Delitto Kuciak, il mandante e la rete delle toghe sporche

“Un’altra accusa sulle spalle di Kocner” è il titolo che svetta in apertura sulla rivista slovacca. È Aktuality, il giornale di Jan Kuciak, giornalista investigativo ucciso assieme alla sua fidanzata Martina Kusnirova il 21 febbraio 2018, riportando la notizia degli arresti dei responsabili della morte del suo giovane reporter.

Gli uomini in passamontagna della Naka, agenzia nazionale anti-crimine slovacca, hanno effettuato 18 arresti “eccellenti” mentre l’operazione veniva ripresa dalle telecamere delle televisioni e le scene mandate in onda in ogni telegiornale.

Operazione tempesta: dopo indagini coraggiose, “per corruzione aggravata, ostruzione e interferenza alle indagini della giustizia, legami con organizzazioni criminali” – si legge nei mandati d’arresto –, i corpi d’élite della sicurezza di Bratislava, dall’alba al tramonto di mercoledì scorso, hanno fatto irruzione nelle abitazioni di politici, magistrati ed imprenditori. Una ragnatela formata da giudici, criminali, politici corrotti di Bratislava. Oligarchi in toga e convergenze. Nelle prigioni dove prima relegavano gli altri con le loro sentenze ci sono adesso il presidente ad interim della Corte Suprema e 13 giudici legati al tycoon Marian Kocner, prima amico discreto, poi in modo plateale dell’ex premier Robert Fico, costretto alle dimissioni per la pressione della piazza e lo sdegno delle manifestazioni che si succedevano di giorno in giorno dopo l’omicidio del giornalista.

“Fai quello che devi o ti aspetta il destino di Kuciak”. È la frase intercettata al telefono dagli investigatori e pronunciata dal magnate per minacciare di morte Monika Jankovska, ex sottosegretaria alla Giustizia, finita in cella. L’ha pronunciata l’oligarca, mente e mandante responsabile dell’assassinio di Kuciak e della sua fidanzata, che rischia 25 anni di carcere, da aggiungere ai 19 già ricevuti dopo un processo dello scorso febbraio per altri reati di frode e crimine.

Con gli occhi piccoli e neri, 56 anni, le rughe sulla fronte, Kocner rimane sotto processo assieme ai killer che ha ingaggiato, tramite una sua persona di fiducia, per commettere il delitto. A premere il grilletto è stato Miroslav Marcek, che ha ammesso il suo ruolo di semplice esecutore nel crimine, ma a dare l’ordine di fuoco è stato il tycoon, ha riferito Zoltan Andrusko, intermediario dell’operazione. Il collaboratore ha ricevuto una condanna a 15 anni da scontare in cambio della sua confessione. Da un lato corruzione vile, mediocre e letale, dall’altro una nuova forma di socialismo dalle radici identitarie che ora si può vantare della sua prima vittoria non solo politica. Si tratta del partito di centrodestra Olano, “Unione gente comune e persone indipendenti”, scelto dagli slovacchi alle elezioni dello scorso febbraio per cambiare pagina. La promessa di repulisti con cui ha trionfato alle urne Olano è stata mantenuta e rivendicata con sorrisi e dichiarazioni alle conferenze stampa.

Alla testa di Olano troneggia Igor Matovic, 46 anni, che riesce a governare abbracciando in una sola coalizione partiti che prima stagnavano all’opposizione: il partito Sme, Sad, libertà e solidarietà, e Za ludi, “Per le persone”. Dal 2018 molte volte le strade slovacche sono state battute da marce di protesta e omaggi alla memoria di cittadini comuni che portavano il volto di Kuciak tra le mani come icona laica per il rinnovamento del paese. Queste manifestazioni della società civile, le più partecipate del Paese dalle marce per la libertà del sovietico 1989, non potranno tenersi nelle prossime settimane a causa delle misure obbligatorie varate dal governo contro il contagio del Covid-19; ma la felicità per il risultato delle indagini si è diffusa sui social network slavi che hanno ancora volta ricordato un giornalista coraggioso.

