“Pronto, sono Conte”. “Ma chi, Antonio dell’Inter?”

Maria Beatrice Stasi è il direttore generale dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, tra le città lombarde epicentro dell’epidemia. Il 4 marzo è risultata positiva al test e da allora lavora da casa. Domenica Giuseppe Conte l’ha chiamata al telefono per manifestarle la vicinanza del governo. “‘Buongiorno, sono Conte’, ho sentito una voce dire all’altro capo del telefono. Lì per lì ho pensato ad Antonio Conte, l’allenatore dell’Inter – ride la dottoressa – club che il giorno prima ci aveva promesso una donazione di mascherine. Poi dalla voce ho capito che era il premier”.

Cosa gli ha chiesto?

Gli ho raccontato la situazione che stiamo vivendo, che forse a Roma non era chiara nonostante i 3.400 contagi di ieri (domenica, ndr). Fino a poco fa ne avevamo più della Francia e della Germania. Poi il presidente mi ha chiesto di cosa abbiamo bisogno.

Di cosa avete bisogno?

Di tre cose. Personale, perché molti operatori sono a casa e per poter tenere questi ritmi abbiamo bisogno di forza lavoro. Dispositivi di protezione individuale e poi di poter alleggerire la pressione sui nostri ospedali. E la telefonata ha avuto già un risultato.

Quale?

È arrivato un contingente di sanità militare. È già al lavoro in ospedale. Sono 27 medici e 4 infermieri.

Conte le aveva preannunciato il loro arrivo?

Mi aveva parlato di gesti operativi concreti e detto che la Difesa avrebbe fatto un comunicato. Oggi sono arrivati i colleghi.

Cosa trovano?

Abbiamo una delle terapie intensive più grandi d’Europa con 80 posti, quasi tutti occupati da pazienti di Covid-19, e ne stiamo aggiungendo altri.

Ce la fate?

La rete regionale sta ci sta supportando per trasferire alcuni degenti. Ogni giorno cerchiamo di dimettere per avere posti disponibili. Oggi ne abbiamo dimessi 4 e quattro ne sono arrivati. Teniamo botta, ma l’equilibrio è labilissimo. Vorrei poterle dire che abbiamo 10 posti disponibili, ma non è così.

Rischiate il collasso?

Oggi ho sentito Gallera, diceva che su Bergamo ci sono stati meno contagi rispetto ai giorni scorsi. Un dato non fa primavera. Spero che nella seconda settimana delle misure che sono state adottate ci sia una stabilizzazione della pressione.

Gli altri reparti?

Abbiamo altri 400 pazienti di coronavirus in altri settori in cui ci sono terapie intensive. Per questo l’impianto dell’ossigeno è andato in difficoltà. Oggi in mezza giornata abbiamo installato il nuovo serbatoio e il nuovo sistema di collegamento. Ma è una lotta contro il tempo per arrivare almeno due ore prima. E rischiamo di non reggere.

I dispositivi di protezione individuale ci sono?

Abbiamo ricevuto il necessario, ma abbiamo dovuto contingentarli. Per ora ce ne sono, ma ora abbiamo urgente bisogno di approvvigionamenti.

Oltre 2 mila medici e infermieri infetti: solo ieri, 313 in più

In ventiquattr’ore 313 infettati in più tra medici e infermieri. Domenica erano 2.026, ieri sono saliti a 2.339. Numeri ufficiali: arrivano dal bollettino giornaliero dell’Istituto superiore della sanità e riguardano tutto il Paese. Nel solo Piemonte, nel fine settimana, i medici contagiati sarebbero raddoppiati: da una cinquantina a circa cento. Fino ad arrivare al commissariamento dell’Asl Torino5 (Chieri, Carmagnola, Moncalieri e Nichelino), i cui vertici sono stati travolti dai contagi: tutti positivi al Covid-19, dal direttore generale in giù. Fino ad arrivare alla turnazione costante nei reparti rianimazione, “perché ogni volta si riscontrano positività, e allora scatta l’avvicendamento”, dice Chiara Rivetti, segretaria regionale dell’Anaao, il sindacato dei medici dirigenti. In Piemonte nel caos hanno cominciato a cadere anche le prime teste, come quella del coordinatore dell’unità di crisi, sostituito in corsa dal governatore Alberto Cirio.

Nel frattempo, mentre nelle varie Procure i sindacati dei medici ieri presentavano esposti per la violazione della legge 81 del 2008 sulla sicurezza sul lavoro (così in Emilia-Romagna, così in Calabria e nel Lazio che hanno seguito l’esempio dell’Anaao del Piemonte), partivano lettere di diffida come quella, intersindacale, arrivata in Veneto alle aziende sanitarie. Tutto per l’articolo 7 del decreto 14 del premier Conte, che ha cancellato la quarantena per il personale asintomatico entrato in contatto con un soggetto a rischio. E per quella mancanza di dispositivi di protezione individuale, a partire dalle mascherine Ffp2 e Ffp3, che sta mandando in tilt il sistema. “In Lombardia abbiamo due o tre giorni di autonomia, poi non ci saranno più i presidi necessari per assistere i pazienti”, dice Cristina Mascherini, presidente regionale di Aaroi Emac, l’associazione degli anestesisti e rianimatori, che si è appellata anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

