“Mi tartassano di messaggi. Chi mi fa ridere? De Luca”

Occhio da cineasta, occhio da chi sa, orecchio, esperienza. Sintesi. Già con le prime risposte, Carlo Verdone inquadra la situazione attraverso un racconto che sembra perfetto per uno dei suoi film.

Le canzoni alla finestra la emozionano?

Inizialmente sì, poi quando diventa troppo si perde il significato; ho riso per il tizio apparso sul terrazzo con tutta la strumentazione del deejay; carino anche qualcuno con la chitarra o la tromba.

Il però…

Da me, un signore, alle nove di sera, ha messo a palla L’Italiano di Toto Cotugno, un volume assurdo, ma non si è affacciato nessuno! Così ha ulteriormente alzato l’audio, ha rotto le palle per mezz’ora, e sempre con lo stesso brano, fino a quando ha sbottato: ‘Dove state? Non ve ne frega gniente dell’Italia?’.

Qualcuno ha risposto?

Sì, uno, che dal balcone ha urlato: ‘Hai rotto il cazzo! Basta. Abbassa’. A quel punto si è offeso e ha chiuso tutto.

La Rete protagonista.

Pure qui toccherebbe manifestare maggiore equilibrio: arrivano filmati e video carini, simpatici, servono a stemperare un momento orrendo.

Altro però…

I casi sono due: se devo pensare a quello che sta sopportando la città di Bergamo, alle immagini che passano in televisione e sul web, alle bare in fila, alle persone in ospedale, allora mi domando cosa c’è da ridere.

È una forma di rimozione.

Si cerca la battuta su ogni aspetto, in continuazione, e si arriva a manifestare una forma di superficialità; (cambia tono) non dico che dobbiamo cedere alla depressione, buttarsi a terra e disperarsi oltremisura, però sarei più cauto.

Quanti messaggi le arrivano per manifestare paure o chiedere consigli?

Circa 150 ogni dieci ore; ero quasi intenzionato a cambiare il numero di cellulare, poi ho capito che il negozio è troppo lontano da casa, e non potevo giustificare l’uscita; quando finirà l’emergenza sarà uno dei miei primi appuntamenti.

Le richieste più ripetute?

Di partecipare ad appelli, eppure ne ho già lanciati venti! Poi mi domandano come passo le giornate, cosa ne penso, fino ai consigli scientifici.

Giudizio sul governo.

Stanno lavorando come possono, e si sono trovati di fronte una situazione drammatica: in questo momento non mi sento di portare alcuna critica, sarebbe sbagliato; l’unica piccola polemica è sui danni del passato, i tagli alla Sanità, quando lo stesso Bill Gates, nel 2005, lanciava l’allarme sui virus.

Sembrava un argomento da serie tv.

Eppure il termine ‘virus’ è presente, e da anni, in tanti convegni, ma delle questioni ce ne rendiamo conto solo quando ci toccano direttamente; dovevamo prevederlo, specialmente in un mondo globalizzato con le porte aperte, e dopo gli allarmi Ebola e Sars.

Boris Johnson e Donald Trump hanno riserve…

Sono rimasto allibito, quella del premier inglese è stata un’uscita di un cinismo veramente incredibile, e ho pensato che tanti uomini di governo, soprattutto in Europa, non sono degni del ruolo che ricoprono. Sono dei mediocri. Sì, in questo momento stiamo facendo una bella figura, nonostante qualche errore, ma è gente che si è arrotolata le maniche e sta lavorando.

Senza uscire di casa abbiamo più tempo per pensare.

Quest’inverno riflettevo sulla storia della mia famiglia, e dicevo: guarda te che fortuna, mio nonno ha affrontato la Prima guerra mondiale ed è morto sul monte San Gabriele; i miei genitori hanno vissuto i bombardamenti della Seconda, chiusi in cantina; io e i miei figli non vedremo conflitti.

E invece..

Mi ero completamente sbagliato: avevo sottovalutato che oggi le guerre coinvolgono solo i poveracci, mentre questa del virus è notevolmente più pericolosa; una pandemia peggiore del Coronavirus può distruggere l’umanità.

Finita la pandemia, chi saremo?

Inizieremo a essere più riflessivi e maturi. Consapevoli. Ultimamente il nostro Paese era popolato da incazzati, oggi invece siamo impauriti, e allora ci confrontiamo, chiediamo consigli, condividiamo, magari capiamo il valore del contatto e derubrichiamo l’importanza del cellulare.

Le situazioni estreme rivelano…

Sono stupito: chi prima della pandemia mi appariva forte, si sta dimostrando debole, al contrario i presunti deboli li vedo reagire.

E lei?

Cerco di prenderla con filosofia e razionalità, e poi seguo le regole dei medici; (imita il tono ansioso delle persone) c’è gente che mi chiama e si raccomanda di lasciare le scarpe su un foglio di carta all’ingresso e poi di pulire la suola perché il virus dura quindici giorni; altri di prendere tra i quindici e i venti grammi di vitamina C.

Uno sproposito.

Infatti ho risposto: ‘Così ti vengono i calcoli ai reni’.

Il mondo del cinema ha lanciato un allarme rispetto alla crisi del settore.

Siamo preoccupati e disorientati; viviamo di creatività, di idee e una situazione del genere ammazza la fantasia, porta deconcentrazione, ma ora la priorità sono le aziende dove i lavoratori sono stati licenziati o rischiano il posto, mentre noi tra qualche mese probabilmente torneremo a girare.