“Tutti ineleggibili”. I giudici decapitano i legali del “Dubbio”

Se non è un terremoto poco ci manca: il Tribunale di Roma ha congelato i vertici del Consiglio nazionale forense in attesa che, il prossimo 15 aprile, venga stabilito una volta per tutte se è stata legittima l’elezione di alcuni componenti del massimo organo di rappresentanza degli avvocati. A partire dal suo presidente Andrea Mascherin, che si era ricandidato nonostante il divieto di più di due mandati consecutivi previsto dalla legge professionale del 2012. Intanto l’altro giorno, in sede cautelare, è stata riconosciuta l’urgenza che le funzioni del Cnf, che ha poteri disciplinari nei confronti degli iscritti oltre che rappresentative e organizzative, siano svolte da un organo regolarmente costituito: cosa fortemente messa in discussione dall’elezione di ben nove consiglieri in barba alla regole. Ma c’è di più, perché chi si è rivolto alla magistratura per ottenere giustizia, ne ha fatto anche una questione patrimoniale: nel mirino infatti sono finiti anche gli emolumenti dei consiglieri in odore di illegittimità, come pure la decisione del Consiglio di cui fanno parte, di finanziare con i soldi degli avvocati italiani il quotidiano Il Dubbio.

La guerra sui soldi. Il regolamento del Consiglio nazionale forense attribuisce infatti rimborsi per vitto, trasporti e pernotto a 4 o 5 stelle oltre che gettoni di presenza di tutto rispetto per le cariche apicali: stando alle previsioni dell’ultimo bilancio le uscite per gli organi dell’ente ammontano a circa 2,3 milioni di euro all’anno. Ma poi l’attuale gestione sempre, secondo le toghe che hanno fatto ricorso, “si sarebbe impegnata in un’improvvida iniziativa editoriale, i cui costi economici sono stati di fatto sostenuti con i contributi versati dai singoli avvocati iscritti agli Ordini territoriali”. Un’attività in perdita che dovrebbe essere stoppata prima che il buco si allarghi. E invece continua a essere foraggiata dal Consiglio attraverso la Fondazione dell’Avvocatura presieduta dallo stesso Mascherin, con risorse indispensabili per tenere in vita il giornale oggi diretto da Carlo Fusi dopo che Piero Sansonetti (che ora allieta i lettori del Riformista), è stato messo alla porta.

Insomma attorno alla decisione che verrà assunta nelle prossime settimane c’è in discussione l’intera gestione del Consiglio nazionale forense che rappresenta un esercito di oltre 240mila iscritti che ha un peso specifico che vale molto di più dei 18 milioni che amministra a bilancio. E certamente superiore ai gettoni e alle spese che fin qui sono stati distribuiti ai vertici, che comunque a restituirli non ci pensano proprio, pure nel caso in cui fosse riconosciuta l’illegittimità della loro elezione. Ma è un’eventualità che Mascherin e i suoi evidentemente non prendono neppure in considerazione perché né la Corte costituzionale né la Cassazione li ha convinti ad arrendersi alla legge del 2012 che, per garantire il principio di alternanza nelle cariche elettive, ha previsto il limite dei due mandati nel Cnf che vale pure per i componenti del Consiglio dell’ordine eletti (Coa) nei distretti nei quali il numero degli iscritti agli albi è inferiore a diecimila. Un’alternanza funzionale, secondo le Sezioni Unite, “all’esigenza di assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti e a garantire la par condicio tra i candidati, suscettibile di essere alterata da rendite di posizione, nonché di evitare fenomeni di sclerotizzazione potenzialmente nocivi per un corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza degli interessi degli iscritti e di vigilanza sul rispetto da parte degli stessi delle norme che disciplinano l’esercizio della professione, nonché sull’osservanza delle regole deontologiche”.

Ma chi sono i nove consiglieri che nonostante la legge in questione si sono ricandidati nel 2019 e che ora sono finiti in congelatore? Il record per il Consiglio nazionale forense va al suo presidente Andrea Mascherin (eletto per il distretto di Trieste) e Antonio Baffa (Catanzaro), entrambi in sella per tre mandati dal 2007 al 2018, seguiti da Andrea Pasqualin, (Venezia) e Giuseppe Picchioni, (eletto a Bologna), che vi siedono da “soli” 10 anni . Il divieto di appartenenza per più di due volte consecutive al medesimo Coa, da parte di un componente del Cnf eletto in distretto con meno di diecimila iscritti, ha determinato la sospensione della proclamazione pure di Maurizio Magnano di San Lio, Stefano Savi, Giovanni Arena, Carlo Orlando e Salvatore Sica tutti già eletti dal 2007 al 2018.

