Le critiche ai privati non sono certo un attacco ai medici

Caro Marco (ma potrei dire anche cara Elisabetta, caro Andrea…). Siete medici che lavorano negli ospedali privati in Lombardia. Avete reagito con rabbia contro chi, come Milena Gabanelli e il Fatto Quotidiano, chiedeva alla sanità privata di impegnarsi al pari della sanità pubblica nell’emergenza coronavirus. Alcuni di voi hanno usato toni civili, per spiegare quanto impegno e quanta fatica state mettendo in questi giorni nel vostro lavoro, anche sottoponendovi a rischi seri (come dimostrano i tanti medici che hanno contratto l’infezione). Altri sono passati agli insulti, come si usa purtroppo sui social, alla richiesta di radiazione (chissà perché) dall’Ordine dei giornalisti, o addirittura agli auguri di dover sperimentare direttamente le vostre cure.

Lasciamo stare i webeti e i leoni da tastiera, con o senza camice bianco. Ma, più in generale, è così difficile capire che le critiche a un sistema, il sistema sanitario lombardo, non sono un attacco ai medici che fanno bene il loro lavoro nel settore privato? I medici e tutto il personale sanitario di ospedali privati come l’Humanitas e il San Raffaele stanno lavorando sodo, come i colleghi negli ospedali pubblici. Questo non toglie che l’emergenza Covid-19 stia mettendo in luce i limiti del sistema sanitario lombardo, fin qui considerato un’eccellenza. È ancora concesso avere opinioni dissonanti?

In Lombardia si è sperimentato, negli ultimi due decenni, un passaggio dalla sanità pubblica a un sistema misto in cui strutture pubbliche e strutture private offrono alla pari i loro servizi ai cittadini, sempre pagati, attraverso la Regione, dal sistema sanitario nazionale. È stata la rivoluzione voluta dal centrodestra guidato da Roberto Formigoni, che ha poi dato un esempio personale di come la intendeva, concedendo oltre 200 milioni di euro a un paio di strutture private (Maugeri e San Raffaele) in cambio di oltre 6 milioni di tangenti. Ma questa è una distorsione del sistema, sanzionata da una sentenza penale definitiva. Il sistema resta, con le sue luci e le sue ombre. Ed è bene valutarlo senza preconcetti ideologici. È indubitabile, per esempio, che Humanitas e San Raffaele, come altre strutture private, offrano ai cittadini cure di ottima qualità. Come è indubitabile che molti ospedali pubblici, specialmente nelle regioni del Sud, siano scandalosamente inefficienti. Non è pensabile dividere il mondo tra bene (pubblico) e male (privato). C’è un privato di ottima qualità e un pubblico che offre servizi pessimi. Ma questo non toglie che l’equiparazione lombarda pubblico-privato, diventata negli ultimi anni squilibrio verso il privato, abbia sacrificato una parte del diritto alla salute di tutti i cittadini. Dalla metà degli anni Novanta a oggi, i posti letto in Lombardia sono stati più che dimezzati. A livello nazionale, negli ultimi vent’anni, alla sanità pubblica sono stati sottratti almeno 8 miliardi di euro. La crescita dei privati ha portato efficienza nel servizio, ma anche concentrazione sulle prestazioni più redditizie, mentre quelle meno redditizie sono state lasciate alle strutture pubbliche. Così per alcune di queste le liste d’attesa sono lunghissime, con i privati che si rifiutano di mettere in comune le agende e di stilare liste d’attesa comuni. Le Regioni vanno ciascuna per proprio conto, con un’autonomia che si dimostra, invece che ricchezza, una fonte di dispersione di risorse. Chi paga – dunque le Regioni – dovrebbe almeno pretendere di regolare il servizio, invece di essere spesso succube dei privati e della loro lobby. Così oggi, di fronte all’emergenza, capiamo per esempio perché i posti di terapia intensiva in Italia sono 5 mila, mentre in Germania sono 25 mila.

