. Giocando d’anticipo su un (comunque sicuro) divieto ufficiale imposto dal governo. Il primo annuncio è arriato il 13 marzo con un comunicato delle madres, sottoscritto da tutte le altre associazioni per i diritti umani il 18. La sera prima, nel suo primo discorso a reti unificate, il presidente Alberto Fernandez aveva comunicato un primo giro di vite per il contenimento del contagio da Coronavirus: chiusura dei voli fino al 15 aprile e quarantena obbligatoria per chi fosse entrato nel Paese dopo il 29 febbraio. Una settimana dopo sarebbe arrivato il decreto di isolamento “preventivo e obbligatorio” (fino al 31 marzo) sulla falsariga di Italia e Spagna. A oggi i casi di Coronavirus in Argentina non superano i 300, ma la pressione internazionale è forte e proprio ieri il ministero della Salute ha dato notizia del primo contagio “locale”. “Siamo un potenziale fattore di rischio. Facciamo una pausa”, suggeriscono le madri. “Omaggeremo i nostri figli e le nostre figlie desaparecidos in altri modi”. Senza assembramenti. Così è partito il carosello delle iniziative virtuali per un “24 di marzo 2.0”, che si terrà essenzialmente sui social network. Tra letture di gruppo e riunioni telematiche, la campagna principale chiede a tutti di appendere alla finestra un pañuelo bianco (il fazzoletto triangolare simbolo delle madres) con la scritta nunca mas (mai più) e condividerlo in Rete con l’hashtag #Pañuelosconmemoria.

Raoult, l’infettivologo che testa la sua cura sperimentale senza il permesso della Sanità

Centinaia di persone si sono messe in fila ieri davanti all’Istituto Mediterraneo per le infezioni di Marsiglia per farsi curare dal dottor Didier Raoult. In Francia ci sono stati 3.838 nuovicasi e 186 morti. Il professore, infettivologo, ha messo a punto una terapia contro il Covid-19 a base di idrossiclorichina, un antimalarico, in associazione con un antibiotico, l’azitromicina, che ha già testato su 24 pazienti con buoni risultati, ma che non è ancora autorizzata dalle autorità francesi e che divide la comunità scientifica. Un test clinico su scala europea sta per essere lanciato, ma Raoult non intende aspettare i tempi dei test e ha cominciato a fare tamponi in massa alla popolazione di Marsiglia. Sin dall’inizio della crisi, il medico è in controcorrente con le decisioni ufficiali. Ha anche rifiutato di far parte, a pieno titolo, della Commissione scientifica che consiglia il governo: “Sono uno scienziato, non un politico”. Alcuni medici mettono in guardia sugli effetti collaterali del farmaco, altri a Nizza e a Parigi hanno deciso di seguire Raoult. Ieri, gli ospedali di Parigi sono stati attaccati dagli hacker e hanno dovuto sospendere il telelavoro.

Merkel negativa al primo test. Tirolo, esposto sulla località sciistica che ha ignorato i divieti

Quando la cancelliera Angela Merkel ha aperto la conferenza stampa dicendo: “Il Coronavirus continua a diffondersi a un ritmo allarmante nel nostro paese” non sapeva di essere coinvolta in prima persona. Lo ha scoperto poco dopo, quando lo staff le ha rivelato che il medico che l’aveva visitata due giorni prima, per farle il vaccino per pneumococco, era risultato positivo al Covid-19. Ora anche lei è in quarantena preventiva, anche se il primo test è stato negativo.

Da domenica anche la Germania ha delle “linee guida” valide per tutti i 16 Land, frutto di un sofferto compromesso tra chi puntava a misure restrittive, come la Baviera, e chi invece mira a salvaguardare una parvenza di normalità, come tanti altri Land. Che si sia trattato di una mediazione difficile si intuisce dal risultato arzigogolato: è vietato incontrare più di una persona alla volta in pubblico, familiari esclusi. Ma se si vuole incontrare 100 persone non è vietato. Basta farlo una per volta. Le feste sono proibite, con buona pace dei corona-party. Un altro giro di vite è stato dato sull’apertura degli esercizi commerciali e sui motivi per uscire di casa. Ma la limitazione della libertà resta un tema per i tedeschi, come ammesso dalla cancelliera, ex cittadina dell’Est: “Per una come me, per cui la libertà di movimento è stato un diritto conquistato con fatica, queste restrizioni possono essere giustificate solo in caso di assoluta necessità”. Ma dall’ex Land dell’Est è arrivato anche un segno di solidarietà: la Sassonia ha offerto di accogliere 6 pazienti infetti dall’Italia, che arriveranno già oggi negli ospedali di Lipsia e Dresda.

