Il Mes. L’appello di Conte a usare il “Salva-Stati”

Giovedì, il giorno dopo l’annuncio del maxi-piano di interventi della Bce, a sorpresa Giuseppe Conte ha chiesto – dalle pagine del Financial Times – di utilizzare il Mes, Meccanismo europeo di stabilità, l’ex fondo salva Stati già usato in Grecia, Spagna etc. Il premier vuole trasformarlo in un “coronavirus fund”, ma i suoi (molto teorici) 410 miliardi di dotazione “devono essere concessi a tutti gli Stati senza alcuna condizionalità, presente o futura”. Oggi, infatti, il Mes concede linee di credito solo in cambio di pesanti condizioni (tagli e tasse, insomma l’austerità). Quali sono i rischi che l’Italia corre? Lo abbiamo  chiesto ai nostri commentatori.

 

Pro

Contro questa crisi va adoperata ogni arma disponibile

L’unico vantaggio di avere due crisi finanziarie nello stesso decennio in Europa è che oggi abbiamo gli strumenti per reagire: il fondo salva-Stati Mes (Meccanismo europeo di stabilità) è nato nel 2011 per gestire due emergenze potenziali: quella di un singolo Stato che non trova più finanziatori perché ha troppi debiti e quella di choc esterni che mettono a rischio le finanze di Stati altrimenti in buone condizioni. Siamo nel secondo scenario. Il fondo ha una capacità di intervento di 410 miliardi di euro: può emettere debito a basso costo, garantito da capitali versati dagli Stati membri inclusa l’Italia, e girarlo a chi ne ha bisogno.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha lanciato una proposta che ora ha l’appoggio della Francia e di un gruppo di economisti europei, guidati dal tedesco Clemens Fuest, che ieri ha pubblicato un appello: il Mes dovrebbe emettere debito per conto di tutti i Paesi dell’eurozona e poi girarlo a ciascuno Stato membro secondo le proprie esigenze per fronteggiare i danni da virus.

Il fronte anti-euro, la Lega e una parte del Movimento 5 Stelle temono le condizionalità, impegni che i beneficiari dell’intervento del Mes devono firmare prima di ricevere i fondi ed evocano il caso Grecia. L’intervento in Grecia, va ricordato, è iniziato ad altre condizioni quando il Mes non c’era ancora e negli anni hanno usato il Mes anche Spagna, Cipro e Irlanda senza particolari impatti sociali negativi. Ma in questo caso non si tratterebbe di un salvataggio dell’Italia per i suoi conti fuori controllo, Conte chiede quindi l’assenza di condizionalità, altri economisti propongono che sia limitata all’uso delle risorse per contrastare l’emergenza (esempio: soldi per assumere nuovi medici o per sgravi fiscali temporanei di tasse, ma non per pensionamenti anticipati). Le nuove linee guida previste dalla riforma del Mes dello scorso dicembre dicono che può bastare una lettera di intenti, ma non sono in vigore perché bloccate proprio dal governo italiano, condizionato dal fronte euroscettico.

Dopo questa crisi, l’Italia avrà più debito: già oggi è al 135 per cento del Pil e, a differenza della Germania che ieri ha annunciato nuovo debito per 356 miliardi, l’Italia ha fatto salire l’indebitamento anche nelle fasi di espansione dell’economia, dunque ora ha poco margine d’azione. Il debito verso il Mes si aggiungerà a quello precedente. Se viene classificato come “senior”, privilegiato, renderà più rischioso e dunque costoso il debito normale. La soluzione è che il prestito Mes abbia scadenze molto lunghe – diciamo 50 anni – che di fatto ne escludono il rimborso.

Non basta la Bce, che comprerà titoli pubblici e privati per 750 miliardi? La Bce, per statuto, non modificabile in tempi brevi, non può finanziare direttamente gli Stati, ma solo comprare bond dalle banche che li hanno sottoscritti alle aste del Tesoro. Quindi può tenere basso il tasso di mercato condizionando la domanda, ma non imporlo (e genera effetti distorsivi sui prezzi di altri asset). Il ricorso al Mes – complementare e non sostitutivo – ha due vantaggi. Il primo è tecnico: se tutti i Paesi dell’euro chiedono l’intervento, tutti diventano beneficiari potenziali delle Omt della Bce, le operazioni di mercato aperto che sono gli acquisti illimitati di titoli mirati su un singolo Paese (cosa utile per l’Italia) e questo farà scendere i rendimenti senza neppure dover fare davvero gli acquisti. Poi c’è il lato politico: le obbligazioni del Mes sono l’unica forma di Eurobond possibile oggi, in assenza di un Tesoro europeo, usarli significa avere un approccio condiviso alla crisi.

Se invece manca il consenso politico per ricorrere al Mes e attivare le Omt della Bce, il mercato riceverà il messaggio che gli strumenti creati nel 2011 per fermare la crisi dell’euro erano un bluff. E la crisi finanziaria peggiorerà.

