“Poveri miei vecchietti, col bar chiuso non possono sparlare”

“Ampelio, Aldo, Gino e Pilade vivrebbero malissimo questa quarantena: non potrebbero andare al BarLume a giocare a carte e farsi i fatti di tutto il paese”. Tra una lezione di storia romana del figlio, i fornelli e le chiacchiere in libertà con la moglie sulle trame dei prossimi romanzi, Marco Malvaldi, dalla sua casa nella campagna pisana, riesce anche a immaginare Pineta (il paesino della costa toscana dov’è ambientata la serie) e il BarLume ai tempi del coronavirus.

Come sarebbe, Malvaldi?

Pineta sarebbe completamente vuota, sia di residenti che di turisti.

E i quattro pensionati-detective come vivrebbero le imposizioni?

Sarebbero disperati perché non potrebbero incontrarsi al BarLume per giocare a carte, parlar male di tutto il paese e pensare alle trame che stanno dietro alle strane morti avvenute nella zona. Ma in qualche modo potrebbero comunque aggiornarsi.

E come?

Con il caro vecchio telefono, ovviamente sempre disinfettato dalle rispettive mogli. Al contrario non potrebbero vedersi perché l’unico a saper usare Whatsapp è Pilade Del Tacca, quindi sarebbe completamente inutile e resterebbero comunque i soliti frustrati.

Si lamenterebbero.

Sì, quello è sicuro. Ma solo come si possono lamentare i pensionati del BarLume: due settimane fa se la sarebbero presa con il governo per aver “dormito” sulle misure da prendere per evitare i contagi, mentre adesso si lamenterebbero per le regole troppo stringenti. Poi se la prenderebbero con il governo cinese che non ha detto nulla sul virus e infine con gli altri Paesi del mondo che stanno sottovalutando l’epidemia. Sto pensando ad Ampelio Viviani (il nonno del barista Massimo, ndr) che un giorno se la prende con Conte perché a fine febbraio non ha fatto nulla e quello dopo lo attacca per aver chiuso i bar.

E se il coronavirus arrivasse a Pineta?

Be’, a quel punto prima i quattro vecchietti cercherebbero di indagare su chi potrebbe essere stato e poi se la prenderebbero con i cinesi. O con i turisti in generale…

Ma il BarLume si regge anche sul turismo.

Esatto, quando il nostro BarLume riaprirà, i nostri pensionati inizieranno a sparlare di chiunque abbia gli occhi a mandorla, anche se filippini, o degli americani che vengono a chiedere un cappuccino alle quattro del pomeriggio.

Torniamo alla realtà: oggi gli anziani come i quattro pensionati-detective devono stare a casa. Cosa consiglia per passare il tempo?

Io consiglierei loro di leggere molto e di stare a contatto con i propri familiari, tramite il telefono. E poi, in questo periodo di quarantena, è molto importante recuperare le proprie passioni. Agli anziani di tutta Italia dico: ci saranno tempi migliori per tornare a giocare a carte.

Lei come sta vivendo la quarantena?

Due settimane fa ho consegnato il mio ultimo romanzo, Il Borghese Pellegrino, che uscirà a fine aprile e adesso sto studiando per scrivere il prossimo. Poi passo molto tempo con mia moglie a parlare e discutere delle trame dei miei prossimi libri: lo sa che in realtà Marco Malvaldi è quasi uno pseudonimo? In alcuni casi la trama dei miei libri è completamente di mia moglie, poi io ci metto i personaggi. Passo anche molto tempo in cucina e a studiare con mio figlio: lui è a casa e ho riscoperto tutto il suo programma di quinta elementare, dalla storia romana alle regioni d’Italia.

E com’è?

Bello, la quarantena mi è servita anche per riscoprire una mia antica passione: la musica. Io ho studiato chitarra e canto lirico al conservatorio ma mio figlio suona la batteria.

Ma una batteria vera, in casa?

Sì, con piatti e tamburi, in campagna si può fare. Aspetti, la metto in vivavoce…

Splash (il suono sordo di un piatto). Bene, ci credo.

