“Io twitto le poesie e Leo canta sui social”

Alessandro Gassmann, ha tempo e voglia di una chiacchierata sui “balconi canterini”?

Eh, tanto non abbiamo altro da fare…

Come giudica questo contagio allegro di canzoni e dj-set, applausi e serenate, ciascuno dalla propria finestra di casa, sia la società civile sia gli artisti?

Trovo queste manifestazioni molto commoventi: anche gli artisti fanno parte della società civile; perché dovrebbero esimersi? Io leggo e posto poesie su Twitter e soprattutto sto usando i miei profili social per dare informazioni. Chi fa un mestiere pubblico, come me, ed è seguito adesso dovrebbe limitarsi a collaborare con chi sta sul campo – medici, istituzioni… – per superare meglio e il prima possibile questa situazione nuova e drammatica.

Quindi i social sono il suo balcone, la sua finestra sul mondo…

Io il balcone non lo uso perché non so cantare e anche perché non sono in città, ma in un luogo ameno. Però mi piace moltissimo questa iniziativa: sto postando, rilanciando, soprattutto i musei che offrono tour virtuali; mi sembra bellissimo. Molte delle iniziative di questi giorni andrebbero mantenute quando torneremo, il prima possibile spero, a una vita normale. Il Paese si sta riunendo: non succedeva da tempo. Lo sapevo: l’Italia nei momenti di grande difficoltà dimostra carattere e coraggio. L’applauso, comunque, va ai medici e a quanti stanno combattendo sul campo una battaglia dura, di cui da casa non abbiamo contezza.

Da un lato si canta l’inno di Mameli alla finestra, dall’altro però ci sono tensioni tra Regioni per l’esodo al Sud: è unità questa?

La positività dei balconi aiuta tantissimo. Chiaramente chi si sposta dal proprio Comune immotivatamente, che vada da Nord a Sud o da Sud a Nord, contravviene alle regole… Molto spesso mi dico che faccio un mestiere inutile: non salvo vite, non spengo incendi… Ma il fatto di essere seguito può essere utile ora, almeno per dare informazione sana. Bisogna rispettare le regole: stare a casa. È una questione civile, non regionale.

Musica, poesie: l’arte è esorcismo e terapia contro la paura?

Sicuramente sì, la cultura tutta lo è, la lettura in primis. Trovo interessante anche la mutazione dei programmi televisivi… Bisognerebbe fare più informazione, ad esempio, per i ragazzi che non vanno a scuola. Molte cose stanno migliorando: il telelavoro è possibile. Dobbiamo tenerlo a mente quando tutto sarà finito.

Suo figlio Leo è un cantante: ha aderito alle strimpellate?

Mio figlio è anche lui “senza balcone”: è qui con me in campagna, insieme alla sua fidanzata e a mia moglie. Ha fatto un live l’altra sera su Instagram. Mi ritengo molto fortunato a stare qui con loro: la sera lui canta, io leggo le poesie… E sono tornato a rompere le scatole come tutti i genitori.

Come vivono il trauma le vostre due generazioni?

Giudicando dai due ventenni che ho in casa adesso, non c’è grande differenza. Prima avevamo vite opposte, interessi diversi, tempistiche differenti… Ora però stiamo vivendo tutti allo stesso modo le limitazioni; forse i ragazzi soffrono un po’ di più perché hanno più energia, vorrebbero uscire… Ma hanno capito… La paura aiuta a rispettare le regole. Io sono ligio perché ho paura, e poi anche perché penso agli altri.

B. in esilio con Marta fa testamento (politico)

Diciamolo: a livello d’immagine non ci sta facendo una gran figura. E questo, con un sussurro appena accennato, lo si dice anche in Forza Italia. Non è il massimo, infatti, che in piena emergenza Coronavirus, col Paese che ogni sera fa il conto di morti e contagiati, il leader che ha dominato per vent’anni la politica italiana se ne stia beatamente in Francia. Per sfuggire al contagio.

“Non è previsto che torni, ci starà a lungo”, si dice in FI. Con la sua nuova fidanzata 30enne, la deputata Marta Fascina. La quale, dall’esilio dorato della villa di Marina Berlusconi a Chateauneuf-de-Grasse, a 30 km da Nizza, pubblica pure post per criticare il governo. La decisione di espatriare è stata presa dalla famiglia insieme al suo medico, Alberto Zangrillo. Considerata l’età (83 anni) e le patologie cardiache pregresse, il medico del San Raffaele gli ha consigliato di stare lontano dalla Lombardia. Così, dopo il soggiorno in Svizzera, Berlusconi si è trasferito direttamente in Francia senza ripassare da Arcore.

La domanda è: se l’emergenza toccherà pure il Paese transalpino, fuggirà ancora più lontano, magari allungandosi fino alla sua magione di Antigua? In Forza Italia, va detto, dal punto di vista politico l’esilio non sta generando grandi clamori. “A quell’età è comprensibile che non voglia rischiare…”, osserva un deputato. “Non si vedeva prima, non si vede adesso…”, sbuffa una senatrice. Anche prima dell’emergenza virus, infatti, l’ex premier fisicamente era quasi sparito e scendeva a Roma col contagocce. Tutta la baracca, o quel che ne resta, è tenuta in piedi dal vicepresidente Antonio Tajani.

