“Pliiiss to my frend”: il gran “tiater” di Renzi sulla Cnn

Il Coronavirus ci sta mettendo a dura prova, ma per fortuna abbiamo dei politici dotati di gran senno. Per esempio Matteo Renzi. Il quale, giorni fa alla Cnn, si è per l’ennesima volta consegnato mani e piedi alla leggenda. Il suo monologo, per forza e autorevolezza, sta già accanto ai più grandi discorsi nella storia dell’umanità: Gandhi alla marcia del sale nel ’30, la resa di Hirohito nel ’45, Martin Luther King con “I have a dream”, il Poro Asciugamano quando ordinò il settimo birrino al bar di Montione. Eccetera.

Nel suo messaggio accorato alla Cnn, Matteo Renzi ha conquistato tutti a partire dalla sua sempre più conclamata bellezza. Egli, nella sua grazia magniloquente, ci appare infatti ogni giorno vieppiù slanciato nonché abbacinante, dotato di luccicanza e al contempo intriso di una propensione oltremodo estetizzante che ci ricorda da vicino la mitologica Bo Derek nel film 10. Sia dunque lode al cazzaro rosé, giacché egli vive e con ciò illumina tutti noi. Renzi ha poi sfoggiato, per l’occasione, quel suo inglese-Shish che lo ha reso ancor più affascinante: Renzi, si sa, gestisce le lingue straniere con la stessa naturalezza con cui Bombolo controllava orifizi e sfinteri. Mi sono preso la briga – e di certo il gusto – di sbobinare per voi il discorso integrale di Renzi alla Cnn. Eccolo: “The problem is we we (ogni tanto si inceppa) live in global word” (testuale: “Il problema è che noi noi viviamo in parola globale”: un gran bel problema, in effetti). “And for that (???) my request is pliiiss to my friends of the oder european countries (???) and let me be very clear (come no: davvero “very clear”) also to American guys (Alberto Sordi regna) plisssss (mani giunte) don’t make the same mistakes of andervaluesscion (ehhh???) of the risk, bikas (cosa?) a lot of pipol for esample (ruttino in scioltezza) desaid (???) also in France last week o (sic) in Uk on in Germany (“on in Germany”: cioè “sopra dentro Germania”) to go for example to tiater, to teaterr (niente, “teatro” non gli viene), or museum, becos the reaction is (qui imita Gassman con esiti sommamente esecrabili) “Don’t be ofred, we go to tiater!”. This is a good reacton when there is en attack of terrorist (qui emula Panariello che esulta al gol della Fiorentina) “We sciò aur resiliensss!” (cosa?????), but when there is a vairus (qui omaggia Di Maio), we ave to avooooid to stay in a pablic pleisess (daje Matte’!). So don’t waste time. Italy waste time and this was a mistake. Please Germany, France, Uk, Spain. We have to ab-so-lu-te-ly (qui si è slogato laringe, corde vocali, adenoidi, glottide e pappagorgia) avoid to ghhhm waste time” (faccia compiaciuta finale). Un discorso semplicemente straordinario. Sono tuttora commosso.

Con queste parole Renzi ha poi dato una gran bella immagine dell’Italia all’estero. Non bastava il Salvini che ha umiliato il governo straparlando con El País: ci mancava pure Renzi, che del resto non ha idee proprie ma va sempre a rimorchio dei politici peggiori, ieri il Caimano e oggi il Cazzaro verde. Peraltro Renzi farebbe parte del governo italiano, eppure lui ha avvertito l’urgenza di andare alla Cnn e dire al mondo che gli altri non devono fare gli stessi errori dell’Italia. Quell’Italia che viene presa a esempio dall’Oms e da quasi tutta Europa (il quasi è quel genio di Boris Johnson). Eppure lui, noto virologo di fama planetaria, si è permesso di trattare i governanti italiani (di cui fa purtroppo parte) come dei mezzi citrulli. Che dire? Mille di questi “shish”, fenomeno.

Un papa che teme di perdere il gregge

Qualche giorno fa aveva raccomandato ai preti di star vicino ai malati, di visitare le loro case e di portar loro la comunione. Tre giorni fa ha detto ai vescovi, in riferimento alla decisione che molti di loro avevano preso, seguendo un suggerimento della Cei, di serrare le porte delle proprie chiese, che “le misure drastiche non sempre sono buone” e contemporaneamente aveva deciso di riaprire quella della diocesi della capitale. Il papa pare insomma desideroso di evitare che il clero smobiliti in una situazione di emergenza come questa. La destra ha subito esultato e anche un cattolico influente come Enzo Bianchi (intervistato ieri l’altro dal nostro giornale) ha applaudito immediatamente e con entusiasmo le parole del pontefice.

Quali sono le ragioni di un comportamento che spinge la Chiesa Cattolica a remare in direzione oggettivamente contraria rispetto all’Italia, al Paese da una settimana obbediente alle indicazioni che provengono dalle autorità pubbliche e barricato in casa?