È meraviglioso: è mio figlio di dieci anni che insegna a me a suonarla e ci divertiamo moltissimo. Anche se è un periodo difficile, credo che ci farà bene questa quarantena.

Perché?

A livello individuale, siamo costretti a non annoiarci e quindi riscopriamo le nostre vecchie passioni e capiamo di quali persone non possiamo fare a meno. Più in generale, invece, spero che da questa emergenza nasca un nuovo senso civico: noi italiani abbiamo sempre fatto fatica a rispettare le regole ma adesso o lo facciamo, e stiamo a casa, o è il disastro.

La realtà imita i film. Tutto già visto al cinema

Déjà-vu, déjà-vu pandemico. Complice la serrata per il Covid-19, viviamo in un mondo inaudito, ma non inedito: abbiamo già visto e ascoltato tutto. Dai classici della canzone italiana urlati dal balcone alla programmazione televisiva (Tutti a casa con Rai Movie) e streaming (la Cineteca di Milano ha fatto addirittura un palinsesto; unica novità Ultras di Francesco Lettieri, da domani su Netflix), vince l’archivio, se preferite, la library: old but gold, nel migliore dei casi.

Se il solito, impareggiabile Ettore Scola affidava al Vittorio Gassman di C’eravamo tanto amati l’imperituro “Il futuro è già passato, e non ce ne siamo neanche accorti”, noi ci stiamo accorgendo che questo presente in quarantena l’abbiamo già vissuto: al più, lo stiamo sopravvivendo. Nei tempi, nei modi, perfino nei generi.

Kammerspiel. Cent’anni addietro la Germania espressionista teneva a battesimo il Kammerspiel, letteralmente “recitazione da camera”. Vale a dire, un “piccolo teatro destinato a recite che cercano un intimo rapporto con lo spettatore” oppure “film o rappresentazione teatrale di intreccio semplice, intimo e psicologico, la cui azione si sviluppa tra pochi personaggi, con un dialogo limitatissimo e una scenografia basata su pochi ambienti”. Non è forse, soprattutto alla voce “dialogo limitatissimo”, quel che stiamo sperimentando nella nostra casalinga reclusione involontaria? La variante filmica del Kammerspiel annovera L’ultima risata di Friedrich Wilhelm Murnau (1924): pregevole, ma qui e ora dal titolo piuttosto infelice.

Contagion. Se tra un flashmob e l’altro si guarda fuori dalla finestra, il campo lungo risulta familiare: Contagion di Steven Soderbergh, anno 2011, metteva sul set la pandemia, addebitava al pipistrello (più maiale) il contagio, insomma, faceva del finzionale Mev-1 l’antesignano dell’attuale Covid-19. A richiamare via Instagram il déjà-vu – anzi, nel suo caso il già recitato – è stata l’interprete Gwyneth Paltrow: “I’ve already been in this movie”.

Perfetti sconosciuti. Contagion è il primatista di visioni più o meno legali, ma l’Italia non sta a guardare: Perfetti sconosciuti (2016), il campione di incassi e di remake di Paolo Genovese. L’unità di spazio, tempo e azione è la medesima, nella realtà del lockdown si aggiunge alla cena il pranzo e si sottraggono gli amici, una famiglia basta e avanza. Occhio al cellulare, e occhio alla realtà: “Sofia – diceva la madre Kasia Smutniak – sta vivendo il dramma di uscire dalla scena familiare”, “Ecco, facciamola uscire – ribatteva il padre Marco Giallini – senza romperle troppo i coglioni”, solo che oggi non si può uscire. Almeno fino al 25 marzo.

Il Papa. L’abbiamo vista tutti, l’avevamo già vista in molti: la foto icastica di Papa Francesco che cammina in una via del Corso semideserta. Scatto che cattura lo Zeitgeist, sintetizza mille editoriali, invera svariate analisi: chi avrebbe mai potuto immaginare un pontefice che in una Roma desolata se ne va a fette seguito a distanza dalla scorta? Ebbene, due registi: Nanni Moretti e Paolo Sorrentino. Il primo con Habemus Papam – altro film del 2011, annata assai preveggente – e il suo papa Michel Piccoli che si dà per l’Urbe, il secondo con il dittico seriale The Young Pope e The New Pope, di cui quella fotografia potrebbe legittimamente essere di scena. Ma non solo: vi ricordate Giulio Andreotti (Toni Servillo) che rifà, anzi, prefà quella passeggiata sotto scorta ne Il Divo (2008)?