In questi difficili giorni è lui a dare la linea. Ma c’è di più. Si racconta pure che, non più di un mese fa, lo stesso Berlusconi abbia messo per iscritto che, se gli dovesse accadere qualcosa, il simbolo di Forza Italia andrebbe proprio a Tajani. Che così ne diventerebbe l’erede. Una sorta di testamento politico, dunque. Notizia che nel partito azzurro ha scatenato non poche tensioni. Qualcuno, insomma, non ha gradito. Con alcuni che giudicano “eccessivo” pure il protagonismo televisivo del vicepresidente.

“Sarà anche un po’ grigio, ma Berlusconi di Tajani si fida ciecamente. Per questo, in questo difficile passaggio, è lui ad avere il timone…”, si dice nel partito azzurro. Bernini e Gelmini, però, non hanno gradito l’esclusione dal vertice col governo, martedì scorso. E si sono fatte sentire. L’ex premier, comunque, dalla Francia è pienamente operativo. “Lo sentiamo al telefono e segue la situazione minuto per minuto”, afferma Giorgio Mulè.

Venerdì, per esempio, ha vidimato le proposte economiche che FI ha sottoposto al ministro Roberto Gualtieri. “Siamo tutti impegnati in uno sforzo corale per superare questa emergenza: ognuno faccia la sua parte e presto potremo tornare a vivere le nostre vite e a riprendere le nostre attività”, recita il suo ultimo tweet. Al suo rientro in Italia, però, Berlusconi dovrà sbrigare anche le sue faccende personali.

Francesca Pascale, nonostante la fine della loro storia, vive ancora a Villa Maria, a due passi da Arcore. Continuerà a restar lì, come vuole Silvio, o verrà sfrattata, come invece vorrebbe la famiglia, soprattutto Marina? Ovvero colei, la figlia, che più ha spinto per la “sostituzione” della Pascale con una “ragazza più tranquilla” e assai meno propensa a quelle “fughe in avanti” che mettevano di continuo “in difficoltà il presidente e il partito”, racconta una fonte forzista.

Per il momento, però, Silvio resta in Costa Azzurra, a godersi una sorta di luna di miele con la sua nuova fiamma.

“Le chiese non si chiudono, ma la Cei istruisca i preti”

Padre Enzo Bianchi, chiese aperte o chiese chiuse?

Capisco la domanda che riguarda milioni di cittadini angosciati per la pandemia, ma avrei preferito che la questione non venisse posta in questi termini e fosse risolta con maggior discernimento.

Al momento le chiese sono semichiuse, o semiaperte se preferisce.

Io da cristiano non ho dubbi: chiese aperte, ma con estremo giudizio e con le precauzioni sanitarie prescritte perché le chiese non sono esenti dalle disposizioni governative. Ai pastori dico di ricordare la nostra funzione essenziale: alla gente vanno garantiti luoghi in cui pregare, momenti per percorrere altre strade di consolazione e speranza se la loro fede lo chiede.

Giovedì la Conferenza episcopale ha suggerito, non imposto ovvio, la serrata ai 260 vescovi delle 260 diocesi e alcuni vescovi si sono presto adeguati.

A me è sembrata subito una misura eccessiva, poco meditata. C’era l’esigenza di dare un segnale di disciplina e di sostegno al governo, ma ribadendo il ruolo primario della Chiesa: far sentire la sua presenza lì dove ci sono gli infermi, gli anziani, gli ultimi.

Un intervento di papa Francesco, venerdì mattina, ha costretto la Cei a una smentita di se stessa e i sagrati delle parrocchie si sono spalancati.

Io mi aspettavo un segnale di Francesco. Mi interrogavo: siamo proprio sicuri che sbarrando l’ingresso in chiesa e cessando l’eucarestia si testimoni l’obbedienza al Vangelo che ci chiede un amore concreto verso il prossimo? No, era un errore. Altro che vicinanza al prossimo: il prossimo sarebbe morto. Per fortuna, il Papa ha parlato e interrotto una grave sonnolenza spirituale.

Adesso i sacerdoti, come da indicazioni Cei, possono accogliere i fedeli tra i banchi e portare l’eucarestia a chi soffre, a chi è solo. Non è pericoloso che un sacerdote si avvicini a un ammalato?

Questo è un problema molto serio e la Cei non può lasciare libertà di scelte e troppa responsabilità ai preti, ha il compito di fornire direttive precise. Bisogna essere attenti e trovare soluzioni adeguate per evitare contagi. Per esempio, dotarsi di mascherine e guanti sterili per portare la comunione a chi la chiede.

Però le norme vietano contatti esterni e visite a domicilio, si può uscire soltanto per ragioni necessarie, come per andare al lavoro o per l’acquisto di alimenti.