Io ne vedo almeno due. La prima riguarda i rapporti con lo Stato italiano. Lasciando da parte gli aspetti giuridici, la Chiesa richiede che in questo frangente le venga anche simbolicamente riconosciuto il diritto di non essere equiparata a quelle istituzioni, economiche, educative o di altro genere, che si attengono da settimane con disciplina alle disposizioni decise dalle autorità. Tenendo aperte le porte delle sue parrocchie e invitando i preti a recarsi nelle case, la Chiesa richiede che i suoi servigi siano trattati come “essenziali” e imprescindibili, al pari di quelli alimentari e sanitari. Qualcuno, nelle file cattoliche, ha anche evocato la formula del “libera Chiesa in libero Stato”. È una strada coraggiosa, che però implicherebbe, se la chiesa volesse andare fino in fondo, la rinuncia ai privilegi politici, finanziari e di altra natura che oggi le vengono accordati. La libertà e l’autonomia hanno un prezzo e non solo un vantaggio. È disposta la Chiesa a pagarlo?

La seconda ragione riguarda la tenuta della comunità ecclesiale. La preoccupazione di Bergoglio è che la distanza dal prete produca la dispersione del gregge o, peggio, che le pecorelle, prive per un tempo lungo del contatto fisico con il pastore e della messa domenicale, sviluppino delle forme di vita spirituale individualizzate e più spontanee o comunque maggiormente autonome e meno bisognose della direzione del clero. Lo stesso sentimento suggerisce al pontefice di guardare con timore lo spettro della chiusura delle chiese. Se le parrocchie serrano i portoni c’è il rischio che molti fedeli non le considerino più gli unici luoghi legittimi della religiosità, che si scopra la possibilità di sostituirle con le camere delle nostre case, con gli schermi dei nostri computer o dei nostri telefoni. La chiesa di Bergoglio, lo ha confermato Querida Amazonia, è ancora quella tridentina, guidata dal prete celibe e centrata sull’istituzione parrocchiale e sui sacramenti. Senza questi elementi, per il papa, il cattolicesimo si dissolve. Per questo i preti dovrebbero, secondo lui, “non fare i don Abbondio” e proseguire, a costo di rischiare la vita, l’attività pastorale e di assistenza spirituale dei fedeli. Forse qualcuno ai vertici della Chiesa è persino convinto che questa possa essere anche una strada per riscattare l’immagine di un ceto clericale fortemente compromesso dagli scandali sessuali e finanziari: l’abnegazione e il sacrificio personale di qualche presbitero potrebbero rappresentare uno strumento piuttosto efficace per far dimenticare abusi e malversazioni.

Guardandomi in giro, osservando il modo in cui i cattolici stanno reagendo alla crisi, mi sembra che si possa dire che, come spesso succede, l’intelligenza delle masse supera quella dei capi. La stragrande maggioranza dei credenti mi sembra guardare in questo momento con sovrana indifferenza a quello che dice o decide il Papa. La gente se ne sta (per fortuna, vista la malaparata) rintanata in casa, guardando con ansia il bollettino quotidiano di morti e ricoverati e pensando a come sarà il mondo che troverà là fuori una volta finita la grande emergenza. Ad andare in chiesa e così a rischiare la pelle non ci pensa quasi nessuno. Da parte sua, una parte del clero ha capito che da questa situazione può ricavare un grosso vantaggio in termini di popolarità e di audience, trasformando la messa domenicale di un tempo in un “evento live” visibile da un pubblico molto più ampio ed egualmente adorante. La forma e la sostanza rimangono clericali così come la sottomissione dei fedeli trasformati in follower. Un’altra parte del clero, non saprei stimarne l’ampiezza, si comporta come tutti noi, accettando, con dolore e con angoscia, di sospendere la vita normale, di dedicare tempo alla lettura, alla meditazione, alle chiacchiere più intense che mai con amici, parenti e ovviamente parrocchiani. Cercando insomma di sfruttare la solitudine e il silenzio per diventare esseri umani migliori. O almeno per provarci.

Da Johnson a Trump: che leader grotteschi

Commuove l’immagine di Papa Francesco che cammina nel deserto di via del Corso a Roma, la veste candida indossata come un cilicio. Sconcerta l’immagine del presidente francese Emmanuel Macron che incoraggia i parigini a recarsi alle urne, con una grottesca raccomandazione: “Portatevi le penne da casa”. Ignorato, naturalmente, dalla stragrande maggioranza degli elettori. Offende l’immagine del premier Boris “boria” Johnson, che espone il suo popolo a un’immane catastrofe umanitaria, che si aggira in un laboratorio molestando gli scienziati attoniti mentre lui tutto giulivo parla, parla, parla. Sgomenta l’immagine di Donald Trump, l’uomo più potente della terra, indeciso a tutto, che quando si presenta ai microfoni sembra reduce dalla scelta più impegnativa del giornata: il colore del cravattone da indossare. Colpisce l’immagine del premier spagnolo Pedro Sánchez che si accorge dell’epidemia troppo tardi, quando la moglie risulta positiva.