La tracotanza americana pure sui vaccini

La tracotanza di Donald Trump dell’“America first”, che è poi quella di sempre degli Stati Uniti dopo la vittoria nella Seconda guerra mondiale, è solo più evidente e, in un certo senso, preferibile perché trasparente, sta superando ogni limite di tollerabilità, almeno per l’Europa. Dopo aver distribuito dazi a raffica, dopo aver imposto, non si sa in base a quale diritto, ad alcuni Paesi, fra cui il nostro, di non commerciare con l’Iran (che non costituisce un pericolo per l’Europa perché la sua geopolitica la fa in Medio Oriente, come l’Arabia Saudita e gli stessi Usa) ora si scopre che Trump sta cercando di acquistare, offrendo un miliardo di dollari, dalla CureVac, azienda privata tedesca, il brevetto di un vaccino anti-coronavirus che è in uno stato avanzato di elaborazione.

Ma questo brevetto, che nelle intenzioni della CureVac e del Paul-Erhlich-Institut federale che lo controlla, una volta raggiunto lo scopo, verrebbe distribuito a tutto il mondo, Trump lo vuole solo per sé, in esclusiva. Il governo di Berlino si è opposto con fermezza a questa ipotesi e la stessa CureVac ha dichiarato che “sta lavorando a un vaccino per tutto il mondo e non per singoli Paesi”. Un problema è costituito dal fatto che la CureVac è privata. Ma non sarà, crediamo, difficile per il governo tedesco superare i limiti del Trattato di Schengen perché questo stesso trattato prevede il loro sforamento in casi “eccezionali”. L’Unione europea, presa nel suo complesso, per ora, subisce le prepotenze di Washington. Ma qualcosa si sta muovendo.

Già nel maggio del 2017, dopo il G7, Angela Merkel aveva dichiarato con grande coraggio: “Gli americani non sono più i nostri amici di un tempo”. E aveva aggiunto in un comizio elettorale: “Noi europei dobbiamo prendere veramente il nostro destino nelle nostre mani. Dobbiamo essere noi stessi a combattere per il nostro futuro”. Ed Emmanuel Macron, che segue la Merkel come un cagnolino fingendo di starle davanti, alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza di questo febbraio, ha affermato: “Noi non possiamo più essere il partner di minoranza degli Stati Uniti”. Sia Merkel che Macron pensano a una politica di equidistanza fra Washington e Mosca ma, come nelle “convergenze parallele”, più vicina a Mosca che a Washington. Nel frattempo il Tribunale internazionale dell’Aia sui crimini di guerra ha deciso di indagare su casi sospetti di omicidi di massa, stupri e torture che inducono a puntare il dito contro i Talebani, ma anche contro le forze armate degli Stati Uniti. A questa iniziativa il Segretario di Stato Mike Pompeo ha replicato: “Si tratta di un’azione sconsiderata da parte di un’istituzione politica mascherata da organo giudiziario”. Insomma Pompeo ha reagito come gli inquisiti di Mani Pulite.

Gli Stati Uniti si sono sempre rifiutati di farsi giudicare dal Tribunale internazionale dell’Aia, loro crimini non ne commettono, figuriamoci, né in guerra né in pace (qualcuno ricorderà, forse, l’episodio del Cermis quando un pilota yankee volendo fare il Rambo tranciò i cavi della funivia facendo 14 morti o le ragazze napoletane stuprate dai militari americani di stanza in quella base o, volendo fare un altro esempio fra i tanti che noi non ricordiamo ma i giapponesi ricordano benissimo, le ragazze violentate sull’isola di Okinawa. Nessuno di questi criminali, a cominciare dal Rambo, è stato mai giudicato e condannato né all’Aia né in America, di loro si sono perse le tracce). Alcuni Paesi del “Vecchio continente”, come in senso spregiativo veniamo chiamati dagli americani, cominciano a rendersi conto che il vero nemico dell’Europa non è né il coronavirus, che prima o poi riusciremo a sedare, né la Russia, né la Cina, né l’Isis, ma sono gli United States of America.

La carità pelosa di B. e i ricchi (evasori)

“Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati… Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini… Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta”. Decisamente questo Matteo – l’evangelista – è il meno ascoltato oggi, ai piani alti della società italiana: dove da giorni è tutto un risuonar di trombe che annunciano urbi et orbi gli atti di beneficenza di ricchi e ricchissimi italiani a favore di strutture chiamate a lottare contro gli effetti del Coronavirus. Sia chiaro: siamo in trincea, e qualunque atto contribuisca a salvare anche solo una vita è benedetto.