Mi è stato difficile capire perché il governo avesse annullato le celebrazioni liturgiche e i funerali mentre i ristoranti erano ancora follemente strapieni. Questa emergenza è una novità che ha fatto smarrire il giusto equilibrio e venir meno il discernimento. È successo ai vescovi, non biasimo di certo le autorità civili. Nutrire il corpo con il cibo comprato nei supermercati è necessario, ma per i cristiani è necessario anche nutrire l’anima con i sacramenti.

Che sia influenza spagnola, colera, peste, da sempre la Chiesa entra in conflitto con la scienza e le regole e si ribella. Quale è l’altro rischio del virus Covid-19?

Semplice: la debolezza della fede. Non è il tempo dei miracolisti o di processioni per guarire il virus o cose simili. Con la fede non sconfiggiamo la pandemia, è chiaro, ma i sacramenti sono cose decisive e non superflue per noi cristiani. Hanno un significato profondo che va cercato senza attentare alla salute pubblica. Lo Stato deve capire che ci sono esigenze essenziali per tutti, ma per i cattolici è anche essenziale nutrirsi del corpo di Cristo.

Cosa può fare il governo?

La Costituzione italiana ha sancito che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani; tuttavia lo Stato ha il dovere di spiegare alle comunità religiose, di qualsiasi religione, come comportarsi di fronte a una pandemia, lasciando al discernimento delle comunità religiose ciò che è necessario alla vita spirituale dei credenti.

“Meno tamponi e pochi letti in rianimazione”

Basildon Hospital, est di Londra. La mail è arrivata venerdì a tutto il personale sanitario dal direttore del dipartimento di microbologia. L’oggetto: “Importanti cambiamenti nella gestione dei test sui casi sospetti di Covid-19”. Verranno sottoposti al tampone, si legge, ai “ricoverati” nei casi “di polmonite, di Sindrome da distress respiratorio acuto e quelli di Influenza-like illness”, le sindromi influenzali. Un’istruzione in linea con la decisione di Downing Street di aspettare che il 60% dei britannici sia contagiato per ottenere l’immunità di gregge. “Il governo ha cambiato la policy – racconta al Fatto un infermiere italiano impiegato nel reparto di medicina d’urgenza, che ha chiesto di rimanere anonimo – fino ad allora ne avevamo fatti 200, ci cui 6 risultati positivi. D’ora in poi verranno fatti solo alle persone che presentano più patologie e solo se necessitano di ricovero”.

Quante di queste sono destinate alla terapia intensiva?

Non tutti quelli che arrivano ora in pronto soccorso ne avranno bisogno. Qui abbiamo in tutto 19 posti, di cui al momento solo uno libero.

E’ un ospedale grande?

Ha un bacino d’utenza di 1,5 milioni di persone e fa 200 mila ricoveri all’anno.

Diciannove posti di rianimazione sono pochi.

In pochi ci finiscono. Qui la maggior parte delle persone che soffrono di multipatologie, specie gli anziani, firmano un modulo chiamato Dnacpr (Do not attempt cadiopolmunary resuscitation, ndr) in cui rinunciano a trattamenti di sostegno alla vita nel caso in cui le loro condizioni dovessero precipitare.

E’ una questione culturale, prima che politica.

Sì, è il motivo per cui ci sono pochi posti. La scelta del governo di limitare i tamponi parte dal presupposto che per come è organizzata la sanità non c’è modo di bloccare il contagio. Consideri poi che qui in Inghilterra non esistono reparti di infettivologia o pneumologia come li abbiamo in Italia: esistono aree destinate alle patologie respiratorie o aree per quelle gastrointestinali e cardiache.

Quindi un sospetto Covid-19 sta con altri pazienti?

Viene tenuto in una stanza isolata, ma all’interno di un area con altri malati.

Diceva che chi denuncia sintomi arriva in pronto soccorso. Possibile?

“Sì. Qui ogni giorno si presentano tra le 350 e le 500 persone. Di queste 20-25 hanno problemi respiratori. Tra le 15 e le 20 vengono ricoverate e da venerdì fanno a tutte il tampone. Fino ad allora veniva fatto solo a chi arrivava da Paesi a rischio o era venuto in contatto con casi sospetti.

Quindi potenziali malati di Covid-19 vengono in contatto con altre persone nelle sale d’aspetto.

Sì. Dal momento in cui arriva a quello in cui viene messo in isolamento, un sospetto condivide gli stessi ambienti con almeno altre 50 persone. Nella nostra sala d’aspetto stazionano in media 40 persone contemporaneamente. Poi c’è l’incontro con un primo operatore che accoglie e accompagna il paziente e con un secondo che fa il triage. Quest’ultimo decide se il soggetto deve essere isolato. E nel frattempo sta con altre persone.

A lei è capitato?

Sì, ho visitato molti pazienti con problemi respiratori , ma nessuno di quelli che sono passati da me ha fatto il tampone perché prima la scelta era lasciata al medico.

Avete dispositivi di protezione?

All’inizio, quando l’epidemia è arrivata in Italia, l’ospedale ci dava sovracamici, mascherine di tipo Ffp2, guanti e una divisa usa e getta. Da qualche giorno ci forniscono solo il sovracamice e una mascherina chirurgica, di quelle di carta.