Papaleo ha dichiarato al Fatto: “Verdone è l’unico che mi fa ridere quando sono solo”. E per lei?

Il governatore della Campania De Luca: è il più grande attore italiano, ha dei tempi di recitazione meravigliosi, in certi momenti supera i De Filippo; ieri, mentre ovviamente ero solo a casa, ho tentato di rifare un suo discorso e con i suoi tempi. Mi ci sono impegnato e per più di mezz’ora, non ci sono riuscito!

Ci vuole “tempo”.

Infatti, e in maniera affettuosa, vorrei da parte sua maggiori appelli. Lui è la commedia italiana di alto livello. E mi piacerebbe averlo come attore su un set. È spiritoso, accetterà.

Troppi errori, il decretone in quarantena: lite Dagl-Tesoro

Evidentemente deve avere qualche forma di restrizione domiciliare anche lui: s’intende il “decretone” da 25 miliardi approvato lunedì dal Consiglio dei ministri dopo un weekend di scrittura matta e disperatissima col solito profluvio di bozze e indiscrezioni. Il decreto, dicono mentre ormai a Roma si fa notte, è in quarantena al Tesoro da dove non accenna a voler uscire in direzione Quirinale: e dire che quel testo sospende alcuni termini in materia di tasse e tributi che scadevano… lunedì.

Bizzarro anche che il testo sia al Tesoro: in genere è il Dipartimento affari legali e giuridici di Palazzo Chigi (Dagl) a predisporre la versione finale dei provvedimenti, ma pare che tra le due strutture burocratiche – al termine di tre giorni passati a scrivere e riscrivere norme in teleconferenza – ci sia stata maretta con “ritiro” del Dagl (una cosa tipo: “Ah sì, allora finitevelo da soli”). Il processo, diciamo così, si è complicato quando è venuto fuori che molti articoli, persino dopo l’approvazione in Cdm, erano pieni di errori o addirittura malscritti, il che ha costretto molti ministri a rimettere le mani alle parti di loro competenza. Non un bellissimo spettacolo in un momento in cui il potere nelle mani del governo – o meglio di quattro o cinque ministri – è enorme e il Parlamento sarà costretto a esaminare un malloppone di centinaia di pagine lavorando a scartamento ridotto e con tempi rapidissimi. Questo a non dire del fatto che è assai probabile che nel decretone finiscano, sotto forma di emendamenti, anche tutti gli altri provvedimenti a tema coronavirus presenti alle Camere: un ircocervo di cui ci vorranno mesi a definire i confini. L’irritazione dei colleghi per il titolare dell’Economia Roberto Gualtieri, insomma, è tornata a montare: la scelta di non occuparsi solo dell’emergenza, ma di varare in tutta fretta una vera e propria manovra economica è sua. E anche i cocci del decreto in quarantena.

Il virus infetta pure lo spread: guerra aperta sull’uso del Mes

Ormai in Europa ripetono tutti la formula usata da Mario Draghi nel 2012: faremo whatever it takes, tutto il necessario, per fermare la crisi da Coronavirus. Lo ha detto anche il premier Giuseppe Conte, al Consiglio europeo di ieri. Ma cosa è necessario fare, esattamente?

Questa crisi è diversa da quella del 2008 – innescata dal crollo delle banche americane piene di titoli tossici – e da quella del 2009-2012, quando gli imbrogli della Grecia sui conti pubblici hanno innescato una spirale di sfiducia nell’euro, austerità per ridurre debiti pubblici e conseguenti recessioni. Il Covid-19 ha colpito economie relativamente sane, anche se prossime a una recessione dopo un decennio di espansione (non in Italia): è un forte choc momentaneo, anche se nessuno sa di quale durata. Per una volta gli economisti sono d’accordo sulle cose da fare: interventi rapidi per ridurre il contagio, evitare che l’economia si paralizzi e che un tracollo momentaneo diventi una recessione duratura. In queste condizioni, fare deficit non è un problema. Tutti i Paesi lo faranno. Ma l’Italia ha problemi specifici, come un debito pubblico al 135 per cento del Pil.

La Commissione europea ha già chiarito clausole come quella di “crisi generale” del Patto di Stabilita’ consentono agli Stati membri, Italia inclusa, di togliere dal conto del deficit considerato da Bruxelles le spese necessarie a fronteggiare la crisi. La Commissione ha anche proposto nuove regole sugli aiuti di Stato che permettono di sostenere le imprese in difficoltà senza i soliti limiti. Resta un problema: la Commissione può autorizzare il deficit, ma non fornire le risorse necessarie, che l’Italia deve trovare emettendo debito sul mercato. E qui c’è il problema specifico dell’Italia: sui titoli a dieci anni la Germania ha un tasso negativo dello 0,4 per cento (gli investitori pagano per prestare soldi a Berlino), la Spagna dell’1,04 mentre l’Italia del 2,4.

L’andamento dello spread, ieri a 280, rischia di trasformare una crisi sanitaria in dramma finanziario, perché dal costo dei titoli di Stato dipendono anche i tassi di finanziamento di banche e imprese. Da giorni economisti e politici discutono possibili soluzioni: l’ex premier Mario Monti ha lanciato l’idea di “Buoni per la Salute pubblica”, un’emissione di debito straordinaria per pagare le misure anticrisi separato da quello tradizionale e quindi a tassi più vantaggiosi, in modo da evitare che l’Italia si trovi a pagare sul debito da virus costi esorbitanti soltanto perché aveva un alto indebitamento pregresso.