Intanto in Austria il Land del Tirolo ha presentato un esposto alla procura di Innsbruck sul caso di Ischgl, amena località sciistica e paradiso della movida giovanile che per due settimane (dal 29 febbraio al 15 marzo) ha ignorato il dilagare dell’epidemia da Covid-19 per non danneggiare la stagione. Le autorità locali erano state informate anche dall’Islanda, che aveva dichiarato il Tirolo zona a rischio dopo che 15 sciatori islandesi era tornati da Ischgl tutti ammalati.

Malati a terra in ospedale, cadaveri in case di cura

Un morto ogni 16 minuti. Ospedale universitario di Leganés, Comunità di Madrid. “Cammini per i corridoi stando attento a non calpestare nessuno e quasi certo che qualche paziente sdraiato a terra ti contagi”. Ospedale Infanta Leonor di Vallecas, sempre nella Capitale spagnola: “I pazienti sono a terra, su coperte attaccate alle pareti per non intralciare il passaggio di medici e infermieri”. A raccontare una sanità spagnola collassata nel giro di poche ore sono i video dell’arrivo contemporaneo di centinaia di malati di Coronavirus negli ospedali madrileni. “Non sapevamo cosa fare, non smettevano di arrivare – spiegherà poi uno dei medici al quotidiano El Mundo – poi la maggior parte di loro è stata trasportata nell’ospedale da campo della Feria” o negli hotel messi a disposizione della Sanità per pazienti meno gravi. Per quelli in terapia intensiva, l’ultimo fine settimana è stato tragico: ieri la Commissione d’emergenza annunciava 462 morti in 24 ore, mentre i contagi superano i 33 mila. Di questi, 10 mila solo nella Capitale, dove qualcuno ieri si è divertito ad hackerare i sistemi informatici degli ospedali. In alcuni casi, come i 250 posti letto nelle strutture semi-private costruite all’epoca della governatrice del Pp Esperanza Aguirre, il governo regionale non può disporne perché mai equipaggiati e quindi mai davvero funzionanti. Intanto si aspetta il picco di contagi per la settimana prossima, “ma sarà solo un punto di partenza, non certo la fine”, avvisa il ministro della Salute Salvador Illa. Eppure l’annuncio del premier Sanchez del prolungamento della serrata per altri 15 giorni esclude le fabbriche. Misura, quest’ultima, che ha attirato sull’esecutivo rosso-viola – ieri la vicepresidente Carmen Calvo è stata ricoverata per un’infezione polmonare in attesa di sapere se è positiva al coronavirus – polemiche, soprattutto dai governatori, quello catalano in primis e poi dalla governatrice di Madrid, Isabel Diaz Ayuso. Arriva poi la notizia di ritrovamenti di cadaveri nelle residenze degli anziani, focolai “nascosti” del virus. Argine ai contagi dovrebbe esser il test rapido con risultato in 15 minuti, che i Paesi Baschi effettuano direttamente dalle auto, e le mascherine, per evitare la diffusione tra gli operatori sanitari, a oggi il 12% dei contagiati. Per cucire mascherine s’ingegnano ormai dalle calzolaie alle aziende di divani. Secondo le prime previsioni economiche il Pil dovrebbe calare di almeno l’1,7%, 300 mila i posti di lavoro a rischio.

Un trasloco di interesse strategico nazionale?

Ieri alle 8:30 nel mio palazzo, nel centro di Firenze, si è svolto un trasloco, come se nulla fosse: sotto lo sguardo indifferente di due vigili urbani che stazionavano nella piazza su cui erano fermi i camion della ditta di traslochi. Nell’atrio un viavai di facchini, alcuni con mascherina e altri senza, senza la minima chance di rispettare il fatidico metro. Ho segnalato il problema al sindaco Nardella, che si aggira per la città ammonendo i viandanti: nessuna risposta.

Giusto il giorno prima, sul blog dell’associazione dei traslocatori si leggeva: “Non sappiamo come muoverci, ci sentiamo bloccati in un limbo… l’unico consiglio che ci sentiamo di dare a tutti i traslocatori italiani, è quello di restare a casa”.