Camera e tinello. No, non va tutto bene: per un Moretti che preconizza, per un Sorrentino che trasfigura, c’è tanto altro cinema patrio che, Covid-19 o meno, il naso fuori dall’uscio non lo mette. Le geometrie invariabili sono del dramma da cameretta, della commedia bilocale e monorisata, del dramedy con angolo scottura: quanti ne abbiamo visti, e quanto abbiamo faticato a digerirli? Camera e tinello ubicati Roma, talvolta con vista Gasometro, altri Mandrione, sovente in Prati: si mangia, si parla, che barba, che noia. Dopo averne fatto il nostro pane quotidiano in quarantena, riusciremo – riusciranno i patri sceneggiatori – a mandarli in soffitta?

Da “Roma città riaperta” a “Germania paziente zero”? Ma lo spettro che si aggira per i tavoli di sceneggiatura è un altro: il Neo-Neorealismo. Uscire dalla pandemia come dalla Seconda guerra mondiale, mutatis mutandis, rifare il cinema che ci rese grandi e celebrati in tutto il mondo, risciacquare gli andreottiani panni sporchi da Cannes a Berlino, con affaccio sugli Oscar Oltreoceano. Le migliori penne della nostra generazione sono già al lavoro, con lo strumento più raffinato che possiedano: il copia & incolla.

Teniamoci pronti a un Miracolo a Codogno, venato di irrealismo magico; Roma città riaperta, con echi rosselliniani e karaoke condominiali; Germania Paziente Zero, genere on the road sovranista; Non c’è pace tra i balconi, con due proiezioni giornaliere già fissate alle 12.00 e alle 18.00; Umberto Covid, con l’originario voltaggio senile ma l’upgrade del cane in sharing per la passeggiata. Chi vivrà vedrà: pardon, rivedrà.

@fpontiggia1

Primarie, #DropOutBernie: ora il popolo dem vuole che Sanders si tiri indietro

Bernie Sanders al passo dell’addio. Subìto un netto inequivocabile 3 a 0 nelle primarie di martedì in Florida, Illinois e Arizona, il senatore del Vermont ha bloccato, ieri mattina, gli spot su Facebook: un preannuncio di abbandono della corsa, secondo i media Usa. A parlare per Sanders è il manager della sua campagna, Faiz Shakir: “Non addolciamo la pillola, non è andata come volevamo. Abbiamo vinto la battaglia delle idee, ma stiamo perdendo quella sull’eleggibilità” con Joe Biden.

Il senatore ha ieri timbrato il cartellino in Campidoglio, votando i provvedimenti sul coronavirus; ed è poi volato in Vermont, per consultarsi con i suoi sostenitori. Shakir rileva che non c’è fretta: dopo il rinvio del voto in Georgia causa contagio, non ci sono appuntamenti elettorali fino a fine mese. Ma fare campagna costa; e Sanders potrebbe darci un taglio prima.

Chi lo dà già fuori, oltre che spacciato, è il presidente Donald Trump, che martedì s’è garantito, nelle sue primarie quasi solitarie, la maggioranza assoluta dei delegati alla convention repubblicana di Charlotte ad agosto e s’è quindi assicurato la candidatura repubblicana all’Election Day. Sanders “lascerà presto” scrive Trump su Twitter: “Il Partito democratico avrà realizzato il suo desiderio più grande e avrà sconfitto Sanders molto prima del previsto… Ora fanno il possibile per essere carini con lui, per non perdere i suoi sostenitori”. Il che è vero. Martedì sera, il discorso della vittoria di Biden era direttamente rivolto ai sostenitori di Sanders: “Ascolto le vostre istanze, so che cosa c’è in gioco, so che cosa dobbiamo fare”. Biden invita il rivale al ritiro così che i Democratici possano concentrarsi “sull’emergenza coronavirus e sul bersaglio grosso”, cioè Trump: “Quello che ci serve ora è la speranza contro la paura, l’unità contro le divisioni, la verità contro le menzogne e la scienza contro la finzione”.