Con un caveat, tuttavia: bisogna aver coscienza che la celebrazione pubblica di questi atti rischia di contribuire a tenerci inchiodati alla pessima situazione in cui ci siamo cacciati da soli. Quale? La distruzione della ricchezza pubblica a favore dell’aumento della ricchezza privata: lo smontaggio dello Stato, e dunque l’abbandono dei diritti e il ritorno a un Antico Regime in cui bisogna raccomandarsi ai graziosi donativi dei signori, che più donano, più comandano.

Prendiamo il caso più eclatante, quello di Silvio Berlusconi. Di fronte alla sua donazione di 10 milioni, un altro Matteo (Renzi) ha twittato: “Chi fa polemica anche per questa notizia è incredibile. Oggi c’è solo da dire: bravo presidente Berlusconi”. E Carlo Calenda, lapidario: “Chapeau!”. Cosa c’è di sbagliato a dire “grazie” e a dire “bravo” a chi fa un regalo? Rispondo con una domanda: direste grazie a un truffatore che, dopo avervi sottratto l’appartamento costringendovi a dormire sotto un ponte, venisse a donarvi una coperta (con il sorriso del benefattore e le telecamere al seguito)? Berlusconi (e con lui anche Renzi e Calenda, pro quota) ha la responsabilità di aver massacrato il nostro sistema sanitario: se oggi i medici lombardi sono costretti a decidere chi provare a salvare è anche colpa sua. Anche solo rimanendo agli ultimi dieci anni il grosso dei tagli alla sanità pubblica li hanno fatti i governi Berlusconi e Monti (circa 25 miliardi in meno), mentre altri 12 sono stati sottratti dai governi Letta, Renzi, Gentiloni e Conte. La regressione a cui questa classe politica (insieme a quella di tutta l’Europa dell’austerità beninteso) ci ha condannato può essere riassunta da un dato spaventoso: nel 2015, per la prima volta da molto tempo, in Italia l’aspettativa di vita tornava a calare. Il Coronavirus, dunque, si sta accanendo su un sistema sanitario crivellato di colpi dalla classe politica che oggi si scambia i complimenti sui social network.

Ma non basta. Riunendo in sé il politico e il magnate, Berlusconi ha anche un altro motivo per cui dovrebbe guardarsi bene dal suonare la tromba per annunciare la sua generosità: l’evasione fiscale. Berlusconi è stato condannato per aver evaso 368 milioni di dollari attraverso i contratti esteri gonfiati di Mediaset: “Bravo presidente Berlusconi” (Renzi), che hai tolto alle rianimazioni 368 milioni e ora ne doni 10!

Sarebbe interessante vedere quanti e quali altri grandi donatori di queste ore hanno simili scheletri negli armadi contabili. Ma anche se non li avessero, bisogna ricordare una cosa: in Italia l’oligarchia al potere da decenni ha fatto di tutto per approvare leggi che rendono i ricchi sempre più ricchi, evitando accuratamente ogni forma di redistribuzione delle ricchezze.

Un esempio concreto: supponiamo che un padre lasci in eredità a un figlio un milione di euro. Ebbene, in Francia quel figlio pagherebbe allo Stato 195.000 euro di tasse, in Inghilterra 250.000. E in Italia? Zero. Se ricordiamo che in Italia il 5 per cento più ricco della popolazione (quello che ora fa le donazioni…) possiede una ricchezza pari a quella posseduta dal 90 per cento più povero, si capirà che abbiamo un problema enorme di ingiustizia sociale.

Una delle cose che il Coronavirus dovrebbe farci capire è che non possiamo più andare avanti così: dobbiamo redistribuire la ricchezza, facendo in modo che i più ricchi contribuiscano molto di più al finanziamento dello Stato. E siccome in molti cominciano finalmente a capirlo, ecco che scatta questa campagna di ri-legittimazione della ricchezza di pochissimi e dunque della diseguaglianza. Fatta, per somma ingiustizia, a spese di tutti i contribuenti, perché l’ultimo decreto del governo Conte stabilisce la detraibilità totale per le donazioni per il Coronavirus fatte dalle imprese: e dunque, in realtà, i ricchi fanno i benefattori almeno in parte con i portafogli degli altri, anche dei più poveri.

Dunque, visto che i ricchi vogliono dare, accontentiamoli: con un sistema fiscale finalmente giusto. Cioè progressivo, come lo vuole la Costituzione.