Ora, escludendo che i miei vicini spostassero comò di interesse strategico nazionale, c’è evidentemente un problema: il decreto Chiudi-Italia non chiude affatto l’Italia. Mentre si pensa di far inseguire i runner dai droni e si delimitano i metri entro i quali portar fuori il cane, si continua allegramente a produrre armi e mille altre cose non indispensabili, a tenere aperti i call center ed evidentemente a fare traslochi.

Da una parte le pressioni scellerate di Confindustria (che forse non ha capito che i morti poi non lavorano…), dall’altra l’estrema vaghezza di divieti che dovrebbero essere invece precisissimi rischiano di vanificare questo enorme sforzo collettivo, protraendolo all’infinito e moltiplicando le vittime. Che sono innanzitutto i lavoratori: carne da cannone di una Repubblica fondata sul profitto dei padroni.

Costa Victoria, la nuova nave fantasma

Ha 63anni. È argentina. È intubata nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Venizelio di Heraklion a Creta. “Sì, è arrivata domenica pomeriggio”, confermano dalla reception al telefono al Fatto poco prima delle 19. È una dei 726 passeggeri della Costa Victoria, la nave da crociera fino a ieri in rada davanti all’isola greca in attesa di un porto, ed è positiva al Covid-19.

L’imbarcazione della compagnia italiana, partita il 13 ottobre da Bari, era attesa il 28 marzo a Venezia, ma già domenica Luca Zaia aveva detto no: “Non siamo disponibili a far attraccare una nave da crociera – aveva detto il governatore del Veneto, regione tra le più colpite dal coronavirus – sembra che ci siano dei malati, e noi oggi non siamo in grado di curarli”. E ieri un altro no è arrivato per il porto di Trieste dal presidente del Friuli Massimiliano Fedriga.

La donna era stata imbarcata il 7 marzo a Dubai e domenica aveva accusato forti difficoltà respiratorie. È arrivata a sulla terra ferma a bordo di una lancia della nave “perché l’elicottero avrebbe spaventato i passeggeri”, ha raccontato al Fatto un membro dell’equipaggio. Ieri è arrivato il responso del tampone: è positiva al Covid-19. “Qui ci sono almeno una ventina di persone che hanno febbre e tosse – racconta il marittimo, che ha chiesto di mantenere l’anonimato – ma fino a oggi (lunedì, ndr) i passeggeri sono stati in giro per la nave, hanno mangiato insieme, la sera tutti in un unico ristorante. Il comandante? Qualche giorno fa ha addirittura riunito tutti i passeggeri nel teatro e il giorno dopo ha ci portato anche tutti i 776 membri dell’equipaggio per comunicare che non c’erano novità. Siamo stati tutti insieme, nello stesso ambiente. Si rischia di fare la fina della Diamond Princess“. “Seguendo l’allerta delle organizzazioni sanitarie internazionali e la normativa definita dalle autorità italiane, il protocollo sanitario a bordo era già stato elevato al livello massimo già nei giorni scorsi”, ha fatto sapere Costa.

La notizia della positività della donna è arrivata a bordo ieri pomeriggio. Poco dopo è stato diffuso l’annuncio: “Per eliminare ogni possibilità di contagio – ha scandito la voce in diverse lingue negli altoparlanti – i passeggeri sono pregati di restare nelle loro cabine e coloro che hanno difficoltà respiratorie o febbre di comunicarlo alla reception. Da questa sera la cena sarà servita in cabina”. “Ora ci stiamo dirigendo verso il mar Tirreno – è stata la conclusione del messaggio – e domani passeremo lo stretto di Messina”. Nella speranza che un porto li decida di farli attraccare.

Messina, il sindaco in vestaglia a caccia di chi entra in Sicilia

La Sicilia è un’isola blindata, ma solo sulla carta. L’ultimo esodo è stato denunciato domenica notte dal governatore Nello Musumeci. Un post su Facebook in cui si vedono centinaia di auto in coda agli imbarcaderi calabresi per Messina: “Stanno arrivando molte persone non autorizzate, noi siciliani non siamo carne da macello”. Parole che hanno alzato al massimo l’asticella dello scontro con il governo e con la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, firmataria, insieme al ministro della Salute Speranza, dell’ordinanza che vieta gli spostamenti da comune a comune (se non per esigenze di lavoro o di salute), chiesto dalle regioni del Sud, per limitare il rientro dei lavoratori dopo la stretta sulle attività produttive.