Tutti messi alla prova da un inatteso e gigantesco stress-test, i governanti si mostrano per ciò che realmente sono, soprattutto nei loro difetti non più mascherati sotto chili di cerone e di propaganda vana. Poi ci sono quelli che non rinunciano al solito teatrino come se per sconfiggere il Covid-19 fosse sufficiente girare una pagina del solito copione. Quanto alla signora Merkel e a Giuseppe Conte saranno, come tutti, giudicati al termine di questo calvario sulla base dei risultati ottenuti. La prima, comunque, cerca di apparire il meno possibile. Dell’altro abbiamo soltanto un’immagine fuori programma: mentre in fila aspetta il suo turno in farmacia.

La privacy o la salute?

In attesa del vaccino o di una terapia veramente efficace, in questo mondo iperconnesso, qualcuno ha pensato di adottare la terapia Grande Fratello. Non mi riferisco al noto reality, ma al complesso sciame di connessioni controllabili attraverso
il sistema Gps che realizzano il sogno del personaggio immaginario creato da George Orwell in “1984”. La Corea del Sud è stata il secondo Paese, dopo la Cina,
a registrare casi
di CoVid-19. In realtà
i contagi erano stati contenuti sino a fine febbraio, quando la setta religiosa Shincheonji, nella località di Daegu,
si è trasformata in un focolaio. Da lì è partita una catena di contagi che ha minacciato una diffusione in tutta
la nazione. In circa una settimana, le autorità sanitarie sono riuscite
a realizzare, con successo, al posto dell’isolamento alla maniera di Wuhan, un isolamento su base tecnologica. I soggetti risultati positivi sono stati raggiunti più volte
al giorno da sms, non solo per informarli o indicare comportamenti, ma anche per tracciarne col Gps
i movimenti. Non solo: le persone non positive sono state dotate di una app che serve a informarle
se si stanno avvicinando a un soggetto positivo. Con tanti saluti alla violazione della privacy e di tutti i dubbi che ne seguirebbero se mai un Paese occidentale decidesse
di adottare il modello coreano. Sappiamo solo che in Corea del Sud la cosa ha funzionato e oggi
i contagi sono ridotti
a poche unità. Israele, Paese altrettanto tecnologico e con pochi scrupoli riguardo alla privacy, visto che vive nella routine dell’emergenza, si avvia verso misure analoghe. Per salvaguardare
la salute, varrà la pena
di privarci di privacy?

Ex Ilva: a Tamburi abitanti risarciti, ma solo per ultimi

Un risarcimento di 15mila euro a famiglia che non arriverà mai. È questa l’ultima beffa per gli abitanti del quartiere Tamburi, il rione di Taranto a pochi metri dall’ex Ilva. Il Tribunale di Milano, infatti, ha riconosciuto il diritto per alcuni proprietari degli immobili imbrattati dallo spolverio dei parchi minerali dello stabilimento siderurgico negli anni di gestione della famiglia Riva e ha disposto che sia Ilva in amministrazione straordinaria a risarcire i cittadini. Un successo che, tuttavia, si trasforma nell’ennesima presa in giro dato che quella somma è da considerare un “credito chirografario”, cioè una somma che Ilva in As dovrà pagare dopo aver liquidato tanti altri creditori.

Gli abitanti dei Tamburi, infatti, sono quasi all’ultimo posto della classifica visto che prima di loro dovranno essere pagati i “crediti in prededuzione”, cioè quelli delle banche, poi i “creditori privilegiati” cioè i lavoratori della fabbrica e la lunga lista di “consulenti d’oro” che si sono susseguiti dagli ultimi anni della gestione Riva fino a quella commissariale. Il credito delle famiglie entra nella cosiddetta “massa passiva”, cioè nella infinita lista di debiti che la società fallita dovrebbe pagare, ma i numeri lasciano chiaramente intendere che solo alcuni saranno onorati. Il totale dei debiti della fallita società Ilva, infatti, supera di poco la cifra astronomica di 2 miliardi di euro: di questi oltre 1 miliardo per creditori chirografari, circa 570 milioni ai creditori privilegiati e altri 500 milioni dovranno essere restituiti agli istituti bancari che hanno prestato negli anni scorsi denaro ai Riva e poi allo Stato per salvare l’acciaieria. E forse non è un caso che nel Comitato di sorveglianza creato quando con l’amministrazione straordinaria lo Stato ha preso in mano la gestione dello stabilimento, invece dei rappresentanti dei creditori chirografari, siedano un rappresentante di Eni e uno di Banca Intesa.