Stefano Feltri

 

Contro

Ipotesi pericolosa Solo la Bce può evitare il disastro

L’Europa ha cominciato molto male ad affrontare gli eventi legati all’epidemia. In maniera ipocrita la Commissione ha allentato i vincoli di bilancio (ora definitivamente sospesi), come se questi non sarebbero comunque saltati e la misura bastasse. Com’è noto, la possibilità per un governo di spendere in disavanzo dipende dai tassi di interesse che esso deve pagare sui debiti che contrae. I titoli tedeschi, considerati sicuri, pagano un tasso negativo. Invece, appena il governo italiano si azzarda a spendere troppo, i tassi che paga schizzano verso l’alto. In aggiunta, la presidente della Bce, Christine Lagarde, con un’improvvida, ma non casuale, dichiarazione aveva gettato benzina sul fuoco affermando che la Bce non era lì per frenare gli spread (il differenziale fra i nostri tassi e quelli tedeschi), cioè per aiutare l’Italia. Già allora si è palesato lo spettro del ricorso al Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Il messaggio dei falchi europei agli italiani era chiaro: spendete pure per tirarvi fuori dalla crisi, poi faremo i conti. Sull’orlo della bancarotta dovrete venire in ginocchio al capezzale del controverso fondo salva-Stati. Il Mes non ha risorse sufficienti per salvare l’Italia, ma una volta che un Paese vi ricorre, la Bce può intervenire comprando i suoi titoli pubblici. Ma il sostegno lo si paga caro, con il rischio di ristrutturazione del debito pubblico che ricade su banche e risparmiatori italiani. L’idea di fondo dei falchi Ue è che così l’Italia smetterà di costituire una mina vagante per la stabilità finanziaria dell’eurozona. L’aiuto del Mes è subordinato a un memorandum of understanding che pone sotto controllo le finanze pubbliche attraverso cure da cavallo, alla greca vien da dire, ma in realtà molto peggio perché dopo la crisi sanitaria saremo già moribondi.
Qualche mediazione della Merkel deve essere poi prevalsa, con un pensiero alla Francia che non se la sarebbe comunque passata bene, e a una deflagrazione dell’Italia e dell’euro. Sicché a metà settimana la Bce ha annunciato il dispiegamento del bazooka, un rafforzamento del piano di acquisti di titoli pubblici che porta il conto a oltre 1.000 miliardi. Forzando le regole, la Bce potrà sostenere di più i Paesi che, come l’Italia, sono sotto attacco. Poco, tanto? La permanenza di tassi di interesse su livelli ancora insostenibili per consentirci le necessarie politiche di spesa suggerisce che la misura della Bce sia insufficiente.
A sorpresa Conte ha espresso il desiderio italiano di ricorrere ai fondi Mes, purché non subordinati a condizioni capestro. Ma perché ricorrere al Mes quando c’è già l’intervento della Bce? I fautori vedono i prestiti dal Mes come una sorta di eurobond: il fondo salva-Stati emette titoli per noi a tassi molto più convenienti. Ma chi ci assicura che quando i crediti dovranno essere rinnovati non ci saranno imposte gravose, misure fiscali e la ristrutturazione del debito, e che dunque non ci stiamo mettendo nelle fauci del lupo? Perché i mercati dovrebbero sentirsi tranquillizzati?
Anche Ursula von der Leyen ha sostenuto l’emissione europea di “corona-bond”, eurobond per finanziare il nuovo debito col sostegno della Bce. Questo sì che potrebbe avviare una vera europeizzazione del debito in quanto esso apparirebbe come europeo e non nazionale. Gli eurobond sono anche migliori dell’acquisto di titoli nazionali da parte della Bce, misura pur sempre temporanea, e comunque ne completano l’azione a sostegno del debito preesistente. Qualcuno ha addirittura proposto di trasformare il Mes nell’organo tecnico d’emissione. Ma l’Olanda, che la Germania manda ipocritamente avanti, si è messa di traverso, per cui Conte deve aver pensato che questa strada è preclusa. E l’Italia ha molta più fretta della Germania. Ma solo gli eurobond, sostenuti dalla Bce, prefigurerebbero un principio di cambiamento strutturale della governance dell’eurozona senza cacciarci nella trappola del Mes.

Sergio Cesaratto

In Italia freddo di nuovo, la Russia senza inverno

In Italia – Proprio ora che un po’ di caldo avrebbe (forse) aiutato a tenere a bada il coronavirus, in ritardo sul calendario ecco qualche giorno di inverno come nei mesi passati non si era visto. La scorsa settimana una parentesi soleggiata e tiepida ha portato temperature massime di 21-22 °C sulle pianure del Settentrione e 24 °C nell’Aretino (fino a 8 °C sopra media), mentre il Sud era sotto nubi e deboli piogge in Sicilia orientale. Un po’ di instabilità marzolina e primi colpi di tuono in Piemonte venerdì, proprio per l’Equinozio di primavera, ma ora siamo dunque in attesa di un brusco raffreddamento che entro domani, insieme a forti raffiche di bora, abbasserà le temperature anche di 10-15 °C. Il freddo insisterà fino a giovedì con moderato gelo notturno al Nord, maltempo e neve a quote collinari sull’Adriatico e al Meridione, e probabili danni alla vegetazione risvegliatasi precocemente a causa delle temperature troppo elevate di febbraio.