Accanto a Musumeci il più agguerrito è il sindaco di Messina Cateno De Luca. In diretta sul web, in vestaglia, il primo cittadino ha annunciato il blocco del porto: “Non ci faremo pisciare addosso da Roma, occuperò la rada. Che mi arrestino pure ma da lì non mi muoverò”. Dal 16 marzo l’ingresso in Sicilia è stato regolamentato da un decreto della ministra alle Infrastrutture, Paola De Micheli. Gli spostamenti via mare sono consentiti solo su autorizzazione della Regione, mentre le corse dei traghetti sono limitate a quattro al giorno da Reggio Calabria e Villa San Giovanni.

Ma se Musumeci parla di “migliaia di persone” che hanno preso il traghetto a smentirlo è lo stesso ministero dell’Interno. Secondo i dati diffusi dal dicastero sono stati 551 i viaggiatori, tutti in regola tra cui 136 appartenenti alle forze dell’ordine, transitati domenica. Il giorno prima 739. Compresa la coppia ispano-francese su una sgangherata Renault 4 carica all’inverosimile di bagagli. Il mezzo, partito dalla Francia è riuscito ad attraversare tutta l’Italia, fermata in Sicilia solo da una gomma forata e nel pomeriggio di ieri i due sono stati fermati e messi in quarantena ad Acitrezza.

La Sicilia vuole evitare quello che è già avvenuto nelle scorse settimane, quando quasi 40 mila persone, stando a chi si è censito, hanno fatto rientro nell’isola dopo avere lasciato le zone focolaio del Nord, in particolare dopo la diffusione della prima bozza di decreto che decretava la chiusura della Lombardia e di altre 14 province. Da allora i contagi sono aumentati e si attestano a quota 721 e 13 morti. In tutti i casi, spiega l’assessore alla Salute Ruggero Razza, “riscontriamo collegamenti con persone rientrate da fuori”. Da ieri Salemi e Agira sono zona rossa. All’ospedale Gravina di Caltagirone, dedicato al Covid, ci sono quatto medici contagiati. Intanto a Palermo a dirigere il nuovo reparto di Pneumologia dell’ospedale Cervello è stato indicato Giuseppe Arcoleo, condannato in primo grado nel 2016 a due anni e mezzo per truffa e peculato.

Roma non è (ancora) Seoul. La tracciabilità è in stand by

In conferenza stampa, ieri, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro ha parlato all’Italia intera della necessità di trovare soluzioni tecnologiche per il monitoraggio dei contagi. Un appello a collaborare, a creare e a immaginare, ma pure l’ammissione della difficoltà di trovare un prodotto che coniughi libertà e democrazia (e privacy) “con il bisogno di garantire al massimo il distanziamento sociale”. La dichiarazione arriva mentre ci si chiede se non sia troppo tardi per il ricorso al modello coreano di tracciamento spinto dei cittadini e se sia in questa fase efficace, utile e necessario. Una domanda lecita, a cui non c’è risposta. In realtà, infatti, non c’è neanche ancora una idea ben precisa. Al di là degli annunci sui giornali, quello che oggi si sa per certo è che a lavorare all’ipotesi di questo sistema di tracciabilità sono in tre: il ministero dell’Innovazione, l’Istituto superiore di Sanità e ministero della Salute. Da settimane si valuta il da farsi. L’approccio dei ministeri è stato di avviare una ricognizione dello stato dell’arte tecnologico nazionale, incluse eventuali app, per capire se abbiano funzionalità e caratteristiche adatte. É un approccio iniziale, in contrasto con la posizione che sui quotidiani è stata data all’esperto dell’Oms, Walter Ricciardi, con “pronti a seguire l’esempio di Seoul” e “una volta risolti i problemi relativi alla privacy”. “Ci stiamo lavorando – spiega al Fatto – sono stati individuati il principio e gli obiettivi, il metodo lo stiamo studiando”.