La Banca centrale europea, per statuto ha il divieto di comprare debito direttamente dagli Stati, ma può acquistare quello in mano a investitori privati: se con i suoi acquisti aumenta la domanda, il rendimento e dunque il costo per lo Stato scende. Il sistema delle Banche centrali dell’eurozona detiene 2.120 miliardi di debito pubblico dei Paesi dell’euro, ma ne restano in circolazione altri 8.000 miliardi. Guntram Wolff, del think tank Bruegel, osserva che “la Bce ha annunciato di comprare 300 miliardi entro la fine dell’anno, ma sarebbe fattibile anche un acquisto di 1.200”. Di sicuro le ultime misure della Bce, anche per colpa delle frasi del presidente Christine Lagarde (“Non tocca a noi chiudere gli spread”), per ora non hanno aiutato il debito italiano.

Un’alternativa disponibile c’è, sostenuta in Italia da Enrico Letta, + Europa e pochi altri, ma auspicata a certe condizioni da economisti come Olivier Blanchard: il ricorso al fondo salva-Stati Mes combinato con le Omt, cioè acquisti illimitati di titoli di Stato del Paese beneficiario da parte della Bce.

Lo strumento esiste come diretta traduzione del celebre discorso di Draghi del 26 luglio 2012, quello del whatever it takes. L’Italia potrebbe fare ricorso al programma precauzionale” (perché non ha bisogno del salvataggio offerto dal programma “macroeconomico” per i Paesi prossimi alla bancarotta) per avere una linea di credito di emergenza a tassi più bassi di quelli di mercato e attivare gli acquisti da parte della Bce mirati sul debito italiano, così da ridurre anche lo spread. Il problema è la “condizionalita”, cioè le condizioni che Mes e Bce pongono al prestito. In tempi normali sarebbero la richiesta di riforme che garantiscano la sostenibilità del debito e il rimborso degli aiuti, in questa fase – suggeriscono Blanchard e altri – dovrebbero essere blande e limitate all’impegno di usare le risorse ottenute per contrastare la crisi da virus.

Cinque Stelle, Lega e Fratelli d’Italia si sono opposti nei mesi scorsi al trattato di riforma del Mes, non ancora in vigore. Un eventuale negoziato dell’Italia su Omt e Mes avrebbe un rischio sistemico: se le condizioni richieste fossero troppo stringenti, e l’Italia dovesse rifiutarle o sottomettersi con un altissimo costo politico, il mercato riceverebbe il messaggio che l’assicurazione sulla vita dell’euro, cioè il combinato Omt-Mes, di fatto è un bluff inefficace. Questo spettro aumenta il potere negoziale dell’Italia. Resta un’opzione rischiosa, ma se lo spread continua a salire e se la Bce non riesce a controllare i tassi di mercato, potrebbe essere l’unica percorribile. Secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt, la trattativa è già in corso, il ministero del Tesoro italiano smentisce. Al vertice del Consiglio europeo il premier Conte avrebbe proposto dei “Corona virus bond” europei, anche non e’ ben chiaro cosa siano: emettere debito pubblico europeo, come in tanti chiedono da decenni, non e’ cosa che si fa in pochi giorni perche’ vanno modificati i trattati. Soltanto il fondo salva Stati Mes, o la Banca europea degli investimenti, a livello comunitario possono emettere debito in tempi rapidi.

“Basta privatizzazioni e tagli. E Roma deve poter spendere”

L’emergenza vista dal Campidoglio è fatta anche di una lettera da scrivere e di distanze da mantenere: “Scriverò al sindaco di Pechino per ringraziarlo dell’aiuto che ci ha offerto: ne parlavo ora con i miei collaboratori, ma con le dovute cautele, qui ci teniamo tutti a molto più di un metro di distanza l’uno dall’altro”. La sindaca di Roma Virginia Raggi è appena tornata da un sopralluogo (“sto controllando, i romani stanno dimostrando responsabilità”) quando risponde al Fatto.

Com’è la situazione a Roma?

Mi sembra che i cittadini abbiano capito la gravità del momento, stanno comportandosi nel modo giusto. Ma non va abbassata la guardia, bisogna rispettare le regole. Però il problema principale ora è la necessità di posti per la terapia intensiva. I tagli fatti alla sanità pubblica nel corso degli anni hanno lasciato evidenti segni, e ora siamo nell’emergenza. E allora mi sembra necessario che si avvii una riflessione a più ampio raggio sull’importanza del pubblico in Italia.

Cioè?

Noi come amministrazione ci siamo sempre battuti contro le privatizzazioni selvagge e per un ritorno e una valorizzazione dei servizi pubblici. Ci hanno accusato di essere dei nostalgici. Ma è una critica arrivata da quella cosiddetta sinistra che ha smantellato la sanità pubblica.

Il servizio pubblico non è necessariamente sinonimo di efficienza, non crede?

Se ben gestito, lavora meglio del privato. E comunque ora bisogna recuperare spazi per la sanità pubblica. Per questo ho sottoscritto la petizione per la riapertura dell’ospedale Forlanini, che tra l’altro era specializzato nel trattamento delle malattie respiratorie e infettive.

Per la Regione Lazio, governata dal centrosinistra, è “una proposta strampalata, perché ci vorrebbero mesi, se non anni” per riaprirlo. Parliamo di una struttura abbandonata da tempo.