Nel mondo – Negli ultimi giorni ha fatto caldo anche nel resto d’Europa, soprattutto dal Portogallo alla Francia (tra martedì e mercoledì 24 °C a Lisbona e Bilbao, 25 °C in Aquitania, 8-10 °C oltre la norma). Intanto le statistiche della Noaa e della Nasa concordano nel collocare al secondo posto tra i più caldi nella serie mondiale dal 1880, dopo i record del 2016, sia il febbraio 2020 (+1,17 °C rispetto alla media del XX secolo) sia l’intero trimestre dicembre-febbraio (+1,12 °C), anomalia a cui ha contribuito in maniera determinante l’eccezionale mitezza invernale tra Europa e Russia. Il Centro Idro-Meteorologico russo segnala che si è trattato di un record dall’inizio delle misure nel 1891, con superamenti della media stagionale fin oltre +8 °C nell’estremo Nord. A Helsinki in 110 inverni non era mai capitato di misurare uno strato massimo di neve di appena 2 cm. Al contrario il continuo apporto di umidità atlantica (e non tanto il freddo, ben più modesto del solito) ha reso nevosissimo l’inverno in Lapponia: 118 cm di neve totale al suolo il 16 marzo a Sodankyla, ai massimi in un secolo. Ai tropici, il ciclone “Herold” ha colpito con alluvioni il Nord-Est del Madagascar (almeno 4 i morti) puntando poi verso le isole Mauritius e Rodrigues. Nuove inondazioni nel Pakistan settentrionale, che hanno portato a 44 il bilancio delle vittime da inizio mese, ma anche in Colombia e a Fiji (qui 223 mm di pioggia giovedì 19). Le giornate mondiali dell’acqua, oggi, e della meteorologia, domani, quest’anno sono entrambe dedicate agli stretti legami tra cambiamenti climatici, fenomeni estremi e risorse idriche: cerimonie e convegni indetti dalle Nazioni Unite sono stati annullati o rimandati per l’emergenza Covid-19, ma molte risorse sul tema si trovano su www.worldwaterday.org e www.worldmetday.wmo.int. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è cauta, ma intanto proseguono le ricerche di correlazioni tra clima e diffusione del virus: un possibile comportamento stagionale dell’infezione, che parrebbe favorita in atmosfera temperato-fresca e asciutta, e ostacolata da condizioni molto fredde, molto calde, oppure umide, è descritto nello studio iberico-finlandese Spread of SARS-CoV-2 Coronavirus likely to be constrained by climate, disponibile sul server di articoli di ambito medico MedRxiv. Tuttavia i fattori determinanti sono molti e l’argomento della stagionalità dei virus è complesso e ancora in parte sconosciuto, come ha descritto Jon Cohen nel reportage “Sick time”, due giorni fa, su Science. Intanto, per fortuna, le stazioni meteorologiche non sono in quarantena: automatizzate da anni, continuano anche da sole a misurare e trasmetterci i dati per prevedere il tempo e studiare il clima, malato forse più di noi.

Sono i cristiani la lettera dell’amore di Cristo: facciamola leggere a tutti

Quando è stata l’ultima volta che abbiamo ricevuto una lettera? Non una lettera pubblicitaria, non l’estratto conto o la cartolina dal mare speditaci dagli amici. Parlo di una vera lettera. Una di quelle che apri da seduto e poi rileggi, e poi ci pensi e ripensi. Penso per esempio a una lettera d’amore tra due persone. Ricordate l’emozione di scrutare la buca delle lettere in attesa dell’arrivo del postino con la missiva che forse cambierà, e forse ha cambiato, la nostra vita? Non una telefonata, ma uno scritto nero su bianco, che puoi rileggere infinite volte perché è sempre terribilmente sorprendente. Ricevere una email, un messaggino, un vocale, non è la stessa cosa? No, la lettera cartacea aveva quella lentezza che aiutava a riflettere prima di scrivere e ad ascoltare prima di ricevere. Ed era sempre una sorpresa, anche quando era attesa.

Ecco, secondo l’apostolo Paolo, i cristiani sono una lettera d’amore di Dio: “La nostra lettera, scritta nei nostri cuori, siete voi, lettera conosciuta e letta da tutti gli uomini; è noto che voi siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro servizio, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente; non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne” (II Corinzi 3,2-3). La parola “carne” – che normalmente indica l’attitudine umana all’egoismo, all’orgoglio, alla sopraffazione – per una volta è utilizzata in un significato positivo perché contrapposta a “pietra”. Lo aveva già detto secoli prima il profeta Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne” (Ezechiele 36,26).

È bella l’immagine della lettera: con i nostri comportamenti, non solo con le nostre idee, siamo tutti, non solo i cristiani, come una lettera aperta che tutti possono leggere, confrontare, meditare o anche ignorare. In questi giorni difficili di epidemia, gli esponenti delle varie religioni hanno dato testimonianza della loro responsabilità accettando di sospendere tutte le attività d’incontro e di formazione ma mantenendo e a volte incrementando quelle di cura e assistenza. Sospendere gli incontri significa toccare il cuore della vita di fede, che è fatta sì di lettura dei testi sacri e di preghiera, ma soprattutto di comunità, di sostegno reciproco, di incontro personale, di empatia.

È vero, i cristiani, come gli appartenenti ad altre fedi, hanno sempre sottolineato l’importanza della fede personale, che va coltivata direttamente, che non può essere fatta per interposta persona. Una specie di palestra dello Spirito che, come quella fisica, richiede allenamenti personali e quotidiani (o almeno settimanali) per rimanere in forma. Ma la dimensione comunitaria resta fondamentale: Gesù, prima di cominciare a predicare, costituisce intorno a sé la comunità dei discepoli e delle discepole; e il significato della parola “chiesa” indica coloro che sono convocati (dallo Spirito) in assemblea. Insomma non un fatto sociologico ma spirituale.

Chiudere i luoghi di culto, o almeno non svolgervi più i consueti incontri, mette dunque a dura prova la missione spirituale delle fedi viventi, e dei cristiani. E richiede la ricerca di modi nuovi per continuare a essere vicini alle persone, accompagnarle, assisterle con la parola e la preghiera, confortarle e incoraggiarle. Sì, c’è Internet, ci sono i videomessaggi, i messaggini, le telefonate, le iniziative creative per tenersi in contatto. Ma la testimonianza che si può dare di persona, come “lettera dell’amore di Cristo” è un’altra cosa. Siamo fiduciosi di poterlo tornare a fare quando, finalmente, potremo uscire di casa, visitarci e abbracciarci. Possibilmente rafforzati da questa esperienza.