I medici, gli infermieri, sono in rivolta. Anche perché se si vogliono spacchettare i dati aggregati sul numero degli operatori sanitari infettati, ci si ferma di fronte al silenzio. Le aziende sanitarie locali, le Regioni, denunciano gli operatori, non forniscono i numeri. “A oggi la Regione Emilia-Romagna non ha comunicato il numero dei medici contagiati posti in quarantena”, ha scritto ieri, all’assessore emiliano alla Salute Raffaele Donini, il presidente dell’ordine dei medici di Bologna Giancarlo Pizza. Lettera aspra, a nome di tutti gli Ordini della regione: “Il personale medico e sanitario sta dando una grande prova di professionalità, con spirito di abnegazione e sacrificio. Sacrificio che non deve però arrivare all’eroismo o peggio ancora al rischio per la propria integrità psico-fisica”. Ma il no delle Asl e delle Regioni a comunicare i dati sul personale contagiato – spesso viene eretto il muro della privacy – riguarda tutta l’Italia, non certo solo l’Emilia-Romagna. Adesso l’esercito si è detto pronto a mettere a disposizione le maschere che produce per trovarsi preparato in caso di attacchi batteriologici. Nome in codice: Anti Nbc-M90. “E anche se non sappiamo di cosa si tratta esattamente rispondiamo: magari – dice Giuseppina Onotri, segretario regionale dello Smi, sindacato medici italiani – Perché adesso tutti stiamo ricorrendo al fai-da-te. I colleghi, le mascherine se le fanno da soli, con la carta da forno o i lenzuolini verdi per le medicazioni”.

C’è poi sempre, drammatica, la questione dei tamponi. E se c’è una cosa che non va giù agli operatori sanitari, è che “personaggi pubblici e calciatori risultino positivi al Covid perché sottoposti a tamponi in assenza di sintomi”, mentre ai “medici e ai sanitari non vengono più fatti”. Tutto nero su bianco in una lettera al premier Giuseppe Conte, al ministro della Salute Roberto Speranza, al capo dipartimento della Protezione civile. Il governo, con il decreto Cura Italia, ha promesso cinquemila medici, diecimila infermieri. Ma per gli operatori non basteranno.

Altri 349 morti e meno casi. Oms e Veneto: più tamponi

Ancora 349 morti in un giorno, 202 in Lombardia. Sono 19 meno di domenica, per gli esperti è il risultato dei contagi rilevati tra l’8 e il 9 marzo e quindi ci saranno altri incrementi della mortalità. Intanto i decessi salgono a un totale di 2.145, solo la Cina ne ha avuti più dell’Italia, ma le modalità di registrazione sono diverse da Paese a Paese: qui conteggiamo tutti i morti che risultano affetti dal virus, le indagini sulle cause di morte le farà più avanti l’Istituto superiore di sanità (Iss) che nell’ultimo studio (13 marzo) fissa l’età media a 79,4 anni e indica almeno tre patologie concorrenti (le più di diffuse ipertensione, cardiopatia ischemica e diabete Mellito) per il 47 per cento di chi non ce l’ha fatta; la Germania, che ha 16 morti su oltre 6 mila casi, iscrive al Covid-19 solo coloro che non avevano altre malattie, che da noi secondo l’Iss sono l’1 per cento dei deceduti. Nel frattempo, sottolinea il ministro della Salute Roberto Speranza, “i più importanti Paesi europei stanno adottando le stesse misure che l’Italia ha già varato”.

I contagi rilevati nel nostro Paese sono arrivati a 27.980, cioè 3.233 in più in un giorno e quindi un po’ meno di sabato e domenica ma, come ha spiegato il direttore della Protezione civile Angelo Borrelli, mancano la Puglia e Trento. Al netto dei 2.145 morti e dei 2.749 guariti (+414 in un giorno) sono 23.073 i pazienti in carico al Servizio sanitario nazionale (e di questi 1.851 (+179 in un giorno, il 10,7%) sono in terapia intensiva, 823 solo in Lombardia dove sono aumentati di 56 unità. Sull’apparente calo dei contagi giornalieri Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore della sanità, non si è sbilanciato: “Va consolidato nel giro dei prossimi 1-2 giorni”. Se così fosse andrebbe meglio delle previsioni che davano il picco dei contagi giornalieri attorno a domani, poco sotto i 4.500, fermo restando che gli ospedali rimarrebbero in emergenza.

In Veneto, terza regione per numero di casi (2.473) dopo Lombardia (14.649) ed Emilia-Romagna (2.473), quarta per i morti (69 contro i 1.420 in Lombardia, 346 in Emilia-Romagna e 121 in Piemonte), il governatore Luca Zaia ha lanciato la campagna “11 mila tamponi al giorno”, partendo dagli operatori della sanità, dalle case di riposo e dai medici di famiglia e poi tutti coloro che hanno avuto contatti a rischio. “Più casi isoliamo – dice Zaia –, più sicurezza creiamo.” È già la regione che ne ha fatti di più in proporzione (35 mila contro i 43 mila in Lombardia, 13 mila in Emilia-Romagna) e grazie anche a una bassa densità abitativa e alle modeste dimensioni del primo focolaio a Vo’ Euganeo (Padova), tremila abitanti, sembra contenere il virus meglio che altrove. Dal monitoraggio fatto a Vo’ sappiamo ad esempio che gli asintomatici contagiosi sono tra il 50 e il 75 per cento – esclusi dai tamponi nel resto d’Italia, che si fanno solo con sintomi importanti e contatti certi – e dunque possono quadruplicare i casi. Così anche i tassi di mortalità diventano più ragionevoli. È la “sorveglianza attiva” che consente di intervenire rapidamente sui focolai, suggerita dal professor Andrea Crisanti dell’Azienda ospedaliera di Padova e dapprima osteggiata dagli stessi vertici della Sanità regionale. È la strada scelta in Corea del Sud, dove infatti i contagiati sono tanti e i morti pochi. Locatelli ha ribadito che la linea del governo sui tamponi non cambia. Però il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha insistito proprio su questo: “Abbiamo visto una rapida escalation nelle misure di distanziamento sociale. Non abbiamo visto una escalation sufficientemente urgente su test, isolamento e tracciamento dei contatti, spina dorsale della risposta alla Covid-19”.

