“Non serve a nulla: se è negativo oggi, può anche essere positivo domani”

Massimo Galli, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’ospedale “Luigi Sacco” e professore ordinario all’Università Statale di Milano. Il tampone di massa annunciato dal governatore Luca Zaia per la Regione Veneto è una strategia vincente contro il coronavirus?

Il tampone di massa non ha senso per definizione, perché quel che è negativo oggi può essere positivo domani. In Lombardia abbiamo dovuto fare di necessità virtù testando in primis le persone sintomatiche, anche se fin dall’inizio ho sottolineato la necessità soprattutto per la zona rossa di identificare i contatti avuti da queste ultime per verificare precocemente anche le infezioni sui paucisintomatici e sugli asintomatici.

A Vo’ Euganeo sembra aver funzionato.

Ha funzionato perché il criterio di allargare il numero dei test è stato applicato a un territorio limitato con lo scopo di ricostruire questi contatti. La differenza tra noi e altri Paesi si spiega anche così.

Cioè?

In termini di letalità (tasso che si calcola dividendo i decessi con il numero dei casi confermati, ndr). In Corea hanno fatto la stessa cosa del Veneto: il numero limitato di morti è semplicemente dato dal fatto che nel denominatore ci sono tantissime persone che stanno bene e non solo, come da noi, quelle che stanno male. Ma ricominciare a fare i tamponi a tappeto ora non ha senso.

Perché?

Allargarne il numero serve solo a seguire i contatti delle persone con infezione, cosa che può essere fatta soprattutto nelle aree del Centro e del Sud dove il virus non è arrivato ancora in maniera significativa per circoscrivere il più rapidamente possibile gli eventuali focolai. Può essere fatto anche nelle aree metropolitane al Nord, lì dove si venissero a verificare concentrazioni in particolari luoghi o settori.

Come nell’area di Milano?

No, il modello Vo’ lì sarebbe troppo dispersivo perché l’area è troppo popolosa. Fare lo screening a un’intera città o a un’intera Regione non ha senso. Potrebbe averlo se lo si applica su un singolo quartiere, nel momento in cui vi si riscontrasse una quantità ingente e crescente di infezioni. La necessità resta quella di circoscrivere eventuali focolai nascenti.

Da quali categorie bisogna partire?

Dove non ci sia la possibilità di sostituirlo con qualche test sierologico, bisognerebbe prevedere una copertura per gli operatori sanitari. Gli ospedali sono sempre a rischio di amplificazione delle malattie.

Questa strategia potrebbe accorciare anche la durata delle misure straordinarie che stiamo sperimentando a livello nazionale?

Sicuramente ne implementerebbe l’efficacia. Lo screening è importante sia nelle aree molto colpite sia in quelle che finora non lo sono, ma la vera grande misura resta ovunque questo distanziamento sociale che stiamo vivendo.

“I ‘senza sintomi’ sono un pericolo. Per questo ci vuole il tampone diffuso”

Sergio Romagnani, già professore ordinario di Immunologia clinica all’Università di Firenze, ha proposto alla Regione Toscana di adottare il “modello Vo’ Euganeo” ed estendere i tamponi agli asintomatici. Ieri il governatore Enrico Rossi ha annunciato l’acquisto di 500 mila test seriologici e l’avvio di una “screening di massa”.

È ovvio che fare l’analisi a 60 milioni di persone è impensabile – spiega il docente – questo è un modello applicabile ai territori che non sono in condizioni difficili come la Lombardia, partendo dalle categorie più a contatto con i cittadini.

Quali?

Medici e personale sanitario, operatori delle forze dell’ordine e dipendenti dei supermercati, tanto per cominciare. Categorie composte da persone in questo momento sane, che stanno lavorando ma che secondo i dati raccolti a Vo’ Euganeo e secondo gli ultimi studi rischiano di essere infettate per il 50-60% e di trasmettere il virus.

Quali sono i dati a cui fa riferimento?

Oltre alla ricerca di Vo’, condotto su un campione molto piccolo, sono stati pubblicati su riviste scientifiche di altissimo livello i risultati di due studi molto più estesi. Uno realizzato in Corea del Sud e un altro effettuato in Cina prima della chiusura della regione di Wuhan. Dimostrano che il 55% delle persone tra gli 11 e i 50 anni hanno un’infezione asintomatica ma sono contagiose e sono responsabili del contagio del 70% degli over 60 considerati nel campione. Non tener conto di questi dati è sbagliato.

Da quali territori propone di partire?

Dalle Regioni che non hanno registrato un numero troppo elevato di casi. Toscana, Umbria, Abruzzo, Campania, ad esempio. Per ora in tutte le Regioni del Sud, dove se in questo periodo di quarantena si identificheranno gli asintomatici infettati si riuscirà a evitare le situazioni drammatiche che si stanno verificando in alcune città della Lombardia.