Sbruffoni al potere: Donald l’impaurito e Boris il kamikaze

Alla fine, il riluttante e contraddittorio Trump si è sottoposto ieri al tampone, esorcismo contro un virus a cui lui ritiene d’essere immune poiché “non manifesto alcun sintomo”. Ed è come una rivoluzione copernicana: colui che minimizzava rischi e scenari apocalittici, costretto a un rapido dietrofront, al contrario del cinico Boris Johnson che auspica un biblico contagio, dunque non lo nega, ma lo affronta come i piloti della Raf fecero contro la più potente Luftwaffe nazista, con cipiglio spavaldo e incosciente: “Ammaliamoci tutti, così si crea l’effetto gregge, tanti malati tanta potenziale immunità”, purtroppo anche tantissimi morti, ma è il prezzo che si deve pagare per salvare il Paese e le sue strutture, Dio salvi la Regina e il Regno Unito! Fare un discorso così in America avrebbe scatenato l’inferno, perché il coronavirus è arrivato in 46 stati, perché le previsioni sono tremende, e poi ci sono notizie simboliche e di cattivo presagio: sabato mattina un’anziana è morta, viveva a Manhattan, la prima vittima nel fortino nevralgico della nazione.

Obbligato dallo staff e dalle pressioni dei media, Trump il Riluttante ha dovuto dichiarare in diretta tv venerdì 12 marzo lo stato di emergenza, esibendosi persino in un maldestro eldow bump, un saluto gomito-gomito con il barbuto Bruce Greenstein (capo di una florida azienda di servizi sanitari a domicilio per anziani connessa con 350 ospedali), borbottando “è bello, mi piace…” salvo poi tornare a stringere le mani agli altri che lo affiancavano…

Se Trump ammette dunque che la situazione è grave, Boris Johnson ha bypassato questo limite, ammettendo che oggi come oggi non ci sono risorse scientifiche per arrestare la pandemia, alla quale occorre rassegnarsi. Meglio tutti infetti. I più sani, forti e fortunati sopravviveranno. Gli altri, si vedrà. Ma non metteremo in pericolo le strutture economiche, produttive e finanziarie del Paese per tentare di vincere una battaglia già persa. Saranno mesi, forse anni di sacrifici. Quelli di Trump hanno il sapore del dollaro. Quelli di Boris, del sacrificio umano. In pieno stile Brexit. Coronavirusexit.

Il problema di Trump sono i sondaggi. E l’opinione pubblica. Il New York Times da giorni lo incalza con racconti di malasanità e di carenze previdenziali. Lo stato d’emergenza dichiarato tenta di porci una pezza. Ma Donald non ha resistito all’impulso di addossare agli altri, una volta di più, la responsabilità di un “virus straniero”.

I social l’hanno bersagliato ferocemente. Rimarcando che la Casa Bianca ha coinvolto dieci grandi aziende private, da Google a Walmart, dalla Roche al LabCorp. Chi ci guadagnerà col contagio? Trump assicura 5 milioni di test, ma se ne possono fare subito solo 500 mila. Lo “screening” via Google è mirato a chi ha i sintomi, ma chi è asintomatico? La strategia della Casa Bianca è crivellata di obiezioni. Donald ha replicato ieri con un laconico tweet: “SOCIAL DISTANCING”, distanza sociale, la prima (gratuita) precauzione, “ok, distanziati tu per primo, sino ad arrivare a… Mosca”, hanno scritto su Twitter.

Che invidia, per Boris Johnson. E per le sue atroci preveggenze: “Molti perderanno i loro cari”. Lo afferma la scienza, come ha detto il ministro della Sanità, Matt Hancock. Nella mano di poker, Boris ha carte in cui si legge che sono gli anziani i destinati al sacrificio del “gregge”: quelli che hanno più di 65 anni sono (dati aggiornati a ieri) 12.555.889, di cui 6.747.035 donne, e 19.664 sono ultracentenari. Una forte percentuale di questa fascia a rischio verrà infettata, fino all’80%. Selezione naturale: più contagiati, più probabilità di avere immuni, i quali consentiranno di controllare l’epidemia, in attesa del vaccino. La teoria è sostenuta da sir Patrick Vallance, 59 anni, Chief scientific advisor di Boris. Guarda caso, anche ex capo della ricerca e sviluppo del gigante farmaceutico GlaxoSmithKline.

