Essere amati: inconveniente da bambini

Avevamo lasciato Alcide Pierantozzi tra boschi secolari e valli disabitate lungo la via Francigena, nel suo on the road a piedi da Milano a Bari raccontato in Tutte le strade portano a noi (Laterza, 2015). Lo ritroviamo, dopo anni di silenzio editoriale, con un romanzo edito da Bompiani che riannoda le ossessioni della sua narrativa: L’inconveniente di essere amati. Pierantozzi, classe 1985 – abruzzese trapiantato a Milano e talento precoce delle nostre lettere con l’acclamato esordio Unoindiviso a soli vent’anni – sembra perseguire un disegno mirato: delinea i suoi personaggi, li scaraventa nel precipizio di una trama, e poi li lascia soli a dibattersi tra loro.

È un burattinaio dispettoso, che tira i fili ma allentandoli di continuo. Forse per questo riesce a restituire, con rara perizia mimetica, vizi e virtù del nostro tempo. Non solo e non tanto perché le sue pagine sono un inesausto censimento della contemporaneità più spicciola tra locuzioni gergali e mode culturali.

È che ogni personaggio creato dalla penna di Pierantozzi perde quasi subito la maschera della letterarietà e si presenta al lettore alla stregua di un testimone. Se in Ivan il terribile (Rizzoli, 2012) lo sguardo era rivolto a un ecosistema di adolescenti affamati di esperienze estreme e alla rincorsa di illusioni davanti alla tv con Amici di Maria De Filippi, L’inconveniente di essere amati sposta più in là negli anni la sua radiografia e fruga nella fragilità degli eterni Peter Pan tra social network e carriere precarie. Qui abbiamo Paride, 33 anni, cantautore in cerca di identità e di successo, che intrattiene una relazione con Sandro, un personaggio dello spettacolo che ha il doppio dei suoi anni (“Scopare era l’unico modo che tutti e due avevamo per sgomberare le macerie”).

La relazione si interrompe, nel cuore di Milano, al culmine di una lite nella quale Sandro spara simbolicamente un colpo di pistola contro la chitarra del suo giovane amante. Paride decide allora di rifugiarsi nella casa dei nonni dove vive lo zio paterno. Un ritorno alle radici in un paese, Calanchi, che non esiste come la Vigata di Montalbano, ma che sublima tutte le caratteristiche reali del territorio abruzzese.

Si snoda un’estate catartica per Paride, in bilico tra la sua attrazione omosessuale per un nuovo spasimante e quella eterosessuale per la zia Sonia. Se è questo il canovaccio essenziale e certo usurato del romanzo, a fargli compiere un salto pregnante è il dramma che tormenta il protagonista. “Perché non riesci ad amarti?” gli viene domandato e Paride risponde: “Perché non sono riuscito ad amare mia mamma fino in fondo”.

La madre è morta di cancro e il dolore non può trovare consolazione: “Che scemi quelli che dicono che i morti continuano a vivere nei nostri ricordi. I nostri ricordi sono solo le cose morte del passato, le cose morte che non torneranno mai più”.

Paride tenta di riempire un vuoto, di esorcizzare i rimorsi, di aggrapparsi a surrogati di paternità e di maternità nella sua personale sbilenca elaborazione del lutto “perché nella vita non c’è niente di più importante che essere amati”.

Una voragine interiore quella di Paride, avvitata nel tentativo di superare con la vocazione artistica il disordine emotivo, che si dispiega grazie a una tessitura di dialoghi che il Pierantozzi sceneggiatore sa dosare con efficacia. L’azione è sempre il discorso.

Attraverso il racconto di sé Paride si svela, inchiodato a un destino che non riesce a compiersi: “Sai perché ho deciso di tornare in questa casa? Perché la mancanza che provo per mia madre mi impedisce di diventare adulto”.

Ecco in controluce tutto ciò che è impresso in queste pagine: se esiste una guerra che lascia vivi ma perennemente mutilati per la generazione di Paride e dello stesso Pierantozzi (l’estate del romanzo è quella del 2018, in una sovrapposizione biografica tra l’età del personaggio e quella dell’autore) è la guerra combattuta per lasciare definitivamente il fronte dell’assoluto e dell’impossibile, ergo della giovinezza.