Il Decretone. Maxi-testo sale a 25 miliardi. “Però è solo la prima diga”

Da solo, davanti a un microfono dentro Palazzo Chigi, il presidente dell’emergenza. Pochi cronisti in un mare di sedie vuote e lui, Giuseppe Conte, che nel primo pomeriggio annuncia la “prima risposta” ai morsi del virus, un decreto da 25 miliardi, cioè la cifra massima per lo scostamento di bilancio autorizzata dal Parlamento. Lo hanno chiamato dl “cura Italia”, ma non sarà un rimedio definitivo, non può esserlo di fronte all’epidemia che corre. “Questo decreto è una diga ma non basterà, ne siamo consapevoli”, ammette il premier.

In aprile ne arriverà un altro, spiegherà pochi minuti dopo il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, sedendosi al posto di Conte, perché il coronavirus ha travolto anche il consueto schema delle conferenza stampa. Così devono darsi il cambio al microfono Conte, Gualtieri e il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, per illustrare il decreto partorito con giorni di ritardo sulle previsioni. Troppi i conti da far tornare, economici e politici. Con Italia Viva e Cinque Stelle che avrebbero voluto più risorse per le partite Iva, un pallino di Matteo Renzi come per Luigi Di Maio. Ma al M5S non è piaciuto neppure che nel decreto siano piovuti soldi per Alitalia. Mentre la ministra all’Agricoltura, la renziana Teresa Bellanova, ha sgomitato “moltissimo” per il suo settore.

Ma poi c’è stato Conte a tirare una linea: “Questa è una manovra poderosa, attiviamo flussi economici per 350 miliardi”. Allarga il campo, il premier: “L’Italia è promotrice di un messaggio a tutte le istituzioni europee, la partita nella Ue va giocata con spirito di collaborazione e una strategia condivisa di solidarietà vera, effettiva: confidiamo che tutti gli altri Stati membri ci seguiranno”. Chiede una rotta comune e aiuti concreti, a quella Ue che solo ora sta mostrando attenzione. “Sono orgoglioso di guidare questa straordinaria comunità” assicura il premier, che ringrazia tutti per la collaborazione, “Regioni e opposizioni”. Vuole smussare le differenze, Conte. Sa che dovrà invocare unità anche sulle misure prossime venture. “Dovremo predisporre nuove misure per ricostruire un tessuto economico e sociale”, spiega. E Gualtieri conferma: “Siamo già al lavoro sul dl aprile”. Perché la guerra si combatte di mese in mese. Fuori, un mare di reazioni. Compresa quella di Matteo Renzi, tecnicamente alleato di governo: “Le misure di oggi sono un primo passo. Ma serve molto altro, a cominciare dallo sblocco dei cantieri con il Piano Choc”. E sono i suoi termini, choc, sblocco.

Le opposizioni, ringraziate da Conte, invece vanno oltre. “Basta rinvii, serve l’azzeramento delle tasse per alcune categorie” scandisce Matteo Salvini. “Il decreto è insufficiente, più che una cura è un cerotto” sibila Giorgia Meloni. Ergo, “va migliorato in Aula”. Come, nel Parlamento assediato dal virus, sarà da vedere.

 

 

Sanità
Privati e militari arruolati. La laurea abilita 10mila medici

Quasi 3 miliardi e mezzo alla Sanità e alla Protezione civile: il decreto interviene con forza, assicura gli straordinari al personale medico e infermieristico e obbliga le strutture private – anche quelle non accreditate – a mettere a disposizione personale, locali e attrezzature. I prefetti potranno requisire anche gli alberghi per ospitare persone da isolare e soprattutto si potranno requisire mascherine e respiratori su tutto il territorio. Per assicurarne la produzione, gli operai del settore non andranno in quarantena se – pur essendo stati in contatto con un positivo – non abbiano sintomi. Inoltre, sempre per le mascherine, decade l’obbligo del marchio CE durante tutta l’emergenza. Viene inoltre fortemente potenziata e coinvolta la sanità militare mentre la laurea in Medicina diventa abilitante, garantendo in questo modo immediatamente circa diecimila medici. Super semplificati, poi, gli iter per realizzare nuovi presidi medici.

 

Dipendenti e autonomi
Cig in deroga, bonus ai precari e no ai licenziamenti per 2 mesi

Previsto un nuovo trattamento di cassa integrazione ordinario in sostituzione dei precedenti ammortizzatori sociali in favore delle aziende che al 23 febbraio avevano un trattamento di integrazione salariale straordinario. Prevista una cassa di integrazione in deroga per le imprese escluse da tutte le altre disposizioni, a prescindere dal numero dei dipendenti. Possono chiederla anche gli enti religiosi civilmente riconosciuti mentre sono esclusi i datori di lavoro domestico. Per lavoratori autonomi con partita Iva oppure in collaborazione coordinata e continuativa e iscritti alla Gestione separata così come agli operai agricoli a tempo determinato e ai lavoratori dello spettacolo, è riconosciuta un’indennità una tantum pari a 600 euro. I termini di presentazione di Naspi e Dis.Coll. sono ampliati da 68 a 128 giorni. Per i prossimi due mesi le aziende non potranno licenziare sulla base del “giustificato motivo oggettivo” (sostanzialmente per i vari motivi economici).