Mail box

 

Professoressa Gismondo, grazie per il coraggio

Voglio ringraziare la professoressa Gismondo per il buon senso che emana dalla sua persona e da quanto afferma. Sarebbero necessarie molte più personalità del suo calibro col coraggio e onestà intellettuale.

Daniele Meneghini

 

Fate Commendatori al merito i dottori e gli infermieri

Pensando al dopo (ci sarà un “dopo”, vero?!), mi è venuta un’idea: sarebbe una bella cosa se tra qualche mese si nominassero Commendatori al merito della Repubblica tutti i medici, infermieri e operatori sanitari che in queste settimane e mesi hanno sacrificato le loro energie e spesso anche la vita per curare i malati da Covid-19. Lo so che sa un po’ da “Estad todos caballeros” di Carlo V, ma certe volte, in mancanza di altro – per esempio, stipendi dignitosi –, anche una medaglia di cartone può significare qualcosa.
Giuliano Corà

Ottima idea!
M. Trav.

 

Ospedali, servono materiali e personale, non i “motivatori”

Caro Travaglio, condivido pienamente quello che scrivete. C’è da tempo una manovra accerchiante, contro Conte. Persino col virus, che ha messo a nudo venti anni di scelleratezze che hanno dissanguato la sanità pubblica. Ora, dopo che medici e personale ospedaliero si stanno ammazzando di fatica, si riesuma il grande organizzatore, il leader, l’uomo forte, come se negli ospedali, invece che materiale, reparti attrezzati e personale, servisse il “motivatore”… Se si facesse prevenzione non servirebbe un esercito costosissimo che accorre quando il danno è fatto. Il virus, ci si augura, prima o poi “perderà” e ci si prepara a darne il merito al totem.
Franco Taccia

 

Anche noi insegnanti stiamo combattendo il virus

Le polemiche incalzano e gli insegnanti smarriti aumentano… Quando si richiede agli insegnanti di essere formati e informati, di diventare professionisti del proprio settore, non ci si riferisce soltanto alla spasmodica ricerca della didattica più avanzata, all’adozione dell’ultimo metodo in voga, alla foga di acquistare la guida più all’avanguardia… Si richiede quella capacità di discernimento, di prendere decisioni, anche in circostanze straordinarie. Invece di rappresentare una guida per i genitori e per gli alunni si assiste alla confusione di una categoria divisa, subalterna, timorosa, quando non egocentrica e schizofrenica… Alla fine di questa brutta esperienza si scorgeranno gli insegnanti e gli intrusi, per fortuna i primi sono la maggioranza… Noi insegnanti, come i medici, gli infermieri, i volontari, i giornalisti, ecc., stiamo combattendo ciò che è invisibile agli occhi (come i virus), per farlo bene, però, anche noi avremmo bisogno di rinforzi.
Gaia Colosimo

 

Dobbiamo fermarci e riprogrammare le priorità

Siamo sicuri che questo Coronavirus sia solo un nemico? Credo che abbiamo bisogno di capire veramente quello che ci sta dicendo: “Dobbiamo fermarci. Dobbiamo riprogrammare le nostre priorità. Dobbiamo pensare tutti insieme a una nuova forma di comunità, in cui ognuno con la sua qualità possa farne parte senza sentirsi escluso”. Dobbiamo vedere questo virus come una sveglia, una sveglia mattutina che distrugge il sogno-incubo e ci fa ritornare nella realtà, nel qui e ora. Fermiamoci tutti e ascoltiamoci. Madre Natura ci ha mandato un segnale forte e chiaro. Dobbiamo fare un salto di consapevolezza. La sveglia ci sta chiedendo di svegliarci, alzarci dal letto e iniziare a valorizzare quello che davamo per scontato fino a ieri. La strada non è facile ma è l’unica.
Luca Savini

 

L’Italia non è tutta in quarantena forzata

Sono un vostro affezionato lettore, però ieri avete messo in imbarazzo la mia grande stima. Con il titolo “‘Troppa gente ancora in giro’ Via ai controlli sui telefonini”, Alessandro Mantovani racconta che l’assessore lombardo Gallera vuole controllare tutti con il tracciato del cellulare. Citate accadimenti a Catania, Piacenza, Busto Arsizio e Roma e aggiungete che la quarantena non funziona abbastanza. Scusate, tutta l’Italia è in quarantena? Da quando? È in vigore il Dpcm dell’11 marzo, aggiornato il 17, con l’aggiunta nell’autodichiarazione “di non essere sottoposto alla misura della quarantena”… Ma il Dpcm consente di fare attività motoria, a piedi o in bici. Se poi, fra poche ore, il governo deciderà di mettere tutti in quarantena, rispetterò il provvedimento. Oggi, però, non c’è quarantena salvo per chi, purtroppo, è alle prese col virus.
Luciano Murgia