Secondo l’ex primario del Forlanini, Massimo Martelli, basterebbero 30 giorni per rimettere in funzione alcuni padiglioni. Verifichiamo: c’è un’emergenza in atto, il tema della riapertura esiste. E non è il caso di fare polemiche.

Italia Viva chiede perché non ha reso gratuiti i parcheggi con strisce blu come hanno già fatto altre città.

Anche queste sono polemiche inutili. Da domani (oggi, ndr) e fino al 3 aprile i parcheggi saranno gratuiti per tutti. E manteniamo il servizio di trasporto pubblico nell’intera città.

Garantite anche la sicurezza dei vostri dipendenti? Un vigile è positivo al coronavirus, e l’intero Corpo reclama mascherine e guanti per poter lavorare in sicurezza.

Stiamo lavorando su più fronti per reperire le mascherine, stipulando contratti. Abbiamo circa 30 mila dipendenti in prima linea da tutelare, come vigili, assistenti sociali, operatori ecologici e autisti dei mezzi pubblici.

Ieri ha parlato con il premier Conte…

Ci sentiamo spesso, sta facendo un grandissimo lavoro.

Cosa gli ha chiesto, di cosa avete bisogno oltre alle mascherine?

Di risorse, e della possibilità di usarle. La città di Roma ha fermi 800 milioni nel fondo di accantonamento, quello per coprire crediti che purtroppo non potremo mai riscuotere. Vorremmo utilizzarli, almeno per buona parte, per poi ricostituire il fondo nei prossimi anni.

Come li userebbe?

Servono investimenti, cantieri, ma i tempi attuali sono troppo lunghi: ci vogliono anni per realizzare i progetti. E allora bisogna sfoltire le norme e dare poteri speciali ai sindaci.

Tutti a reclamare mani libere, gli amministratori. Ma con affidamenti diretti e somme urgenze la criminalità ha inghiottito appalti.

Bisogna coniugare trasparenza e rapidità. Un cantiere deve partire entro sei mesi, massimo un anno. I controlli vanno fatti ex post, a tappeto. E con sanzioni durissime: se una società o un amministrare sbagliano, non devono avere più a che fare per anni con la Pubblica amministrazione.

È pentita di essersi detta “vicina ai lavoratori in nero”? È parsa legittimare una piaga sociale.

Io sono contrarissima al lavoro nero, ma condanno l’ipocrisia di chi non vuole vedere. Tuteliamo i lavoratori, ma nessuno va lasciato indietro, compresi i tanti che questa crisi ha lasciato a casa senza garanzie. E qui torniamo all’importanza del pubblico.

Tg La 7: “Chi non lavora è come Schettino”

Nell’emergenza più che mai c’è bisogno di giornali e giornalisti, depositari di quella funzione sociale testimoniata in questi giorni dagli ascolti record in tv e dalla mancata chiusura delle edicole, luoghi di acquisto di beni di prima necessità in mezzo alla serrata generale. Su come realizzare i servizi e i quotidiani, però, si pone un tema di sicurezza. Non sono poche le redazioni in cui sono già stati registrati casi positivi al coronavirus, ma la necessità di “chiudere” il prodotto editoriale spesso porta le aziende a trascurare i rischi.

A questo proposito, sono di pochi giorni fa le proteste del comitato di redazione del Corriere del Veneto, dove sono stati certificati quattro positivi nella sede di Padova e dove diversi altri giornalisti sono a casa con febbre, senza però possibilità di eseguire il tampone. Secondo il cdr, l’emergenza “ha colto totalmente impreparata” l’azienda “del presidente Urbano Cairo”, dato che ha “colpevolmente rimandato gli interventi previsti per mettere in sicurezza la redazione”. I giornalisti denunciano di essersi dovuti auto-organizzare, producendo il giornale da casa senza che Rcs desse indicazioni né sanitarie né sul metodo di lavoro da adottare: “Continuiamo a scrivere – si legge nell’ultimo comunicato del cdr – perché in questo momento il nostro ruolo ha un grande valore per l’intera comunità che ha bisogno di informazioni puntuali e verificate”. Dopo le prime proteste, qualcosa si è mosso, senza che però fossero date direttive organiche alla redazione: “Dopo gli scontri dei giorni scorsi la collaborazione è nettamente migliorata, ma restano da risolvere giorno per giorno diverse difficoltà tecniche”.

Ma c’è un caso anche tutto interno al Tg La7. Il comitato di redazione si è infatti lamentato con l’azienda – lo stesso Cairo di cui sopra – degli spazi angusti in cui viene confezionato il telegiornale a Roma, indicando soprattutto la scarsa sicurezza delle sale montaggio. Rinviata la responsabilità alla direzione, Enrico Mentana ha richiamato i giornalisti alla propria missione paragonando i più rinunciatari al Capitano Schettino, che abbandonò la nave dopo lo scontro al Giglio: “Lo spazio c’è – dice al Fatto il direttore – tanto è vero che abbiamo fatto mettere in tutte le sale le linee di distanziamento. Vi invito a venire a controllare”.