È una procedura sostenibile dal punto di vista economico?

Certo, le faccio un esempio. Un tampone costa 30 euro in media. Tenere un paziente per 20 giorni in terapia intensiva costa tra i 2.500 e i 3 mila euro al giorno, e alla fine si arriva a 60mila euro. Faccia lei. E poi pensi solo ai danni che questa situazione sta arrecando alla nostra economia.

Poi però c’è da considerare l’aspetto organizzativo della questione: i materiali sarebbero immediatamente disponibili?

Serve personale che lo sappia fare, le attrezzature necessarie e i reagenti che probabilmente si trovano con qualche difficoltà. Ma sono sicuro che la nostra Protezione civile saprebbe ovviare al problema.

“L’80% dei contagi è dovuto agli asintomatici”

A quasi un mese dalla diffusione della nuova Sars in Italia, un dato è chiaro. L’unica terapia possibile oggi è il contenimento del contagio. Altre soluzioni, tamponi compresi, non si vedono. Tracciare i contatti e individuare gli asintomatici. Queste sono le priorità ribadite dal Gruppo di consulenza strategica per i rischi infettivi dell’Oms. Un quadro che poco si accosta alle immagini di una metropolitana milanese ancora piena di persone.

E che il contenimento sia l’unico obiettivo possibile lo dimostra uno studio pubblicato ieri sulla rivista scientifica Science. Nove pagine e una drammatica conclusione: in Cina quasi l’80% dei contagi accertati è stato provocato da persone asintomatiche. I dati sono stati rilevati sui numeri della prima epidemia cinese e in particolare durante le prime settimane di gennaio quando il virus circolava liberamente. “Prima del 23 gennaio – si legge nel report – si stima che le infezioni non documentate fossero l’86%. E a causa di questo numero, le infezioni non tracciate sono stata la causa del 79% dei casi documentati. Questi risultati spiegano la rapida diffusione geografica della SarsCov2 e indicano che il contenimento di questo virus è impegnativo”. Per questo la Cina continua a vivere reclusa. Scrivono i ricercatori: “La percentuale di casi non documentati ma infettivi è una caratteristica epidemiologica critica che modula il potenziale pandemico di un virus respiratorio emergente” perché “infezioni non documentate sono spesso lievi, limitate e quindi passano inosservate”. Anche per questo più che i tamponi andrebbero ricostruiti i contatti di una persona infetta e subito messi in quarantena.

Il modello matematico usato dai ricercatori tiene dentro i movimenti di 375 città cinesi tra il 10 e il 23 gennaio. Qui emerge che solo il 14% delle infezioni è stato segnalato. Ancora le misure di contenimento non erano state inasprite. Di contro si ha un 86% di infezioni non rilevate. In totale i contagi sono arrivati a 13.118. Se il contenimento e la traccia dei contatti fossero partiti subito “la trasmissione da casi non documentati si sarebbe abbassata del 66%” nella città di Wuhan. Questa pare l’unica direzione per abbassare il tasso di contagio e cioè l’ormai famoso R0 da 2,5-3 a 1, come avviene nell’influenza. Il modello matematico è stato applicato anche al periodo successivo al 23 gennaio quando sono partite le restrizioni in Cina. “Qui si è ridotto il ritardo nella segnalazioni del contagio da 10 a 6 giorni ed è scesa la velocità di trasmissione” sotto la soglia di un R0 1. Da questo emergono due elementi. Il primo: “La forza dell’infezione è passata attraverso casi non documentati”. Secondo: “I controlli intensificati hanno ridotto i casi” fantasma. Una diminuzione che a sua volta ha “ridotto il numero totale di casi documentati e la diffusione complessiva di SarsCov2”. Lo studio di Science giunge così alle stesse conclusioni di diversi ricercatori italiani. Ovvero: “Un aumento radicale delle identificazioni delle infezioni non documentate sarebbe necessario per controllare completamente SarsCov2”. E a ciò si arriva con una chiara politica di contenimento.

Oms: “L’Italia è un modello, la via inglese non è giusta”

“L’Italia sta facendo molto bene ed è un modello per l’Europa”. Questa è la risposta data al Fatto dai dirigenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità durante la surreale conferenza stampa di ieri a Copenaghen. Hans Kluge, direttore Regionale per l’Europa, era presente fisicamente: “Siamo in un palazzo delle Nazioni Unite vuoto – ha spiegato – come misura di contenimento del virus mediante il distanziamento sociale”. Connessi online c’erano Richard Pebody, Team leader europeo per la gestione dell’emergenze infettive e la dottoressa Dorit Nitzan, coordinatrice delle emergenze in Europa.