 

Caro Murgia, lei ha ragione, ho usato in modo improprio la parola “quarantena” e me ne scuso. Questi controlli attivati in Lombardia servono a monitorare le violazioni del divieto di uscire di casa senza giustificato motivo e riguardano “masse” anonime di telefonini, non singoli utenti. Per chi viola la quarantena, essendovi tenuto in quanto positivo, le sanzioni possono essere più severe ma al momento non ci risulta l’attivazione di controlli sui telefonini, che in quel caso non sarebbero di massa e anonimi, ma mirati.

A. Man.

Giornalisti. La pandemia può insegnare a tutti il senso di responsabilità

Il giornalismo televisivo ha una grande opportunità: uscire dai panni del maggiordomo del politico di turno o dalle interviste senza domande, accendendo i riflettori sulla gestione della cosa pubblica, sanità in primis. Vorrei che qualcuno chiedesse agli addetti all’informazione televisiva se non ritengano di avere qualche responsabilità in questo disastro. Quello che il virus ha messo in luce, soprattutto al Sud, sono i problemi drammatici di una gestione strumentale e criminale della sanità pubblica, la più bella del mondo, (con pronto soccorso per tutti, pagata dalle tasse di chi le paga) da parte di governatori di ogni Regione, che hanno pensato, indisturbati, di foraggiare i grandi finanziatori, proprietari di strutture private convenzionate.

A questo punto i grandi giornalisti televisivi hanno una grande opportunità di riscatto: educare tutti alla tutela degli italiani, cominciando a fare domande serie e pretendendo risposte serie, ma soprattutto chiedendo a loro stessi di assumersi le proprie responsabilità! Grazie di cuore a Il fatto Quotidiano.
Maddalena Siporso

 

Cara Maddalena, prima di tutto grazie per le tue belle e accorate parole. Non generalizzerei, cosa che detesto: il giornalismo, televisivo e non solo, non è sempre “maggiordomo”. Non lo è mai stato questo giornale, non lo sono mai stati tanti validissimi colleghi di altre testate. Sul livello spesso indecoroso della sanità italiana, al Sud e non solo, sfondi una porta apertissima (almeno da queste parti). La politica ha banchettato sulla salute della gente, con osceni tagli alla sanità e tangenti allo stato brado: e i risultati, ora, si vedono. Quanto ne ha parlato il Fatto? E quanto ne hanno parlato in tivù, anche in questi giorni, le firme che frequentano il piccolo schermo? Ognuno fa la sua parte e nessuno fa miracoli. Credo che il discrimine resti l’onestà intellettuale in primis, unita va da sé al coraggio e (se possibile) al talento. Tu parli molto di “grandi giornalisti televisivi”, sperando che il coronavirus insegni qualcosa anche a loro. Un bell’auspicio, ma chi nasce tondo non muore quadrato. Neanche in tempi di pandemia. Quanto infine al concetto di “responsabilità”: hai ragione, eccome, ma vale anche per i lettori. Per gli spettatori. Per gli elettori. Che devono informarsi, dare l’esempio, rispettare le regole, non essere tifosi ed esigere anzitutto da se stessi il massimo. Buona fortuna.
Andrea Scanzi

Il Covid sovranista mette ko i sovranisti

Sere fa, quando Alessandro Sallusti ha ammesso in tv che sul contrasto al virus il governo Conte ha fatto anche cose buone (come si dice di quell’altro), dall’espressione non proprio lieta sembrava che avesse due elettrodi ci siamo capiti dove.

Poi ha compensato il patimento segnalando che la svolta drastica sul tutti a casa è stata chiesta, e forse imposta, al premier dalle Regioni del Nord a guida leghista. E anche questo è vero (per dirla con Walter Veltroni).