Ancora irrisolta è poi la questione degli operatori video, centinaia di tecnici e giornalisti che lavorano a eventi e conferenze fuori e dentro i palazzi delle istituzioni. L’ultima protesta arriva da Asa, l’Autonomo sindacato audiovisivo, che nei giorni scorsi ha rivolto accuse precise alla Rai. Capita infatti che la tv pubblica si serva di troupe esterne a cui appalta le riprese per un servizio, senza però poi occuparsi più di tanto delle conseguenze: “C’è stato il caso di un cameraman positivo in una società che fornisce troupe alla Rai – spiega Nicola De Toma, segretario di Asa –. La società lo ha subito comunicato alla Rai la quale però non ha chiamato l’albo dei fornitori (ovvero i service che forniscono in appalto il servizio alle società televisive, ndr) in modo da allertarli a tutela di tutti i cameraman che condividono gli stessi spazi. Non so se la legge obbligasse la Rai a farlo, ma il senso morale sì”. Gli operatori positivi hanno sicuramente lavorato per la Rai nella sala stampa della Camera il 3, il 4 e il 5 marzo, fianco a fianco con decine di colleghi che poi sono venuti a sapere del rischio in corso soltanto attraverso il passaparola.

Proprio la Rai, intanto, ha dovuto sospendere per qualche ora il Tg3 della Calabria, nella cui redazione si è registrato un caso positivo. Per lo stesso motivo questa sera non andrà in onda Fake – La fabbrica delle notizie sul Nove.

Paura, risse e quarantene. La Rai ha preso il Covid-19

Bizze, litigi, tensioni e polemiche. Anche in tempi di emergenza da Coronavirus la Rai riesce a non farsi mancare nulla. Nemmeno gli ascolti che, con tutti gli italiani barricati in casa, vanno a gonfie vele. Aumento che però non è direttamente concretizzabile in un ritorno economico perché, con il virus, le aziende hanno stretto sulla pubblicità e quindi gli introiti degli spot sono in calo per tutti. Per questo alla tv di Stato avrebbero fatto assai comodo quei 40 milioni in un primo momento stanziati col decretone del governo, poi cassati. In questi giorni, intanto, tra Viale Mazzini e Saxa Rubra il caos regna sovrano, con programmi spariti e palinsesti girevoli.

Per due settimane, per esempio, non andrà in onda Chi l’ha visto?, che aveva ospitato di recente Pierpaolo Sileri. Il viceministro della Salute era stato anche ad Agorà, che però continua ad andare in onda. Domenica scorsa, invece, è stata cancellata Domenica in, che però tornerà questa settimana. Mentre La vita in diretta è stata allungata, con buoni ascolti. Ieri sera, invece, dopo la sospensione, è tornato Bruno Vespa. Il giornalista aveva intervistato Nicola Zingaretti e ha dovuto osservare i fatidici 14 giorni di quarantena. “Salini si è fatto dettare la linea dall’Usigrai, che da anni mi fa la guerra”, ha detto Vespa, che non ha affatto gradito lo stop. La sua assenza non si è sentita in termini di ascolti: gli speciali del Tg1 sono andati bene, compresi quelli condotti da Francesco Giorgino, che però, mercoledì scorso, è quasi venuto alle mani col suo direttore Giuseppe Carboni per divergenze sulla gestione della diretta. Dopo lo scontro, Giorgino è stato messo in una sorta di quarantena forzata.

Altra polemica è su Rainews24. Giovedì scorso, in un vertice in cui erano presenti Salini, Foa, gli uomini della task force sul Coronavirus e i direttori dei tre Tg principali, per razionalizzare e coordinare meglio il lavoro, si è deciso di tagliare alcune edizioni minori dei Tg: al loro posto vanno in onda le news del canale diretto da Antonio Di Bella (vicino al Pd). Cosa che, però, ha scatenato un putiferio nelle redazioni, specie al Tg1. Il timore, infatti, è che una volta perse, quelle edizioni non torneranno più indietro, restando in capo a Rainews. E qualcuno ci vede un favore al partito di Zingaretti, che così vedrebbe soddisfatto il desiderio di allungare le mani sull’informazione. “Non voglio rubare niente a nessuno, non mi voglio allargare, la decisione è stata presa insieme per gestire meglio l’emergenza”, precisa Di Bella. Negli ultimi giorni, comunque, dal fronte 5 Stelle sta rimontando il malumore nei confronti di Salini che, a loro dire, “è diventato il tappetino della sinistra”.

Nel frattempo arriva pure un generale. Nella famosa task force per gestire l’emergenza ha fatto il suo ingresso Paolo Piccinelli, generale dei carabinieri in pensione, nonostante la Rai abbia già un capo della security, Maurizio Cenni, più un consulente, l’ex prefetto Alfonso D’Alfonso. Una mail del direttore del personale Felice Ventura, infine, sabato sera ha generato il caos: si voleva mettere in ferie forzate 270 dirigenti, tra cui i direttori di rete e testate, ma poi il provvedimento è rientrato.

La sensazione, però, è che in Viale Mazzini si navighi a vista e in ordine sparso. “Col coronavirus la Rai poteva fare il salto di qualità ed entrare nella storia, con intrattenimento, informazione e lezioni scolastiche…”, ha scritto in questi giorni Aldo Grasso. E invece, nonostante gli ascolti boom, confusione e piccole ripicche, anche personali, dominano la scena.

Donazioni vip Berlusconi, Agnelli & C.