*Già moderatore della Tavola Valdese

Ospedali privati: tutti li vogliono

Lo spettro malevolo del contagio, come in un racconto di Stephen King, si fa trovare all’improvviso dove tutti avevano detto (compreso qualche esperto) che ormai era passato. O che, con le nuove norme e le nuove precauzioni, non poteva venire più. Ma ciò che accade è come la commedia buffa di un comico cattivo: si ammalano insieme tutti gli anziani di un ospizio che, ti dicono francamente i cronisti, ormai usciranno solo morti o morenti.

E, nella stessa pagina o nello stesso Tg, ti annunciano che è appena stato ricoverato il giovane atleta che si stava allenando nelle migliori palestre del mondo e che ritorna in quarantena il giovane manager che sembrava guarito. Le misure di difesa ordinate dal governo (un po’ scientifiche e un po’ disciplinari) sono drastiche perché sono tutte in prova. Quale sarà quella giusta? Non è possibile scegliere ma, se ubbidite a tutte, creano un vuoto pauroso e un senso pericoloso di abbandono e impotenza. Dietro le quinte della scena angosciosa si agitano domande senza risposta e molta confusione. Un dubbio, molto diffuso e poco discusso, comincia ad apparire su alcuni giornali e in qualche “riflessione approfondita”: siamo sicuri che ci dicano cose vere su contagiati, morti, guariti, malati e persone in pericolo? Lo stato di collasso degli ospedali e la crescente incapacità di accoglienza in molte strutture non viene a dirci che la minaccia aumenta mentre continuiamo a non trovare l’arma che ferma il virus? La domanda è importante perché, se non è politica, è facile da smontare, e non si può ridurre a un battibecco (Mattarella ha provato a spiegarlo alla Meloni e a Salvini). E se è scientifica non ci resta che aspettare. Però è naturale che il dubbio si aggravi ogni volta che giunge una nuova stretta (compresa la proibizione del lavoro) senza che, in apparenza, sia accaduto un fatto nuovo. Molti dubbi si riferiscono all’area di Roma, dove si cercano nuovi ospedali proprio nei giorni in cui si sostiene che a Roma l’infezione è più contenuta e nessuno ci spiega (neanche il Papa) la camminata solitaria e affaticata di Francesco per le strade della città vuota. Anche pagare ospedali privati di media dimensione e di media dotazione (quanto a terapia intensiva e di emergenza) è un’iniziativa motivata dall’urgenza, ma difficile da capire in una regione e una città che per anni hanno chiuso ospedali, anche grandi e dotati, e tagliato freneticamente posti letto, e dichiarando il tutto come importante beneficio economico e politico per il futuro. Per esempio un antico e moderno ospedale nel cuore di Roma. Sono rimasto in contatto con alcuni dei personaggi-guida della comunità medica e infermieristica che non solo aveva fatto dell’ospedale San Giacomo uno dei più apprezzati in Europa (in particolare ortopedia, cardiologia, terapia intensiva, rianimazione) ma aveva impedito a lungo ogni gioco di scambio politico a danno di un’istituzione medica perfettamente funzionante. Quella comunità medica ha preteso invano, insieme alla popolazione che gravitava su quella comunità e alle centinaia di beneficiari di tutta la regione dell’eccellente reparto di dialisi considerato tra i migliori d’Europa, di sapere perché un ospedale che apparteneva alla storia della città (data di nascita 1486, “dono alla città” di Roma del cardinal Salviati), ha dovuto essere chiuso e liquidato con tutto il suo valore clinico, in trenta giorni, senza ritorno. Dice il dottor Fabio Biferali, cardiologo di punta e una delle guide e dei difensori dell’antico ma nuovissimo ospedale (attrezzature cliniche appena rinnovate con una spesa di 5 milioni subito prima della chiusura e dell’abbandono): “Gli spazi utilizzabili anche adesso sono come quelli della Fiera di Milano, ma in più sono già suddivisi e connessi come devono essere in un ospedale rivisto e riorganizzato up to date subito prima della chiusura. Il lato dell’edificio dedicato all’ortopedia aveva (e avrebbe ancora) un indipendente ingresso carrabile (dunque per le ambulanze) sulla centrale e facilmente raggiungibile via di Ripetta. Evidentemente la soluzione voluta è stata quella di utilizzare strutture private, non importa se lontane o difficili da raggiungere per le famiglie dei pazienti”. Poiché le strutture private, anche quelle remote come Casal Palocco e la clinica Columbus, sono state costruite di recente (in attesa, si direbbe, di grandi occasioni) la loro data di costruzione ci viene venduta (anzi, ci viene fatta comprare) come modernità e dunque ben più all’altezza dei tempi dei grandi ospedali antichi-moderni, perfettamente funzionanti e noti nel mondo della buona medicina, a cui hanno inchiodato le porte. Il coronavirus sono dunque due misteri, per i romani, come in un thriller complicato. Che cosa è il virus. E che cosa ha indotto le autorità regionali di un tipo e dell’altro a chiudere rapidamente e per sempre grandi istituzioni ospedaliere che erano pronte per qualsiasi evenienza con medici, infermieri, macchine e prestigio.

Mail box

 

Ciao Gianni, eri l’unico a ricordarsi di Schifilliti

Gianni Mura me lo ricordo negli anni 90. Quando veniva a Torino, nella redazione di Repubblica in via Cesare Battisti (sopra il negozio-appartamento del mago dell’abbigliamento made in England, Jack Emerson, dove si vestiva persino l’Avvocato che poi andava a comprare i libri alla Luxemburg di Angelo Pezzana) per le partite della Juve. Allora, il campionato si giocava e si guardava (e si ascoltava) ancora tutti di domenica, non ancora schiavo dei diritti tv. Da poco, Eugenio Scalfari aveva aperto il numero del lunedì, a lungo buco nero del transatlantico di piazza Indipendenza a Roma. Lui arrivava, timido, e solo all’apparenza ingrugnito, si metteva scrivere e poi si concedeva l’ennesima sigaretta (Salgari, voto 10, avrebbe messo tra parentesi, facendo cattivi pensieri). Dopo cominciava il gioco. Tutti con una penna e un pezzo di carta: bisognava mettere assieme l’elenco dei calciatori con il cognome che cominciava con la stessa lettera. Quando toccava alla S, era l’unico a ricordarsi di un tale Schifilliti, che aveva giocato due partite in Serie A e segnato due gol con la maglia del Catania. Vinceva sempre lui in quel gioco. Quando gli toccava di scrivere i necrologi del calcio, spesso finiva così: ti sia lieve la terra.