La democrazia in stato di emergenza (vista dal divano)

Estiamo qui, chiusi: la finestra, il tavolo, il portatile, il telefono, il balcone, il bagno, il divano, la tv, il letto, la noia. Si esce a proprio rischio e pericolo, tanto sanitario quanto penale. La qualità della nostra relazione col mondo dipende oggi dalla bontà del nostro provider internet, del nostro operatore telefonico, del poliziotto/soldato che pattuglia le strade: isolati e affidati al buon funzionamento di un’organizzazione che non conosciamo. Chi due o tre settimane fa avrebbe pensato che le nostre libertà (anche costituzionali) fossero così fragili? Attenzione, qui non si mette in discussione la buona fede o la fondatezza, tanto di merito quanto giuridica, dei provvedimenti presi, eppure questo asettico stato di emergenza ci spinge in un territorio sconosciuto: le decisioni che possono essere prese con semplici Dpcm, cioè a Palazzo Chigi, o con ordinanze di Protezione civile o regionali sono enormi; quel che non può essere vestito in modo così casual, viene rivestito della più strutturata stoffa di un decreto e inviato a un Parlamento a scartamento ridotto, nella sostanziale impossibilità di controllare ed emendare, pressato dall’emergenza e da un’opinione pubblica la cui paura, scomparsi i corpi intermedi e le piazze fisiche, è mediata solo dagli schermi dei computer o delle tv. Il virus fa paura, è ovvio, la fragilità del carnevale delle libertà (formali) e dei diritti (di carta) anche di più: lo stato d’eccezione, e lo scriviamo a tutti e a nessuno, va maneggiato con cura per impedirgli, di emergenza in emergenza, di confermarsi come regola.

Rocco Papaleo: “Per ridere soli, l’unico è sempre Carlo Verdone”

Spiazzato, Rocco Papaleo: “In realtà cerco io i consigli su come stare a casa”.

Cosa non deve mancare mai?

Acqua e cibo. Infatti esco solo per la spesa, altrimenti non mi muovo.

Proviamo con i consigli: serie tv.

Subito The Spy: è bellissima, interessante e soprattutto con Sacha Baron Cohen inedito; tutti se lo ricordano solo per Borat, mentre dimostra delle doti attoriali importanti. Magari c’è speranza pure per noi comici di venir presi sul serio.

Film.

E qui devo contestualizzare.

Eccoci…

Il 26 febbraio dovevamo uscire con l’ultimo di Carlo Verdone (Si vive una volta sola), poi tutto si è fermato…

Quindi?

Carlo è l’unico in grado di farmi ridere anche da solo.

Tradotto?

Io sono per la risata in compagnia, quella contagiosa, per questo quando sono in solitaria non cado mai in crisi di allegria.

Ma con Verdone…

Urlo, salto sul letto. Così oggi ho rivisto Grande Grosso e Verdone (e inizia a citare a memoria i passaggi più esilaranti).

Libro.

Nel mare c’è la sete di Erica Mou. Lei è un’amica. Anzi, è un idolo. Per il mio secondo film (Una piccola impresa meridionale) le ho pure rubato una canzone, e nel suo romanzo ho ritrovato la poetica dei suoi brani.

Disco.

Sono andato a vedere Moni Ovadia, e una volta uscito ho comprato il disco con le musiche yiddish.

Ultimo consiglio: sito porno.

Ecco, proprio qui avrei bisogno di qualche dritta, sono rimasto indietro a quelli classici. Possiamo lanciare una campagna sul Fatto così qualcuno mi indica le novità?

 

L’inverno del nostro scontento: solo l’aria è più pulita

In Italia – In questo periodo di crisi sanitaria almeno il tempo non aggiunge altri grattacapi. Molta pioggia lunedì 9 marzo in Liguria (65 mm a Statale, Genova) ma senza disagi, poi la settimana è passata tranquilla anche se di nuovo troppo calda per la stagione, con 22 °C mercoledì nei fondovalle alpini raggiunti dal foehn (Val Susa, Val Venosta) e 24 °C giovedì presso Foggia e Cagliari. Ora correnti da Nord-Est causano un raffreddamento che però durerà poco. Il Cnr-Isac comunica che l’inverno 2019-20 è stato il secondo più caldo dal 1800 in Italia (anomalia +2 °C) a un soffio dal record del 2006-07 (+2,1 °C). Eccezionale febbraio, il più mite della serie con 2,8 °C di troppo. Inoltre, ottavo inverno più asciutto (precipitazioni nazionali in deficit del 43%), perfino il più secco al Sud (-55%). Le misure di contenimento del Coronavirus producono effetti benefici sulla qualità dell’aria al Nord Italia, miglioramenti a cui sarebbe opportuno puntare anche a emergenza conclusa con misure a lungo termine per l’efficienza energetica e i trasporti, promuovendo il telelavoro dopo questo enorme e improvvisato esperimento. In Valpadana il biossido di azoto si è ridotto secondo il satellite Sentinel-5P del programma EU-Copernicus, inoltre a Torino, nonostante due sole giornate ventilate (3 e 7 marzo), da inizio mese non si è più superata la soglia critica di 50 microgrammi di Pm10 al metro cubo, oltrepassata invece almeno 4 giorni su 5 in gennaio-febbraio.