A questo punto, Biden ha già 1165 delegati, contro gli 880 di Sanders: per garantirsi la nomination ce ne vogliono 1991. Solo il coronavirus, che in questo secondo mini Super Martedì ha fatto slittare il voto in Ohio, può frenare la marcia verso la nomination dell’ex vice di Barack Obama.

Podemos gestire gli 007. Servizi affidati a Iglesias

Il coronavirus ferma tutto. O quasi. In Spagna, dove i contagi sono saliti a 14 mila, la sanità madrilena è già al limite e le imprese stanno iniziando ad applicare l’Ere – una specie di cassa integrazione che prevede il licenziamento temporaneo ¬, il governo Sánchez porta avanti manovre di palazzo. Questo mentre in diverse città del Paese i cittadini dedicano il flashmob – las caceroladas – a chiedere che il re emerito, Juan Carlos, restituisca alla sanità pubblica un po’ del denaro ricevuto dai cittadini in questi anni, mentre “lui si arricchiva grazie ai soldi dell’Arabia Saudita”.

Tra le mosse di Sánchez, quella di inserire nel maxi-decreto d’urgenza, che stanzia 200 miliardi di euro per l’emergenza Covid-19, una norma che blinda il suo vice, Pablo Iglesias, a capo della Commissione che controlla i Servizi segreti. Nel decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri, infatti, c’è anche una disposizione finale che modifica la legge del 2002 che regola il Centro Nazionale di Intelligence (Cni) e che disciplina la Commissione delegata del governo per gli affari dell’Intelligence. Con la modifica, la Commissione sarà presieduta dal vicepresidente del governo designato dal premier e ne faranno parte anche “i vicepresidenti del governo designati dal presidente del governo stesso” e le “ministre degli Esteri e della Difesa, oltre che il ministro degli Interni, la ministra dell’Economia, il direttore del gabinetto del premier, il Segretario di Stato per la Sicurezza e la direttrice del Cni, che avrà il ruolo di segretaria”.

Ad attirare l’attenzione dei media sulla norma è stata non tanto la modifica in sé, cioè il fatto che a presiedere la Commissione da oggi in poi sarà un unico vicepresidente, quanto le concordanze. Nella vecchia redazione del testo – quello approvato già dall’esecutivo rosso-viola il 25 febbraio scorso e sospeso per il ricorso dell’ultradestra di Vox al Tribunale supremo per via del fatto che una legge non può essere modificata per decreto legge semplice – non si faceva riferimento al genere dei ministri, cosa che “curiosamente”, fa notare il quotidiano El Paìs, succede in questo caso. Si parla di ministra della Difesa e di ministra degli Esteri, così come del ministro degli Interni. Ma quando si fa riferimento a chi presiede la Commissione, si scrive “vicepresidente”, chiaro riferimento a Iglesias, visto che le altre tre vice di Sánchez sono donne, dunque sarebbero vicepresidentas. Ora, ammesso che la Corte desse ragione a Vox sul decreto di febbraio, con questa norma inserita nel decreto d’urgenza, di rango superiore e quindi in grado di modificare una legge, Iglesias resterebbe comunque al suo posto. Cioè a capo della Commissione che si occupa di proporre gli obiettivi annuali del Cni, scegliere cosa tenere d’occhio e come farlo, controllare il coordinamento dei servizi segreti con i servizi informativi della Polizia e della Guardia Civile. Per non parlare del fatto che può accedere ai segreti di Stato.

