“Il cinema è un’invenzione senza futuro”, aveva ragione il papà dei fratelli Lumière. Di certo, è un’invenzione senza presente: set sospesi, film bloccati, serie parcheggiate. La parola “fine” non è più nei titoli di coda, ma tracima dal bollettino di Protezione civile e omologhi internazionali.
Happy end? Può attendere, per ora a mettere bocca non sono gli attori, bensì uno sceneggiatore infido, ubiquo e letale: il Covid-19. Fuori dallo schermo e dentro la realtà, ha fatto proprio il primo comandamento della Settima Arte, la sospensione dell’incredulità, e ci sguazza. Molto abbiamo già visto, da Contagion in giù, molto aspetteremo per vedere qualcosa di nuovo.
A oggi sono un’ottantina i film che sarebbero già dovuti uscire nei cinema italiani, e alcuni dovranno con buona probabilità cambiare titolo, involontariamente profetico: Si vive una volta sola di Carlo Verdone, Andrà tutto bene di Francesco Bruni. Altri hanno cambiato piani, primo fra tutti Tre piani di Nanni Moretti, atteso nei nostri cinema il 23 aprile con successivo approdo a Cannes: rimandati sine die entrambi, uscita e festival.
Il regista – e sceneggiatore di Si vive una volta sola – Giovanni Veronesi ha aperto via Twitter alla distribuzione in streaming di questi titoli: opzione plausibile, a metà tra mutuo (cinematografari e pubblico) soccorso ed economia di guerra, e da The Hunt a L’uomo invisibile e Trolls 2 c’è chi abbia convenuto. Forse lo farà anche Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, premiato alla Berlinale e originariamente atteso in sala il 16 aprile, ma non mancano le controindicazioni: ancor più per il cinema d’autore le dimensioni dello schermo contano e, sebbene il consumo online non abbia affatto inibito il theatrical, la paura sottaciuta è che l’ipotetico successo di questa tele-visione possa disaffezionare il pubblico alla sala, nel momento in cui servirà coraggio, e non poco, per farvi ritorno.
L’istantanea fotografa il surplace, meglio, l’impasse dell’audiovisivo ai tempi del Coronavirus. In principio fu il pipistrello? Pena del contrappasso, si ferma l’Uomo Pipistrello, The Batman di Matt Reeves, con Robert Pattinson protagonista. La pandemia non guarda in faccia a nessuno, nemmeno Animali fantastici 3, e chissà che non annoverassero il pangolino, altra specie incriminata. Ganasce per il reboot di Matrix; per i live-action Disney, da La sirenetta a Shang-Chi sul set, da Onward a Mulan in uscita; per The Witcher e gli altri titoli Netflix. Persino i muscoli possono poco: il servizio streaming ha sospeso Red Notice con Dwayne Johnson, Fast and Furious (Universal) con Vin Diesel procrastina di undici mesi al 1° aprile 2021.
E se anche la magia deve stare a riposo, con la serie de Il Signore degli Anelli messa in pausa in Nuova Zelanda, nel nostro Paese non s’è fatto distinguo sovranista: prima gli italiani, tra cui Il bambino nascosto di Roberto Andò, con Silvio Orlando e Roberto Herlitzka, e prima anche gli stranieri, quali Mission Impossible 7 con Tom Cruise. Mala tempora currunt, e a battere il ciak della ritirata strategica è stato uno dei titoli più attesi, di certo il più sintomatico: No Time to Die, il nuovo film di James Bond slittato dal 9 aprile al 12 novembre, quando – si spera – potrà finalmente mantenere le promesse.
Che fare? La conta dei caduti. Oltreoceano s’annotano scrupolosamente le perdite seriali, per reparti: streaming, da The Handmaid’s Tale a Stranger Things; via cavo, da Fargo a Young Dylan; broadcast, da Ncis al Saturday Night Live. Un finale di stagione preterintenzionale.
Si sta come di primavera i film sui listini, ovvero pending, “in attesa di” chissà che cosa. Si ammalano gli attori, da Tom Hanks (dimesso) a Idris Elba e la Bond Girl Olga Kurylenko, ma confidiamo con 007 che il domani non muore mai. Non per tutti però, non per Paul Schrader, che s’è visto stoppare sul set The Card Counter per il contagio di un attore. Il regista di American Gigolo non ha digerito, se l’è presa con “i produttori conigli”, e ha sentenziato: “Sono vecchio e asmatico, quale modo migliore di morire se non sul lavoro?”.