 

I Mutui
Sospensione delle rate anche per le partite Iva senza l’Isee

Tra le misure a sostegno del credito è stata confermata la sospensione delle rate dei mutui sulla prima casa per chi è in difficoltà, grazie a un fondo di garanzia di 500 milioni. La possibilità è stata estesa anche agli autonomi senza necessità di presentare l’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). Tecnicamente, il decreto amplia le maglie al Fondo Gasparrini, gestito dalla Consap, che attualmente è riservato solo alle famiglie in difficoltà per la perdita del lavoro, non autosufficienti o in caso di morte consentendogli uno stop delle rate per massimo 18 mesi. Sul fronte di autonomi e liberi professionisti, invece, la sospensione sarà possibile per un periodo di 9 mesi nel caso in cui autocertifichino di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 un calo del fatturato superiore al 33% dell’ultimo trimestre 2019 a causa della chiusura o della restrizione della propria attività per l’emergenza coronavirus.

 

Scadenze fiscali
Stop a tasse e Iva, ma per i grandi contribuenti proroga di 5 giorni

Tutti gli adempimenti fiscali con scadenza tra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020 sono spostati al 31 maggio, quando si potrà pagare, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica rata o tramite rateizzazione fino a 5 rate mensili a partire da maggio. Sono sospesi, sempre fino al 31 maggio, anche i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria dovute dalle imprese. C’è, tuttavia, una enorme fetta di contribuenti esclusi dalla proroga: sono le imprese che fatturano oltre due milioni euro. Per loro ci sarà solo una mini proroga di 5 giorni: entro venerdì 20 dovranno pagare le tasse e i contributi scaduti ieri. Una decisione che non placa le polemiche di imprenditori, commercianti e commercialisti coinvolti, dal momento che in attesa del decreto, venerdì sera è stato il Mef a stabilire una proroga dei versamenti Iva in scadenza ieri. Ma in molti, senza entrate da settimane, avevano già pagato per timore di incorrere in sanzioni.

 

Commercianti
Credito d’imposta per gli affitti delle botteghe e dei negozi

Atutti i soggetti esercenti attività d’impresa il decreto “Cura Italia” riconosce un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, ma la misura è stata introdotta solo per il mese di marzo 2020 e riguarda tutti gli immobili che rientrano nella categoria catastale C/1, vale a dire i negozi e le botteghe.
Allo scopo di incentivare la sanificazione degli ambienti di lavoro, quale misura di contenimento del contagio del coronavirus, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione è riconosciuto, per il periodo d’imposta 2020, un credito d’imposta nella misura del 50 per cento delle spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro fino a un massimo di 20.000 euro.
Il credito d’imposta è riconosciuto fino all’esaurimento dell’importo massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2020.

 

Famiglie e congedi
Indennità al 50% per figli fino a 12 anni o bonus baby sitter

Adecorrere dal 5 marzo 2020, i genitori lavoratori dipendenti del settore pubblico o privato accreditato hanno diritto a fruire di un congedo dal lavoro indennizzato. A decorrere dal 5 marzo e per un periodo continuativo comunque non superiore a 15 giorni, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato hanno diritto a fruire per i figli di età non superiore ai 12 anni, di uno specifico congedo, per il quale è riconosciuta una indennità pari al 50 per cento della retribuzione. La fruizione del congedo di cui al presente articolo è riconosciuta alternativamente a entrambi i genitori, per un totale complessivo di 15 giorni. In alternativa, è prevista la corresponsione di un bonus per l’acquisto di servizi di baby sitting nel limite massimo complessivo di 600 euro, da utilizzare per prestazioni effettuate. Il numero di giorni di permesso mensile retribuito è incrementato di ulteriori complessive dodici giornate per ciascuno dei mesi di marzo e aprile 2020.

 

Giustizia
Le udienze slittano al 22 marzo Fondi alle carceri dopo le rivolte

Anche la giustizia trova spazio nel decreto, visto che si tratta di un qualcosa legato a doppio filo con l’economia. Nel dettaglio, sono prorogate fino al 15 aprile 2020 le misure già adottate di rinvio delle udienze civili, penali e amministrative, con le relative sospensioni dei termini già adottate precedentemente fino al 22 marzo 2020.
Il decreto si occupa anche degli istituti penitenziari, cercando di assicurare il pieno ripristino delle loro funzionalità. Il provvedimento è stato infatti necessario dopo che la scorsa settimana in 27 carceri è scoppiata la rivolta che ha portato all’evasione e alla morte di decine di detenuti in protesta contro le restrizioni ai colloqui con i parenti imposte per l’emergenza coronavirus.
Nel decreto viene quindi spiegato che verrà ripristinata la funzionalità degli istituti penitenziari danneggiati in conseguenza dei gravi disordini avvenuti.

