C’è chi dice no al muro di Trump. Un Davide che ha vinto la sua battaglia contro il gigante Golia, onnipotente presidente degli Stati Uniti. Ma non siamo negli Usa. La contesa è sull’area protetta intorno al piccolo villaggio di Doonbeg, un migliaio di anime nella contea di Clare, repubblica irlandese. Principale attrazione è Doughmore Bay, baia incantevole e incontaminata sulla costa ovest, quella che affaccia sull’Atlantico. Quasi cinque chilometri di spiaggia battuta dal vento, dune dorate, paradiso dei surfisti. E infatti, poco lontano, Donald Trump ha costruito uno dei suoi resort: il Trump International Golf Links and Hotel Resort, cinque stelle, naturalmente, pubblicizzato con lo slogan: “Vieni per la vista sul mare. Resta per la leggendaria ospitalità irlandese”. Abbiamo trovato posto non prima della notte fra il 3 e 4 aprile, doppia dai 221 euro del cottage ai 671 della suite. Un gioiellino dagli immacolati campi da golf, che Trump ha visitato l’ultima volta nel settembre 2019. Tappa irlandese della sua prima visita ufficiale da presidente nel Regno Unito che è costata ai contribuenti irlandesi 100 mila dollari solo in sicurezza.
Ora il resort è minacciato dal cambiamento climatico: le tempeste sono più frequenti, il livello del mare sale, le onde mangiano la sabbia, erodono il terreno, rischiano di cancellare la spiaggia, intaccare il fascino della struttura e dei suoi campi da golf, rovinare il business. Trump, è noto, pensa che il cambiamento climatico sia una invenzione. “Non ci credo. Dobbiamo respingere i soliti profeti di sventura e le loro previsioni apocalittiche”. Al punto da far uscire gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima, che, ha dichiarato, “danneggiano l’economia Usa”. Però tiene molto al resort e alla sua ricca clientela: dal 2016 la Trump International Golf Links Ireland Enterprises Limited, società della famiglia del presidente e proprietaria del resort, chiede di costruire una barriera protettiva al largo della costa di Doonbeg: 38 mila tonnellate di massi e rocce per deviare la corrente. Nel 2017, il municipio della contea aveva approvato un piano per costruire due strutture, rispettivamente di 630 e 260 metri. Ma aveva respinto la proposta iniziale: 17 miglia (28 chilometri) di muraglia nell’Oceano. A mobilitarsi è stato proprio un gruppo piccolo e agguerrito di “profeti di sventura”. Il Davide è Peter Sweetman, 71 anni, lunghi capelli, aspetto giovanile, ex fantino, fotografo, scultore del legno, ambientalista e, per sua stessa ammissione, uno che non molla l’osso nemmeno se a contenderglielo è l’uomo più potente del mondo.
Insieme ai Friends of the Irish Environment e ad altri gruppi di protezione dell’ambiente, con i Trump ha ingaggiato battaglia. Hanno vinto. An Bord Pleanála, l’autorità indipendente che in Irlanda ha l’ultima parola sulle concessioni edilizie, ha detto no al piano di Trump: “Il consiglio direttivo ritiene che l’invento proposto possa danneggiare la struttura, funzionalità e qualità dei sedimenti delle dune dell’area protetta”. Non che siano tutti contenti. La barriera avrebbe protetto anche il villaggio, e molti posti di lavoro: il resort impiega circa 300 persone, che con l’indotto fanno quasi tutta la popolazione di Doonbeg. I primi a favore del muro sono alcuni dei politici locali, come Cillian Murphy, del partito centrista Fianna Fail. Il Guardian riporta il suo tweet: “Sono molto deluso, e più che arrabbiato per una decisione che dice no alle misure protettive proposte da Trump. So che ci sono preoccupazioni ambientaliste, ma ci deve essere una soluzione che protegga la struttura e anche le dune”.
Trump e i suo familiari qui sono, naturalmente, visti come benefattori: a giugno scorso i figli Eric e Donald junior sono passati al pub locale, entrambi accolti come eroi. Ma il no delle autorità può far sfumare l’entusiasmo della famiglia per la baia e cancellare la prevista espansione del resort: una nuova sala da ballo, nuovi cottage, ampliamento delle strutture. Lavoro, soldi e consenso per tutti, ancora per un po’.