Muoiono soprattutto gli anziani, certo. Ma non solo. L’ultimo studio dell’Istituto superiore di Sanità (Iss) sulla mortalità legata Covid-19, datato 17 marzo e relativo ai primi 2.003 decessi (ieri siamo arrivati a 2.978) dà conto di cinque persone tra i 30 e i 39 anni che non ce l’hanno fatta (0,2 per cento), tutti uomini e tutti con gravi patologie pregresse cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità. Erano affetti da altre malattie anche i 12 morti tra i 40 e i 49 anni (0,6 per cento). Altri 56 ne avevano tra i 50 e i 59 (2,8), 173 tra 60 e 69 (8,6), 707 tra 70 e 79 (35,3), 852 tra 80 e 89 (42,5), 198 sopra i 90 anni (9,9).
L’età media dei deceduti è poco sopra gli 80 anni, quella dei contagiati 63. L’87 per cento dei morti aveva superato i 70 anni, gli altri no. E se si guarda ai malati in terapia intensiva, secondo un altro studio dell’Iss del 16 marzo, su 397 pazienti che ne hanno avuto bisogno (e l’hanno trovata) l’età media è 67 anni: nessuno sotto i 18, il 12,2 per cento ne ha fra 19 e 50, il 49,4 per cento ne ha tra 51 e 70 e il 38,4 per cento è sopra i 70 anni. È un campione parziale, 8.802 casi sugli oltre 25 mila registrati nel momento in cui è stato realizzato.
Gli uomini muoiono due volte di più delle donne, a 79,5 anni in media contro 83,7. Sui 2.003 casi analizzati nello studio sulla mortalità ci sono 1.402 uomini (70 per cento) e 602 donne. Non ci sono ancora spiegazioni definitive per questa notevole differenza, che non si registra per i comuni virus influenzali. In media sono trascorsi otto giorni tra l’insorgenza dei sintomi di Covid-19 e il decesso, quattro dai sintomi al ricovero e quattro fino al decesso. Cinque dal ricovero per coloro che sono stati trasferiti in rianimazione.
Solo per 355 di questi casi l’Iss ha potuto disporre delle cartelle cliniche complete. Tra loro l’insufficienza respiratoria è stata la complicanza più diffusa (97,2 per cento), poi il danno renale acuto (27,8 per cento), il danno cardiologico (10,8) e la sovrainfezione (10,2). Solo tre pazienti non presentavano nessuna malattia (0,8 per cento), 89 (25,1 per cento) una sola, 91 ne presentavano due (25,6 per cento) e 172 (48,5 percento) da tre in su. La più diffusa si conferma l’ipertensione arteriosa, presente nel 76 per cento dei 355 casi del campione, seguita dal diabete mellito (35,5 per cento), quindi la cardiopatia ischemica (33 per cento), fibrillazione atriale (24,5), cancro negli ultimi cinque anni (20,3 per cento), insufficienza renale cronica (18), broncopneumopatia ostruttiva cronica (13,2), ictus (9,6), demenza (6,8), epatopatia cronica (3,1).
Sarebbero morti lo stesso? Magari per un comune virus influenzale? Può darsi, ma prima o dopo non è lo stesso. E i numeri del Covid-19, comunque si preferisca leggerli in attesa di studi completi che arriveranno più avanti, non sono sovrapponibili a quelli dei virus influenzali. Il tasso di letalità grezzo o apparente, 2.989 morti “con il Coronavirus” su 35.713 casi rilevati in tutta Italia, è salito all’8,3 per cento e supera largamente il 10 per cento in Lombardia a fronte del 3 per cento della Cina e di valori molto più bassi in altri Paesi fortemente colpiti dalla pandemia. Sappiamo però che i casi rilevati sono solo una parte del totale, c’è una platea di asintomatici che va dal 50 al 75 per cento a seconda degli studi e quindi indurrebbe a moltiplicare i casi rilevati fino a quattro volte per avere quelli reali, abbattendo il tasso di letalità tra il 2 e il 3 per cento. Sulle specifiche cause di morte ci saranno indagini approfondite ma tutti i medici spiegano come il virus acceleri patologie respiratorie, cardiache e d’altro tipo.
I virus influenzali, secondo l’Iss, provocano qualche centinaio di morti diretti e 7/8 mila indiretti l’anno, su cinque/sei milioni di casi rilevati su base statistica. E richiedono la terapia intensiva in 800/1.000 casi l’anno negli otto mesi da ottobre ad aprile in cui è attiva la sorveglianza. Naturalmente sarebbero di più senza i vaccini che proteggono buona parte degli anziani più a rischio e non esistono ancora per il nuovo Coronavirus. Le polmoniti, secondo i dati Istat disponibili fino al 2017, uccidono in media 10/12 mila persone ogni dodici mesi. Il conto dei morti da Covid-19 è iniziato solo il 22 febbraio scorso.