Dopo Newsweek, Financial Times e altri media di tutto il mondo, all’unica domanda di un giornalista italiano, tutti e tre hanno elogiato l’Italia. La domanda del Fatto era: “L’Italia sta facendo abbastanza nel rintracciare i malati e chiamare i loro contatti? E cosa suggerite di fare all’Italia?”. Per primo ha risposto Pebody: “L’Italia è il Paese in Europa che ha subito una grande estensione del contagio e c’è molto da imparare per le misure messe in campo. L’Italia ha messo in campo un approccio che mette insieme distanziamento sociale, identificazione dei casi e restrizione dei movimenti della popolazione per ridurre la trasmissione del virus e di conseguenza la pressione sugli ospedali che gli italiani hanno subito al massimo livello”. Poi Pebody ha concluso: “Sia in termini di quali misure introdurre sia di quando farlo (quel che ha fatto l’Italia, ndr) è qualcosa che il resto d’Europa deve imparare”.

Poi ha preso la direttrice delle emergenze in Europa, Dorit Nitzan: “L’Italia ha avuto un passaggio davvero veloce da pochi casi a molti casi. E noi raccomandiamo quello che l’Italia ha fatto in questo breve periodo. È stato come un incendio. Abbiamo chiesto all’Italia di identificare i primi casi in modo da tracciare la diffusione del virus. Finora è stato fatto tutto nel modo corretto”. Certo la Sud Corea ha contenuto più velocemente i numeri del contagio, ma secondo Nitzan: “dobbiamo tenere a mente la demografia dell’Italia. Ci sono molti più anziani. In Corea del Sud hanno lavorato bene, ma i casi riguardavano spesso giovani donne”.

Alla fine ha preso la parola il Direttore Regionale Oms Europa, Hans Kluge: “L’Italia è stato uno dei tre Paesi nei quali l’Oms ha messo in campo una squadra di risposta rapida. Abbiamo un team a Roma insieme all’ISS”. Poi ha aggiunto: “Voglio esprimere il mio apprezzamento al ministro della Salute, Roberto Speranza, che dall’inizio di questa emergenza, con grande trasparenza, ha condiviso con noi tutti i dati perché l’Italia è diventata la piattaforma del know how in Europa. E quello che facciamo con l’Italia non lo facciamo solo per l’Italia, ma per l’Europa tutta e per il resto del mondo. In questa logica stiamo intensificando il lavoro con le regioni che lavorano in coordinamento con la Protezione civile nazionale”.

L’Italia, insomma, è un modello e anche un caso dal quale mutuare le ricette. Dall’esperienza italiana, ha concluso Kluge “stiamo imparando ogni giorno sia nella gestione clinica, sia nel controllo sia nella prevenzione e nell’epidemiologia”.

Un giornalista olandese ha chiesto un parere sulla ricetta di moda nel Regno Unito e in Olanda della cosiddetta “immunità di gregge”. La dottoressa Dorit Nitzan è stata chiara: “Non abbiamo sufficienti prove sull’immunità di gregge e non è questo il momento per consigliare questo approccio. Questo virus ha avuto solo 12 settimane di vita nell’umanità. Non ne sappiamo abbastanza”. Quindi l’approccio giusto, hanno ribadito i dirigenti Oms è il solito: identificare mediante i test, contattare le persone che hanno avuto rapporti con i malati e ridurre il contagio”. La linea italiana.

Lo Spallanzani: “Le lesioni ai polmoni del coronavirus non sono permanenti”

La polmonite interstiziale derivante dal Covid-19 provoca diverse “lesioni ai lobi superiore e inferiore”, “versamento pleurico” e, soprattutto, “l’allargamento del 5-10% dei vasi sanguigni” che trasportano il sangue dal cuore ai polmoni. Ma questi danni “non sembrano essere permanenti”, come spiegato al Fatto dal direttore scientifico dell’istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito.

Proprio l’equipe di ricercatori del nosocomio capitolino ha pubblicato sul prestigioso International Journal of Infectious Diseases i risultati delle loro analisi sulla prima settimana di cura dei due turisti di Wuhan, ricoverati dal 30 gennaio scorso e trovati positivi durante il loro soggiorno all’Hotel Palatino di Roma. Allegate allo studio, uscito ieri sulla rivista scientifica britannica, ci sono le radiografie e le tac effettuate durante i 7 giorni di analisi ai polmoni dei due cinesi – marito e moglie di 66 e 67 anni – entrambi in buona salute prima di contrarre il virus. La novità fondamentale dello studio è proprio quello che viene descritto come “ampliamento dei vasi polmonari nelle aree in cui si sviluppano nuovi infiltrati polmonari” che “potrebbe descrivere un primo segnale radiografico predittivo di compromissione polmonare”.