Durante il dibattito di ieri al Congresso, il presidente del Partito popolare, Pablo Casado, ha accusato il governo: “È indecoroso – ha detto il successore di Mariano Rajoy – che si faccia passare attraverso un decreto contenente misure urgenti contro la pandemia, la legge che modifica i servizi segreti”. Lo stesso Pp che nel 2016 creò una commissione di inchiesta al Senato contro Iglesias, appena entrato in Parlamento con 69 deputati, assicurando di “essere sul punto di poter affermare che Podemos era finanziato dai regimi di Iran e Venezuela” dando così seguito al “dossier Pisa” contro la neo-formazione di Iglesias, confezionato dalla “brigata patriottica”, gruppo eversivo della polizia che perseguiva nemici politici. A proposito di manovre oscure e 007.

Epidemia, le piroette di Buzyn

Agnès Buzyn ha prima acceso l’incendio e poi ha cercato maldestramente di spegnerlo. Ma il danno è fatto. Su Le Monde l’ex ministra della Salute di Macron ha accusato il governo di non aver ascoltato il suo allarme sull’epidemia del Covid-19: “Sapevo che lo tsumani era davanti a noi. Avevo avvertito il primo ministro che bisognava fermare le Municipali”. Parole che l’ex ministra, medico ematologo, ha poi ritirato: “Tutte le misure anticipate sono state prese per assicurare la sicurezza sanitaria dei francesi”, ha scritto in un comunicato. Il premier Edouard Philippe non ha smentito di aver ricevuto un suo messaggio il 30 gennaio, ma ha anche aggiunto, molto abilmente: “All’epoca i medici non erano d’accordo. Tra qualche mese molti diranno che bisognava agire diversamente”. L’astensione record del 54% mostra che mantenere le Municipali di domenica scorsa non è stata una buona idea. Dal sondaggio Harris, il 76% dei francesi ritiene che sia stato un errore. Legittimo chiedersi se Macron ha sottovalutato il rischio. Dopo aver ignorato l’emergenza per giorni, il lockdown è scattato solo martedì. Ma la serietà della denuncia di Buzyn è messa in discussione. Se la situazione era così grave, perché ha lasciato il ministero per candidarsi a sindaco di Parigi?

“Si rende conto che è in ballo la sua responsabilità penale?”, gli ha detto il radicale di sinistra Jean-Luc Mélenchon. Le opposizioni chiedono l’apertura di un’inchiesta parlamentare.

Achtung Koronavirus. Chi protegge i Land diventa l’anti-Merkel

Ogni crisi è una straordinaria occasione di crescita. Lo si sente ripetere ovunque. E in queste ore in cui anche la Germania si scopre vulnerabile al Coronavirus, di fronte all’impennata di contagi delle ultime ore – 11 mila accertati e 10 milioni in previsione – e pensa a misure drastiche come in Italia, ci sono due figure che emergono nel panorama politico: il governatore della Baviera, il cristiano-sociale Markus Söder, e il governatore del Nordreno-Westfalia, il cristiano-democratico Armin Laschet. Entrambi dell’area politica della cancelliera, l’Unione Cdu-Csu, e possibili sfidanti nella corsa alla cancelleria del 2021 come eredi di Angela Merkel. In un momento in cui l’aggettivo “dinamico”, usato fino a pochi giorni fa per descrivere la situazione del virus, è sempre più spesso sostituito da “drammatico”, anche nel discorso tv alla nazione della cancelliera, viene alla luce con chiarezza il ruolo chiave dei governatori di uno Stato federale come questo. Nel fare bene o nel fare male. Perchè da “dinamico” a “drammatico” il passo è breve.