Nel mondo – Non si ferma l’anomalia calda in Europa. A Mosca, massima di 12 °C sabato 7 marzo, mai così presto in primavera. Lunedì 9, record di 28,7 °C a Tuapse, sulla sponda russa del Mar Nero, e mercoledì 31,9 °C a Murcia, primi 30 °C dell’anno in Spagna. Negli Usa, sesto inverno più mite dal 1895, stando ai dati Noaa (anomalia +2,1 °C). L’aria fredda è rimasta confinata molto a Nord, e l’Alaska risulta tra i pochi luoghi al mondo con temperature sotto media in questi mesi: per la prima volta in 21 anni a Fairbanks il termometro non è salito sopra 0 °C in tutto l’inverno. Burrasca di rara intensità in Egitto giovedì e venerdì, danni e 5 vittime in incidenti legati a inondazioni, vento e fulmini. Alluvioni anche in Ruanda (10 vittime), Iran (viabilità devastata nel Sud-Ovest) e Pakistan (almeno 23 morti). Per ora sembra che il Coronavirus si diffonda di più nella fascia temperata boreale con medie termiche tra 5 e 11 °C nelle ultime settimane, come ha evidenziato uno studio dell’Università del Maryland (Temperature and latitude analysis to predict potential spread and seasonality for Covid-19, su Social Science Research Network). Non sappiamo come si comporterà in estate, ma una speranza giunge da una ricerca dell’Università Beihang di Pechino (High Temperature and High Humidity Reduce the Transmission of Covid-19) condotta confrontando dati meteo e diffusione del virus in Cina: i contagi paiono ridursi all’aumentare di temperatura e umidità, come noto per le altre influenze. Intanto i soliti problemi ambientali e climatici continuano, e il rapporto State of the Global Climate in 2019 dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale è un mosaico di evidenze: secondo anno più caldo nel mondo (+1,1 °C dall’era preindustriale), record di gas serra, livello marino e contenuto di calore negli oceani, decine di eventi estremi, dalla fusione anomala in Groenlandia agli incendi australiani. Ora che c’è più tempo per leggere, è molto istruttivo Perdere la Terra del saggista americano Nathaniel Rich (Mondadori): ripercorre quarant’anni di fallimenti, indugi e insabbiamenti delle politiche per contenere il riscaldamento globale. Un avvertimento a non ripetere gli errori di mancata prevenzione, come ci sta duramente insegnando l’emergenza sanitaria.

Esseri liberi non significa “divorarci” tra di noi o fare quello che si vuole

In un messaggio video ai suoi studenti e famiglie, la dirigente di un liceo piemontese ha ricordato le parole di Piero Calamandrei: “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai” (Discorso sulla Costituzione, 1955). Ho molto apprezzato il pensiero, perché non sono in molti in questi giorni a preoccuparsi sul serio delle difficoltà che hanno i bambini e i giovani a restare chiusi in casa senza poter frequentare fisicamente neppure i loro amici. Meno male che c’è Internet, che ci sono i social, le videochiamate, ma la sofferenza per la mancanza di socializzazione fisica li sorprende più di quanto sorprenda noi adulti. Sì, la libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quando incomincia a mancare. E l’asfissia è proprio il sintomo dei casi più gravi di Coronavirus.

Speriamo, una volta guariti, di avere anticorpi più forti, sia contro il Coronavirus sia contro ogni limitazione della libertà che non sia dettata da un interesse più alto, che è quello della responsabilità. C’è un passaggio dell’apostolo Paolo che definisce questo unico limite legittimo della libertà: “Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell’amore servite gli uni agli altri” (Galati 5,13). La Tilc, Traduzione interconfessionale in lingua corrente, traduce così: “Non servitevi della libertà per i vostri comodi”. Perché questo è il punto: che uso facciamo della libertà, che uso ne abbiamo fatto? La libertà non è fine a se stessa, non è vuota, non è scadente, come tante “libertà” del nostro “mondo libero”, non è solo una “libertà da”, ma è anche una “libertà per”, per uno scopo, per un progetto.