Durante gli esami di follow-up, spiegano ancora gli scienziati “è stato riportato un aspetto tubulare e allargato dei vasi polmonari con un’improvvisa riduzione del calibro. Sono stati trovati principalmente nei tratti dicotomici”, dove “è stato visto il centro di una nuova lesione polmonare insorgente”. È probabile, secondo lo studio, “che questo segno sia correlato all’iperemia indotta dall’infezione virale” e “potrebbe essere descritto come un segnale radiologico di allerta precoce per prevedere il deterioramento polmonare iniziale”. In parole povere, afferma Ippolito, “l’insorgere di questo scenario può dare la possibilità ai medici di prevedere quale sarà lo sviluppo dei sintomi”. “Da quanto abbiamo potuto osservare – spiega il direttore dello Spallanzani – queste lesioni non sembrano essere permanenti e la guarigione si presenta completa”. Una buona notizia, considerando i danni che porta la polmonite, nella fase acuta, all’apparato respiratorio, come apprezzabile a occhio nudo anche dalle immagini di radiografie e tac.

“Anche se appena pubblicato – afferma Ippolito – lo studio è relativo al 9 febbraio. La diffusione dei casi nel mondo darà la possibilità a noi come ad altri scienziati di aggiungere informazioni a breve”. Proprio a questo proposito, il direttore dell’Istituto romano suggerisce la lettura di uno studio pubblicato nei giorni scorsi su Science (servizio a pagina 4) a opera del gruppo di ricercatori cinesi di Wuhan, in questi giorni in tour in Italia e che ha già fatto visita all’équipe di Ippolito. Prima delle restrizioni sui viaggi da e per la Cina operati il 23 gennaio scorso, sono state circa 86% le infezioni non documentate e questi casi hanno rappresentato il 79% della fonte di contagio per quelle documentate. “Questo porta a sostenere che le misure intraprese dall’Italia sono corrette”, conclude Ippolito.

I furbetti in camice: ospedale Cardarelli, 249 sono in malattia

C’è sempre un lato b. E il lato b della sanità pubblica, nei giorni in cui il racconto dagli ospedali diviene addirittura epico, medici e infermieri si trasformano in patrioti, è stampato in una breve nota di Ciro Mauro, direttore del dipartimento emergenze del Cardarelli, il più grande nosocomio di Napoli, l’eccellenza del Sud: 249 operatori sanitari si trovano in malattia. Non già – come purtroppo succede in queste terribili giornate – perché infettati dal Covid 19. La malattia in questo caso ha preceduto l’infezione e perciò assomiglia a una furbizia, allinea la paura e la converte in diserzione. Così scrive Mauro sui social: “Penso a tutti gli operatori del Cardarelli che sono al loro posto e penso anche a tutti quelli che si nascondono dietro un certificato medico fasullo lasciando i colleghi da soli a lavorare. Non abbiamo rancore contro questi, solo commiserazione. Il Cardarelli andrà lo stesso avanti conseguendo come al solito i migliori risultati della sanità campana”.

Sono i furbetti della corsia. Napoli è al tempo stesso il luogo della sperimentazione più avanzata e il punto apparentemente più acuto di disaffezione, ma altre debolezze sono distribuite a macchia di leopardo in tutto il territorio nazionale e stanno producendo un gravissimo baco nell’assistenza sanitaria ordinaria.

Il virus ha purtroppo allontanato gli italiani dalle cure abituali. I pronto soccorso, nei giorni normali oberati di ogni urgenza, ora sembrano liberati dagli obblighi. Le altre necessità rallentano, fin quasi a spegnersi. Rachele Valboa è otorinolaringoiatra dell’Asl di Caserta: “Oggi zero, non ho visitato nessuno. Nell’ambulatorio in cui attualmente mi trovo nessuno è venuto. I miei pazienti sono per lo più anziani e l’invito pressante a stare in casa, giustificatissimo, viene purtroppo inteso come una condizione obbligata di rinuncia all’assistenza. Sono così spaventati da rifiutare, è successo per davvero, di aprire la porta ad alcuni colleghi andati a visitarli a domicilio. Li vedono bardati nelle tute bianche e immaginano la catastrofe”.

La federazione degli anziani ieri ha denunciato questo vulnus, questo vallone del dolore silenzioso degli ammalati cronici, dei nonni che rinunciano ai controlli, di chi li sospende o anche li posticipa troppo.