Essere equanimi fino in fondo significa anche constatare che il Covid-19, in sole tre settimane, ha fatto per l’attuazione del sovranismo, enormemente più di quanto i sovranisti più spinti, intransigenti e fanatici abbiano ottenuto in tre anni di ossessive campagne elettorali.

Dal Patto di stabilità ridotto in briciole, attraverso la libertà per gli Stati di spendere cifre immense da destinare alle popolazioni, e con il sollecito beneplacito delle autorità di Bruxelles. Alla incombente dissoluzione di Schengen e della conseguente libertà di circolazione nell’Unione, con il ritorno a confini sigillati e invalicabili come ai tempi del medioevo.

Sotto la implacabile pressione dell’epidemia è di fatto il concetto stesso di Europa a vacillare, cosa che neppure Steve Bannon e Nigel Farage in seduta spiritica con Attila avrebbero osato immaginare. Salvini & Meloni avrebbero dunque tutto il diritto di esultare se non fosse che il maledetto coronavirus, insieme ai vincoli europei, rischia di spazzare via la stessa ragione sociale della destra più destra (già orfana della questione immigrati).

Oggi è il sovranismo necessario di Giuseppe Conte a guidare baracca e burattini. Manca soltanto che sulla spiaggia di Ostia e a petto in fuori chieda i pieni poteri.

Santi silvio e guido, salvatori del nord

Sia lode a Silvio e a Guido: grande è il loro ingegno, la loro generosità e la loro Opera. Volendo parafrasare Marcello Sorgi – ci scusi se ci permettiamo – sarebbe più o meno questo il significato del suo Taccuino di ieri su La Stampa. L’occasione era ghiotta: raccontare della donazione di Berlusconi per la Sanità lombarda e approfittarne per una leccatina a Bertolaso, colui che dovrà gestire parte di quei soldi. Sorgi ci avvisa: “Un errore da non commettere è di considerare la vicenda del nuovo ospedale di Milano come una delle tante”. Ci spieghi lei. “Non solo per l’entrata in scena di Berlusconi, che anche adesso è in grado di dare una zampata degna di lui”. In che senso “degna di lui”, ci scusi? “Berlusconi ha capito prima di altri che l’ospedale è destinato a diventare il simbolo del riscatto dell’intero Nord rispetto a Roma e al governo”. Un visionario. E Bertolaso? “Si è subito messo al lavoro”, “se non ci saranno intoppi, ai quali Bertolaso è abituato e sa rimediare, l’ospedale la prossima settimana sarà consegnato”. I famosi intoppi superati agevolmente nel caso del G8 alla Maddalena o nella ricostruzione a L’Aquila, per esempio. E quando tutto sarà finito e “la capitale del Nord avrà segnato un punto decisivo”, Bertolaso chiederà se “serve altro” e “forse potrà tornarsene in Africa”. Poi, il settimo giorno, riposerà. Forse.

Non c’è solo il Covid-19

Il 20 febbraio resterà nella mia mente tutta la vita. Quella sera all’arrivo del tampone di “Mattia” è come se, approfittando del sonno di Ulisse, avessimo aperto l’otre regalatagli da Eolo. Giorno dopo giorno è scomparso tutto: la fame nel mondo, i bambini siriani, attentati, infarti, ictus, femminicidi. Tutto è diventato Covid-19. Se hai il mal di testa, pensi al tampone. Se incontri qualcuno, pensi che ti stia contagiando. Ma io voglio capire. Sono un medico e un ricercatore. Devo essere “eretica”. Avere il coraggio e la modestia di mettere in discussione tutto e onorare il dubbio.
Incontro un collega rianimatore, di quelli che si sporcano le mani giorno e notte infilando tubi in pazienti rantolanti. Mi dice: “È vero, ne arrivano tanti in rianimazione. E ne muoiono. Finora quasi tutti i morti (parla della nostra realtà, ndr) erano anziani con più patologie gravi. Gli altri quasi sempre arrivano in rianimazione, ma guariscono. Il vero problema di queste polmoniti rispetto a quelle causate da altre complicanze è che i pazienti restano in rianimazione per settimane. In altre condizioni, anche se i pazienti con complicanze da influenza hanno la polmonite, sono distribuiti in più reparti e, se devono passare in rianimazione, ci restano giorni, non settimane, a prescindere dall’esito positivo o negativo”.
I morti sono morti da qualsiasi reparto provengano. Ma la vera crisi è quella del sistema sanitario. Prese le dovute cautele per contenere il contagio, questa è un’infezione che fa ammalare il 10% degli infettati e provoca la morte soprattutto come fattore “opportunista”, non come causa primaria. Nessun tentativo di sminuirne la gravità, solo l’invito a guardare numeri e condizioni.