 

L’inconve niente di essere amati

Alcide Pierantozzi

Pagine: 256

Prezzo: 16€

Editore: Bompiani

Un caso da risolvere per quattro amiche: ecco il giallo della pm dei genitori di Renzi

Quattro donne. Valeria, piemme della Procura di Firenze, all’ottavo mese di gravidanza, in attesa del terzo figlio. Giulia, giornalista di un quotidiano corsaro e indipendente. Erika, poliziotta che fa judo e mamma single di Tommaso. Monica, infine, commercialista che ha ricominciato daccapo dopo aver fatto arrestare i suoi soci di studio. Quattro donne e Firenze. E un caso da risolvere. L’omicidio della bellissima Alina, ventenne ucraina ritrovata morta in un torrente. Strangolata. Era una prostituta.

Christine Von Borries è la pm di Firenze che ha chiesto e ottenuto la condanna dei genitori di Matteo Renzi per le fatture false emesse dall’imprenditore Luigi Dagostino. Le unghie rosse di Alina non è il suo primo giallo e quindi possiamo annoverare Von Borries a pieno titolo nella schiera di magistrati e investigatori che si sono dati ai misteri di carta, sulla base della loro esperienza sul campo. Il pubblico ministero Valeria Parri, tra le protagoniste del romanzo, si dedica in particolare ai reati “familiari”, dalle violenze allo stalking. Nella sua inchiesta però non è sola. Ci sono le sue tre amiche, a loro volta coinvolte nelle indagini per il lavoro che fanno. È una trama soprattutto di grande amicizia tra donne, in cui i maschi sono spesso traditori e inaffidabili. Si parla d’amore, di relazioni, di gioie e dolori. Ovviamente c’è un colpevole da trovare e la vicenda non è affatto semplice ché incrocia gli affari di una clinica privata specializzata nella costosa fecondazione eterologa. L’incastro di personaggi e storie è buono, però un occhio allenato intuisce la soluzione abbastanza presto. In ogni caso, a bilanciare le sensazioni del lettore c’è un azzeccato colpo di scena finale.

 

Le unghie rosse di Alina

Christine Von Borries

Pagine: 369

Prezzo: 16

Editore: Giunti

 

Simenon al bistrot: “La vita è troppo esuberante qui”

“Una signora con la valigia… una signora giovane, vero?… sì, l’ho vista…”.

“Non sa dove era diretta?”

Non è venuta fino a La Roche… Aspetti… Dov’è scesa?… Ah, sì, a La Mothe-Achard… Me ne ricordo perché un tizio le ha preso la valigia, uno con i capelli rossi che ho già incontrato da qualche parte…”

Deve aspettare un’ora. Non osa pranzare in questo bistrot, dove la vita si manifesta con troppa esuberanza.

Questione di tatto, classe, capacità, intuito, orecchio, padronanza della vita. Chissà. Però c’è un dato: nell’epoca dei social, della sintesi, del linguaggio a spot, Georges Simenon negli anni Quaranta era in grado di racchiudere un romanzo in pochissime righe, di lanciare delle suggestioni con garbate pennellate costruite con tecnica sopraffina. Anche la sola ultima frase, “Non osa pranzare in questo bistrot, dove la vita si manifesta con troppa esuberanza”, è già un racconto in sé, dove è possibile chiudere gli occhi e immaginare (o viaggiare) verso altri lidi, sentire l’odore del luogo, il chiasso, l’atteggiamento distante del protagonista, il desiderio di manifestare fastidio per una realtà volutamente lontana da lui.

Questo è Simenon, è unico, come è un gioiello anche l’ultimo libro uscito per Adelphi, Il signor Cardinaud, piccolo in quanto a spessore (136 pagine) ma grande per la costruzione della vicenda; un condensato di generi, stili, tecniche: c’è il giallo (la scomparsa di una donna), il romanzo (il rapporto tra il marito e la donna stessa), una sceneggiatura quasi pronta (tempo dopo ne hanno tratto un film, Sangue alla testa) con Jean Gabin protagonista) e anche un piccolo trattato di sociologia, sulla provincia francese nei primi anni Quaranta del novecento.

Questa è la forza (o una delle…) di Georges Simenon: ti trascina nella storia con una delicatezza in realtà violenta. Da lui, dai suoi personaggi, dai suoi intrecci, è impossibile fuggire: chi legge entra nell’esistenza del protagonista anche se il protagonista stesso è distante in maniera siderale da noi. Non importa. È una sorta di ipnosi letteraria: Simenon è in grado di creare vie d’accesso collettive, nonostante le epoche differenti, gli atteggiamenti e i riti mutati con il tempo. Eppure tutto resta credibile e condivisibile, perché lui si rivolge alle radici, non al mutare stagionale dei rami.