Ettore Boffano, Condirettore del Fatto Quotidiano

 

L’azienda Polini Motori: “Siamo chiusi dall’11 marzo”

Gentile Direttore, la presente per esprimere il totale disappunto della Polini Motori Spa per la pubblicazione dell’articolo “Coronavirus, allarme nella Bergamasca già a febbraio. Ma Confindustria pubblicava il video: Bergamo is running”, in cui è stata utilizzata un’immagine (con logo ben in evidenza), dell’Azienda. Innanzitutto la Polini Motori Spa non aderisce a Confindustria, ma soprattutto la scelta dell’Azienda – per tutelare la salute dei propri dipendenti e delle loro famiglie – è stata quella della chiusura totale l’11 marzo 2020. Inoltre, nella versione online dell’articolo, la didascalia “la mascherina di cui pubblichiamo la foto in pagina è quella di un operaio che la indossa da 15 giorni”, sembra riferirsi all’unica immagine pubblicata, ovvero quella con logo Polini Motori. Tutto ciò lede fortemente la reputazione di un’azienda che da oltre 75 anni è parte integrante del tessuto economico e sociale del territorio bergamasco e che sta vivendo insieme alla propria comunità un dramma senza precedenti. Per questo, chiediamo la rimozione immediata dell’immagine dall’articolo online e una rettifica riguardo quanto pubblicato. Sarà poi discrezione dell’Azienda il procedere per vie legali.

Dalila Agrati Ufficio Stampa Polini Motori

 

Nell’articolo non si fa mai menzione della vostra azienda e la pubblicazione della foto non aveva alcun intento diffamatorio nei vostri confronti, come desumibile dal tono dello stesso. Ci scusiamo dell’equivoco, certamente non voluto, e, oltre a rimuovere l’immagine dall’online, diamo volentieri atto con la pubblicazione della vostra lettera della buona fede della Polini Motori.

Salvatore Cannavò

 

Ai fanatici dello sport dico: meglio grassi che untori

Gentile Direttore, mentre sto chiuso in casa, affacciandomi dal balcone vedo ancora tanta gente che gira a zonzo senza apparente necessità oppure che corre avanti e indietro in tuta in grande leggerezza. Probabilmente hanno percepito che questa malattia colpisce sono quelli molto anziani e malati e di conseguenza si sentono tranquilli. Io però, vorrei trovare delle misure più convincenti per fare in modo che si stia tutti a casa e pensavo che una direttiva che potrebbe funzionare potrebbe essere quella di far firmare a tutti i “furboni” dello jogging e della “spesa a pezzo unico” una liberatoria nella quale si dichiara che qualora dovessero averne bisogno non usufruiranno delle strutture ospedaliere e non potranno attingere a un sostegno economico da parte dello Stato. Anche io vorrei uscire a fare sport, ma “faccio la mia parte” come mi è stato chiesto a discapito del rapporto “massa magra/ massa grassa”. Se decidessimo tutti di comportarci così questa estate saremo tutti più grassi, ma potremo andare al mare.

Michele Meacci

 

Mio nonno è morto da solo: il Covid ci priva dell’umanità

Oggi sono uscito, non sono restato a casa. Il motivo è che mio nonno è venuto a mancare ieri. Il Covid-19, però, non c’entra nulla. Nonno se n’è andato per altre patologie dopo ben 89 anni. Però adesso che ci penso il Covid-19 il suo l’ha fatto e un po’ di colpe le ha. Non abbiamo celebrato funerali in chiesa, solo i parenti stretti a ricordarlo in cimitero, ognuno a distanza, zero contatti fisici, zero strette di mano, zero baci o abbracci di condoglianza. Non abbiamo potuto salutarlo per l’ultima volta. Il coronavirus è riuscito a togliere anche quel briciolo di umanità che ci rimaneva. Sono stanco di stare chiuso in casa, stanco di sentir parlare di quarantena. Tutti penso lo siamo, però allo stesso tempo so che rimanere a casa è la cosa più giusta da fare. Immaginate che un vostro parente sia ricoverato e non riusciate a vederlo, né sentirlo per giorni, fino a quando un medico vi chiama al telefono e vi dice che è deceduto. Mio nonno non l’ho visto prima che se ne andasse, ma so per certo che se n’è andato sorridendo, come ha sempre fatto. Ciao nonno.

Andrea Bocchini

Ritorneremo come eravamo (forse), ma saremo di meno

“Nulla sarà più come prima”.