 

Piccole e medie imprese
Sostegno del 33% ai prestiti e liquidità garantita da Cdp

Piccole e medie imprese potranno avvalersi di misure di sostegno finanziario dello Stato, fino al 33 per cento dei prestiti erogati per anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio; per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza è sospeso sino al 30 settembre 2020 e il piano di rimborso delle rate è dilazionato senza nuovi o maggiori oneri. Per nove mesi dal provvedimento, lo Stato fornisce una garanzia per prestiti fino a 5 milioni di euro volta a investimenti e ristrutturazioni di situazioni debitorie. In favore delle imprese che hanno sofferto una riduzione del fatturato, Cassa Depositi e Prestiti è autorizzata a concedere liquidità, anche nella forma di garanzie di prima perdita su portafogli di finanziamenti. La garanzia dello Stato è rilasciata in favore di Cassa Depositi e Prestiti fino a un massimo dell’80 per cento dell’esposizione assunta.

 

Scuola e università
Per gli atenei in arrivo 50 milioni Pc per gli alunni meno abbienti

Con il decreto viene stanziato un fondo di 50 milioni di euro per Università, Enti di ricerca e Istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale, prevedendo massima flessibilità per la restituzione dei fondi agevolati concessi. Anche sul fronte scuole sono in arrivo dei finanziamenti: 85 milioni per sostenere gli istituti e gli studenti alle prese con le lezioni online finché le scuole resteranno chiuse. Si danno 10 milioni alle scuole per dotarsi immediatamente di piattaforme e strumenti per le lezioni digitali, 70 milioni vanno invece per dare, in comodato d’uso, pc, dispositivi digitali e connessioni agli studenti meno abbienti e 5 milioni per formare i docenti alla didattica a distanza. Sono previste ulteriori misure per il lavoro agile nella Pa che consentiranno ai dirigenti scolastici di organizzare le attività da remoto e lasciare le scuole aperte solo per le attività indifferibili.

 

Alitalia
Salvata (di nuovo) la compagnia Si va verso la nazionalizzazione

Rientra in extremis un articolo per il trasporto aereo che di fatto nazionalizza Alitalia, prevedendo misure di compensazione dei danni subiti per il coronavirus e l’istituzione di un fondo con una dotazione di 600 milioni per il 2020 per tutto il settore. Soldi che saranno destinati in parte anche all’ex compagnia di bandiera per cui viene autorizzata la costituzione di una nuova società interamente controllata dal Tesoro o da una società a prevalente partecipazione pubblica, anche indiretta. Di fatto un ritorno di Alitalia nelle mani dello Stato, dopo diversi fallimentari tentativi di privatizzazione e quasi tre anni di amministrazione straordinaria durante i quali le casse pubbliche hanno già iniettato nella compagnia prestiti ponte per 1,3 miliardi di euro. Nel frattempo non salta la procedura di vendita avviata dal commissario Giuseppe Leogrande.

 

a cura di Salvatore Cannavò e Patrizia De Rubertis

Se telefonando

Pronto, numero verde? Sono un professore di matematica in pensione e passo il tempo a leggere i numeri e a confrontarli con quelli di giornali e telegiornali. Tutti dicono che abbiamo un terzo dei morti per coronavirus del mondo, secondi solo alla Cina, ma ancora per poco. Per carità, può darsi che il Covid-19 italiano sia più efficiente dei suoi colleghi del resto d’Europa. Ma vi pare possibile che domenica avessimo 1.809 morti su 20.603 positivi e la Germania 13 su 5.072, il Regno Unito 21 su 1.140, la Francia 120 su 5400 e la Spagna 288 su 7.753? Siamo noi che esageriamo o gli altri che ci prendono per il culo o entrambe le cose insieme?

Pronto, numero verde? Sono un impresario di pompe funebri, momentaneamente chiuso fino a nuovo ordine per divieto di funerali. Il nostro settore è sempre stato fiorentissimo, visto che in tempi normali muoiono in media 1500 persone al giorno, per le più diverse patologie, spesso concomitanti e non sempre terrificanti (8mila morti l’anno con l’influenza, 14 mila con la polmonite ecc.). Ora pare che nessuno possa più permettersi un infartino, un cancretto, una polmonituccia, un incidentello stradale, cose così, e si muoia solo per coronavirus. Mi sapete dire, per favore, il totale di quanta gente muore in questi giorni?

Pronto, numero verde? Sono medico rianimatore e non ho né il tempo né i mezzi per lanciare un messaggio alla nazione. L’emergenza è sotto gli occhi di tutti, ma non perché il coronavirus faccia più positivi e più morti dell’influenza stagionale, anzi ne fa molti meno (ogni anno abbiamo 6 milioni di malati e 8-10 mila morti con l’influenza), quasi tutti fra persone che sarebbero positive o morte con l’influenza se non si fossero prese prima il coronavirus. L’emergenza deriva dal sovraccarico degli ospedali, perché il contagio da virus è più rapido e diffuso, cioè colpisce più persone insieme; e chi finisce in rianimazione per influenza di solito ci resta tre giorni prima di guarire o di morire e poi libera il posto, mentre chi ci finisce per coronavirus ci resta almeno tre settimane prima di guarire o di morire.

Pronto, numero verde? Finora mi sono sempre informato su Libero senza mai dubitare dell’autorevolezza delle sue firme. Nemmeno quando Feltri asserì che Berlusconi era “impotente per assenza di prostata” dunque non poteva andare a letto con la nipote di Mubarak, e subito dopo che quel mandrillo ne castigava “14 alla settimana”. Ultimamente però, dinanzi a titoli lievemente contraddittori come “Prove tecniche di strage” e “Virus, ora si esagera”, ho iniziato a vacillare.