 

Il virus a Palazzo Chigi: 2 viceministri e 1 tecnico

Il virus azzanna anche il governo. Contagia due viceministri, e uno è quello della Salute Pierpaolo Sileri, che da settimane dava spiegazioni e consigli dalle tv. Ma l’epidemia ha toccato anche un dipendente di Palazzo Chigi, su cui ora piovono le critiche dei sindacati per ritardi e misure troppo blande per prevenire il contagio proprio nel cuore del potere. In sintesi, un sabato pesante per la politica italiana. Con una fonte di governo che al Fatto sussurra: “Alla fine molti di noi saranno positivi”. E a fare da miccia della paura è la notizia del contagio della viceministra dell’Istruzione, la dem Anna Ascani, e del 5Stelle Sileri. “Ero in isolamento dal pomeriggio, ma ora ho febbre e tosse e sono positiva al tampone” spiega Ascani. Poco dopo è Sileri a diffondere una nota: “Giorni fa ho avuto contatti con un sospetto positivo, appena mi sono accorto di avere dei sintomi mi sono isolato: il test è positivo”. La moglie e il figlio del viceministro invece sono negativi: ora gli stretti collaboratori si sottoporranno ai controlli, come le persone “sintomatiche” entrate in contatto con Sileri. Nessuna notizia di controlli per il ministro della Salute, Roberto Speranza. Ma di certo c’è ansia nel governo, dove il premier Conte, molti ministri e sottosegretari (e rispettivi staff) si erano già fatti controllare per aver partecipato a delle riunioni con il segretario Pd Nicola Zingaretti: positivo, e tuttora a casa con la febbre. Da ieri il governatore del Lazio ha iniziato la terapia antivirale.

Ma il problema non riguarda solo i politici. Perché in quei palazzi c’è molta altra gente che lavora. Più di una settimana fa le organizzazioni sindacali interne alla Presidenza del Consiglio avevano già rilevato “l’atteggiamento poco comprensivo da parte di alcuni dirigenti” nell’attuazione della direttiva emanata dal segretariato generale. Che, il 4 marzo, aveva inviato le disposizioni per il cosiddetto “lavoro agile”, con una serie di paletti: un massimo di 10 giorni al mese per dipendente e un numero ristretto di lavoratori “ammessi” al lavoro da casa. Poi, come per il resto d’Italia, giovedì scorso le misure sono state inasprite, allargando la platea degli smartworker a tutto il personale. Ma resta ovviamente una quota di dipendenti – secondo i sindacati ancora troppo ampia – che in ufficio deve andarci per forza: chi assiste le attività del premier e dei ministri, chi segue i rapporti istituzionali, i commessi, i funzionari che si occupano degli aspetti tecnico-logistici, quelli destinati alla validazione degli atti amministrativi nonché quelli che seguono in maniera diretta l’emergenza coronavirus. A loro si chiede di spostarsi il meno possibile tra stanze e palazzi, di tenere le riunioni in modalità telematica, mentre sono vietate trasferte e missioni e ridotti all’essenziale gli ingressi al personale esterno all’amministrazione. Ma, per dirne una, perché non si è installato il termoscanner come nelle sedi del Parlamento? E poi mancano mascherine per chi è a contatto con chi arriva da fuori, a cominciare dall’ufficio “passi”, che in alcune sedi è sprovvisto perfino di uno schermo protettivo. Per non parlare degli autisti: l’unica raccomandazione ricevuta è quella di far accomodare i passeggeri sui sedili posteriori, dal lato opposto a quello di guida, e di tenere il finestrino abbassato. La notizia di un caso positivo in una delle sedi della Presidenza, quella in via della Mercede, ieri è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ora è in corso la sanificazione: già lunedì, fa sapere Chigi, dovrebbe esserci “la ripresa in totale sicurezza delle attività indifferibili di supporto alla continuità dell’azione del governo”. Che non si può fermare.

Arriva il Covid-19, ma la destra litiga e la Regione non ha ancora la giunta

“La nostra Sanità non può sostenere un’emergenza come quella lombarda”. L’ammissione arriva da Jole Santelli, eletta presidente della Calabria lo scorso 26 gennaio. Al momento nella Regione i casi di Coronavirus sono “solo” 60, ma il dato potrebbe diventare drammatico se non diminuisce il trend di crescita, amplificato dal ritorno di migliaia di persone dal Nord. Il problema però non è soltanto sanitario: a quasi due mesi dalle elezioni, la Calabria ancora non ha una giunta né un assessore alla Sanità.

Colpa delle solite beghe politiche tra gli alleati di centrodestra: Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e le altre liste della coalizione litigano con la governatrice sulla spartizione degli incarichi, lasciando la gestione dell’emergenza alla sola Santelli e a una task force formata da alcuni tecnici e dalla Protezione civile locale, messi insieme per evitare il completo immobilismo.

A mancare del tutto è però un coordinamento politico. Jole Santelli si è insediata un mese fa e poche ore dopo ha annunciato i primi – e unici – assessori: Sandra Savaglio all’Istruzione e Sergio De Caprio (il Capitano Ultimo) all’Ambiente. Poi più niente.

La Lega è divisa: da una parte ci sono il segretario regionale Cristian Invernizzi e il suo braccio destro Walter Rauti, entrambi lombardi, dall’altra alcuni esponenti del territorio come il deputato Domenico Furgiuele e il consigliere regionale Pietro Raso. I primi chiedono due posti in giunta e per tirare la corda hanno persino paventato l’idea di un appoggio esterno; i secondi si accontenterebbero di qualcosa in meno, anche perché in Regione la Lega ha raccolto solo il 12 per cento, meno di Forza Italia.