Per farla breve, quindi, quando (e soprattutto se) Ilva in As riuscirà a pagare le banche, i lavoratori e i consulenti per 1 miliardo di euro, allora potrebbe essere il turno dei cittadini dei Tamburi. Un’ipotesi praticamente impossibile. Una cosa ben chiara ai legali di Ilva in As che in una delle memorie depositate al Tribunale civile di Milano hanno chiesto il rigetto della domanda dei cittadini dei Tamburi spiegando che “anche se la stessa fosse accolta non consentirebbe ai creditori di rango chirografario di conseguire alcunché in sede di riparto”. Insomma, è inutile chiedere, tanto non ci sono abbastanza soldi. Il risultato, dunque, è un pezzo di carta che attesta il diritto a un risarcimento che nei fatti non arriverà mai.

“È un provvedimento storico dal punto di vista tecnico – ha commentato l’avv. Massimo Moretti che assiste le famiglie tarantine – perché per la prima volta anche il Tribunale di Milano ha riconosciuto il diritto risarcitorio dei cittadini, ma purtroppo c’è da aggiungere – aggiunge Moretti – che il credito viene ammesso al passivo della procedura concorsuale in via chirografaria, cioè senza alcun privilegio e ritengo che la procedura concorsuale non avrà la disponibilità economica per soddisfarli, neppure in parte”. Per il legale, ora, “lo Stato italiano non potrà più rimanere inerte di fronte a questa richiesta di giustizia”. La battaglia per il risarcimento si dovrà quindi ora spostare sui tavoli della politica e della amministrazione pubblica, in modo che il diritto riconosciuto non resti sulla carta, ma porti a un reale indennizzo per chi ha subito il danno.

Una beffa che si aggiunge ai danni patiti in questi anni dagli abitanti del quartiere. Non solo ambientali e sanitari per le enormi quantità di polveri che per decenni si sono riversate nelle loro case e nei loro organismi, ma anche per quello economico. Qualche tempo fa, infatti, una sentenza del Tribunale civile di Taranto ha accertato il danno subito da numerose famiglie a causa dell’imbrattamento dei palazzi causato dalle polveri e ha spiegato inoltre come il mercato immobiliare del quartiere Tamburi sia ormai un “mercato chiuso” perché “i noti fenomeni di inquinamento hanno comportato il restringimento dei soggetti interessati all’acquisto ai cittadini già residenti”. In sostanza, per la magistratura, in quel quartiere compra appartamenti o attività commerciali solo chi ci vive o i loro familiari, con conseguente deprezzamento dei valori immobiliari”.

Chi, quindi, per anni ha pagato un mutuo, ora si ritrova proprietario di un bene che oltre ad avere un valore inferiore di almeno il 20 per cento rispetto al prezzo d’acquisto, nessuno vorrà mai acquistare. Oltre al danno, appunto, la beffa.

Come sopravvivere a casa: gite in cantina, spritz e Pornhub

Per voi l’isolamento a casa è una novità; per me, asociale e sociopatico per scelta (non mia: sto antipatico al resto dell’umanità) si tratta invece di una condizione che conosco molto bene. Permettetemi allora di indossare i panni del guru – che poi si tratta giusto di una tunichetta – ed eccomi qui a farvi da guida per i prossimi giorni, settimane, mesi, impartendovi preziosi consigli su come trascorrere al meglio la vostra reclusione domestica.

Movida Fatevi uno spritz a casa. Se non avete di che farvi lo spritz, basta comunque un po’ di ghiaccio in un bicchiere per fare scena. E poi fate su e giù per il corridoio, chiudendo gli occhi; e immaginate di stare sui Navigli o sul Lungotevere. A questo punto, complice la momentanea cecità da palpebre abbassate, sperate di prendere in pieno un muro o lo stipite della porta: in coma la quarantena passa prima. Se quando uscivate di casa eravate abituati allo sballo, alle sostanze stupefacenti, non vi preoccupate: sopra ai bordi delle cornici dei quadri, o sulle mensole quelle in alto, c’è sempre un po’ di polvere. Ok, non è bianca, ma comunque si pippa facilmente e senza spendere soldi, e per fare rifornimento basta non spolverare per qualche giorno.

Sport Restare a casa non vuol dire restare fermi, sedentari. Fate sport, per esempio sollevamento pesi. Cominciate dai comodini, poi piano piano passate a sollevare poltrone, divani, cassettiere, credenze, librerie con tutti i libri dentro. L’importante è non procurarsi strappi o ernie; se non siete abituati cominciate con il sollevare pesi minimi, tipo la tavoletta del water: basta che poi la rimettiate giù, mi raccomando.