La nostra cultura occidentale conosce una libertà che assomiglia molto a quanto descrive l’apostolo Paolo nel v. 5 di questo capitolo della lettera ai cristiani della Galazia: “Se vi mordete e divorate gli uni gli altri, guardate di non essere consumati gli uni gli altri”. Una libertà spesso distruttiva, che non crea nulla. L’Evangelo non ci chiama a essere liberi per poterci “divorare” più comodamente, non ci chiama a essere liberi per fare quello che si vuole, per disinteressarsi degli altri, per essere autocentrati. Non ci chiama a una libertà irresponsabile, ma a una libertà responsabile, con servizio, con amore, con com-passione, “perché tutta la legge è adempiuta in quest’unica parola: Ama il tuo prossimo come te stesso” (v. 14).

Martin Lutero, il riformatore del 1500, descrive la libertà del cristiano utilizzando un paradosso espresso in due frasi: l’una – “Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa, e non è sottoposto a nessuno” – afferma la libertà della coscienza cristiana, informata dall’evangelo, davanti a qualsiasi autorità terrena; l’altra – “Un cristiano è un servo volonteroso in ogni cosa, e sottoposto a ognuno” – afferma la libertà come servizio verso il prossimo (Martin Lutero, La libertà del cristiano, Claudiana).

È un tempo difficile quello che stiamo vivendo. Un tempo che ci impone di limitare la nostra libertà, di essere responsabili e lucidi di fronte a un evento che ci sovrasta e ci rende incerti sul da farsi. Un tempo in cui siamo richiesti di tenere le dovute distanze dalle persone care, dai nostri amici; un tempo che ci chiede di cambiare le nostre abitudini. Ma è anche un tempo che contiene un invito alla nostra cura e al bene comune: dobbiamo fare a meno del tatto, delle labbra, degli abbracci ma non ci viene chiesto di fare a meno del cuore, di coltivare pensieri di solidarietà e di comprendere la libertà come bene comune.

 

Il nuovo concordato sociale della CEI

Due tristi proposte di vita, privata e sociale, sono andate su e giù nelle discussioni, nei progetti e nella pratica di una nuova civiltà politica. La prima è la frase ripetuta come una grande intuizione e una straordinaria innovazione: uno vale uno. Che vuol dire: non perdere tempo a cercare gli altri. Non servono né rappresentanti né intermediari. Ti metti in fila per sostenere ciò che in esclusiva ti interessa, senza inutili discussioni e confronti, e ti farà da guida il risultato di un voto automatico, detto “piattaforma”. La seconda proposta è: prima di sapere, prima di verificare, chiudere. Se necessario, come nelle proposte Salvini-Meloni ai tempi dell’immigrazione in Italia, o nelle iniziative della polizia greca, usare la forza.

Prima che queste due proposte politiche diventassero strumenti abituali di una maggioranza di governo, è arrivato il virus. Il virus che, a quanto pare, ha una volontà di ferro e una concezione decisamente sovranista dei rapporti con gli umani: ci concede, forse, qualche esenzione dal contagio ma solo a patto che uno valga uno, uno in farmacia, uno a trovare cibo, uno ben distanziato dall’altro, per evitare il vero pericolo: essere una comunità. Se necessario, nuovi contagi saranno la prova della violazione di ciò che è prescritto.

La chiusura in casa (praticamente le regole chiedono di non aprire mai la porta, come per gli immigrati) completa la strana messa in scena di un’ideologia che – se non ci fossero stati il Papa, alcuni vescovi e alcune voci sparse ma molto forti e appassionate nella Penisola – stava per diventare non solo prescrizione sanitaria e dura strada per la salvezza fisica, ma forma di governo e soluzione applaudita come forma nuova e sicura di protezione sociale.