È un guaio serissimo, e il primo ad accorgersene è stato Massimo Galli, l’infettivologo del Sacco di Milano: “Dobbiamo assolutamente riprendere in mano il territorio, riagganciare la rete di protezione. A me è capitato che un amico mi abbia chiamato chiedendomi un minimo aiuto telefonico per il suocero, febbricitante. Appena ho ascoltato la sua voce mi sono accorto che non c’era un minuto da perdere. L’ho fatto ricoverare. Gli hanno riscontrato una desaturazione al 70 per cento. Questo signore aveva il genero che ha potuto chiamarmi, e gli altri?”.

Ecco, gli altri. Felicia Craciun, 37 anni, colf romena, giovedì scorso si sveglia senza poter mettere i piedi a terra. Resta un giorno in quelle condizioni “poi dico a mio marito: portami all’ospedale. Lui mi fa, meglio alla guardia medica. Arriviamo, mi visitano e dicono che ho l’herpes zolster. Mi rimandano a casa, altri due giorni di passione. Vado al pronto soccorso, ma i medici mi rimproverano: signora, perché è venuta? Sa che non deve muoversi da casa? Ma io stavo su una sedia a rotelle, non muovevo più le gambe. Se uno non va in ospedale in queste condizioni, allora quando? Mi hanno fatto la risonanza magnetica e hanno detto che era una stupida ernia. Devo ringraziare una dottoressa che mi ha fatto fare una radiografia al torace: polmonite batterica paracardiaca”. Felicia è andata a bussare a un ospedale romano ancora non del tutto svuotati dall’emergenza Covid.

Furbi da una parte, eroi dall’altra. Ieri per esempio Franco Faella, 74 anni, uno degli infettivologi più esperti in Italia, ha lasciato la pensione ed è tornato a fare quel che sa fare. Ha accettato l’invito della Asl di prendersi cura della realizzazione del secondo presidio Covid napoletano: l’ospedale Loreto mare. Settantaquattro anni, è bene ripeterlo.

Ecco le eccellenze dietro cui ripara, purtroppo, questo piccolo e triste mondo sanitario di mezzo.

“Troppa gente ancora in giro”. Via ai controlli sui telefonini

C’è quello che si fa il video con la gente davanti alla panineria di Catania e lo mette anche su Facebook, altri si “prestano” il cane nel condominio per andare a passeggio scombussolando anche il cane, c’è chi gioca a calcetto a Piacenza e chi a Pokemon nel cimitero di Busto Arsizio (Varese). Tutti denunciati. E ancora, la metropolitana di Milano ancora troppo affollata, runners anche improbabili e non solo sul lungotevere di Roma. Insomma, la quarantena non funziona abbastanza. Ieri, dai vertici della Regione Lombardia, che paga il prezzo più alto alla pandemia da Covid-19, è arrivata la notizia che “dai dati tecnologici ricavati con le compagnie di rete mobile, fatto 100 il 20 febbraio, prima che scoppiasse l’emergenza, l’andamento del movimento della popolazione è poco sopra il 40 per cento. È un dato non sufficientemente basso”, ha ripetuto nella sua diretta Facebook, Filippo Sala, vice del governatore Attilio Fontana. E il suo collega Giulio Gallera, assessore alla Salute, l’ha detto anche in modo più deciso: “Vi controlliamo attraverso le celle telefoniche, non uscite di casa”. Le compagnie telefoniche stanno fornendo i dati dei movimenti dei cellulari, chi si sposta di almeno 500 metri nelle aree urbane passa da una cella all’altra e quindi è rilevabile.

Dal Viminale, dove ricordano di aver usato questo metodo in altri casi, non c’è conferma che il sistema sia generalizzato a tutto il Paese, ma la frontiera è questa, non sarà la app obbligatoria dei cinesi ma poco ci manca. I denunciati di lunedì sono 7.890 per inosservanza agli ordini dell’autorità, 229 per false dichiarazioni a pubblici ufficiali. Controllati, sempre lunedì, 172.720 persone e 97.551 esercizi commerciali: denunciati 217 esercenti, sospese 22 licenze. Anche questi numeri crescono, sia pure meno del virus. I controlli dall’11 al 16 marzo hanno riguardato 838.200 persone, 35.506 i denunciati per inosservanza agli ordini dell’autorità. È l’articolo 650 del codice penale, la pena è l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda, peraltro non superiore a 206 euro. Molte di queste denunce saranno archiviate e sull’applicabilità del reato di false informazioni, punito con la reclusione in teoria fino a sei anni, c’è giurisprudenza contrastante. Davvero non si capisce perché il governo non abbia introdotto sanzioni amministrative più efficaci e veloci, magari con il sequestro di auto e moto, naturalmente suscettibili di ricorsi quando riapriranno i tribunali…