Cardinaud torna a casa. La vita della città gli s’incolla alla pelle. Per quanto cerchi di pensare, non può non vedere le persone, salutarle, udire i rumori famigliari, contemplare meccanicamente il rientro dei pescherecci dalle vele azzurre e lanciare un’occhiata da lontano all’immonda facciata verde dove una ragazza che oramai conosce sta pulendo i tavolini appiccicosi.

E ancora.

E lui prima stupidamente si era recato a casa dei suoceri, poi aveva gironzolato per le strade rimuginando vecchi ricordi! Mentre lei era lì! Lei è passata davanti all’attaccapanni, la sua immagine si è riflessa nello specchio a forma di losanga. E lui, suo malgrado, vi cerca ora quel riflesso, quasi che gli specchi potessero serbare le immagini come un album di fotografie.

Alla fine del libro sempre lo stesso pensiero: per fortuna Simenon ha scritto tantissimo.

 

Il signor Cardinaud

Georges Simenon

Pagine: 136

Prezzo: 16

Editore Adelphi

Dalle zone di guerra al palcoscenico, il “Teatro Nascosto” di Henneman

“Dare voce a chi non ce l’ha”. È questo l’obiettivo del teatro-reportage ideato dall’artista olandese Annet Henneman e dal suo Teatro di Nascosto con base a Volterra. “Tutto è iniziato nel 1997 quando con una troupe di artisti ci siamo recati a Badolato, in Calabria, dove si trovavano i primi profughi dell’area curda della Turchia”: ricorda Henneman. Conversando con i rifugiati, il gruppo si era trovato di fronte a madri che avevano visto i propri figli fucilati e uomini che sorridevano mostrando le dita private delle unghie durante le torture. Per inseguire quei racconti e riportarli sotto forma di spettacoli teatrali al pubblico occidentale Henneman si era spinta fino a Diyarbakır, considerata la capitale del Nord Kurdistan. “Durante quell’esperienza ho capito che non potevo più fare teatro slegato dalla realtà. Così è nato Lontano dal Kurdistan, il nostro primo spettacolo di teatro-reportage”.

Da quel 1997 il Teatro di Nascosto è stato in territori martoriati come Iraq, Siria e Palestina. Il progetto vive due momenti: sul territorio la troupe collabora con artisti autoctoni per realizzare spettacoli per il pubblico locale, mentre una volta rientrata in Occidente Henneman realizza monologhi e organizza spettacoli con artisti originari dei luoghi raccontati per far conoscere le realtà di quelle zone. Un metodo nato dalla convinzione che “per far comprendere certe situazioni non basta parlare alla testa”. Oggi Il Teatro di Nascosto è un network formato da attori che lavorano e vivono in Palestina, Iraq, Iran, Egitto, Siria, Kurdistan, Ucraina, Germania, Danimarca, Inghilterra e Paesi Bassi. Prime occasioni di incontro tre meeting fra il 2011 e il 2017; dal 2018 è poi nato il Festival del Teatro di Nascosto a Volterra, che il Comune intende rendere un appuntamento annuale fisso. A interessarsi in questi anni del Teatro di Nascosto sono stati anche studiosi e istituzioni come il Parlamento Europeo. L’obiettivo è quello di connettere empaticamente il pubblico a quelle che sembrano astratte questioni di geopolitica. E per farlo non basta la “testa”, serve l’arte.

Ladri, Freud e Diavoli: un mondo in serie

L’attesa per Disney+ sta per finire. Dal 24 marzo sarà disponibile anche in Italia il nuovo servizio di streaming che metterà a disposizione oltre 500 film e 350 serie tv di Disney, Pixar, Marvel, Star Wars e National Geographic (abbonamento a 6,99 euro al mese; 59,99 euro l’anno fino al 23 marzo). Fra i titoli originali, la serie più attesa è senza dubbio The Mandalorian, lo spin-off di Guerre Stellari ambientato cinque anni dopo Il ritorno dello Jedi e 25 anni prima de Il risveglio della forza. Il protagonista è Din Djarin, un cacciatore di taglie mandaloriano che va in giro per le periferie della galassia alla ricerca di cattivi da catturare: a cambiare la sua vita sarà l’incontro con il Bambino, uno Yoda neonato con grandi poteri. Nella parte di Din Djarin, o meglio sotto il suo elmetto visto che non se lo toglie mai, c’è Pedro Pascal, l’agente Javier Peña di Narcos. Il primo episodio andrà in onda in anteprima il 22 marzo su Italia 1.

