Matteo Salvini evoca strade affollate di criminali a causa della misura sui domiciliari per una fascia di detenuti. È quella contenuta nel decreto “Cura Italia” che, in realtà, accelera solo la procedura già prevista dalla legge secondo la quale si può scontare a casa, non per tutti i reati, la pena residua fino a 18 mesi. Opposta la reazione di avvocati, radicali e associazioni come Antigone, che parlano di provvedimento “inefficace” non solo per l’emergenza coronavirus, ma anche per il sovraffollamento delle carceri.
Secondo Salvini siamo di fronte a uno “svuota carceri inaccettabile. Mentre si arrestano gli italiani che escono di casa, si pensa di fare uscire 5.000 carcerati fra cui spacciatori, rapinatori, ladri, truffatori”. In realtà si applica, sia pure con procedura più snella, una legge del 2010, la 199, a firma dell’allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e votata pure dalla Lega.
Il decreto, infatti, stabilisce che i detenuti con condanne definitive possono andare ai domiciliari se devono scontare una pena anche residua che non superi i 18 mesi. Ma, in deroga alla legge del 2010 e fino al 30 giugno 2020, non ci sarà più un’udienza con tutte le parti sulla richiesta in merito, ma una procedura semplificata che prevede una nota del direttore del carcere competente in cui si attesta che il detenuto ha diritto al provvedimento e il via libera “in solitaria” del giudice di Sorveglianza “salvo che ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura”.
Restano esclusi i condannati a gravi reati (quelli indicati dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario), i maltrattamenti in famiglia e lo stalking, “delinquenti abituali, professionali o per tendenza”, quelli sottoposti al “regime di sorveglianza particolare” e chi ha avuto sanzioni disciplinari in carcere. Dunque, anche coloro che hanno partecipato alle sommosse dei giorni scorsi.
E veniamo alla parte più criticata dagli avvocati penalisti e che riguarda i braccialetti elettronici: eccetto che per i detenuti con pena fino a 6 mesi o minorenni, per gli altri, che devono obbligatoriamente dare il consenso, “è applicata la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici”. Per la distribuzione dei braccialetti ai direttori dei penitenziari la palla passa al capo del Dap Basentini e al capo della polizia Gabrielli che entro “dieci giorni” deve adottare un provvedimento, da aggiornare periodicamente, in cui “è individuato il numero dei mezzi elettronici e degli altri strumenti da rendere disponibili nei limiti delle risorse finanziarie”. Protesta l’Unione delle Camere penali: “Scelte irresponsabili e ciniche: detenzioni domiciliari condizionate a braccialetti elettronici che non esistono e che nessuno vuole acquistare!”.
Ma, secondo quanto ci risulta, sono disponibili 2.500 braccialetti elettronici.
E quanti i detenuti che dovrebbero andare ai domiciliari? Non ci sono ancora numeri ufficiali. Secondo i sindacati di polizia penitenziaria non saranno più di 2 mila su oltre 61 mila detenuti complessivi di cui 8.629 hanno una pena residua che non supera un anno ma, come detto, ci sono molti reati ostativi ai domiciliari. Inoltre, i detenuti con pene sopra i 6 mesi andranno ai domiciliari gradualmente “a partire dai detenuti che devono scontare la pena residua inferiore”.
Lo stesso decreto, infine, prevede che i detenuti in semi libertà, 1.100 circa, secondo quanto ci risulta, potranno avere una licenza fino al 30 giugno anche se si superano i canonici 45 giorni.
Vuol dire che invece di rientrare la sera in carcere possono rimanere nelle loro case. Un modo, sembra, per liberare posti nelle sezioni distaccate delle carceri, utili, in caso di necessità, per detenuti che devono essere magari messi in quarantena per il coronavirus. Per il Garante dei detenuti, Mauro Palma, il decreto è “un primo passo importante che consentirà di alleggerire le presenze” nelle carceri, “garantendo la sicurezza e andando incontro alle esigenze di prevenzione di diffusione” del coronavirus.