Gite fuori porta Anche se in quarantena ai domiciliari, è possibile fare gite fuori porta. Per esempio io domenica sono sceso in cantina. Le nostre cantine condominiali sono luoghi molto suggestivi, tipo le tombe etrusche, le piramidi egizie, le catacombe paleocristiane: sono piene di cimeli delle nostre vite. Nella mia cantina per esempio ho ritrovato reperti archeologici come il mio albero di Natale, i pezzi del presepio, l’ombrellone per la spiaggia, una raccolta di fumetti, una mia vecchia zia mummificata. Oppure potete andare in bagno a vedere l’acqua della doccia che scende. Basta aprire il getto dell’acqua al massimo e sembrano le cascate delle Marmore (con la differenza che qui ti ci puoi anche lavare e fare uno shampoo). Davvero un bello spettacolo: io ci sono stato stamattina e mi sono anche fatto un selfie con alle spalle il getto della doccia; e prima di uscire dal bagno ho tirato una monetina nella vasca, per esprimere il desiderio di tornarci.

Sesso Se siete a casa da soli, vi potete comunque tenere sessualmente attivi. Pornhub ha messo free tutta la sua sezione Premium, insomma è possibile in questi giorni guardarsi tutto Pornhub (spoiler: alla fine si sposano). L’importante è non toccarsi occhi, naso e bocca; il resto del corpo è concesso.

Se invece siete chiusi in casa con il vostro partner, dovete seguire le direttive del decreto: sesso sì, ma nel gomito.

Flashmob Dopo Mussolini che annuncia la guerra, dopo Di Maio che festeggia l’abolizione della povertà, ora anche il resto degli italiani hanno scoperto i balconi, i terrazzi, i davanzali. Ogni giorno, ogni ora (alle 12.00, alle 18.00, alle 21.00) c’è un flashmob: tutti in balcone a fare qualcosa, come un grande villaggio vacanze. Una volta si canta l’inno d’Italia, un’altra volta si applaude il sistema sanitario, un’altra volta si fa a gara di rutti con il vicinato. Ieri una signora è uscita in balcone a stendere i panni, ed è stato subito scambiato per un flashmob: tutti sono corsi a fare una lavatrice per stendere anche loro il bucato, con il risultato che c’è stato un sovraccarico ed è andato tutto in blackout. Panico fra le dirette Instagram.

Intrattenimento Oltre ai balconi, ci sono i cari vecchi media. In primis la radio: il lunedì e il giovedì dentro Caterpillar su Radio2 do questi ed altri consigli di sopravvivenza domestica. Oppure online: oltre a Netflix, Amazon, RaiPlay, adesso ci sono un sacco di dirette social. Io stesso faccio il “Covid Late Night”, un mini show in smart working, in diretta sul mio canale YouTube dal lunedì al giovedì alle 23.00. Venerdì sabato e domenica no, devo vedere le dirette degli altri.

Niente scuola? “Gli esperimenti di chimica li spiega il mio gatto”

Visto che dobbiamo “stare a casa”, chi ha tempo libero e vuole spenderlo per raccontare la sua vita in quarantena e condividerla con gli altri ha a disposizione le pagine del Fatto. Siamo una comunità e mai come oggi sentiamo l’esigenza di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decamerone di Giovanni Boccaccio, si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze. Inviateci foto, raccontateci cosa fate, cosa inventate per non annoiare i figli e non allarmare i nonni, quali libri, film e serie tv consigliate all’indirizzo lettere @ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.

 

La clausura è più leggera con un po’ di batteria

“Grazie per aver fatto passare un’oretta spensierata a Paolo!”. Sono le parole di questa madre che mi hanno spinto a scrivervi e parlarvi della mia esperienza. Dirigo il Free Drumming Studio, una scuola di batteria di Roma e in pochi giorni siamo riusciti a organizzare lezioni via Skype. La clausura diventa più leggera quando ci si diverte e ci si distrae, sia per i nostri allievi che per i nostri insegnanti. (vedi foto)

Roberto Pirami

 

Un quaderno anti-virale per passare il tempo

Cosa posso farne del tempo che improvvisamente si è fatto evidente e del silenzio che improvvisamente si fa ascoltare? Quando capisco che le cose non si stanno mettendo bene, che ci sarà da stare rintanati, acquisto un quaderno: è il 7 marzo, il quaderno misura 10,5 x 14,5 cm, consta di 58 fogli e quindi 116 pagine (vedi foto).

Decido: lo utilizzerò come diario su cui raccontare in parole e immagini poche cose quotidiane. Sarà il Diario Antivirale & Responsabile.

È il momento della responsabilità personale e allora mi do regole di scrittura: due pagine al giorno, solo penna nera e rossa, vietato cancellare con la gomma, una pagina sì e una no stamperò a timbro e a caso una lettera dell’alfabeto che dovrà poi essere contenuta nel testo o nei disegni.

Come ne usciremo? Non so, ma intanto le regole mi possono aiutare a starci dentro.

Francesca

 

Video-lezioni ai ragazzi insieme al mio “Platone”

Insegnante fino a giugno alla scuola media di Mosso e ora in pensione mi sto divertendo a realizzare video di scienza domestica al tempo del coronavirus che poi metto in Rete per i miei ex alunni costretti a casa e per chi desidera vederli. Esperimenti di fisica, chimica, biologia avendo come set la cucina o il terrazzo di casa, utilizzando materiali di uso comune e facendo in modo che siano non solo istruttivi ma anche strampalati il giusto per essere accattivanti e divertenti. La star dei video è il mio gatto nero Platone che ha trovato anche lui una nuova dimensione dell’esistenza!