Anche i ricchi piangono, e dopo che hanno pianto donano. In un Paese già stremato – prima ancora del Coronavirus – dalla grande evasione fiscale, all’improvviso industriali, palazzinari e munificissimi imprenditori scoprono la solidarietà e mettono mano al portafogli per grosse donazioni al Sistema sanitario nazionale. Intendiamoci: è un’ottima notizia e sono tutti gesti nobili. In alcuni casi potrebbero sembrare, forse, non del tutto sinceri e disinteressati, ma gli ospedali se ne faranno una ragione: ora serve il contributo di tutti, soprattutto di chi può di più. Anche di Silvio Berlusconi, il condannato per frode fiscale, che dopo la tempestiva “fuga” in Costa Azzurra insieme alla fidanzata a casa della figlia Marina, si è ricordato del Paese di provenienza e ha donato la maxi-somma di 10 milioni per realizzare un ospedale da campo nei padiglioni dell’ex Fiera di Milano al Portello. Nello stesso giorno anche Giuseppe Caprotti, figlio del fondatore di Esselunga, ha annunciato la costituzione di un fondo di 10 milioni a sostegno della lotta della Regione Lombardia al Coronavirus. È una gara (meritoria) di generosità pubblica. La famiglia Caltagirone – quella dei costruttori più famosi di Roma – ha donato 1 milione di euro agli ospedali Spallanzani e Gemelli (la notizia l’ha data il Messaggero… dei Caltagirone); la famiglia Agnelli ha donato 10 milioni di euro alla Protezione civile (con grande rilevanza sui giornali… degli Agnelli); il presidente romanista James Pallotta (spesso omaggiato da parte dei tifosi col soprannome di American Straccion) ha finanziato lo Spallanzani con oltre 50 mila euro, mentre la fondazione Roma Cares ha lanciato una raccolta fondi per l’acquisto di mascherine; il collega interista Steven Zhang invece ha donato 100 mila euro al “Luigi Sacco” di Milano. E ancora: Giorgio Armani ha donato 1 milione e 250mila euro agli ospedali italiani più colpiti dall’emergenza, presto raggiunto dai “concorrenti” Dolce e Gabbana, Bulgari e Calzedonia. Molti altri ce li dimentichiamo (o l’hanno fatto lontano dai riflettori). E poi ci sono i “Ferragnez”, Fedez e Chiara Ferragni: oltre a un ricco contributo personale, hanno aiutato a mettere insieme oltre 4 milioni e 200mila euro su una piattaforma di raccolta fondi. Non tutti gli influencer vengono per nuocere.

L’ospedale Fiera ancora lontano. Ma l’alternativa Legnano è fake

I lavori procedono, le riunioni anche, l’ospedale Covid in Fiera a Milano però ancora non corre come dovrebbe e come vorrebbero tutti i lombardi. Regione e Fondazione Fiera sono in attesa di risposte chiare da parte del commissario straordinario Domenico Arcuri. Risposte attese per oggi. Nel frattempo, come anticipato ieri dal Fatto, oggi a Malpensa arriveranno i primi macchinari dalla Cina. Molti di questi saranno testati in alcune strutture ospedaliere, tra queste anche il Fatebenefratelli. Il governatore Attilio Fontana è comunque apparso ottimista: “Abbiamo avuto una riunione operativa con il team di Bertolaso – ha spiegato ieri – e con i nostri tecnici e gli assessori per approfondire il discorso ospedale: sono stati costituiti gruppi specifici, ognuno si occupa di una diversa questione. Credo si sia data una notevole accelerazione al tutto, io continuo a essere ottimista”.

Ieri poi è rimbalzata la notizia di un presidio migliore di quello in Fiera. Si tratterebbe del vecchio ospedale di Legnano, non utilizzato e con palazzine nuove. La proposta rilanciata da alcuni sindacati è stata subito bollata come fake news dall’assessore alla Sanità Giulio Gallera. “Abbiamo svolto tutti gli approfondimenti necessari, per rimetterlo in funzione sono necessari 6/12 mesi”. Nel frattempo per finanziare l’ospedale in Fiera sono arrivate molte donazioni. Silvio Berlusconi e Giuseppe Caprotti hanno donato dieci milioni di euro a testa. “In pochi giorni – ha concluso Fontana – sono arrivate donazioni per oltre 40 milioni di euro per la lotta al Coronavirus e la salute dei lombardi”. Insomma i soldi ci sono anche al di là degli aiuti di Roma. Il dato, pur rilevante, non è però fondamentale. A oggi, infatti, mancano ancora strumenti e personale per dare il via a quella che a tutti sembra una soluzione definitiva per far uscire il sistema sanitario lombardo dal collasso.

La “sanità-business” mangia quella pubblica ma va ko per un virus

È tornato Bertolaso. Ora manca Formigoni e poi la restaurazione sarà completa. L’emergenza coronavirus in Lombardia fa emergere un problema che resterà anche quando (speriamo presto) l’emergenza sarà passata: il pesante sbilanciamento a favore del privato del sistema sanitario lombardo. Il modello Formigoni, oggi sostenuto e implementato dal presidente Attilio Fontana e dall’assessore Giulio Gallera, ha affrontato l’emergenza coinvolgendo anche il settore privato. I medici e tutto il personale sanitario dei due principali gruppi privati in Lombardia, San Raffaele (famiglia Rotelli) e Humanitas (gruppo Rocca-Techint), si stanno in queste settimane impegnando a fondo, anche con notevoli sacrifici personali. Ma resta, al di là dell’impegno dei singoli, la distorsione del sistema.

Il sistema sanitario lombardo ha da anni cambiato natura. I gruppi privati hanno ormai conquistato la maggioranza del quasi-mercato della sanità (non è un mercato, perché a pagare, anche le strutture private, è sempre il pubblico). E hanno dunque sviluppato le prestazioni più remunerative. Un reparto malattie infettive remunerativo non è: dunque perché investirci dei soldi? Poi arriva il Covid-19 e il sistema collassa.