Dai giornali

 

Certamente avremo i capelli più lunghi, quanto al resto, chi può dirlo? Forse dopo mille giri intorno al palazzo saremo pronti per la maratona di New York (e chi pedala per la Milano-Sanremo). Forse avremo letto o riletto volentieri alcuni libri. Forse avremo scritto un libro (ma anche un paio). Forse ci saremo scoperti poeti. Forse chi ci crede andrà a confessarsi contando sulla quarantena dei peccati. Forse i divorzi aumenteranno. O forse molti ex mariti resteranno a casa con le ex mogli (che forse non gradiranno data la pesantezza dei maschi ciondolanti da un divano all’altro). Forse chi ha figli in età scolare avrà imparato a fare le divisioni a tre cifre (e a coniugare il participio passato). Forse del campionato di calcio non ricorderemo quasi più nulla (a parte i tifosi di Juve e Lazio). O forse l’astinenza sarà tale che perfino la diretta tv a porte chiuse di Solbiatese-Pergocrema farà il boom di ascolti. Forse se le Olimpiadi saranno rinviate ci fregherà il giusto (perché colpevolmente non terremo conto dei sacrifici di migliaia di atleti che si stanno allenando da quattro anni). Forse torneremo volentieri al cinema (ammesso che i cinema esistano ancora). Forse, dopo, apprezzeremo di più la carta stampata, compagna nei tempi bui e insostituibile come antidoto alle fake news (ma se leggerò ancora espressioni come “furbetti”, “eroi”, “siamo in guerra”, “l’amore al tempo del coronavirus” metterò mano al revolver). Forse dopo tanto telelavoro alcuni non troveranno più il lavoro. Forse non ci stringeremo più la mano: meglio il saluto degli antichi romani (o anche il saluto fascista, tanto dopo il Covid-19 forse i fascisti ci sembreranno solo un fastidioso foruncolo). Forse Burioni verrà candidato al Quirinale alla testa di un partito dei virologi (destinato a scindersi davanti a una provetta). Forse quando ne saremo usciti rivaluteremo la politica, di ogni simbolo e colore, sulle cui spalle è ricaduto il peso di un disastro incalcolabile. Probabilmente un minuto dopo ripiomberemo in una nuova campagna elettorale (con la Bestia di Salvini e tutto il circo urlante). Sicuramente continuerà la tv degli insulti e della paura visto che non si è mai fermata. Forse rimpiangeremo la noia delle giornate trascorse ad annoiarci. “Camminare e nulla più. Guardare e nulla più. Essere e nulla più (…) Per questo, per favore, esigo tempo per annoiarmi. Non m’intrattenete, non voglio vedere nulla, non voglio andare da nessuna parte” (Pablo Gisbert). O forse ci ritufferemo avidamente negli ingorghi di traffico, e l’empatia così declamata lontano dagli altri ci ritroverà, ritornati con gli altri, ingrugniti e insofferenti. “Già s’intravede la pace. È come un grande buio che cala. È l’inizio dell’oblio” (Marguerite Duras citata da Paolo Giordano). Questione di tempo e forse torneremo, più o meno, come eravamo prima. Sicuramente saremo di meno.

Ora servono parametri uguali per tutti

Ore 18: il Commissario per l’emergenza della Protezione civile Borrelli diffonde il quotidiano Bollettino di Guerra al Coronavirus e, altrettanto puntuale, sui balconi si fa sentire la Resistenza Italiana. Quanto durerà il conteggio di guariti (citati sempre per primi), contagiati e morti? E quanto la reazione colorita dei cittadini in isolamento? Non si sa: siamo in guerra, continuano a ripeterci gli esperti e quei dati lo confermano, e non sarà né breve né facile da vincere. Una riflessione su quelle statistiche però si impone. Giusto avere un quadro costante della situazione e giusto diffonderlo, per far capire ai furbi che continuano imperterriti ad andare in giro come se nulla fosse con quale mostro abbiamo a che fare. Ma qualche domanda ci permettiamo comunque di farla.

Innanzitutto sui guariti. Un parente (vive a Torino) ha avuto febbre e tosse per qualche giorno, poi si è fortunatamente ripreso. Solo, non sente più né gusti né odori, a quanto pare effetto collaterale del Covid-19. L’ha avuto ed è guarito? Non si sa, perché non avendo tutti i sintomi gravi richiesti, non è stato sottoposto al tampone. Quanti sono i possibili guariti come lui e quanti quelli asintomatici, che magari l’hanno avuto senza accorgersene? Su questo non sarebbe utile avere dati concreti?

E qui salta fuori l’altra grana: i tamponi. Da più parti si chiede che vengano fatti a tappeto. E a ragione, perché solo così potremmo mappare i contagiati e i loro rapporti e circoscrivere i focolai. Ma raccontiamola tutta: a oggi le regioni sono in grado di farne nell’ordine di migliaia al giorno – con grandi differenze territoriali (si va dai 20-25.000 del Veneto ai 2.000 della Puglia), visto che non tutte hanno lo stesso numero di laboratori di analisi a disposizione. Per coprire oltre 60 milioni di italiani ci vorrebbero mesi (se non anni). Infine i morti, che in Italia hanno superato quelli cinesi. Giusto conteggiare i deceduti con altre patologie o, come ha sostenuto Ilaria Capua a “DiMartedì”, “bisognerebbe vedere quante persone vengono a morte con una polmonite virale acuta. Togliamo dai dati tutti i pazienti che hanno tre o quattro altre malattie e cerchiamo di capire che cosa fa questo virus da solo”? Per fronteggiare il Coronavirus dobbiamo capire come si comporta da solo e per farlo dovremmo escludere dal conteggio i morti con altre patologie pregresse. Senza contare che – per citare la direttrice del Sacco Maria Rita Gismondo – “i deceduti per patologie a impatto sociale vengono sottoposti ad autopsia per accertarne la causa di morte. Facciamo davvero centinaia di autopsie al giorno e tutte entro le 18, per comunicarle in conferenza stampa?”. Non credo. Ecco, forse – dico forse – bisognerebbe partire dai morti PER Coronavirus, che secondo l’Istituto Superiore di Sanità sono finora 6 (su 481 cartelle analizzate, pari all’1,2%), un dato sensibilmente diverso dai tanti decessi CON Coronavirus. E non è per tranquillizzarci irresponsabilmente, questo mai; è per studiare meglio il nostro nemico, la sua capacità di colpire corpi sani, giovani, i nostri figli oltreché i nostri nonni. E armarci a dovere per sconfiggerlo.