Giuseppe Paschetto

 

Pure la pausa caffè la faccio via Skype

Ci vuole ritmo. Al mattino inizio leggendo tutto, ma proprio tutto il Fatto. Da domani le videolezioni le facciamo nelle ore che sarebbero state ore in classe. Niente più dieci ore per caricare video, tutorial, webinar per insegnare a distanza. Ci vuole ritmo e poi devo studiare per il concorso!

Ritmo. Ragazzi, non mi spedite compiti il sabato alle 3 di notte. Attacchiamo il lunedì a ci fermiamo il venerdì. Ritmo. Ok, mi mancate tantissimo anche voi, che state scoprendo che la scuola non è poi così male.

Troveremo una serata per un club di lettura in inglese, dai, leggiamo Harry Potter? Ritmo. Proverò a pranzare alle 12.30 invece che alle 16 e a cenare prima delle 23. E la mia pausa caffè? Quella mi manca! Devo trovare un modo. Tra una videolezione ritmata e l’altra, trovo una pausa lunga per una chiamata Skype! Il caffè lo condividiamo dallo schermo, dai!

Licia

 

Ho 78 anni e mio figlio mi controlla al telefono

Mi chiamo Vittorio Damiano, ho 78 anni, di origine pugliese, vivo a Torino dal 1964. In questo periodo di sosta forzata ne approfitto per mettere un po’ d’ordine alle numerose carte di una vita, sparpagliate di qua e di là, ma anche alle migliaia di fotografie che ho scattato da quando avevo 16 anni, la maggior parte delle quali riguardano i miei due meravigliosi figli. Che si preoccupano per la mia salute e mi (stra)raccomandano di non uscire.

Il maschio addirittura mi telefona per controllo almeno un paio di volte al giorno (parola d’ordine: coronavirus). Ieri pomeriggio squilla il telefono: “Ciao papà, sono io. Parola d’ordine!”; e io: “Vafangùl!”.

Vittorio Damiano

 

Per fortuna c’è anche chi vince sulle ipocrisie

Leggo continuamente gli aggiornamenti su questo nemico invisibile, talmente invisibile che ancora alcuni intelletti non sono in grado di percepirlo. Resto attonito nel vedere medici dediti alla tv (più che alle corsie) che deridono le ore passate dentro casa di bambini urlanti e le mancate lacrime di parenti che non possono salutare neanche i loro cari.

Mi irrito nel constatare le polemiche dal Parlamento, dalle interviste di tuttologi accecati dai like.

Guardo però mia moglie che entra nelle corsie di rianimazione per uscirne stremata. Guardo però i miei figli che dicono ridendo: “È colpa del virus se non possiamo andare a scuola”. Guardo i lombardi che parlano con accento veneto e romano, che si affacciano ai balconi come i sardi e i toscani, che suonano le percussioni come i siciliani e i campani. Guardo la condivisione che vince sulle ipocrisie e mi rendo conto che, fortunatamente, sto guardando dalla parte giusta.

Filippo Eugenio Palminota

Si va verso un superdecreto per accorciare i tempi in aula

Ora che il Consiglio dei ministri ha varato il decreto “Cura Italia” con le misure economiche per rispondere all’emergenza sanitaria del Coronavirus, la partita si sposta in Parlamento. Ma è ancora buio fitto sull’iter del provvedimento che, salvo ripensamenti, partirà dal Senato. Dove domani alle 16 e 30 si terrà una capigruppo per programmare i lavori e integrare l’ordine del giorno che al momento prevede soltanto la seduta dell’aula del 25 marzo convocata per le comunicazioni del premier Giuseppe Conte in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 marzo.

Per il resto a Palazzo Madama il foglio è ancora bianco: non è stata neppure ancora confermata la Giunta per le autorizzazioni a procedere che il 24 dovrebbe decidere sul via libera ai magistrati di Palermo che chiedono di processare Matteo Salvini per Open Arms E le commissioni ordinarie? Non sono previsti lavori per tutta la settimana in corso, anche se la Bilancio è in allerta dato che il decreto appena sfornato da Palazzo Chigi dovrà essere esaminato principalmente in questa sede. “Attendo indicazioni anch’io”, spiega il presidente della V commissione Daniele Pesco, convinto come alcuni senatori di altri gruppi che l’esame del testo non inizierà prima della prossima settimana.

In attesa di capire i dettagli, la capigruppo del Senato affronterà il nodo che ora più interessa, anche a Montecitorio: organizzare i lavori tenendo presente l’emergenza che tiene lontana da Roma la stragrande maggioranza dei parlamentari. E questo stato d’eccezione impone una razionalizzazione non solo dei tempi, ma persino degli spazi.