L’offerta è ricca anche sulle altre piattaforme. Per chi ha Netflix le date da segnare sul calendario sono due: il 23 marzo per Freud e il 3 aprile per la quarta stagione de La Casa di Carta. Ambientata nella Vienna del XIX secolo, Freud è un thriller che ha come protagonista il padre della psicanalisi: il giovane Sigmund andrà a caccia di un serial killer insieme con un ispettore di polizia e una medium. La Casa di Carta, invece, non ha bisogno di presentazioni: ideata da Alex Pina, è la serie non in lingua inglese più vista di sempre su Netflix. La terza stagione si era conclusa con il ferimento di Nairobi, una delle rapinatrici della banda messa insieme dal Professore: sopravviverà? Dalle anticipazioni diffuse finora si sa solo che la tensione fra il Professore e l’ispettrice Alicia Sierra è alle stelle. La settimana successiva, il 10 aprile, ecco un altro titolo che promette bene: Brews Brothers, una commedia su due fratelli molto diversi fra loro che si mettono a produrre birra insieme.

Quello de La Casa di Carta è il ritorno più atteso, ma non l’unico. Dal 27 marzo, sempre su Netflix, sarà disponibile la terza stagione di Ozark. Il consulente finanziario Marty Byrde (Jason Bateman) ricicla denaro per i cartelli messicani della droga: ma quando le cose cominciano a girare male si trasferisce con la famiglia nel Missouri. Su Fox Crime torna con il settimo capitolo The Blacklist (20 marzo), con James Spader nella parte dell’inafferrabile informatore dell’Fbi Raymond Reddington. Su Sky Atlantic e Now Tv, dall’1 aprile, la terza stagione di Babylon Berlin, il noir tedesco ambientato a Berlino negli anni del declino della Repubblica di Weimar e dell’ascesa di Hitler. Su Premium Crime, invece, al via il 6 aprile il terzo capitolo di The Sinner, che esplora l’inquietante passato di Cora Tannetti (Jessica Biel). E sempre sui canali Mediaset ecco una nuova infornata di supereroi: oltre agli ultimi capitoli di The Flash e Arrow, in arrivo su Premium Action Batwoman con Ruby Rose (Orange is The New Black).

Il titolo più atteso su Amazon Prime Video èTales From the Loop, serie di fantascienza tratta dai libri dell’artista svedese Simon Stålenhag: al centro della storia c’è proprio il “loop”, una macchina costruita per esplorare i misteri dell’universo e rendere possibile l’impossibile. Sarà disponibile dal 3 aprile, lo stesso giorno in cui su Apple Tv+ atterra il mystery Home Before Dark, ispirato alla storia vera di Hilde Lysiak. La trama: una ragazzina di Brooklyn, aspirante reporter, torna con la famiglia nel paese dov’era cresciuto il padre e inizia a indagare su una misteriosa sparizione avvenuta tanti anni prima. Bisognerà aspettare invece il 17 aprile per guardare Diavoli, una della serie tv più attese della primavera (su Sky Atlantic e Now Tv). Tratta dal romanzo di Guido Maria Brera, è un thriller ambientato nell’alta finanza londinese all’inizio del 2011, nel momento più buio della Grecia che si trova sull’orlo del fallimento. Il protagonista Massimo Ruggero è interpretato da Alessandro Borghi, doppiato nella versione italiana; nel cast anche Patrick Dempsey e Kasia Smutniak.

 

La Casa di Carta

Dal 3 aprile arriva su Netflix la quarta stagione

Grand Tour virtuale nei musei: che delusione

Mentre tutti (telegiornali, conduttori, influencer, ostinati jingle) ci intimano di rimanere a casa, uno dei consigli somministratici per riempire le giornate è visitare online i musei. Magari quegli stessi che non abbiamo mai avuto la possibilità di vedere.

Mettendo da parte le iniziative social, che sembrano marciare bene soprattutto per la facilità di realizzazione dei contenuti (brevi video o foto di opere), i siti ufficiali dei musei cosa offrono? Sono pronti – in quanto alter ego virtuali del luoghi fisici – ad accogliere tutti questi internauti?