Soprattutto, qualunque metodo adottiamo per stilare quelle statistiche che ogni giorno ci gettano nel panico, uniformiamolo, facciamo in modo che i parametri sulla base dei quali si contano guariti, morti, contagiati valgano per tutti, li stabilisca in fretta e li imponga a tutti obbligatoriamente l’Oms. Solo così potremo avere un quadro mondiale reale e non l’attuale “sovranismo” delle informazioni, in cui ogni Paese va per conto proprio, diffondendo allarmi o rassicurazioni a seconda dei propri interessi nazionali.

I medici: il nostro Stato Maggiore. Non parliamo però di “guerra”

Un amico mi manda una fotografia scattata in un sobborgo di Los Angeles. Si vede una lunga fila di persone in attesa di entrare in un negozio. Non è di alimentari, sull’insegna è scritto: GUNS. L’America si vaccina così. In mancanza di presidi sanitari accessibili si prepara all’assedio della disperazione altrui con scorta di armi da fuoco, barricandosi più che chiudendosi in casa. Uno scatto automatico associa lo stato di eccezione all’arrembaggio. Solo ieri una direttiva presidenziale raccomandava ai medici di indossare, in mancanza di mascherine, passamontagna, fazzoletti, sciarpe. Logico è il pubblico sgomento di fronte a tali balordaggini diramate dalle massime autorità. E senza commento è la spedizione di 500 mila tamponi da parte del Paese più colpito del mondo, l’Italia, che così se ne priva, alla superpotenza mondiale in carica da due secoli e ancora sprovvista di elementari dotazioni di base. Sono all’altezza della situazione alcuni governatori, come quello dello Stato di New York, che sanno spiegare ai cittadini il da farsi e le ragioni dettagliate delle precauzioni.

Da noi le cose vanno immensamente meglio. Le misure di restrizione sono condivise e applicate con spirito civico di collaborazione, più che istigato da minacce di sanzioni per i trasgressori. Del resto sarebbe impensabile imporle con la forza su un territorio così sparpagliato di insediamenti. Va male però nelle prigioni, che per sovraccarico di detenuti diventano, a supplemento di pena, un laboratorio di polmonite virale.

Da parte mia evito di usare la parola guerra, suggestiva ma impropria. Lascio il termine alla Siria e alle sue infelici sorelle di malasorte, come la Libia. Definisco la condizione attuale uno stato di assedio attenuato. Si sta come dentro Sarajevo degli anni 90, ma senza pioggia di granate, senza cecchini e senza penurie alimentari. Si sta reclusi in un tempo sospeso. Si aspetta e la parola d’ordine è portare pazienza. Ci si abitua a un ritmo rallentato, all’attenuazione dei rumori che procura un poco di vertigine, agli aggiornamenti dei bollettini medici. Ci si sente parte delle migliaia di lutti privati, condivisi come tra persone di una stessa comunità. Non è guerra. Lo Stato Maggiore è il personale sanitario, e per suo tramite il Consiglio dei ministri. Ci si richiama al civismo dei cittadini e non al coprifuoco militare.

Rispetto agli Stati Uniti, da noi si manifesta fiducia nelle direttive e nella solidarietà. L’Italia per la prima volta da molto tempo è al centro dell’attenzione del mondo. Non l’ha cercata, è capitato e ora si guarda a noi come precursori di quanto accadrà altrove, per imparare dalla nostra tenuta. Intanto riceviamo medici dalla Cina e da Cuba, non da Stati Uniti e da Russia. L’ordine mondiale subisce oscillazioni dell’asse. I rapporti di forza contano poco, valgono quelli di umanità. L’Italia è avanguardia di uno stato d’assedio affrontato con personale civile. Oltre alla difesa della salute pubblica, il compito dei prossimi mesi è di essere un esempio virtuoso.

Non ho spirito patriottico, non mi vengono i brividi al suono dell’inno nazionale. Ma sentirlo cantare seriamente e spontaneamente dai balconi, non dalle fanfare delle cerimonie ufficiali, non per qualche manifestazione sportiva, mi fa un robusto effetto.

Bugliano, l’unico virus è la satira sul sesso

C’è una fantomatica autocertificazione che permette di uscire per fare “attività sessuale a scopo ricreativo”, ma anche il modulo per chiedere al sindaco una separazione “temporanea” che si concluda il 3 aprile per evitare i divorzi, fino alle notizie di pseudo-denunce nei confronti di un consigliere leghista che avrebbe violato la quarantena per andare in biblioteca.

A Pisa la paura del Coronavirus si prova a combattere con la satira. Le iniziative e i messaggi canzonatori da dare in pasto ai 56 mila follower provengono dal Comune di Bugliano che, a spulciare le pagina social avrebbe tutte le caratteristiche (simbolo, sindaco, giunta e consiglieri), per essere un luogo vero: invece no, è un comune fake nato un anno fa grazie a Gabriele Buggiani, che di mestiere fa il postino a Lari (Pisa) e che si è inventato un modo tutto suo per fare satira politica. Per farlo ha creato un profilo istituzionale – il Comune di Bugliano, appunto – con una sceneggiatura realistica, anche se bizzarra: nella bio su twitter si legge che è “specializzato nella coltivazione della barbabietola da zucchero”, tutti si muovono in ape-car e trattori (le auto elettriche “andassero nella fighetta Milano”) e il sindaco Fabio Buggiani ha istituito 4 autovelox per finanziare il reddito di cittadinanza e assumere 3 navigator.