Adesso la Santelli, che più volte ha chiarito di voler assegnare un assessorato per ciascuna lista in suo sostegno, ha bisogno di chiudere per non ritrovarsi al 18 marzo, data del primo consiglio, senza giunta. La soluzione dovrà passare per Matteo Salvini, l’unico in grado di mettere ordine nei guai leghisti e stabilire una linea che porti all’accordo con gli alleati.

Nel frattempo però lo stallo può provocare danni enormi, come denuncia il deputato calabrese del M5S, Francesco Sapia: “La Calabria non è pronta. Manca una cabina di regia politico-istituzionale, la struttura commissariale è diretta da burocrati dei ministeri e mancano almeno 100 rianimatori. Il tutto in una Regione con soltanto 101 posti in terapia intensiva”.

La stessa Santelli, peraltro, svolge l’incarico da presidente nel mezzo di un equivoco istituzionale, non avendo ancora rinunciato al ruolo di deputata (è stata eletta con Forza Italia) ed essendo dunque incompatibile.

Almeno per dare un segnale di buon senso, ieri la referente regionale delle Sardine, Jasmine Cristallo, ha invitato i consiglieri a devolvere i circa 12mila euro di stipendio a favore della Sanità: “Non è certo con quei soldi che risolviamo il problema dei nostri ospedali, ma visto che in due mesi non hanno ancora fatto nulla, almeno aiutino la popolazione. Per la volontà della Lega di rompere le scatole sulle poltrone non abbiamo una giunta e in una emergenza del genere non è possibile non avere un governo. Qui la situazione della Sanità è drammatica sempre, figurarsi adesso”.

Esodo: altri 15mila in due giorni. La Sardegna chiude gli ingressi

Nessun esodo, dice Paola De Micheli, ministra dei Trasporti e delle infrastrutture. Che assicura: “Dalle società di trasporto ferroviario nazionale riceviamo le rilevazioni di coloro che si sono spostati da tutto il Nord a tutto il Sud negli ultimi due venerdì”. Ma i numeri che arrivano dalle regioni del meridione sulle auto-segnalazioni di chi ha abbandonato il Settentrione (soprattutto la Lombardia) per tornare in Puglia, Sicilia, Calabria o Campania raccontano un’altra storia. Dicono che più di 15mila persone, negli ultimi due giorni, si sono messe in viaggio. In treno, come è accaduto venerdì scorso, quando a Milano Centrale sono stati presi d’assalto i convogli diretti al Sud. Ma anche in pullman, in auto. Una fuga. Tanto che ieri pomeriggio il governatore della Sardegna blocca tutti gli arrivi sull’isola, completamente chiusa a navi ed aerei.

E parliamo solo di quelli che si sono auto-denunciati, vale a dire di ciò che affiora. Tanto da indurre poi la stessa De Micheli a dare lo stop ai treni notturni a lunga percorrenza: da ieri sera sono stati sospesi. Tanto da gettare nello sconforto il governatore della Puglia, Michele Emiliano. “Tremila persone in più dal 12 marzo – dice Emiliano –. Stiamo valutando se chiedere anche ai loro familiari di mettersi in quarantena. Anzi: è opportuno che lo facciano. Un sovraccarico come questo per il sistema pugliese sarà difficilissimo da gestire”. La questione ha messo in allerta anche il premier Conte. Da Palazzo Chigi fanno sapere che “è il momento della responsabilità di tutti. Non si possono bloccare tutti i trasporti”. Ergo: “Va fatto uno sforzo in più da parte di tutti. Anche da parte di chi lavora o studia in un’altra regione diversa dal luogo dove ha la propria famiglia o la residenza: non si sposti. Se si vuole davvero bene ai propri cari, e per il bene di tutti, vanno evitati questi viaggi”.

Salgono così a più di 56mila le persone rientrate nel meridione da quando nelle regioni settentrionali maggiormente colpite dal contagio sono scattate le prime misure restrittive, come la chiusura delle scuole e delle università. Nella sola Puglia ne sono tornate a casa, dal 29 febbraio a oggi, più di 16.500. Numeri che, paradossalmente, appaiono quasi modesti se confrontati con quelli della Sicilia, che già conta 29mila auto-denunce, ottomila in più in 48 ore. Qui il presidente della Regione Nello Musumeci ha allertato anche la Guardia Forestale. E poi carabinieri, polizia, personale sanitario. Tutti a Messina, ieri, dove arrivava il treno notturno da Milano, per effettuare i controlli e per ricordare che adesso, per ogni nuovo arrivato, scatta la quarantena obbligatoria. Poi via alla nuova ordinanza per contenere la diffusione del virus: controlli a tappeto in tutti gli aeroporti, compresi quelli di Lampedusa e Pantelleria; disinfezione giornaliera dei treni regionali e di tutti i mezzi del trasporto pubblico locale; riduzione delle corse dei bus extraurbani. Che dietro ai dati ufficiali sulle autodenunce si nasconda molto di più lo dimostra il caso della Campania.