Ma stiamo vivendo un complicato momento, mezzo Orwell (molte parole in voga sono false) e mezzo Lewis Carroll (il mondo è rovesciato, e potrebbe guidarci il Cappellaio matto), in cui non sappiamo dove andare e alle istruzioni dei medici non sappiamo accostare delle istruzioni politiche. E così, eccoci a vivere una vita da soli, bene isolati dagli altri, eccoci pronti a svicolare se qualcuno si accosta, nelle rare e sorvegliate fuoriuscite dal piccolo cerchio di solitudine. L’isolamento di solito è una pena giudiziaria tra le più dure. E noi ne abbiamo fatto una cura che stranamente riflette un progetto di nuova politica. Ecco che cosa è accaduto. Da un lato la sovrapposizione (quasi una maschera), di un triste modello politico trasformato in un pericoloso malanno, come in una fiaba. Dall’altro due vuoti: mancano una autorevole guida politica e una autorevole guida scientifica. Gente buona e debole tenta di accudirci (facendo in modo però che nessuno di noi sia informato e partecipi alle decisioni). La bizzarra analogia fra sistema politico (che era in agguato, ma non ha fatto in tempo a diventare regola) e malattia dell’isolamento e della solitudine, che riproduce per motivi di salute le stesse regole di triste adesione spontanea a un Parlamento vuoto e a un partito vuoto, crea certamente un pericolo perché un Paese in cui ciascuno deve salvarsi da solo, da lontano e al chiuso (fosse anche generoso e fraterno, fosse anche sfuggito alle regole di Salvini e dei vari gruppi di conservatori) non può immaginare un futuro.

Forse per questo la Conferenza Episcopale e il cardinale Bassetti hanno compiuto un gesto verso l’Italia che avrebbe dovuto occupare aperture televisive e titoli (tutti mancati) di giornali. La Cei ha scritto: “La Chiesa italiana sente il dovere di spiegare che condivide le limitazioni a cui ogni cittadino è sottoposto. Ma la situazione è gravissima anche sul piano economico con conseguenze enormi per le famiglie dell’intero Paese, a maggior ragione per quelle già in difficoltà o al limite della sussistenza, gli anziani, i malati, le persone sole. Occorre suscitare nei giovani la generosità e il desiderio di far dono di sé per ridare dignità a ogni creatura. L’Italia vive un momento di forte incertezza e questo si riflette sulla vita di tutti i giorni di tanti. Dunque è notevole il carico che grava sulle spalle di gran parte della popolazione. Da questa prospettiva guardiamo con attenzione alla legge di Bilancio. La Chiesa è una comunità che non si rassegna a situazioni violente e a situazioni sociali ingiuste. Sentiamoci convocati dal Vangelo. Sarà più facile avvicinare e riconoscere i tanti immigrati che vivono accanto a noi”. La Cei (e nessun partito politico) ha dunque proposto all’Italia un nuovo concordato (so che la parola può sembrare eccessiva), detto in un testo quasi tutto laico, che chiede fraternità e cooperazione, propone che un Paese spezzato dalla politica diventi una comunità di vita insieme, ognuno in aiuto dell’altro persino se una quarantena obbliga alla separazione. C’è energia, speranza, e non si promette la mano di Dio, ma il coraggio che fatalmente generano le persone insieme. E i doveri congiunti dello Stato e dei cittadini. È ragionevole far finta di niente?

Mail box

 

Io compro sempre due copie, voi tenete duro e buon lavoro

Gentile Direttore, le comunico che, da tre giorni, sto comprando due copie del Fatto anziché una e, approfittando del fatto che sono medico e quindi ho più libertà di movimento di altri cittadini, la infilo nella buchetta delle lettere di qualche amico o conoscente che abita sui percorsi che compio andando a visitare i miei pazienti. Continuerò così fino alla fine di questa emergenza. Tenete duro. Complimenti e buon lavoro.

Venanzio Antonio Galdieri

 

È il momento di apprezzare ogni cosa, per quanto piccola

Di questa triste situazione mi colpisce il silenzio, irreale e magico, quasi consolatorio in un mondo di frastuono e scalpitio. Il silenzio, spezzato solo dal canto degli uccelli, dall’abbaiare dei cani (e purtroppo dalle sirene delle ambulanze), in cui mi immergo. Mi accarezza la musica che dalla televisione mi tiene compagnia. Mi consolano le parole che dal “nostro” giornale mi consentono di pensare. Guardo la mia cagnolina che chiede con occhi imploranti “usciamo?”. Guardo la mia compagna-moglie-tutto dormire, non troppo serena. E mentre penso che passerà anche questa buriana, mi tuffo nel vuoto della mia Vercelli, per la gioia della mia cagnolina. È tempo di apprezzare ogni cosa. Per quanto piccola o insignificante. Ce la faremo! Buona giornata a tutti.