La risposta, purtroppo, è no. Se è vero che la maggior parte mette a disposizione una visita delle opere per immagini ad altissima definizione con tutte le informazioni del caso, è altrettanto vero che nessun sito ha una buona usability (facilità di navigazione) e in nessuna delle home page visitate compare un bel bottone in primo piano con la scritta tautologicamente utile “clicca qui per visitare online”. Per cui, onde evitare tempestose navigate tra i flutti dei menu a tendina, conviene computare direttamente su Google (per esempio) “visita gli Uffizi online”. Ma una precisazione è d’uopo: i tour immersivi veri e propri sono assai limitati. Alle gallerie fiorentine, infatti, tramite un classico menu direzionale è possibile spostarsi in tutte le sale e ammirare in una buona definizione (non ottima) La Primavera di Botticelli, L’Adorazione dei Magi di Leonardo eccetera, solo però se le riconosci, dato che nessuna informazione viene data circa la posizione delle opere, né sulle stesse. Allo stesso modo funziona La Cappella Sistina, che con una definizione migliore offre il ciclo degli affreschi di Michelangelo a 360 gradi all’occhio dell’internauta, tenuto però anche qui a digiuno di informazioni.

Migliore è la gestione del Museo Egizio di Torino, che propone già nella home il tour virtuale della mostra temporanea Archeologia invisibile, consacrando a ogni opera un’agile finestra di spiegazione. Non solo: da ieri il direttore Christian Greco il giovedì e il sabato racconta sul canale Youtube del museo la collezione permanente dei papiri e altri tesori con passeggiate nelle sale (Le passeggiate del direttore, appunto). Molto chiara – ma limitata – è anche l’offerta della Pinacoteca di Brera. Tutta la mediateca è evidenziata in rosso e prevede video-racconti di opere (Il bacio di Hayez, Cristo morto di Mantegna), e vari approfondimenti.

Fuori dall’Italia, buono è il servizio del Museo del Louvre (anche perché in passato era a pagamento): ogni stanza, a partire dalle sale al piano interrato dell’arte antica fino ai piani superiori con la scuola italiana ed europea, è fotografata in altissima risoluzione con in calce le informazioni. Originale e riuscita è, invece, l’iniziativa del Kröller-Müller Museum di Amsterdam – celebre, oltre che per i suoi Van Gogh (Salici al tramonto, Quattro girasoli appassiti), anche per il suo giardino delle sculture con opere di Dubuffet, Rodin, Fontana –, che mette bene in evidenza sul proprio sito i vlog (video-recensioni) dei suoi visitatori. Ce n’è uno per ogni lingua maggiore, tra cui l’italiano.

Come ha intuito Greco, Youtube è infatti al momento la salvezza per il pubblico dell’arte: documentari, studi e videotour dai musei di tutto il mondo sono già online. E in attesa che anche Le Scuderie del Quirinale dalla prossima settimana approdino in Rete con pillole dalla mostra Raffaello 1520-1483, questa sera su Rai 5 andrà in onda alle 21:15 Raffaello. Il mito e la modernità (di Emanuela Avallone e Silvia De Felice) che inquadra il maestro urbinate non soltanto quale pittore e architetto, ma in veste di intellettuale capace di presentire il progetto di un’intera società a venire.

“Omero e Grossman, amici di isolamento”

In Se una notte d’inverno Calvino dice che la lettura è, assai più della scrittura, un atto necessariamente individuale. Affermazione che abita perfettamente i nostri spazi ristretti e i tempi dilatati. Per parlare di libri ritrovati abbiamo interpellato un Ragazzo italiano, titolo dell’ultimo romanzo di Gian Arturo Ferrari, tra i dodici stregati di quest’anno. “Sono consigli o preferenze?”, chiede il professore (era il suo storico soprannome in Mondadori).

Preferenze, di consigli ce ne sono fin troppi.

Vorrei cominciare con quello che io considero il capolavoro di Ernest Hemingway, La breve vita felice di Francis Macomber. Uno dei 49, il più bello. La storia, ambientata in Africa, è quella appunto di Francis Macomber, un ricco signore americano che sta partecipando a una battuta di caccia con un cacciatore bianco e la bella giovane moglie al seguito. Lui è un codardo, un uomo che ha paura. A un certo punto compare un leone e lui davanti al cacciatore e alla moglie fa una tremenda figura. Quella notte stessa la moglie lo tradisce con il cacciatore, che invece è un uomo coraggioso e spavaldo. Il giorno dopo, durante la caccia, arriva un bufalo imbizzarrito. Francis Macomber smette di tremare, imbraccia il fucile e lo uccide. Così esce dalla sua prigione di impotenza. La moglie se ne accorge e…

…non vale raccontare la fine!