Dal 7 marzo scorso sono arrivate solo 2.635 segnalazioni, due giorni fa erano 1.700. Il dato su quanti in realtà siano effettivamente rientrati, come ammette la stessa Regione, si può solo stimare: e si parla di almeno qualche migliaio. Se la Regione Puglia ha già previsto che l’ondata di rientri potrebbe provocare circa duemila infettati in più (numero che indica più o meno anche la soglia massima di sopportazione del sistema sanitario regionale: duemila contagiati, mille ricoverati), la Campania ne prevede più o meno mille (e in questo caso la soglia massima si aggira intorno ai tremila).

Tutti ora attendono di vedere la curva dei contagi, di capire cosa succederà nei prossimi giorni, tra fine marzo e primi di aprile, con le misure di contenimento adottate su tutto il territorio nazionale. Proprio come sta facendo la Regione Calabria, che di rientri auto-segnalati ne conta 6.302, vale a dire duemila in più nelle ultime 48 ore: anche se sa che quelli effettivi potrebbero essere il doppio, qualcosa come 12 mila. Con la sanità commissariata è la regione del Sud che rischia di pagare il prezzo più alto alla diffusione del virus. La governatrice Jole Santelli insieme al commissario straordinario Saverio Cotticelli ha approvato il piano che prevede 400 nuovi posti letto, mentre si valuta dove insediare un ospedale Covid: di fatto scartata l’ipotesi di recuperare i piccoli ospedali di montagna, si fa strada quella di utilizzare il Policlinico universitario di Catanzaro, che ha un padiglione vuoto con 100 posti letto.

La Santelli ha anche pubblicato l’avviso per il reclutamento di 300 medici specializzati e specializzandi. Avviso che sarà un flop, profetizza Filippo Larussa, segretario del sindacato dei dirigenti medici Anaao. “In Calabria c’è una sola facoltà di Medicina: a Catanzaro. E gli specializzandi sono pochi mentre la retribuzione prevista non è allettante”.

Ricciardi (Oms) apre ai tamponi per tutti. Ma Garattini: “Inutile e pure dannoso”

“Estendere il test del tampone a tutti è irrealizzabile e provarci sarebbe anche dannoso”. Silvio Garattini, bergamasco, classe 1928, è il celeberrimo fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Instancabile, chiuso in casa, interviene nel dibattito sul nuovo coronavirus dopo l’apertura di Walter Ricciardi, comitato esecutivo dell’Oms, a incrementare l’uso dei tamponi: “Che ci sia una circolazione del nuovo coronavirus – ha affermato Ricciardi – superiore al numero dei pazienti positivi confermati è indubbio. La strategia di utilizzo dei tamponi va valutata bene, merita adeguati approfondimenti”.

Professor Garattini, lei ha firmato un appello con altre eminenti personalità della comunità scientifica, per chiedere di “allargare il numero di tamponi”. Ma poi ci ha ripensato, perché?

Senza alcuna polemica, ho ritirato quella firma perché mi sono persuaso che sia impossibile e anche dannoso. Avevo capito che fosse riferito alle zone maggiormente colpite, ai focolai. Su territori più estesi, su tutta Italia, è irrealistico. I tamponi verrebbero anche sottratti a chi ne ha davvero bisogno. Senza considerare il lavoro straordinario che dovrebbero sobbarcarsi i laboratori. E, considerando il margine di errore, falsi positivi e falsi negativi, credo sia meglio assistere gli ammalati e lavorare su cose concrete.

Professore, ha compiuto 91 anni a novembre, ha un’esperienza medico-scientifica (e umana) sterminata: ricorda qualcosa di paragonabile al Covid-19?

Non ricordo un problema sanitario del genere. La guerra. Mi vengono in mente solo immagini della guerra. Nel 1940 avevo dodici anni. Si stava chiusi in casa, ma per i bombardamenti. Sono esperienze molto diverse, oggi fortunatamente non siamo in guerra. Ma è comunque molto dura.

Intravede soluzioni?

Quel che è stato messo in atto dalle autorità politico-istituzionali fin qui è ragionevole. E le persone hanno preso coscienza del problema da quel che vedo. Qui a Milano in giro non c’è davvero nessuno. La speranza è che si arrivi presto al picco, perché significherebbe aver intrapreso la strada verso la normalità.

Quando secondo lei?

Secondo autorevoli personalità che hanno studiato la questione la fine della prossima settimana sarà decisiva. Non ho elementi sufficienti per poter fare una previsione diversa. Ma spero fortemente sia così, perché è importante cominciare a liberare posti letto in terapia intensiva.

Certezze, però, fin qui ne sono arrivate poche…

Conosciamo molto poco di questo nuovo coronavirus. Tutto quello che diciamo è frutto di ipotesi e nient’altro che ipotesi. Però cominciano le sperimentazioni di alcuni farmaci (e nelle ultime ore arrivano le notizie sull’anticorpo olandese): è importante, mi creda. Significa che qualche passo lo stiamo facendo, poi è chiaro non ci resta molto altro che sperare nelle previsioni più ottimistiche.

Ha ancora paura?