E ieri ho rischiato la labirintite quando, sulla stessa prima pagina dello stesso quotidiano, ho letto i seguenti tre titoli: “Viva Sgarbi. Rispettate chi non teme il contagio”. “Noi stiamo a casa, ci vada pure Conte. Premier non all’altezza, governo nefasto”. “Protezione incivile. Borrelli non è in grado di gestire l’emergenza”. Ho provato a unire i puntini, ma ne è uscito uno sgorbio. Poi, sulla stessa prima pagina dello stesso giornale, mi sono imbattuto in un quarto titolo: “Ecco come funziona il cervello dei cretini. Così si riconosce subito un idiota”. E, all’improvviso, ho visto la luce.
Pronto, numero verde? Sono un milanese onesto, mi spacco la schiena a lavorare, rispetto le leggi e pago le tasse. Ora, dico io, eravamo miracolosamente sopravvissuti a 20 anni di Formigoni e ci siamo beccati Fontana. Ce la stavamo mettendo tutta per scampare al Covid-19 e ci becchiamo Bertolaso, forse perché, oltre alle mascherine, sono finite pure le cavallette. Vi prego, ditemi che è un film da un romanzo di Stephen King.
Pronto, numero verde? Sono un cittadino modello che passa le giornate in casa davanti alla tv. Ora, passi per gli arresti domiciliari. Ma la pena accessoria di vedere Capezzone, Meluzzi e Panzironi che discettano di virologia è facoltativa, o la prescrive qualche decreto?
Pronto, numero verde? Sono un bastardino qualunque. Vi prego, salvatemi! Vivo con una famiglia di nove persone: due genitori, tre nonni e quattro bambini, che mi usano a turno come scusa per andare a spasso. Un incubo: non faccio in tempo a tornare che già mi tocca riuscire: 18 volte al giorno, due per ciascuno. Le gambe non me le sento più, in compenso sto mettendo su dei muscoli da decatleta. E siccome quei dementi temono che raccolga gli sputacchi infetti dall’asfalto, ogni volta che rincasiamo mi fanno il bagno, lo shampoo e i gargarismi con la candeggina (l’amuchina è finita da mo’). Quindi ho la lingua in fiamme e la frezza bianca tipo Cristiano Malgioglio e Paola Marella. Ma il guaio è un altro: siccome i padroni non vogliono guai con la polizia, mi costringono a bere ettolitri di acqua con l’imbuto, così appena esco piscio a comando ed evitano la multa. Così ho una vescica a fisarmonica e una prostata a mongolfiera. È sicuro che ’sto coronavirus possiamo beccarcelo pure noi cani, visto che lecchiamo più di Vespa? No, perché io quasi quasi preferirei.
Pronto, numero verde? Abito a Roma, in via del Tritone, e domenica mattina, mentre prendevo una boccata d’aria sul balcone, mi è passato sotto un tizio barbuto e panzuto che passeggiava mano nella mano con la ragazza. Pareva proprio quello della Lega, come si chiama, ma sì quello che chiedeva di aprire tutto e ora strilla di chiudere tutto. Gli ho urlato: “Ehi, Matteo, che ci fai a passeggio senza mascherina né distanza di sicurezza?”. Mi ha risposto la ragazza: “Tranquillo, signore, ho l’autocertificazione: sto portando a spasso la Bestia”.
Ps. Le telefonate fin qui trascritte sono frutto della fantasia malata dell’autore: lo sanno tutti che il numero verde di emergenza è sempre occupato.

Stop Ferrari Piaggio, Fca: ma è solo l’antipasto

Proprio come il resto d’Italia, anche auto e moto sono esposte alle intemperie della pandemia. La produzione va avanti a singhiozzo. Gli impianti di Fca sono rimasti chiusi diversi giorni la scorsa settimana per la sanificazione: Melfi e Pomigliano prolungheranno la serrata fino al 18 marzo. Il numero uno Fca Mike Manley ha spiegato che “stiamo modificando i nostri processi in diversi impianti per aumentare la distanza tra i dipendenti nelle postazioni di lavoro, intensificare l’igienizzazione e la disponibilità di mascherine ove ritenuto necessario”. Anche gli stabilimenti e gli uffici Piaggio sono rimasti chiusi da venerdì e per tutto il week end, per implementare misure di sicurezza. Per quanto riguarda la Ferrari, a Maranello è stato deciso di fermare la produzione fino al 27 marzo a partire da oggi, mentre il resto dei dipendenti già lavora da remoto. Drastiche anche le misure in Lamborghini: la fabbrica di Sant’Agata Bolognese rimarrà chiusa fino al 25 marzo. Gli effetti sul mercato, nondimeno, ancora non si sono visti. Perché quel -7,3% del primo bimestre 2020 non è indicativo: le auto consegnate fino a febbraio erano state ordinate nei mesi precedenti, quando ancora la pandemia non era scoppiata e i provvedimenti restrittivi non esistevano. La vera batosta arriverà coi numeri di fine mese: rispetto alle circa 195 mila immatricolazioni di fine marzo 2019, le prime stime parlano di un numero compreso tra le 60 e le 70 mila. Un crollo, forse non l’unico, che a fine anno contribuirà ad un rosso consistente.