Diciamo che c’è un epilogo tragico. Ma è scritto in una maniera meravigliosa, perché Hemingway era un superbo stilista.

Secondo: un altro racconto?

Sì. Uno brevissimo, scritto nel primo dopoguerra da un signore che si chiamava Ezio Comparoni, ma che si firmava Silvio D’Arzo e che purtroppo morì giovanissimo, a poco più di trent’anni. Casa d’altri è stato definito da Montale “un racconto perfetto” e lo è effettivamente. È un gioiello puro, per chi ha il gusto della letteratura alta. Siamo nell’Appennino reggiano dove una donna anziana che non ha nulla più al mondo interroga il parroco, la voce narrante, per sapere se si può uccidere. Gira attorno ai temi che in quegli anni sarebbero diventati quelli dell’esistenzialismo francese. Casa d’altri perché tutto è casa d’altri: anche il titolo è meraviglioso.

Letture brevi.

Se vogliamo andare su dimensioni più impegnative, ho letto da poco Il cardellino di Donna Tartt, che avevo messo da parte quando era uscito. Mi è piaciuto tanto, ancor più di quel Dio di illusioni che ha fatto la fortuna della scrittrice americana. È un libro di grande respiro e pieno di invenzioni, a partire dal quadro che raffigura appunto il cardellino. Tutto è centrato sull’asse del personaggio e nello stesso tempo estremamente vario perché concentra sul protagonista angolature completamente diverse. Mi ha colpito la capacità di governo di una materia così complessa.

Un classico?

Vita e destino di Vasilij Grossman, che è il Guerra e pace del Novecento: ha la stessa vastità. Solo i russi hanno quell’afflato universale, quella capacità di vedere tutto. Lo ritengo uno dei tre grandissimi russi del secolo scorso, insieme al Dottor Zivago e a I racconti della Kolyma di Salamov. L’inizio è folgorante con il vecchio rivoluzionario che dice: “Io non credo più nel bene, credo nella bontà”. Affermazione degna di Berdjaev, il grande teorico del dissenso russo. La parte su Stalingrado è epica, meravigliosa.

Un capolavoro che ha avuto poca fortuna in Italia.

Ne ha avuta più in Francia. Da noi c’è poca propensione alla narrativa densa, culturalmente piena.

Ultimo.

Cime tempestose di Emily Brontë: la più grande storia d’amore mai scritta. Dove l’amore è crudele, violento, è l’esplosione che stravolge la vita. Come questa donna esile, che morì due anni dopo Cime tempestose, abbia potuto immaginare una storia così è strabiliante. Catherine e Heathcliff si amano, si odiano, si disprezzano, si inseguono, anche dopo la morte.

Di solito ai maschi la Brontë non piace. Come Jane Austen.

Questo accade perché i maschi conservano un fondo di pirlaggine. Pensano che Cime tempestose sia un romanzo rosa. Solo Dostoevskij dopo la Brontë riesce a raggiungere questa potenza esplosiva: è nitroglicerina pura, altro che rosa. Ho diritto a una piccola aggiunta?

Prego.

L’Iliade, riletta in questi giorni. I romantici tedeschi dicevano che è superiore all’Odissea perché “tocca il sublime”. Ed è vero. Achille ed Ettore si inseguono, fanno tre giri delle mura di Troia, e Omero dice “è come un sogno in cui quello che fugge non riesce mai a distaccare quello che lo insegue e quello che insegue non riesce mai a raggiungere quello che fugge”. Alla fine Ettore si ferma e in quel momento sull’Olimpo Zeus solleva la bilancia d’oro, il piatto su cui c’è la sorte di Ettore precipita. Atena, che protegge Achille, prende le sembianze di Deifobo, il fratello prediletto di Ettore e lo incita a combattere, ma quando Ettore si gira per farsi dare la lancia, non c’è più nessuno. In quel momento Ettore capisce che deve morire, però si batte lo stesso. La punta della lancia di Achille gli entra nel collo, ma Omero vuole che continui a parlare. Dice ad Achille: “Rendi il mio corpo ai miei genitori”. E quello gli risponde: “Se potessi ti taglierei la carne e la mangerei cruda”.