Di certo c’è che la ministra dell’Innovazione, Paola Pisano, domenica, ha lanciato una call per le imprese, i centri di ricerca e le startup chiedendo di inviare proposte di soluzioni tecnologiche “in grado di contribuire al contenimento del contagio”. Si cercano di fatto due cose: sia “soluzioni tecniche di teleassistenza” – dalle app ai chatbot per l’automonitoraggio delle condizioni di salute – sia “tecnologie e soluzioni per il tracciamento continuo, l’alerting e il controllo tempestivo del livello di esposizione al rischio e conseguentemente dell’evoluzione dell’epidemia sul territorio”. In questa seconda ipotesi rientrano “strumenti di analisi di Big Data e tecnologie hardware e software utili per la gestione dell’emergenza sanitaria”.

La call si chiuderà giovedì e il risultato non sarà una graduatoria o una vittoria, ma un elenco di soluzioni di cui tenere conto quando si sarà identificato un metodo che al momento non è ancora chiaro. “Siamo in una fase assolutamente preliminare – spiegano dal ministero dell’Innovazione -. Nessuna decisione è stata assunta. Per il momento siamo di fronte a una ricognizione delle tecnologie eventualmente esistenti per l’ipotesi in cui dovessero essere adottate in futuro decisioni politiche” che, sicuramente, dovranno avere la massima condivisione in Consiglio dei ministri.

Niente modello coreano, insomma, almeno per il momento. Soprattutto perché Seoul annovera tamponi quasi a tappeto. Il tracciamento digitale con la app – anche se arriva a un livello di dettaglio terrificante – parte solo dal momento in cui un test rivela la positività al Covid-19. A quel punto le app delle persone che sono state in contatto con il contagiato certo fino a 15 giorni prima allertano i loro “proprietari” e gli chiedono di mettersi in quarantena. I due elementi, dunque – app e tamponi a tappeto – devono andare di pari passo. Una conclusione a cui stanno arrivando, in queste ore, anche Germania e Gran Bretagna che stanno studiando lo stesso modello. E pur se alcune aziende hanno già pronti prototipi di sistemi di tracciamento, come quella che offre gratuitamente la Cyforgate (che sfrutta il gps per segnalare la compresenza di due o più positivi nello stesso spazio e relativi spostamenti) o quella che l’Umbria vorrebbe sperimentare già la prossima settimana e che ricalca la soluzione coreana, l’Italia non è però, al momento, in grado di sostenere una mole di test così elevata. O almeno non nelle zone ormai ad altissima densità di contagiati. Senza contare che non è detto che tutti scelgano di scaricare un software che li controlli.

A giorni dovrebbe invece partire la task force di esperti di dati, economisti e giuristi che analizzerà dati aggregati e anonimi, per capire l’impatto delle decisioni prese sull’evoluzione dell’epidemia, ma anche sull’economia.

Il vero aiuto è sbloccare i pagamenti alle aziende

Gentile ministro Roberto Gualtieri, nella presente emergenza i giornali servono come buca delle lettere per i tanti cittadini smarriti dal “dopo”. Quando, cioè, esaurita l’emergenza virus, essi dovranno riaprire le proprie attività, ma non sanno come.

Ieri, una persona mi ha detto che da anni attende che la Regione gli liquidi quanto dovuto per un lavoro regolarmente svolto. Ho letto che malgrado un considerevole sforzo da parte dello Stato, secondo Bankitalia, la Pubblica amministrazione deve ancora pagare 50 miliardi a chi ne ha diritto.

Secondo il Tesoro, la media dei pagamenti è scesa a 46 giorni, contro i 30 richiesti dalla direttiva Ue, ma che per la società specializzata Intrum sono addirittura 67. Chi le scrive considera apprezzabile lo sforzo del decreto “Cura Italia”, così come la sospensione del Patto europeo di stabilità, che metterà a disposizione del nostro Paese risorse cospicue. Ciò che mi chiedono di chiederle è in quale modo questa iniezione di capitali arriverà a irrorare e a sostenere la cosiddetta economia reale.

In parole povere, il piccolo negoziante, l’artigiano, la Srl, la partita Iva, oltre il rinvio degli obblighi fiscali e del pagamento dei mutui, a quale liquidità potranno avere accesso, visto che si teme addirittura una catastrofica stretta creditizia. Non crede signor Ministro che l’annuncio di un sollecito pagamento di quanto dovuto ai tanti che quasi hanno perso la speranza potrebbe sollevare quella ventata di fiducia di cui abbiamo tutti così bisogno? E perché, infine, non chiedere alla Rai di fare servizio pubblico dedicando uno spazio giornaliero alle domande e alle risposte di quei milioni di concittadini smarriti, per non lasciarli soli nell’ora più buia?