Lo ha capito per primo Markus Söder, ministro-presidente della Baviera, il Land dove si è registrato a fine gennaio il primo caso di contagio. È stato lui il primo a chiudere le scuole e a dichiarare lo stato di emergenza per catastrofe. Frankfurter Allgemeine Zeitung lo ha paragonato a Winston Churchill. In conferenza stampa con Merkel, la settimana scorsa, sfoggiava modi da cancelliere, pronto a rassicurare la nazione nel momento del pericolo, come un buon padre di famiglia, scomodando anche il whatever it takes di Mario Draghi. Ma nonostante gli sforzi, anche Söder non è arrivato a misure estreme, non ha ordinato il divieto di uscire di casa e ormai la Baviera è il secondo Land per contagi con 1.798 casi. Il Land più colpito dal contagio è quello dell’altro contendente, il Nordreno-Westfalia, 3.838 casi: una festa di carnevale a metà febbraio nella cittadina di Heinsberg ha fatto diventare il confine con Belgio e Olanda l’epicentro del virus in Germania. Anche il governatore Laschet ha avuto il suo “momento Churchill” quando ha detto: “Abbiamo a che fare con un nemico invisibile la cui lotta porterà il nostro Paese sull’orlo del collasso” e aggiungendo che “è una questione di vita o di morte”. Peccato lo abbia fatto molto tardi, venerdì scorso, quando si è deciso dopo settimane di titubanza a chiudere le scuole, fino a quel momento lasciate aperte per non danneggiare le famiglie di chi lavora nei servizi pubblici: medici, infermieri, autisti di bus. Mentre la competizione tra Söder e Laschet continua a colpi di sortite da “salvatori della patria” una cittadina bavarese di 6.500 abitanti emette il primo divieto di uscire di casa e altri Laender, come la Renania Palatinato, starebbero pensando a misure dello stesso tenore. Gioie e dolori del federalismo. Intanto il governo tedesco ha capito. In ritardo, ma ha capito la gravità della situazione e sta cercando di recuperare a tempo record. Anche con misure estreme.

Governo federale e Land cercheranno ad esempio di mettere in atto un piano sanitario di emergenza per raddoppiare i 28.000 posti-letto di terapia intensiva (di cui solo 25.000 dotati di respiratori) sfruttando hotel e altre strutture recettive per liberare i posti in ospedale. E la città di Berlino ha annunciato di voler costruire insieme alle forze armate un ospedale da mille posti letto solo per pazienti con coronavirus. Ora però è tempo che il messaggio arrivi ai cittadini tedeschi che, nonostante la chiusura di ristoranti, locali pubblici, bordelli e quant’altro, continuano a frequentare ristoranti aperti in barba ai divieti e fanno yoga in gruppo nei parchi cittadini. Per il momento il messaggio a qualcuno potrebbe essere già arrivato: il ministro delle Finanze e vice-cancelliere Olaf Scholz si è preso un brutto raffreddore e si è fatto fare il test. La Germania attende il responso col fiato sospeso.

Agrigento, continua il mistero della droga che viene dal mare

Un nuovo pacco di droga sulle spiagge siciliane, il quinto negli ultimi mesi, rappresenta un nuovo tassello dell’indagine su un misterioso giro di droga nel Mediterraneo, cui sarebbero collegate – con molta probabilità – anche le strane morti di tre sub ritrovati senza vita in mare. Il sacco di juta contenente 20 kg di hashish ritrovato sulla spiaggia di Torre Salsa, a Siculiana (Agrigento), è solo l’ultimo pezzo di un puzzle sul quale adesso indagano sei Procure siciliane, in un’inchiesta oggi lontana da una soluzione a causa dei diversi soggetti in campo. Se negli anni 80 e 90 gli affari della droga, sulla stessa rotta, erano monopolio della mafia, adesso il nuovo mercato sembra essersi allargato: “Chiunque voglia investire un capitale sa che nel commercio della droga può trovare spazio – spiega il sostituto procuratore di Agrigento, Salvatore Vella – nessuno ha il monopolio perché la richiesta di stupefacenti è altissima. Guadagna chi vende a meno e chi ha le sostanze migliori”. Il posto più sicuro per i corrieri della droga è di difficile individuazione: “Siamo ancora lontani dallo scoprire cosa sia accaduto – dicono dalla Procura – seguiamo diverse piste”.

L’ipotesi è di una “nave madre” straniera affondata in acque aperte, probabilmente al largo di Trapani, che avrebbe dovuto rifornire i diversi corrieri. Spagna, Marocco, Turchia: le piste da seguire nell’attuale mercato della droga sono tante. “Negli ultimi decenni – spiega ancora il procuratore – il mercato della droga è cambiato: non si parla più soltanto di Cosa Nostra, ma di diverse organizzazioni criminali operanti in un mercato libero in cui c’è tanto da guadagnare a causa della grande richiesta di stupefacenti”. In attesa delle analisi sull’ultimo pacco di droga ritrovato dai militari sulla spiaggia, le indagini continuano: “Anche se la situazione attuale non aiuta – chiarisce il sostituto procuratore Vella – e il blocco dovuto all’infezione rallenta i lavori”.