Neonazi, la “Tribù unita” è fuorilegge

Il giorno dopo il discorso a reti unificate della cancelliera Merkel che ha segnato l’ingresso ufficiale della Germania nella guerra mondiale sanitaria contro il Covid-19, le istituzioni tedesche hanno dimostrato di non essersi dimenticate di un’altra guerra in corso. Quella contro i gruppi di militanti di estrema destra accusati di terrorismo e quindi perseguiti dalla magistratura. Le forze speciali della polizia hanno fatto irruzione nei loro covi sparsi in quasi tutti i land della Federazione: 10 su un totale di 16. Solo il mese scorso un uomo legato ai Cittadini del Reich, organizzazione che riunisce i tanti movimenti neo nazisti e antisemiti cresciuti negli ultimi anni entro i confini della Germania, aveva ucciso 9 persone di origine straniera, la maggior parte curdi, in un locale della città di Hanau. “Per la prima volta, il ministro degli Interni Horst Seehofer ha messo fuorilegge un gruppo di Reichsbürger (Cittadini del Reich). Anche in questi tempi di crisi, combatteremo l’estremismo di estrema destra, il razzismo e l’antisemitismo”, ha sottolineato il suo portavoce. Il gruppo bandito è “L’organizzazione dei popoli e delle tribù della Germania unita” che conta alcune migliaia di affiliati considerato che il Reichsbürger avrebbe circa 19.000 membri in tutto.

I suoi aderenti non riconoscono la legittimità della moderna Repubblica Federale Tedesca nata dopo la guerra e la considerano come una sorta di società privata. Fanatici, antisemiti nonchè negazionisti dell’Olocausto, i suoi militanti dicono di battersi per far risorgere l’impero tedesco. Nel 2016 un uomo appartenente ai Cittadini del Reich scatenò una sparatoria contro alcuni ufficiali delle forze dell’ordine uccidendone uno e ferendone altri due. Il terrorista è stato condannato all’ergastolo.

Dopo la strage di Hanau, il ministro degli Interni aveva dichiarato che l’estremismo di estrema destra è “la più grande minaccia alla sicurezza per la Germania”. L’operazione di ieri in tutta la Germania conferma le preoccupazioni di Seehofer e dovrebbe allo stesso tempo offrire la prova che più poliziotti incaricati di indagare su questo fronte vengono messi in campo, prima si ottengono risultati. Lo scorso giugno a finire nel mirino dei terroristi tedeschi nostalgici di Hitler fu uno stimato uomo politico tedesco della Cdu (il partito della cancelliera Angela Merkel), Walter Luebcke, ucciso nella sua casa nel Land dell’Assia con un colpo di arma da fuoco; durante la crisi dei migranti del 2015 si era battuto per l’accoglienza dei rifugiati facendosi molti nemici nel movimento di ultradestra di Pegida. Quattro mesi dopo due persone furono uccise durante un attacco da parte di un altro giovane estremista di deste contro una sinagoga di Halle. Lo scorso febbraio, 12 uomini erano arrestati perché sospettati di aver pianificato attentati contro alcune moschee allo scopo di provocare “una situazione di guerra civile”.

Ghislaine da complice a vittima ora vuole la fortuna di Epstein

Fu lei, una socialite con accesso al jet set, a presentare Bill Clinton a Jeffrey Epstein e il principe Andrea, inguaiatissimo figlio della regina Elisabetta. Ghislaine Maxwell, ex fidanzata e poi sodale del finanziere perverso, divenutagli – secondo varie fonti – ‘procacciatrice di prede’, cita in giudizio la società immobiliare sopravvissuta a Jeffrey, chiedendo il rimborso delle spese fin qui sostenute per la propria difesa e per la propria sicurezza fin qui sostenute. Lo si ricava da documenti legali, cui la stampa britannica ha avuto accesso.

Epstein si suicidò in cella nell’agosto scorso, mentre attendeva di essere processato e due giorni dopo avere firmato il proprio testamento.

La denuncia della Maxwell è stata presentata a una Corte delle Isole Vergini, un arcipelago delle piccole Antille un po’ statunitense e un po’ britannico, dove il finanziere pedofilo possedeva due isolotti, teatro di molti suoi festini.

Nel gennaio scorso, Denise George, procuratore generale Usa per le Isole Vergini, citò in giudizio la società immobiliare, bloccandone il patrimonio e impedendole – è la versione dell’azienda – d’iniziare a pagare risarcimenti alle vittime. Sono una ventina le donne che ne reclamano; e alcune coinvolgono la Maxwell, oltre che Virginia Roberts Giuffre, come tramite e talora partecipe degli abusi da loro subiti.