La nonna va su Whatsapp e “Tex Wirrus” spara al Covid

Visto che dobbiamo “stare a casa”, chi ha tempo libero e vuole spenderlo per raccontare la sua vita in quarantena e condividerla con gli altri ha a disposizione le pagine del Fatto. Siamo una comunità e mai come oggi sentiamo l’esigenza di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decameron di Giovanni Boccaccio, si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze. Inviateci foto, raccontateci cosa fate, cosa inventate per non annoiare i figli e non allarmare i nonni, quali libri, film e serie tv consigliate all’indirizzo lettere@ ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.

 

Io e mio marito entrambi “in ufficio” davanti al pc

Ora abbiamo modo di rallentare il tempo e fare quelle cose che… “lo farò domani”, ti dicevi sempre! La mia giornata tipo è insieme a mio marito Lorenzo: la mattina esce per andare in edicola a comprare Il Fatto e La Nazione! Torna e facciamo colazione a casa (dopo 21 anni che la facciamo in pasticceria al nostro tavolino fisso). Poi tutti e due “in ufficio” ognuno al suo computer: io aggiorno i miei social, scrivo comunicati e lui il suo lavoro! Finalmente il tempo mi concede pure di “rivisitare” tutti i Millennium arretrati di cui ho lasciato articoli a metà (ben segnalati eh!) e libri mai ancora iniziati.

Il pomeriggio facciamo spesa nei negozi del quartiere, non nei supermercati. E la sera dopo Gomez sul Nove guardiamo le trasmissioni esclusivamente se c’è qualcuno di voi. Altrimenti ci guardiamo le serie tv Bull, Mentalist o Montalbano.

P.S.: Dimenticavo… quando Lorenzo ride di gusto (lui che è molto riservato) è ovvio, significa che sta leggendo l’editoriale di Marco. E io di rimbalzo: “Che dice il direttore oggi?”.
Domenica Giuliani

 

Io faccio il “mammo” e lei le conference call

Siamo Nicholas, Melanie e il piccolo Lenny, una famiglia italo-tedesca che vive in provincia di Bergamo. Il papà, a casa con un brutto raffreddore, in questo momento di forte preoccupazione si è scoperto un fantastico mammo multitasking (il mattino), ma anche un discreto giocatore di PlayStation (il pomeriggio). La mamma, invece, lavora in smart working con le cuffie, dando vita a un entusiasmante assetto familiare di role reversing che rende la nostra quarantena dannatamente radical chic. Ah, ovviamente, la tedesca fra i due è lei.

Stiamo pensando di organizzare un piccolo concerto dal balcone, ma al momento siamo in stallo perché io suonerei Rino Gaetano ma lei, inspiegabilmente, vuole che canti Tony Colombo. Credo che alla fine non se ne farà nulla perché di solito andiamo d’accordo su Gaber, che decisamente non è a tema.

Questa mattina, con le sue interessantissime conference call, ci disturba nella nostra prima lettura a quattr’occhi del Fatto! Sempre i soliti tedeschi… (vedi foto)
Nicholas Crespi

 

Può sembrare banalità, ma per me è dono di Dio

Per me la vita durante il coronavirus è per tanti aspetti uguale a quella che vivevo fino a prima. Appena apro gli occhi prego, mi alzo, mentre preparo la colazione per mia madre che ha 92 anni e la aiuto a mettersi in moto, termino le preghiere. Scendo al volo in strada per sfamare 3 gatti che mi aspettano. Faccio un po’ di spesa o vado in farmacia. Edicola per comprare il Fatto. Preparo il pranzo, mi riposo, studio 3 o 4 ore, dico il rosario in tv con mia madre. Alle 20 cena e alle 22 e 30 la accompagno a dormire. Alle 24 spengo la luce al termine di una giornata intensa e apparentemente banale, ma che per me è pura felicità e dono di Dio.
Salvatore Z.