Il contagio prosegue con i numeri spaventosi degli ultimi giorni. Sono 345 i morti “con il coronavirus” registrati in Italia tra lunedì e martedì, 220 nella sola Lombardia. Sono poco meno dei 349 morti di lunedì e dei 368 di domenica, il che fa pensare a una possibile stabilizzazione dei contagi reali. Quelli rilevati sono solo una parte, forse un quarto del totale secondo gli esperti, ma dipendono anche da quanti tamponi si fanno e a chi: le regioni procedono in ordine sparso. Anche i contagi rilevati salgono in misura compatibile con i dati degli ultimi giorni: siamo a 31.506, ovvero 3.526 da un giorno all’altro, compresi i 2.941 guariti (+192) e i morti che salgono a 2.503. Escludendoli abbiamo 26.062 persone attualmente in cura (+2.989), quasi metà a casa, 12.894 ricoverati (+1.869 in un giorno) e 2.060 nelle terapie intensive (+209). Di questi ultimi, 879 (+56) sono in Lombardia, dove prima dell’emergenza non c’erano nemmeno tutti questi posti letto – ovviamente destinati anche ad altri pazienti gravi – e si lavora per crearne altri in tempi rapidissimi. Mancano, come sappiamo, le macchine per la respirazione artificiale.

L’assessore Gallera ha fatto sapere che ne sono arrivate 14 dalla Protezione civile e 30 per la terapia subintensiva dalla Cina. Le province più disastrate restano Brescia e Bergamo, Milano cresce ma non troppo, nel Lodigiano i nuovi casi rilevati sono 50 ed è la prova che le prime “zone rosse” avevano funzionato. Forse, se attuate, avrebbero contenuto il virus anche nella Bergamasca.

Ci si interroga sul picco dopo il quale i contagi giornalieri dovrebbero cominciare a scendere. Per alcuni esperti siamo vicini, fermo restando che l’emergenza negli ospedali proseguirà per settimane; altri lo spostano più in là, fino a metà aprile e oltre. I dati nazionali dipendono per oltre il 70 per cento dalla Lombardia e dalle altre due regioni più colpire (Emilia-Romagna e Veneto). Qui la crescita da giorni non è più esponenziale, mentre continua a esserlo in altre regioni, anche del Centro-Sud, sia pure su valori più bassi. Nessuno sa dire quando rallenterà, molto dipende dal contenimento.

Benvenuti fra noi

Quando dicevamo che il Conte-2 con 5Stelle e centrosinistra era il peggior governo possibile eccetto tutti gli altri, da destra rispondevano che era una catastrofe, perché il toccasana erano le elezioni e un bel governo Salvini-Meloni-B.. E dalla Salvinistra rispondevano che era una catastrofe perché Conte è mezzo pirla e mezzo populista, i 5Stelle una manica di caproni fascisti, incompetenti e nemici della scienza e il Pd è un’ameba succube dei grillini e insensibile a questioni urgentissime come i decreti Sicurezza, lo Ius soli, il blocco della bloccaprescrizione e gli altri preziosissimi consigli di Repubblica, Stampa e Verano Illustrato, dunque non abbastanza “de sinistra” e per giunta sprovvisto di “anima”, ergo molto meglio le elezioni, cioè un bel governo Salvini-Meloni-B.. I più furbi del bigoncio, quelli con la evve, aggiungevano che il pessimo, inesistente, impresentabile, paralizzato, inanimato e asessuato Conte 2 era una benedizione per Salvini, a cui avrebbe moltiplicato i voti. Interrogati sulle ragioni di tanto granitico pessimismo, lovsignovi facevano le faccette malmostose, alzando cortine fumogene e obiettando vaghezze: tipo che la Finanziaria anti-Iva era robetta e ci voleva ben altro, tipo l’anima e poi i decreti Sicurezza, lo Ius soli, la nostra bella sinistra, la nostra bella Europa, la nostra bella prescrizione, il nostro bel garantismo contro la bavbavie, insomma il pvoblema è un altvo signova mia.

Mai una critica sul merito, un fatto inoppugnabile: solo occhi al cielo, nasi arricciati, bocche storte, occhi strizzati, braccia allargate. Ogni tanto speravano che fosse finalmente finita e s’illuminavano d’immenso: come quando annunciarono che Conte aveva svenduto l’Italia a Trump in cambio del tweet pro-Giuseppi, facendo incontrare i capi dei nostri servizi col ministro della Giustizia americano per passargli montagne di segreti di Stato sul leggendario Mifsud, ma l’imminente pubblicazione del “rapporto Barr” (“questione di giorni”, “di ore”), ovviamente esplosivo e definitivo (“il premier trema”, “terrore a Palazzo Chigi”, “notti insonni”), avrebbe raso al suolo la montagna di menzogne fabbricata dall’“Azzeccagarbugli di Volturara Appula” con i suoi complici spioni, segnandone l’ignominiosa fine politica, morale, forse anche biologica. Poi, siccome il rapporto Barr non uscì o non smentì nulla, provvide l’Innominabile a far tutti contenti, minacciando un giorno sì e l’altro pure la crisi di governo che i signorini grandi firme davano per scontata e imminentissima, facendo a gara a intervistare Messer Trepercento come ai bei tempi del 40,8%.