Ghislaine, figlia dell’ex magnate dei media britannico Robert Maxwell, sostiene di non essere mai stata a conoscenza della “presunta cattiva condotta” del suo ex, e di non esservi mai stata coinvolta. E dichiara di ricevere “regolarmente minacce alla sua vita e alla sua sicurezza”.

Il patrimonio di Epstein, stimato in 636 milioni di dollari – fonte: The Guardian – prima dei sussulti della Borsa negli ultimi giorni, fa gola a molti: la Maxwell ne reclama una fetta, che le sarebbe stata promessa. Nelle indagini sul giro di minorenni e prostitute che Epstein alimentava con la sua voracità sessuale, subito estese a Londra – il principe Andrea c’è dentro fino al collo – e a Parigi, gli inquirenti seguono due filoni: la pista dei complici e quella dei soldi, scandagliando nei conti del finanziere e del fratello socio Mark.

Resta poi da capire come Epstein abbia potuto coltivare un gran numero d’amici d’alto bordo, nonostante uno stile di vita lubrico. Ghislaine gli avrebbe aperto molte porte: figure della politica, dello spettacolo, della cultura. Amica di potenti, la Maxwell frequentò negli anni 90 John Kennedy junior, conobbe Jeffrey nel 1992, finanziò nel 2007 la campagna per la nomination di Hillary Clinton e fu nel 2010 tra gli invitati al matrimonio di Chelsea; in una foto lei ed Epstein sono con Donald Trump e l’ancora fidanzata Melania.

Nata a Parigi, laureata a Oxford, Ghislaine, oggi 59 anni, ebbe una storia con Jeffrey durata poco, ma il sodalizio rimase e divenne sempre più stretto. Lei era ovunque: a sfilate di moda, feste, eventi di beneficenza; al party di Vanity Fair , agli Oscar si fece fotografare con Elon Musk.

Cominciò a tenersi in disparte dopo essere stata tirata in ballo per la prima volta da una delle vittime di Epstein, che raccontò come non disprezzasse partecipare a orge e abusi, oltre che avere un ruolo di regia. Dopo l’arresto e il suicidio di Jeffrey, non si fece trovare per un po’. Magari ha davvero paura: sa di sapere molte cose scomode; teme di essere accusata, arrestata, forse aggredita e uccisa.

Causa scandalo Epstein ed emergenza Coronavirus, a Londra il matrimonio fra la principessa Beatrice, primogenita di Andrea, e l’immobiliarista d’origini italiane Massimo Mapelli Mozzi si farà come previsto il 29 maggio, ma in tono minore: niente ricevimento nei giardini di Palazzo, eventualmente un rinfresco per parenti e amici.

Ai torturatori di Franco Madrid paga pensioni-premio

Antonio González Pacheco, ai tempi della dittatura franchista, lo chiamavano Billy the Kid per l’abitudine di roteare la pistola attorno al dito; non solo, era conosciuto, ed è stato processato, per diversi atti di tortura. Insomma, uno degli ufficiali che incarnava la brutalità del regime di Franco (nella foto); eppure, ancora oggi, Pacheco gode di un premio economico per la sua fedeltà al Caudillo. C’è anche lui fra i 115 agenti e funzionari di polizia che hanno ricevuto medaglie e riconoscimenti per i loro servigi tali da avere una pensione maggiorata, e che ancora oggi gravano sulle casse del governo spagnolo. La vicenda è emersa grazie a un’interrogazione parlamentare di Jon Iñarritu del partito basco EH Bildu, che ha chiesto chiarimenti sulla pratica di aumentare le pensioni agli ufficiali che durante la loro carriera avevano ricevuto encomi speciali; ogni riconoscimento produce uno scatto fino al 15% in più. Nell’interrogazione si chiedeva quanti ufficiali ora in pensione hanno ricevuto onorificenze prima del 1979 e se tutt’oggi percepivano pensioni integrative dal governo. La risposta è stata breve e imbarazzata: non ha fornito l’importo totale che Madrid spende ogni anno, né ha risposto sull’identità degli ufficiali e sui motivi per cui godono dei benefici. Fra i pochi dati certi, c’è che Pacheco è fra gli ex franchisti più fortunati. Poco dopo aver formato la coalizione di governo, il blocco di centrosinistra del premier Pedro Sánchez ha ribadito la promessa di spogliare Pacheco delle sue medaglie e di bloccargli la pensione. Ma finora non è successo nulla. Pacheco, per i suoi, quei soldi se li è ben guadagnati; persino un giudice argentino lo ha processato nel 2013 per le sue torture, ma Madrid ha negato l’estradizione.