 

In questi tempi difficili le edicole sono medicine

In questo frangente dove spesso l’Irrazionale si maschera da Ragione confondendo e impaurendo, sapere che c’è un luogo che ci dà una medicina affatto palliativa è un grandissimo conforto. L’edicola, per me, è questo e l’edicolante, mai come in questi momenti, è il mio farmacista ed i giornali le mie medicine, indispensabili quanto il pane. Un grazie a Giorgio Carraro, il mio “farmacista” a Quinto di Treviso e a tutti i suoi colleghi come pure a chi fa i giornali, spesso vituperati e insultati senza ragione. Le medicine, si sa, non sono sempre gradite, ma risultano indispensabili.
Vittore Trabucco

 

Un eroe dei fumetti per battere il contagio

Questo disegno (vedi foto) mi è venuto in mente mentre rileggevo a casa un vecchio Tex in cui faceva fuori un sacco di banditi per passare il tempo.

Penso quello che penseranno tutti: un intervento extra-forte che risolva al più presto il problema da qualunque parte provenga, senza distinzioni. Nei fumetti mi firmo Geo, perché faccio il geometra da sempre, ancora oggi a 79 anni.
Ezio Davio

 

Non ho mai ballato, ma provo con la salsa

Sono una studentessa di Psicologia clinica e vivo a Roma. In questo periodo di clausura, sto provando tutto quello che non ho mai avuto il tempo di fare prima. Oltre alle lezioni universitarie online e al classico film dopo cena con mio padre e Leone (vedi foto), mi sto cimentando in tutorial di salsa (io non ho mai ballato prima) e di Qi Gong, medito, faccio pancakes e provo a leggere la marea di libri iniziati e mai finiti. Sono anche riuscita a insegnare a mia nonna di 84 anni come videochiamare su Whatsapp. Alla fin fine, penso che dovremmo tutti provare a trasformare i limiti imposti da questa tragedia in nuove opportunità.
G. 

Giudici, il Vaticano separa le carriere. Con il plauso (e zampino?) di Pignatone

Giuseppe Pignatone, fino a maggio procuratore di Roma e da ottobre 2019 presidente del Tribunale del Vaticano, dalle pagine dell’Osservatore Romano plaude alla riforma dell’ordinamento giudiziario di Papa Francesco. Dato il suo ruolo, l’influenza che ha in tema di giustizia in Vaticano, sembra che questa riforma abbia l’impronta di Pignatone. Difficile non vedere i suoi suggerimenti soprattutto in tema di indagini, di polizia giudiziaria.

La riforma attua un sogno di tanti politici italiani, a livello trasversale e di tanti avvocati penalisti: la separazione delle carriere, osteggiata, però, dagli ex colleghi di Pignatone, i magistrati, per il rischio più che reale dell’asservimento del pm al governo di turno. Certo, paragonare i due ordinamenti può essere una forzatura, dato che in Vaticano il faro è il diritto canonico .

Papa Francesco ha promulgato la legge lunedì scorso e cambia sensibilmente l’ordinamento del 1987 modificato già nel 2008. Innanzitutto i magistrati dipenderanno soltanto dal Papa e non anche dalla Curia e saranno soggetti solo alla legge. Da adesso disporranno anche della polizia giudiziaria. Secondo il Pignatone pensiero “va sottolineato che uno dei criteri ispiratori è la convinzione che l’indipendenza dei magistrati e la loro capacità professionale sono condizioni indispensabili per ottenere quei risultati di giustizia indicati da Papa Francesco. Viene quindi affermato esplicitamente che i magistrati, pur dipendendo gerarchicamente dal Sommo Pontefice che li nomina, nell’esercizio delle loro funzioni sono soggetti soltanto alla legge e che essi esercitano i loro poteri con imparzialità. Vengono quindi indicati specifici e rigorosi requisiti di professionalità, con la previsione che magistrati di primo e di secondo grado, e in parte anche della Corte di Cassazione, possano essere nominati professori universitari ovvero giuristi di chiara fama”. E veniamo alla spinosa, politicamente parlando per l’Italia, separazione delle carriere. Scrive Pignatone: “Per la prima volta, sono dettate specifiche norme per l’Ufficio del Promotore di giustizia, così marcando la distinzione tra magistratura giudicante e requirente, tuttavia – tiene a sottolineare l’ex procuratore di Roma, quasi a giustificare – assicurando anche a quest’ultima autonomia e indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni”.