Maria Edgarda la “pericolosa”. “Non rispetterò la sentenza”

I giudici la ritengono socialmente pericolosa, ma Maria Edgarda Marcucci, giovane che ha combattuto con le milizie curde contro l’Isis sul fronte siriano, non ci sta. Non accetta la sorveglianza speciale che la obbligherà a seguire una serie di restrizioni: per due anni dovrà stare in casa dalle 21 di sera alle 7 del mattino, non potrà incontrare più di tre persone alla volta né frequentare persone con precedenti (e questo vuol dire non vedere alcuni militanti politici), non potrà uscire dal territorio di Torino, né potrà guidare. La patente le è stata ritirata e anche il passaporto. Lo ha stabilito il Tribunale di Torino martedì.

I magistrati della sezione “Misure di prevenzione” hanno accolto la richiesta della Questura e della Procura contro la ragazza e invece hanno respinto quelle contro altri militanti politici, Jacopo Bindi e Paolo Andolina. A giugno gli stessi giudici avevano ritenuto che altri due, Davide Grasso e Fabrizio Maniero, non dovessero essere ritenuti pericolosi per la società.

Il procedimento contro i cinque “antagonisti”, alcuni attivi nel movimento No Tav, altri nelle lotte contro sfratti e rimpatri, era cominciato all’inizio dell’anno scorso. La Digos, guidata dal dirigente Carlo Ambra, aveva raccolto informazioni sulla loro esperienza nelle zone curde tra Turchia e Siria e sui loro precedenti. Quattro di loro si erano uniti alle milizie del Fronte siriano democratico, tre uomini all’Unità di difesa del popolo (Ypg) e Marcucci alle Unità di difesa delle donne (Ypj). Bindi, invece, aveva collaborato con una struttura civile. Secondo Polizia e Procura, però, quell’esperienza aveva permesso loro di imparare tecniche di guerriglia urbana e l’uso di armi con strutture che erano “diretta emanazione della principale organizzazione militare dei curdi in Turchia, il Pkk, considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia e dagli Stati Uniti”. Alla luce di questo, dovevano essere considerati socialmente pericolosi e sottoposti alla sorveglianza speciale per 2 anni.

Secondo i magistrati, tuttavia, la ragazza è l’unica a rappresentare un rischio per la società: “Il tribunale ha ritenuto che la pericolosità di Marcucci fosse attuale, mentre per Bindi e Andolina non più”, spiega il loro difensore, Claudio Novaro, che preparerà il ricorso in appello. Ad esempio, uno degli episodi recenti che ha contribuito a convincere i giudici circa la pericolosità della ragazza, è la partecipazione a una protesta a novembre: “Sono stata denunciata – racconta lei – per essere entrata con altre persone negli uffici della Camera di commercio di Torino con uno striscione contro la vendita di armi alla Turchia in occasione di una fiera del settore aerospaziale”.

Un modo per continuare a difendere, a distanza, il popolo curdo nel corso di un’offensiva lanciata dall’esercito di Ankara. Marcucci non si attendeva una decisione diversa: “A Torino la magistratura avrebbe dovuto sconfessare il lavoro della polizia, per questo non mi aspettavo nulla – dice –. Hanno una visione del mondo molto compromessa dal loro ruolo. Io penso che non abbiano nessuna titolarità per decidere sulla mia libertà, il pubblico ministero ha deciso di perseguire il dissenso sociale e io non rispetterò la sorveglianza speciale”. Non teme inasprimenti.