Roberto Formigoni è stato condannato per associazione a delinquere e corruzione, per avere intascato almeno 6,6 milioni di euro in cambio di almeno 200 milioni dirottati dalle casse della sanità regionale verso le cliniche e gli istituti privati, il San Raffaele e la Maugeri. Ma non è il suo danno peggiore. Dalla metà degli anni Novanta a oggi, la sua riforma ha più che dimezzato i posti letto pubblici in Lombardia. Ecco uno dei motivi di debolezza del sistema di fronte all’emergenza virus.

Nel 1994 il sistema sanitario lombardo poteva contare su 27 ospedali, 5 strutture “classificate” (religiose, ma considerate pubbliche), 5 Irccs (gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico: le eccellenze), 3 università (Milano, Pavia, Brescia). Il privato aveva 52 strutture, 6 Irccs, zero università. Oggi è cresciuto a 102 strutture, ben 21 Irccs e 4 università (San Raffaele, Humanitas più due progetti), mentre il pubblico si è grandemente ridimensionato.

Oggi in Lombardia è già avvenuto il sorpasso privato-pubblico. I dati totali dell’ultimo anno con dati disponibili, il 2017, ancora non lo rilevano, ma già dicono che il privato incamera in proporzione più risorse del pubblico. Su 1,441 milioni di ricoveri, 947 mila (il 65%) sono negli ospedali pubblici, 495 (il 35%) nelle strutture private. Ma il privato incassa 2,153 miliardi di euro sui 5,4 totali (il 40%), contro i 3,271 del pubblico. Dunque il 35% dei ricoveri incassa il 40% delle risorse impegnate dalla Regione Lombardia. La tendenza è la stessa per le visite ambulatoriali e gli esami: su 160 milioni di prestazioni, il pubblico ne eroga 93,3 milioni (il 58%), il privato 66,6 (il 42%), ma il primo incassa 1,6 miliardi di euro (il 57%) su un totale di 2,8 miliardi di euro, il secondo 1,2 miliardi (il 43%). Quindi, anche qui, le prestazioni erogate dal privato hanno una remunerazione più elevata di quella del pubblico.

I dati sono quelli raccolti ed elaborati dalla professoressa Maria Elisa Sartor dell’Università Statale di Milano. L’anno del primo sorpasso privato-pubblico è già il 2015, quando gli incassi per le prestazioni di un settore (la diagnostica strumentale e per immagini) vanno per il 52% ai privati contro il 48% al pubblico. Da allora, lo sbilanciamento diventa di anno in anno maggiore. In numero di strutture, siamo al pareggio: su 198 strutture sanitarie in Lombardia, 99 sono private e 99 pubbliche. Ma in alcune aree (le più ricche e significative) il sorpasso è già avvenuto: a Milano (31 a 26), a Bergamo (14 a 9), a Como (8 a 4), a Mantova (6 a 4). I posti letto sono comunque ancora di più nel settore pubblico, perché le sue strutture hanno dimensioni maggiori. Ma in vent’anni, i posti letto pubblici sono più che dimezzati. In soldi incassati, il sorpasso è già avvenuto (dal 2017) a Como: 145 milioni di euro per ricoveri in strutture private, 105 nel pubblico. In altre aree ci siamo quasi: a Milano il privato incassa il 47% della torta, a Bergamo il 44%, a Brescia il 43%, a Pavia il 37%, a Mantova il 36%, a Monza-Brianza il 33%. Questi i dati ufficiali, ma i soldi (sempre pubblici!) incamerati dai privati sono molti di più – e quindi il sorpasso, ancora invisibile, è in realtà già avvenuto – se si considerano le sovra-tariffazioni riguardanti gli Irccs (21 privati, solo 6 pubblici) e i poli universitari (passati da zero a 4). Bene: la sanità lombarda è un’eccellenza e ce la invidiano in tutta Italia. Ma poi arriva un virus e il castello trema.

Quello strano caso della casa di cura ora dedicata al Covid

C’è una storia, tra le tante seguite in questi giorni legate al coronavirus, che mi ha lasciato un senso di profonda inquietudine addosso ed è una storia che riguarda Piacenza. Nello specifico la struttura Casa Piacenza e la Casa di Cura Sant’Antonino, entrambe proprietà del dottore sanitario Mario Sanna, accreditate col servizio sanitario nazionale.

I primi di marzo, una fonte mi scrive: “Il medico ricoverato a Tenerife per coronovirus lavorava nella clinica in cui lavoro. Siamo preoccupati perché nessuno si occupa di chi è stato a contatto con lui. Un paziente anziano qui per un’altra patologia è stato portato via in ambulanza. Aveva il coronavirus ed era ricoverato da un mese. La clinica Piacenza è sempre stata il fiore all’occhiello, se parlo sono licenziato”. Scopro che il medico italiano ricoverato a Tenerife è il dottor Cremonesi e che si è data notizia del suo ricovero il 25 febbraio. Nessun giornale lo collega alle due cliniche. Il 6 marzo mi reco a Casa Piacenza. Arriva la responsabile del personale Laura Cappellano e mi passa al telefono Lidia Sanna, che si presenta come responsabile della clinica. Si tratta della figlia di Mario Sanna, il proprietario delle due strutture. L’atteggiamento è ostile. Le chiedo cosa abbiano fatto dopo il ricovero del medico a Tenerife. “Ha lavorato da noi un mese fa. Ci atteniamo alle disposizioni che ci dà l’ospedale competente, quello di Piacenza. Ci sono state molte riunioni anche col nostro ufficio legale. Abbiamo interrotto la nostra attività specialistica da lunedì 24 e dato le ferie ad alcuni del personale”. Chiedo se gli infermieri e tutte le persone entrate in contatto col medico abbiano fatto tamponi. “Non è previsto, si informi”. Quindi le domando come si siano mossi dopo che hanno scoperto che c’era una persona anziana col coronavirus. “Parli con la dirigente assistenziale Nawal Loubadi”. Le chiedo se conferma il caso dell’anziano: “Sui pazienti non mi esprimo, non lo so”. Le faccio notare che in quanto responsabile della clinica, saprà se c’è un caso di coronavirus tra i pazienti. “Lavoro in struttura da un anno e mezzo, è mio padre il proprietario”.