Sì, perché avremo picchi diversi. Prima la Lombardia. Poi bisogna vedere il Centro e il Sud. Spero che là la situazione rimanga contenuta, perché ci sono bravissimi colleghi ma strutture non all’altezza ovunque.

Chi è fuggito nei giorni scorsi dal Nord verso il Mezzogiorno ha sbagliato?

Certo, non c’è nessuna ragione di diventare potenziali portatori di contagio.

La sua Bergamo è ferita?

Sono profondamente bergamasco: Bergamo si rialzerà, come sempre.

Sta lavorando molto?

Sì, ad articoli sulla riorganizzazione del Sistema sanitario nazionale, va ripensata la regionalizzazione e rifondato: bisogna cambiare del tutto un sistema non adeguato per una popolazione così vecchia. E mi sto occupando anche di Ricerca, questa è l’occasione per capire come non possa essere l’ultima ruota del carro nazionale coi finanziamenti più bassi d’Europa.

Dall’Olanda arriva la cura: un anticorpo batte Covid

Nel pieno dell’emergenza italiana per la SarsCov2 con la Lombardia che ieri ha superato gli 11 mila contagi e con un picco nazionale atteso tra circa due settimane e simile a quello registrato nella regione cinese dello Hubei, una buona notizia arriva dai laboratori di ricerca olandesi. Qui, è il dato di ieri, l’Università di Utrecht assieme all’Erasmus Mc di Rotterdam ha individuato il primo anticorpo monoclonale al mondo in grado di sconfiggere la malattia Covid-19. L’anticorpo 47D11 tra circa un mese sarà sperimentabile sui pazienti. Questo perché è già stato individuato come anticorpo “neutralizzante”, ovvero con una già accertata capacità di poter aggredire il virus. “È un ottimo traguardo”, spiega la professoressa Maria Rita Gismondo che dirige il laboratorio di microbiologia all’ospedale Sacco di Milano. “Il metodo usato – prosegue – non è in realtà nuovo. Già nel 2003, all’epoca della Sars, Nature pubblicò un mio studio che andava in questa direzione. In Cina oggi diversi malati sono stati trattati con il siero di pazienti guariti”.

Merito della scoperta olandese, che in queste ore sta facendo il giro della comunità scientifica, è del professore di biologia cellulare Frank Grosveld e della sua équipe. Grosveld, intervistato sul magazine interno del centro di ricerca di Rotterdam, spiega: “Si tratta di un anticorpo che avevamo già isolato per l’attuale pandemia. L’anticorpo impedisce a SarsCov2 di infettare e può anche aiutare a rilevare il virus”. I ricercatori hanno inviato il loro studio di 24 pagine alla rivista scientifica Nature e sono in attesa della pubblicazione. Il documento è però già presente da ieri sulla piattaforma digitale BioRxiv. “Un anticorpo monoclonale umano che blocca l’infezione SarsCov2”. Questo il titolo della ricerca. Si legge nel documento: “È il primo rapporto su un anticorpo monoclonale che neutralizza SarsCov2. L’anticorpo 47D11 lega un epitopo (parte del virus riconoscibile dal sistema immunitario) conservato sul recettore a punta”. In sostanza l’anticorpo “olandese” si getta sul virus in modo specifico attaccando gli spikes (spuntoni, ndr) che stanno attorno alla molecola virale. Gli spikes attaccandosi alle mucose sono i primi colpevoli del collasso dei polmoni che si sta verificando in centinaia di decessi in Italia. La professoressa Gismondo, che ha potuto visionare lo studio, chiarisce il modo di agire di 47D11: “L’anticorpo blocca una importante parte patogena del virus, si tratta di una particella che si trova sugli spikes che a loro volta hanno recettori che si agganciano alle mucose dei polmoni, bloccarli significa fermare l’infezione”. In alternativa al vaccino “questo anticorpo” potrà essere una buona terapia.

Il metodo è quello della cosiddetta “immunità passiva”. “In questo modo – si legge nello studio – l’anticorpo è in grado di neutralizzare in maniera incrociata SarsCov2” e lo fa “usando un meccanismo indipendente dall’inibizione del legame con i recettori” per questo “l’anticorpo potrà essere utile”, oltre che per guarire i pazienti anche “per lo sviluppo di test di rilevazione dell’antigene”. Nelle conclusioni del testo si legge: “Gli anticorpi neutralizzanti alterano il decorso dell’infezione”, arrivando a cancellare il virus. Spiega Gismondo: “È un passo importantissimo verso la cura”. Uno stesso indirizzo di metodo lo si sta seguendo proprio al Sacco sui pazienti che hanno avuto strane polmoniti tra dicembre e gennaio. L’obiettivo è il medesimo, anche se ancora bisogna individuare gli anticorpi, e una volta trovati bisogna capire se sono in grado di colpire SarsCov2. In questo senso l’Olanda è molto avanti. “Tanto più – conclude Gismondo – che l’anticorpo monoclonale può essere messo in coltura per creare una generazione uguale aumentandone così la quantità da poter usare sui pazienti. Se l’Olanda è già a questo punto credo che in meno di un mese si potrà usarlo sui primi malati”.