Franco Baratella

 

Covid-19, ci è mancata soprattutto l’autodisciplina

Leggendo il particolareggiato articolo di Marco Lillo dell’altro giorno, mi sono reso conto che la situazione possiede tratti decisamente complicati. Fin dall’inizio ho sempre pensato che di fronte al Coronavirus servissero tre cose fondamentali: prevenzione, scienza e pazienza. Ero convinto che l’epidemia fosse giunta nonostante queste cose, ma leggendo l’articolo ho capito che il virus è sbarcato in Italia proprio perché nessuna di queste cose è stata tenuta in conto. Qui non si tratta più di istituzioni o popolo, ma di pura e semplice autodisciplina nei momenti cruciali. Una società avanzata dovrebbe possedere la giusta dose di conoscenza per sapere cosa fare in casi di simile gravità senza che ciò debba venire scritto in un decreto. E tuttavia, per troppo tempo ci siamo convinti che per libertà s’intendesse – perdonate le parole – “fare il cazzo che ci pare quando ci pare”. Non è così: la libertà ha dei limiti, e in situazioni del genere dovremmo ricordarcene. Non l’abbiamo fatto.

G.C.

 

Oggi mi consolo leggendo “Millennium” e Sandro Penna

La prima pagina di Millennium è efficace e fa almeno sorridere. Questa volta Salvini se la merita tutta perché non ha letto bene il Dpcm. Se è vero che il virus sta rallentando, come fa presupporre la prima pagina del Fatto, mi dispongo a uscire per la spesa con animo più sollevato. Sandro Penna mi ha rasserenato, per oggi, con questo distico: “Il mondo che vi pare di catene/ tutto è tessuto d’armonie profonde.”

Adriana Rossi

 

Riscopriamo Pascal e i suoi pensieri sul male

In tempo di Coronavirus e di condanna all’isolamento, può essere, forse, di conforto il pensiero di Pascal: “Quando mi è capitato di riflettere sulle diverse inquietudini degli uomini, sui pericoli e sulle pene a cui si espongono a corte, in guerra, là dove nascono tanti contrasti, passioni, imprese ardite e spesso malvagie, mi son detto spesso che tutti i mali degli uomini derivano da una sola cosa, dal non saper stare senza far nulla in una stanza”.

Ezio Pelino

 

La Germania ha ospedali migliori, noi invece il Mose

In Germania i posti per la terapia intensiva sono 28 mila, in Italia solo 5 mila. Il coordinatore delle terapie intensive lombarde, per il momento rassicura “Nessun ‘vecchio’ escluso, ma succederà se non fermiamo il contagio”. Diversamente da noi, una situazione così drammatica in Germania sarà molto probabilmente scongiurata. In compenso noi abbiamo le grandi opere, Tav e Mose, l’Expo, gli stadi e le Olimpiadi e tagli per 37 miliardi di euro al servizio sanitario nazionale negli ultimi 10 anni. Inoltre, mi chiedo: può un medico abrogare la Costituzione discriminando una categoria di persone? È un criterio arbitrario, incostituzionale. Sono impazzito io, o è impazzita la società?

Maurizio Burattini

 

Auguri a tutti noi, nonostante la Lagarde e la decrescita

La Lagarde arriva dal Fondo monetario internazionale che più volte ha dimostrato di voler difendere gli investitori più grossi. Io non credo che la Lagarde abbia sbagliato a dire, credo che abbia detto sapendo bene quello che sarebbe successo. Ma questo è il problema di chi sopravviverà non solo all’attacco del Coronavirus ma al collasso del sistema sanitario, produttivo e sociale dovuto al Coronavirus. Chissà se riuscirò a vedere come sarà il mondo dopo questa “Decrescita infelice”. Auguri a voi e a noi, a quelli degli ospedali e a quelli che cercano di tenere in piedi il sistema nonostante che il “Griso manzoniano” sia in piena attività.

Vareno Boreatti

 

Ora passo le mie giornate in vostra compagnia: grazie

Cari amici del Fatto, in questi giorni mi informo sul Coronavirus guardando i tg e mi diletto nella lettura delle notizie sul vostro giornale; inoltre sto leggendo B. come Basta e consulto il mio piccolo archivio fatto di vecchie notizie del Fatto cartaceo, guardo i video del grande Marco Travaglio e di Andrea Scanzi e seguo anche Peter Gomez su Nove. Praticamente le mie giornate le passo in vostra compagnia. Grazie di esistere.