La responsabile Nawal Lobadi mi chiama dopo poco. È ancora più ostile: “Lei chi è? Parli con la Ausl, noi non possiamo tenere pazienti infetti qui. Sì, al Sant’Antonino abbiamo avuto un episodio, la data non la ricordo, non si sa se il paziente lo ha preso da noi”. Le faccio notare che secondo la mia fonte era ricoverato da un mese. “Questo non lo sa lei, non lo so io. Parli con la Ausl di Piacenza, torni quando ha delle cose certe da dirci!”. Le spiego che chiedo solo trasparenza, non capisco perché questa reticenza. “Lei accusa le nostre strutture!”. Domando che fine abbia fatto il paziente anziano positivo. “Arrivederci, scriva al direttore sanitario!”.

Richiamo Lidia Sanna. Le racconto che la signora Loubadi non ha voluto darmi alcuna informazione. “Stiamo lavorando come dei pazzi e qui se lei viene a fare del gossip, ci turba!”. “Chiedere cosa è successo nelle vostre strutture è gossip?”. “Non sono disposta a sentirla”. “Che fine ha fatto l’anziano col coronavirus?”. “Non è più qui”. “Lo avete fatto uscire?”. “Secondo lei? Abbiamo seguito le disposizioni della Ausl e abbiamo proceduto alla dimissione, lei non ha idea di cosa parla, sarà andato in un’infettivologia”. A quel punto la signora attacca il telefono. Non c’è modo di sapere cosa sia accaduto lì dentro.

Vado sul sito della clinica, guardo l’organigramma e Lidia Sanna non risulta ricoprire alcuna carica. Sulla sua pagina fb parrebbe occuparsi di bigiotteria. La mia fonte ha paura di perdere il posto, dice che sono tutti terrorizzati lì dentro dalla Sanna e dalla Loubadi. Poi, tre giorni fa, sulle pagine fb di alcuni dipendenti, appaiono messaggi quali “La nostra cara collega ci ha lasciato le penne, non va bene un cazzo!”, “Ciao Monica sei stata sempre grande!”. Il bar della clinica Casa Piacenza scrive “Ciao Monica, abbiamo il cuore a pezzi!”. Scopro che è morta una donna delle pulizie che lavorava lì, Monica Rossi, originaria di Podenzano. Aveva la febbre da giorni, dalla clinica l’avevano mandata a casa. Aveva perfino chiamato l’ambulanza ma non era stata valutato un caso grave.

I carabinieri l’hanno trovata morta sulle scale, chiamati dai vicini. Noto un commento sotto al post del bar. È della responsabile del personale di Casa Piacenza Laura Cappellano: “Avrei potuto salvarla, non me lo perdonerò mai! Vivrò la mia vita con questa croce sulle spalle! Scusami se puoi Monica!”. Dopo poco quel commento sparisce, giusto il tempo di salvarlo. Chiamo il direttore generale della Ausl Luca Baldino, gli spiego i fatti inquietanti. “Non gestisco io quella cliniche , perché chiama me? Scusi ma quello che succede lì non è la priorità, non mi ricordo di questo anziano, ora poi il Sant’Antonino da cinque giorni è dedicato solo alla cura del coronavirus quindi tutti i pazienti lì hanno il coronavirus, ne abbiamo mandati alcuni, ora mi devo occupare di cose più serie”.

Quindi alla Ausl non interessa cosa succede nelle strutture convenzionate e “ormai lì i pazienti hanno tutti il Coronavirus”. Chiamo il sindaco del paese della deceduta, Alessandro Piva: “Viveva sola ma non era in quarantena, non so se le faranno il tampone, mi terrò informato”. Chiamo Giusy, del bar della clinica: “Noi che lavoriamo lì abbiamo una chat in cui parliamo, certo che ci facciamo delle domande, certo che ho letto il commento della Cappellano, ma non voglio parlare”.

Chiamo Lidia Sanna, non risponde né a telefonate né a messaggi. Chiamo il centralino della clinica, sento la voce della Sanna che dice “È la Lucarelli” e attaccano. La mia fonte mi dice che lì ci sono vari operatori sanitari malati, che le protezioni dei sanitari non erano sufficienti, che il caposala ha il saturimetro al dito, che stanno facendo tamponi. Che Monica non stava bene da giorni e l’hanno mandata a casa. È vero? Non lo so. So però che questa è una brutta storia e che qualcuno, in quella regione, deve andare a fondo (Stefano Bonaccini per primo), anche perché oggi quel luogo è dedicato alla cura del Covid. E “Siamo fieri di questa scelta operata con il Sistema sanitario nazionale!”, recita il sito di Casa Piacenza.