Lo spiega con chiarezza la presidente dei senatori di Forza Italia a Palazzo Madama, Anna Maria Bernini: “Abbiamo già chiesto al governo di favorire un assemblamento dei testi approvati fin qui dal governo, in modo che le misure varate già qualche settimana fa possano confluire nel nuovo decreto. In questo modo verrebbero concentrati i lavori cosicché siano programmati in piena sicurezza. Su questo punto abbiamo avuto già rassicurazioni dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, e anche dal ministro dei Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà”.

Proprio in quest’ottica si stanno cercando di mettere in fila le norme che possono confluire nel decreto “Cura Italia”: sicuramente quelle a sostegno di imprese e famiglie del Lodigiano e di Vo’ Euganeo che anche secondo il Pd ormai sarebbero superate non solo dall’evolversi delle situazione, ma pure dal provvedimento appena sfornato dal governo e che per questo potrebbero non essere convertite. Se invece la strada dell’accorpamento non sarà possibile, la commissione Bilancio e l’aula saranno costrette a riunirsi a ripetizione, con un occhio ai numeri dei presenti e alle distanze di sicurezza per dare l’ok prima alle misure in vigore dal 2 marzo e poi agli altri provvedimenti già approvati o che arriveranno. Ma è una prospettiva che non piace a nessuno.

Perché se tra i deputati ormai si registra il panico per il numero dei contagiati o in autoisolamento spontaneo, anche a Palazzo Madama ogni seduta viene ritenuta a rischio. Quando si è saputo che il viceministro Pierpaolo Sileri è risultato positivo al tampone è scattato un nuovo allarme rosso dato che la scorsa settimana era presente in aula e anche in commissione Sanità, riunita per l’occasione in sala Nassirya. Dove è scattata la sanificazione, che è stata estesa pure alla buvette e ad altri spazi, compresa la filiale della Bnl interna dove Sileri era stato avvistato. Tutti i senatori che potrebbero avere contratto il virus sono stati invitati a contattare il presidio medico e a mettersi in autoisolamento. Palazzo Madama è un deserto, nonostante il presidio assicurato dai capigruppo o dai loro vice. Quanto al personale l’amministrazione ha attivato il ricorso massiccio allo smart working e così su una pianta organica di 600 dipendenti sono al lavoro in 60 nei servizi essenziali a tenere accesa la macchina.

“Io solo con Manzoni e un piatto di zucchine”

Roberto Calderoli, come sta?

Solo con me stesso, direi benone.

Solitudine?

Macché, precauzione.

Cos’è accaduto, senatore?

Una decina di giorni fa ho salutato una persona risultata poi positiva al Covid-19. Non mi ricordo se le ho stretto la mano o l’ho sfiorata col viso, non rischio e metto al sicuro i miei cari.

E la famiglia?

Mia moglie Gianna Gancia, parlamentare europeo, è rimasta a Bruxelles; mio figlio è con lo zio, studia per la patente, a volte si affaccia a salutarmi con la mascherina, agita la mano a dieci metri di distanza.

Dove si trova?

A Narzole, in provincia di Cuneo, in assoluto silenzio.

I Calderoli sono di Bergamo.

Io sono un chirurgo maxillo-facciale, i miei fratelli dentisti, il nostro ospedale è il Giovanni XXIII, una trincea di infermieri e medici che curano centinaia di malati da coronavirus con turni infiniti. Ho sentito i colleghi e non spreco parole, ma vi assicuro che nessuno viene abbandonato, che non si sceglie chi salvare e chi condannare. Frottole, tante frottole.

Calderoli era il leghista eccentrico o eccessivo.

Ora siamo seri, e non mi permetto di fare polemiche politiche, di mostrarmi ganzo, io l’avevo previsto, io l’avevo suggerito.

Però.

Forse a Bergamo e provincia andava concessa la zona rossa e forse il ministro Speranza poteva comprendere la mia interrogazione del 29 gennaio sulla quarantena per chi tornava dalla Cina anziché redarguirmi per i toni troppo alti.

Non vuole polemizzare.

Adesso si combatte, la Lombardia reagisce, Guido Bertolaso sarà un prezioso consulente del governatore Fontana. Presto avremo 500 posti di terapia intensiva in Fiera, mio nipote darà un contributo.

Come suo nipote?

Ha una ditta che monta impianti antincendio. Mi ha chiamato: ‘Zio, come posso contattare la Regione per aiutare il progetto Fiera?’. Allora ho sentito Fontana, se serve c’è mio nipote a costo zero. C’è sofferenza e tristezza ovunque, ma anche un eccezionale sentimento di solidarietà.

Quando sarà finita che Italia resterà?

Non mi importa, né del governo né dell’economia, sono discorsi ragionevoli, ma futili in questa situazione. Prima fermiamo il contagio e prima ripartiamo. Salvare vite non bilanci mi conforta come uomo, padre e senatore.

Ha paura?