“Questa è un’evenienza, ma le persone con cui ho condiviso le lotte mi hanno insegnato che bisogna assumersi le responsabilità delle proprie azioni”. Marcucci, oltre ad aver combattuto in Siria, milita con “Non una di meno” e coi No Tav: “Le lotte a cui ho partecipato sono pericolose per il potere e la sua baracca traballante che si regge sulla nostra inazione e sulla loro violenza, violenza che altrove vuol dire guerra e qui significa decidere chi intubare e chi no. Non c’è nulla della mia storia che, alla luce della sentenza, non rifarei – conclude –. Il concetto mi è più chiaro in questo giorno di ricordo di Tekoser Orso”, cioè Lorenzo Orsetti, il 33enne fiorentino delle Brigate internazionali di protezione, unità dello Ypg, morto un anno fa al fronte.

Gli studi vuoti e il deserto degli show: bonifichiamoli

Ce lo eravamo chiesti spesso senza riuscire a trovare una risposta, ma finalmente abbiamo capito a cosa serve il pubblico finto dei programmi tv. A impedire che i programmi si rivelino ancora più finti, un clown senza biacca. Senza il rimedio omeopatico del pubblico che applaude la qualsiasi e ride della qualunque, gli studi vuoti mostrano la desolazione degli show costruiti a tavolino, le platee deserte rendono grottesco il cartellino timbrato dai soliti, inesorabili presenzialisti, l’intemerata come il siparietto comico atterrano nel silenzio come il volo del tacchino. Non vale solo per la tv, intendiamoci; senza uno straccio di pubblico le nostre esibizioni perdono di senso. Toccherebbe fare qualcosa di autentico. Chiudere i salotti, sanificarli, sigillarli e magari trasformare l’emergenza in racconto, come è accaduto su Rai1 nello speciale Italia Sì di domenica scorsa. Marco Liorni, finalmente solo nella conduzione (e finalmente libero), si è inventato un Tutta la quarantena minuto per minuto a base di videochiamate di chi sta ai domiciliari coatti, da Fiorello alla Venier, intrattenimento educativo giustamente premiato dagli ascolti. Di fronte al coronavirus, ogni Paese si guarda allo specchio. La prosopopea autolesionista dei francesi, l’egoismo raggelante degli inglesi, il pericoloso casinismo degli spagnoli. Quanto a noi, eccoci qua: il melodramma, la commedia dell’arte, l’individualismo (Italia no); ma anche il sacrificio, l’invenzione e l’allegria. Italia sì.

G.M. Tognazzi: “Come ‘Amici miei’, schiaffi a chi va in giro”

Duro ma giusto, Gian Marco Tognazzi. “Ho finito con i sorrisetti, con le spiegazioni, con i ‘però’ e i ‘per come’: adesso chi non rispetta le regole non lo tollero. Anzi mi incazzo proprio e tanto. È una questione di civiltà, basta con i furbetti che escono”. Quindi? “Meglio se non continuo su questo discorso, altrimenti mi avveleno ancor di più”.

Allora i consigli per chi resta a casa: libro.

Il profumo di Suskind: quando lo leggi puoi sentire gli odori della vita, poi chiudi gli occhi e inizia un viaggio.

Film.

È scontato se immediatamente indico quelli con Ugo?

È giusto.

Penso ai più giovani, mi sono reso conto che non hanno mai preso contatto con una parte della cultura precedente alla loro nascita, e non sanno quanto gli appartiene.

Quindi?

Amici miei è perfetto, e la scena degli schiaffoni in stazione, in questi giorni, l’avrei applicata a chi usciva, ed esce, dalla quarantena e mette a repentaglio tutti gli altri.

Disco.

Assolutamente Sergio Cammariere, è un grande e un amico.

Sesso?

Difficile.

Cosa?

(Qui cambia tono, e inizia a parlare con tono più soffuso) Tocca rispettare le regole imposte?

Con il partner è inutile.

Va bene, allora consiglio il sesso di spalle, è maggiormente sicuro; poi aggiungo le posizioni ‘Eta Beta’ , la ‘pentolaccia’, la ‘messicana’… (e qui inizia con un elenco lunghissimo, dettagliato, informato, di variabili e tecniche nazionali, internazionali e semi-sconosciute).

Lei produce vino: un’etichetta.

Da noi produciamo il “Come se fosse”; a volte immagino e sogno come se fosse tutto come prima.

@A_Ferrucci