E già sognavano una Gioiosa Macchina da Guerra capitanata da un bel “riformista” tipo i fu Sala e Gori col contorno di qualche sardina sfusa, per tornare al vecchio caro (e falso) bipolarismo. Non secoli fa: un mese fa. Poi è arrivato il coronavirus, una prova mai vista prima che, se fosse stato vero un centesimo di quel che dicevano lorsignori, avrebbe dovuto esaltare tutte le magagne del premier e del suo governicchio senz’anima. Invece, sorpresa. Anziché circondarsi di no-vax, complottisti, terrapiattisti e rettiliani, il noto pirla dà retta agli scienziati e sperimenta – primo nel mondo democratico – una cura da cavallo per contenere il contagio e l’annessa recessione. In Italia apprezzano quasi tutti e all’estero quelli che non apprezzano sono costretti, dopo qualche giorno di spiritosaggini anti-italiane, a copiare, incollare e tradurre nelle rispettive lingue i decreti dell’Azzeccagarbugli di Volturara Appula e dei suoi ministrucoli senz’anima. Il tricolore sventola in tutto il mondo, persino in Italia. Tutti, con grande nonchalance, titolano che “gli altri ci copiano”, “l’Italia fa scuola”. E azzardano persino pallide criticucce non solo a Trump e Johnson (sovranisti, cioè brutti), ma financo a Lagarde, Macron e Sánchez (europeisti-progressisti, cioè belli). Qualche furbacchione tenta di insinuare che sia colpa di Conte&Casalino pure la fuga di notizie sulla bozza del decreto per la zona rossa in Lombardia e altre 13 province, e dunque la fuga di massa verso Sud. Poi però la Cnn dice che la bozza l’ha avuta dalla Regione Lombardia. E l’esodo prosegue nei giorni successivi, anche quando tutta l’Italia è diventata zona arancione, dunque la fuga di notizie (peraltro vere) non c’entrava niente con la fuga della gente: c’entrava la notizia, che avrebbe sortito effetti analoghi anche se fosse uscita dopo, col decreto ufficiale, anziché sei ore prima, con la bozza. E non certo perché gli italiani abbiano Caporetto nel sangue: altrimenti non si spiega l’identica fuga (senza Conte&Casalino) degli illuministi parigini quando Macron s’è deciso a chiudere in casa anche loro. A questo punto, delle due l’una: o si continua a ripetere coerentemente che Conte è una pippa e il suo governo pure (in compagnia di Capezzone, Farina, Facci, Capuozzo e Innominabile), o si ammette di avere sbagliato finora.

Per carità, non è necessario aggiungere chi aveva visto giusto: sarebbe troppo. Ma un pizzico di sana autocritica, prima di voltare gabbana, sarebbe il minimo. Magari dire: “Meno male che i nostri consigli non sono stati ascoltati e i nostri auspici non si sono avverati, altrimenti oggi a gestire questo po’ po’ di casino avremmo il Cazzaro che chiude tutto, riapre tutto, richiude tutto (tranne la bocca), poi va a spasso con la ragazza. O magari un governissimo con l’Innominabile che, pur di stare sui giornali, andrebbe in giro a fare tamponi ai passanti o a ingoiare pipistrelli”. Poi però bisogna frenare le lingue per non esagerare dall’altra parte. Conte è una persona seria, ma non è Churchill. Quindi va bene diventare contiani, ma forse il “God Save Conte” di Francesco Merlo su Repubblica è un filino troppo.

“Bitches Brew”, i 50 anni di una rivoluzione

Cinquant’anni fa, nel marzo del 1970, usciva il secondo album più venduto della storia del jazz, Bitches Brew: il più venduto in assoluto, Kind of Blue, era uscito dieci anni prima, entrambi figli del genio creatore di Miles Davis, il trombettista cresciuto alla corte di Charlie Parker e Dizzy Gillespie capace di far cambiare rotta al jazz tre volte di fila. Era infatti il 1949 quando, stanco del bebop, dei problemi con la droga di Parker e delle “pagliacciate”, come lui stesso ebbe a definirle, di Gillespie, Davis e il suo nonetto incisero quella serie di brani che, usciti postumi sotto il nome di Birth of Cool, daranno il via a una delle stagioni più ricche, interessanti e certamente colte dell’intera storia della musica, il cool jazz: “Non riuscivo a credere – affermerà Davis nell’86 – che gente come Bird (Charlie Parker), Prez (Lester Young), Bean (Coleman Hawkins), insomma tutto quel gruppo, non andasse nei musei e nelle biblioteche a prendere in prestito le partiture per farsi un’idea di quello che stava succedendo. Io andavo sempre a leggere gli spartiti dei grandi compositori, per esempio Stravinsky, Alban Berg, Prokof’ev”. Dopo dieci anni giungerà Kind of Blue, quella, con le parole di Ashley Kahn, “sacra reliquia” del tempio del jazz che sancirà la nuova via da seguire, la modalità: “All’epoca – scriveva nel lontano 2000 Jimmy Cobb, batterista di Davis – nessuno di noi avrebbe immaginato che Kind of Blue sarebbe diventato quello che è. (…) Vorrei tanto che qualcuno degli altri ragazzi fosse ancora qui per dire la sua”.