Francesco Vignola

Per la nostra resistenza servono anche gli psicologi

 

“Il picco forse raggiunto”. Maria Rita Gismondo, “Il Fatto Quotidiano”

“ A Roma picco nei prossimi giorni”. “Repubblica”

 

Prepariamoci. La settimana che si apre sarà diversa da quelle precedenti perché pur permanendo in uno stato d’incertezza totale saremo come naufraghi che sperano d’intravedere all’orizzonte il profilo di un’isola, o almeno di uno scoglio. Il picco. Perché sappiamo che le epidemie hanno un inizio e una fine. Perché sappiamo che la fine si annuncia con il punto più alto del contagio, dopodiché comincia la discesa. Perché sappiamo che lo scollinamento del morbo ci sarà, ma non sappiamo quando. Forse è già cominciato. Forse ci sarà entro la prossima settimana. Forse dovremo prepararci ad aspettare la fine di marzo, e forse anche di aprile. E poi chi ci assicura che il picco si presenterà uniforme in tutta Italia, e nello stesso momento? Mentre a Milano l’infezione potrebbe recedere, a Roma o a Napoli potrebbe avanzare. Tutte domande comprensibili, sensate ma sulle quali adesso faremmo bene a non fissarci troppo se non vogliamo essere attaccati da un altro virus assai insidioso: quello mentale, psicologico. Che si manifesta con l’attesa crescente, che senza progressi visibili può trasformarsi in ansia, frustrazione, angoscia. Molti (tutti) in mancanza delle tanto attese buone notizie possono essere tentati di allentare l’autodisciplina dei comportamenti, quella indotta dalle misure del governo e che negli ultimi giorni ha di fatto positivamente desertificato le città. Infatti, c’è il problema connesso alla data di mercoledì 25 marzo fissata dal decreto Conte come termine del tutti in casa e dunque della fase più dura della quarantena. Ma se per quel giorno il picco non fosse stato ancora raggiunto, o si presentasse non in maniera uniforme, o contraddittoria è chiaro che il governo sarebbe costretto a fissare un termine ulteriore, e anche questo prolungabile non sappiamo fino a quando. Ecco perché sarebbe opportuno, forse anche necessario, che i bollettini della nostra resistenza quotidiana fossero commentati in televisione non soltanto da virologi ed epidemiologi, ma anche da esperti di psicologia di massa in grado di accompagnarci in questo percorso così impervio e inesplorato. Per spiegarci. Per rassicurarci. Per prepararci al futuro, qualunque esso sia.

Siamo in pieno disastro mediatico

Le parole hanno un peso specifico alto. Parole e inflessione di voce con le quali si pronunciano, possono veicolarne il significato nei sensi più estremi. Se poi l’argomento è complesso e il quadro da descrivere è estremamente mutevole, si rasenta il disastro mediatico. È quello che sta accadendo per il fenomeno Coronavirus. La gente non può avere la competenza per capire tutto e tutto è peggiorato dalla paura. Si proclamano stati di emergenza, mentre i numeri riportano solo due malati importati dalla Cina. Poi il direttore generale dell’Oms proclama che si tratta di un’infezione meno contagiosa dell’influenza stagionale e i casi diventano centinaia e poi migliaia e poi centinaia di migliaia. Mentre nel resto d’Europa non si registrano (ancora) malati, noi pubblichiamo il numero dei positivi lasciandoli scambiare per malati e diventiamo gli “untori”. Prima facciamo tamponi a tappeto e poi solo ai sintomatici (e neppure a tutti). Ma come si fa a riversare sulla gente termini epidemiologici ostici, a volte, persino a chi dovrebbe essere un esperto? Non parliamo poi del numero che spaventa di più, i morti. Ogni giorno Borrelli ci comunica il bollettino di guerra. Mi domando: come fa a comunicare il numero dei morti del giorno? Le mie reminiscenze di Medicina legale mi dicono che i deceduti per patologie a impatto sociale vengono sottoposti ad autopsia per accertarne la causa di morte. Ma facciamo 180 autopsie in un solo giorno e tutte entro le 18, orario della conferenza stampa giornaliera? O meglio: si fanno le autopsie a tutti i deceduti, prima di dichiararne la causa? Speriamo. Quel che è certo è che in Italia non risultano più morti se non quelli per Coronavirus. Che caos!