Chi ha rischiato di morire forse ne ha un po’ di meno. Ogni tre settimane faccio ancora l’immunoterapia, rientro fra i soggetti più esposti, giusto? Non ci penso, tra un po’ faccio dei lavoretti in cantina, quelle cose che rinvii e oggi ti fanno compagnia. E sbrighiamoci che devo cucinare.

Anche cuoco.

No, un piatto di zucchine ben condite e poi mi rimetto a leggere I promessi sposi, il capitolo sulla peste, io sono un cultore di Alessandro Manzoni.

E i suoi animali a Bergamo?

Erano anziani, alcuni sono morti, altri sono sparsi qui in Piemonte. Pure lì sarei solo, ma benone, direi benone comunque.

Genova, la città più vecchia si mobilita per i suoi anziani

“Asso di picche!”. Arnaldo e Renzo hanno stabilito un record: la prima partita di briscola via Skype. Certo, non è come quando si incontravano nella bocciofila della Val Bisagno. “Mi sono fatto spiegare da mio figlio come funziona ’sto belin di telefonino”, racconta Arnaldo Fossati, 76 anni, metalmeccanico in pensione. “Il problema è che le carte le tiene lui e me le fa vedere dallo schermo… magari mi frega…”, sorride Renzo Mignanego dalla sua casa di San Fruttuoso. Per giocare con l’amico si è fatto la barba.

Si incontra poca gente per strada a Genova. Una cosa ti stupisce subito: sono scomparsi i vecchi, in questa che è tra le città più anziane del mondo. Con un’età media di 48,5 anni, dove gli over 65 anni sono due volte e mezzo i giovani sotto i 14 anni. “È la prima volta da un secolo che la minaccia di una morte di massa incombe sui vecchi”, ha scritto il noto linguista imperiese Vittorio Coletti; nella Prima guerra mondiale l’età media delle vittime era 25 anni e la Spagnola misteriosamente risparmiò gli anziani. “I vecchi morivano, ma individualmente”.

Genova si sta mobilitando per genitori, nonni, amici. I liguri provano a prenderli sulle spalle, come Enea con il padre Anchise, un’immagine che circola su un video diventato virale. È bastata una settimana per capovolgere abitudini di centinaia di migliaia di famiglie: “Faccio la spesa per mio padre, gli lascio i sacchetti davanti alla porta, ci scambiamo qualche parola dalla fessura”, spiega Alfredo Di Matteo, ingegnere, la mascherina sghemba sul volto trafelato, “È una fatica, ma ci tengo. Da anni non facevo niente per papà, me ne accorgo adesso. Ora ho modo di dimostrargli la mia gratitudine”.

Per salvare i vecchi a Genova ci sono famiglie che si sono divise: “Mia moglie e i figli sono rimasti a casa, io mi sono trasferito da mia madre con l’Alzheimer”, racconta Fulvio Crovetto, che ha messo l’ufficio nell’appartamento dei genitori dove viveva da ragazzo. Perché la rete sociale tessuta nel corso dei decenni si è stracciata in poche ore: “Prima avevamo due badanti, ma ora non possono venire, potrebbero portare il virus”. In molti hanno rinunciato alle badanti che in città sono un esercito di 30 mila persone. È saltato tutto: “Mia madre sta male, è debilitata. Ma il medico dice che portarla da lui è troppo rischioso”, racconta Marta Biserni, professoressa. C’è chi sta ancora peggio: “Mio padre è in terapia oncologica, ma il dottore che lo segue è in quarantena”. Capita in tutta Italia: le cure antitumorali sono rinviate, andare in ospedale è perfino più rischioso che lasciar correre il male.

E ci sono i 3 mila anziani ospiti delle case di riposo. Racconta Marina De Santis, dipendente pubblica: “Ogni giorno passavo a trovare mia madre di 90 anni. Adesso le visite sono vietate. Le animatrici ci fanno parlare con whatsapp video. Ma è così dura… vedo mia mamma che allunga le mani verso lo schermo, mi cerca e si perde”. Si tenta di tenere teso un filo. Ma non tutti possono, come ricorda Luca Borzani, scrittore e studioso di dinamiche sociali e demografiche: “In Liguria su 1,5 milioni di abitanti ci sono 441 mila anziani ultrasessantacinquenni. Il 38,6% dei liguri con più di 75 anni vive solo”. Sono cinque i numeri di telefono cui ci si può rivolgere per avere a casa medicine e alimentari. La Comunità di Sant’Egidio e altre associazioni di volontariato hanno servizi telefonici per fornire aiuto, ma anche per parlare. Perché non è solo questione di cibo e medicine.

Enea oggi sono anche i nipoti. Alle sette di sera Mario chiama il nonno Bruno, magistrato in pensione; si fa raccontare una favola dallo schermo del cellulare. Poi lo passa al fratello Giovanni. Insieme con il nonno correggono la versione di latino: “Cor, cordis, cordi…”, si declina così la parola cuore.