Quegli altri ragazzi che, tanto per dire, erano John Coltrane, Julian “Cannonball” Adderley e Bill Evans. Appena altri dieci anni e arriverà infine Bitches Brew, l’album a cui tutta la fusion, e in testa i Weather Report, saranno debitori : “(…) più o meno in quel periodo – dirà più avanti lo stesso Davis – cominciai a capire che i musicisti rock non sapevano niente della musica. (…) Così cominciai a pensare che se loro potevano (…) vendere tutti quei dischi senza nemmeno sapere che cosa stessero facendo, bene, potevo farlo anch’io e per di più meglio”.

Un nuovo Mostro che ama la poesia e legge Bukowski

“Sulla tomba dell’hip hop è fiorito un nuovo germoglio, Mostro” è la dichiarazione di intenti raccolta in Nostradamus, uno dei dodici nuovi brani di Giorgio Ferrario, rapper ventottenne romano in uscita con il suo nuovo album (il terzo più un Ep e due mixtape). Non è facile trovare uno stile originale nel panorama copia-incolla del rap nostrano, eppure Giorgio affila le sue parole con umiltà e una buona dose di innocenza. La città è un brano crossover, capace di spaziare tra cantautorato e pop, nemmeno Coez avrebbe potuto fare di meglio: “Puoi sempre venire qua senza fare mille viaggi, chiudi gli occhi per arrivarci” per poi chiosare con “siamo chiusi da dentro ed ho perso la chiave”. Il brano potrebbe essere figlio anche della recente collaborazione con Ultimo (E fumo ancora). Non sono solo i beat a brillare – la produzione è di Enemies (Yoshimitsu e Manusso) – ma è un disco suonato con innesti di strumenti veri, per dare sostanza alle rime (Salmo insegna): dal rock di Britney nel 2007 con Gemitaiz alla citazione glam di Gary Glitter di Le belle persone. Proprio in questo ultima traccia cita il Vasco-pensiero, “tutto quello che ho fatto lo rifarei perché sai dove vai solo se sai chi sei”. La rabbia è figlia della perdita del fratello Vittorio, scomparso nel 2015 in seguito a un incidente stradale (Tutto passa è una lucida e intelligente catarsi). La musica è stata la sua guarigione, per leccarsi le ferite. “Io metto tutto quanto in una rima e vado alla conquista della mia vita vediamo chi arriva prima” (Memorie di uno sconfitto parte 2) è la trasformazione della maturità dall’intento dichiarato ne La nave fantasma, dove l’obiettivo era la scalata del rap. La genialità emerge con Un po’ depresso, tra un beat incalzante e la palese ironia, citando Elio & le storie tese di Cara ti amo e Caparezza. Eppure, leggendo i commenti nei suoi canali social ci si imbatte spesso in “mi hai salvato dalla depressione” o, addirittura “se sono qui è grazie alla speranza dei tuoi versi”. Biatch cita Bukowski (“per me l’amore è un faro che fende la nebbia”) a cui aggiunge “l’amore è un bel negozio dove ovviamente tutto costa troppo”. “Adoro la poesia, leggo solo ed esclusivamente poeti” commenta Giorgio, “in Fuck life c’è la frase più importante del disco: “Ho letto solo libri di poesie perché tutto il resto parla troppo”. Apprezzo i romanzi ma la poesia è come il rap, ogni parola ha il suo peso ed è diretta. Oltre a Bukowski amo Charles Simic, Franco Arminio e Valerio Magrelli”.

Sempre in Fuck Life scrive “Conoscere vuol dire crescere, essere parte di quello che è intorno”: “è un po’ il concept dell’album. Non voglio raccontare che sono felice e basta ma il processo che mi ha portato ad accettare il mio passato e vivere nel presente seppur con qualche ricaduta. La musica è catartica per le persone quando senti che è vera. Chi entra nei miei brani ne coglie qualcosa di positivo anche per sé”.