Noleggi: “Disdette le prenotazioni fino a giugno”

Il Coronavirus, oltre alle vendite dell’auto, sta mettendo in ginocchio anche i noleggi a breve termine. In Italia, le misure restrittive per contrastare l’epidemia, che di fatto hanno svuotato stazioni, aeroporti e centri nevralgici delle città, hanno provocato il blocco quasi totale delle attività di short term rent, diminuite del 90%. “Il settore è oggi sull’orlo del precipizio, sta vivendo una crisi senza precedenti, neanche eventi drammatici come l’11 settembre avevano determinato effetti così nefasti. Abbiamo ricevuto disdette di quasi tutte le prenotazioni di noleggi da qui a giugno”, spiega il presidente di Aniasa Massimiliano Archiapatti. Un settore che gestisce la mobilità di oltre 1 milione e 200 mila veicoli e dà lavoro a 20 mila persone immatricolando ogni anni 461.000 veicoli, ovvero circa un quarto del mercato totale italiano; e che sta già pagando un prezzo pesante. Le ripercussioni cominciano ad arrivare anche sul noleggio al lungo termine, che conta un milione di auto in circolazione nel nostro Paese: le aziende del settore infatti stanno bloccando gli ordini di nuovi veicoli ai costruttori, preferendo prolungare i contratti già esistenti con i propri clienti. Non va meglio, infine, al car sharing: la mobilità condivisa nelle nostre città ha sperimentato una contrazione dei noleggi del 60%, destinata probabilmente a peggiorare ancora. Nelle misure a sostegno degli operatori economici colpiti dall’epidemia, che il Governo sta mettendo a punto, bisognerà ricordarsi anche di questo settore.

Cina, ritorno al 2005 Tra ripartenze e crisi nera

Uno scioccante -79%, ovvero mai così male da 15 anni a questa parte: è il bilancio del mercato dell’auto cinese nel mese di febbraio, che chiude ad appena 310mila immatricolazioni. Il colpevole della catastrofe è sempre lui, il nemico invisibile partito da Wuhan e, forse troppo tardivamente, classificato come pandemia.

“Le vendite di auto in Cina a febbraio sono tornate su livelli mai visti dal 2005”, ha chiarito Chen Shihua, vice segretario della Caam (China Association of Automobile Manufacturers): “La domanda è stata seriamente repressa, ciò avrà un impatto significativo sul mercato automobilistico nella prima metà dell’anno”, inevitabilmente compromessa dal primo bimestre, chiuso a -42%.

Previsioni per il 2020? In flessione tra il 3% e il 5%. Secondo un sondaggio dell’associazione, le attività sono riprese in oltre il 90% delle fabbriche automobilistiche locali e i volumi produttivi sono arrivati al 40%: prova ne è che costruttori come Honda hanno già riattivato i propri stabilimenti e Nissan e gruppo PSA si preparano a fare altrettanto. Riaperti pure i concessionari, anche se l’affluenza della clientela rimane bassa. Un’istantanea che rappresenta ciò che potrebbe avvenire nelle piazze occidentali, con effetti più e meno amplificati. C’è apprensione anche a Detroit, cuore dell’industria automobilistica statunitense: la città, la più importante del Michigan, da sola rappresenta il 4,3% del Pil manifatturiero degli Usa.

“Tutti saranno colpiti ma non sappiamo in che misura avverrà e quanto sarà possibile mitigarne gli effetti, come abbiamo visto invece negli ultimi mesi”, ha ammonito Kristin Dziczek, vicepresidente per industria, lavoro ed economia presso il Center for Automotive Research. Una crisi che, al netto delle interruzioni dei rifornimenti di componentistica di origine americana e cinese, potrebbe acuirsi con il passaggio da un calo dell’offerta a uno della domanda.

Un rischio che potrebbe avere conseguenze economiche ben più ampie. “Le nuove auto sono sempre un acquisto discrezionale – ha precisato Dziczek – che la maggior parte delle persone può rimandare se si sente incerta sull’economia, sul reddito e sulla salute”.

Per gli Usa, Morgan Stanley si attende un calo del 9%, con vendite che potrebbero passare dai 17,1 milioni di veicoli del 2019 a 15,5 milioni di unità del 2020. Gli analisti della società di ricerca Lmc Automotive, intanto, hanno tagliato del 4% le previsioni mondiali sulle immatricolazioni di veicoli leggeri nel 2020: il computo passerebbero dai 90,3 milioni del 2019 a 86,6 milioni di pezzi. Più ottimista Moody’s, che pronostica una flessione globale del 2,5%.

Favole al telefono: cantastorie digitali per bimbi a casa

Mica facile la vita delle famiglie ai tempi del Coronavirus, costrette a una claustrofobica convivenza forzata che provoca tensioni e tristezze. E a rimetterci sono quasi sempre loro, i bambini. Ma è proprio ai più piccoli che si rivolgono alcune iniziative, nate in queste settimane, che mettono al centro qualcosa di antichissimo, ma sempre valido, ai tempi di youtube: la fiaba. Se manca l’asilo che spesso le racconta – magari al posto di genitori a cui nessuno ha insegnato come si fa –, se chiude la pure la biblioteca di quartiere ecco che la storia arriva al telefono, proprio come accadeva nel celebre libro di Rodari, in cui il ragionier Bianchi chiamava la figlia tutte le sere, al telefono fisso, per raccontarle una favola.