Fino a pochi giorni fa nessuno sapeva chi ci fosse dietro quel comune così strampalato ma ad un anno dalla sua istituzione è venuto allo scoperto Gabriele Buggiani (omonimo del “suo” sindaco): “Era il 18 marzo del 2019, ero in ferie una settimana e mi annoiavo – spiega – c’era l’ennesima nave Ong con immigrati a bordo che Salvini non voleva far attraccare e io volevo rispondergli. Pensai che con il profilo di un’istituzione avrebbe fatto più effetto. In Italia ci sono 7904 comuni: uno in più, uno in meno chi se ne accorge”. Poi i primi tweet, il rimbalzo sui social da parte di giornalisti, politici e comici come Makkox e il successo è arrivato da solo.

Ad ogni iniziativa stramba del Comune, in molti sui social prima ci credono ma poi scoprono che si tratta di una “pagina satirica”: “Il Comune di Bugliano non esiste, purtroppo” come si legge su Facebook. Eppure, in questi giorni ha allietato la quarantena di molti: il “sindaco” Buggiani ha firmato un’ordinanza per autorizzare la caccia entro il 3 aprile così da “procurarsi il cibo da soli ed evitare assembramenti nei supermercati”, poi ha istituito flash mob con gli altoparlanti del Comune intonando inni sovietici, canzoni della rapper Myss Keta e il duetto di Bugo e Morgan e infine ha pubblicato una lettera del “consigliere” della Lega, Matteo Doroteo, che in maniera piuttosto sgrammaticata gli chiede di riportare in Italia i marò in piena emergenza virus.

Ma attenzione: “Bugliano non è un account parodia di un comune esistente, che sarebbe da considerarsi “falso” – continua Buggiani – Bugliano è finto, come lo è Paperopoli. Non creo fake news che danneggiano: mi diverto e cerco di far divertire. In questi giorni siamo tutti preoccupati, arrabbiati, stressati, ma in Cina e in Corea del Sud ce l’hanno fatta. Ce la faremo anche noi”.

Inventarsi la vita in terrazzo tra giochi, tombole e piante

 

Una tombola in condominio

A Gossolengo (Piacenza) le mie nipotine giocano a una tombola condominiale allestita per far passare tempo a bambini e adulti! (nella foto a fianco). Colgo l’occasione per comunicare tutta la mia stima al vostro giornale a cui sono abbonata da anni.

Eliana Chiartosini

Un’insopportabile rinuncia a metà

La giornata comincia alle 8.00. Per fortuna, siamo fra i privilegiati. Una famiglia serena, 2 bimbi fantastici. Qui c’è calma… calma apparente. Qualche litigio fra fratelli. Routine. Si colora, si crea, si costruisce. I lego sono il nostro pasto quotidiano. Si fanno i compiti. Qualche video gioco, qualche film. Meno male c’è youtube. Un po’ di ballo impazzito per scaricare… una boccata d’aria nel giardino quando è possibile. La giornata finisce e così via da tre settimane. Però non si puo dire che non siamo angosciati. Perché i nostri sacrifici sembrano vani. In giro c’è ancora tanta gente. Aziende che non c’entrano niente con i beni primari, che se ne fregano. Che continuano a lavorare. Vediamo uffici aperti. Vediamo fabbriche che continuano a lavorare. Vediamo corrieri continuamente in giro. E abbiamo la sensazione che tutti i nostri sacrifici siano inutili. Se è necessario, possiamo chiudere tutto, ma non solo a parole. Tutto come a Codogno. Tutto come a Wuhan. Per 15 giorni. È meglio rinunciare a tutto per breve tempo, che continuare questa insopportabile rinuncia a metà ancora per mesi e mesi.

Anne Storz

Impariamo a resistere come le piante

C’è uno stelo di clematide nel vaso sul davanzale, anzi due. Non avrei giurato di rivederli. Per tutto l’inverno c’era lì, nella terra, un groviglio di radichette scolorite, saldamente abbarbicate tra loro. Saranno morte mi dicevo e nemmeno più le bagnavo come facevo invece con tutte le altre piante, vista la siccità di questo strano inverno. Mi piace guardare le piante del mio giardino, ma nessuna cancella il ricordo di quelle che non ci sono più. Il glicine! Il glicine con la luce azzurrina dei suoi fiori proiettata fin dentro casa e la sontuosa fioritura della rosa. Riempiva di meraviglia anche i passanti per l’esplodere della sua vegetazione che imbottiva il pergolato, scoppiettante di centinaia di fiori gialli. E poi c’erano i getti disordinati che spuntavano dalla chioma delle rose. Gli stongioni, così li chiamavo e non tutti i miei amici, bergamaschi come me, capivano a cosa mi riferissi. Forse era una parola che aveva significato solo per me, un ricordo delle tante strane usate in famiglia, mia madre era una specialista nell’inventare nomi e aggettivi. Adesso i due steli crescono a vista d’occhio, di giorno in giorno e ho cominciato a legarli ai sostegni con la rafia. Devo fare attenzione, sono sottili e sembra che si spezzino solo a guardarli, ma resisteranno e tra poco vedrò il primo fiore. #bergamoresisti

Bruna

Un eroe antivirus e un po’ di colore

Rispondo alla vostra domanda su cosa facciamo in questo periodo: io mi occupo di progetti creativi di arredamento, ma visto il momento ho disegnato questo supereroe che sconfigge il virus (nella foto) e ho messo a disposizione gratuitamente il pdf in bianco e nero da far colorare ai bambini, così si può trovare un modo per spiegare loro la situazione, attraverso il gioco e il disegno. Mi hanno scritto più di 100 tra mamme, maestre, persino un operatore da un ospizio, per farlo colorare agli anziani.

Silvia Zacchello