La Onlus Damatrà di Udine, ad esempio, ha istruito decine di volontari per narrare una favola al telefono ai bambini di qualsiasi parte d’Italia (basta prenotarla al numero 347-4492414, orari di ufficio, l’iniziativa è per ora attiva fino al 21 marzo). Un’idea simile l’ha avuta anche il laboratorio teatrale L’Arcolaio, delle attrici Aurelia Cipollini e Marzia Quartini. “Vorremmo saltare da una città all’altra e spalancare le finestre con le nostre storie, che ci uniscono e ci fanno sentire un po’ più vicini e un po’ meno soli”, hanno scritto sulla loro pagina Facebook. Come funziona “Fiabe al telefono”? Si può chiamare dal martedì al giovedì al 349-1884928 e si riceve una favola dai 3 ai 6 minuti. Sempre dal teatro, i Magazzini del Sale di Messina, arriva un’altra trasformazione delle storie sul palco in videochiamate da favola. “Racconto le favole classiche, ma su richiesta qualunque altra, sono una specie di jukebox umano”, dice la codirettrice artistica del teatro Mariapia Rizzo, che si può contattare dalla sua pagina Facebook.

Anche la libraia Fabiola Argenta, abituata com’è, con la sua libreria itinerante Fabiolandia, a portare i libri direttamente nelle case di Varese e dintorni, ha pensato subito proporre filastrocche, brevi racconti o assaggi di lettura ai bambini, al telefono (contattare il 335-6869589). “Con la mia iniziativa in realtà vorrei invitare anche i singoli bambini a chiamare ciascuno un proprio compagno, per raccontargli una storia, magari inventandola da zero”, spiega. Pure nelle scuole si moltiplicano le iniziative di favole lette dagli insegnanti: alla “Donna Lelia Caetani”, in provincia di Latina, due maestri allestiscono video con fiabe note. Lo stesso accade a Biella, nella scuola dell’infanzia “Villaggio Sportivo”: due maestre raccontano in diretta Facebook due favole al giorno. E sempre due volte al giorno, anche le educatrici della cooperative emiliana Euroka pubblicano sul gruppo “Favole al telefono” fiabe lette dalle insegnanti.

Infine anche l’associazione “Samarate Loves Book” pubblica la mattina un video con la lettura di un libro per piccoli e nel pomeriggio un capitolo di libri per bambini più grandi. Insomma, più che favole al telefono, favole allo smartphone. Ma è probabile che Rodari, visti i tempi, approverebbe.

Disabili e pazienti psichiatrici: i più penalizzati dall’epidemia

I disabili, i pazienti psichiatrici, le persone che già vivono in condizioni di fragilità rischiano di essere i più colpiti dall’emergenza legata al diffondersi del Coronavirus. E, di conseguenza, anche tutti i professionisti che si prendono cura di quelle persone. Un lavoro che potrebbe rendersi molto più stressante, in alcuni casi, o quasi impossibile in altri. Per definizione, si svolge a stretto contatto, quindi non può azzerare i rischi sia per gli assistiti sia per gli operatori. Ecco perché a uscirne molto penalizzati saranno tutti: i primi si vedranno ridotte le prestazioni a loro favore e i già risicati spazi di svago; i secondi saranno chiamati a sforzi maggiori e per i più precari si apriranno crisi di lavoro.

Con le scuole chiuse, è molto più difficile organizzare la didattica a distanza a favore dei disabili, soprattutto nelle famiglie meno agiate. Il governo ha previsto che durante questo periodo “gli enti locali possono fornire, tenuto conto del personale disponibile, l’assistenza agli alunni con disabilità mediante erogazioni di prestazioni individuali domiciliari”. La Federazione italiana rete e sostegno alle persone con disabilità (First) ha fatto notare che, così facendo, mentre a tutti è ordinato di restare a casa, “gli assistenti dovrebbero andare a domicilio degli alunni, con tutti i rischi annessi”. L’associazione ha quindi suggerito di attuare la didattica a distanza online anche per loro, quando è possibile, e di coprire con ammortizzatori sociali tutti quelli costretti a un riposo forzato da cause di forza maggiore.

Ma il problema non è solo quello dei contatti. A Roma, in zona Monteverde, c’è una comunità che ospita, per 24 ore al giorno, una ventina di adolescenti con problemi psichiatrici. Per il momento, la situazione sembra sotto controllo, ma gli operatori sono preoccupati per le prossime settimane. “La principale difficoltà riguarda i permessi di uscita esterni”, fa notare uno di loro. Già sono contingentati in condizioni di normalità, ora sono proibiti come per tutta la popolazione. “A loro, in genere, ogni settimana è concesso andare fuori per un paio d’ore – aggiunge – ora nemmeno questo. Finora i ragazzi sono stati molto ricettivi, hanno accettato le nuove disposizioni quando le abbiamo comunicate e si è creata solidarietà. È chiaro che durante i turni si verificano dei picchi d’ansia per i quali è necessario l’intervento dei riabilitatori”.

Poi il dubbio riguarda che cosa potrebbe accadere in caso di piccole crisi, per esempio la necessità di accompagnare qualcuno al pronto soccorso, in seguito a eventuali aggressioni o atti di autolesionismo: che cosa potrebbe comportare in una situazione come questa, con gli ospedali sotto stress? “Il nostro sforzo – conclude il riabilitatore – è quella di evitare questi episodi, e i ragazzi ci stanno aiutando. Ma ci chiediamo a chi verrebbe data la precedenza se per esempio in quel momento arrivassero nei nosocomi persone con sintomi riconducibili al Coronavirus”.