Il tema è cruciale, perché si scontrano due esigenze fondamentali per la società. Da un lato la necessità di mantenere le istituzioni nel pieno delle loro funzioni, perché la chiusura di Camera e Senato per l’emergenza Coronavirus porrebbe un problema democratico. Dall’altro, però, ci sono le misure di sicurezza che non possono non riguardare anche i Palazzi: impossibile ipotizzare sedute con più di 500 eletti e decine di funzionari. Come uscirne, allora? Qualcuno ha ipotizzato un voto da casa, anche se su questo ieri il presidente della Camera Roberto Fico ha confermato il suo No: “Per ora si continuerà ad andare in Aula. Nelle modalità da emergenza, ovvero il numero ridotto dei deputati, proporzionale all’entità dei gruppi”. Un’altra possibilità è infatti quella di ridurre gli ingressi, col rischio però di perdere parte della rappresentanza. Su questo tema abbiamo chiesto il parere di sei esperti di diritto.
Gaetano Azzariti
Le Camere non chiudano, si può votare a scaglioni
Preso atto dell’emergenza, possiamo applicare misure che garantiscano comunque la vita democratica. La chiusura del Parlamento sarebbe un segnale decisivo, pessimo per il Paese. Così come restano aperte farmacie o altri luoghi di cui non si può fare a meno, così deve restare in funzione il Parlamento, anche perché ci sono decreti da convertire e misure da discutere. Certo, non siamo fuori dal mondo ed è ovvio che andrebbe rallentata e adeguata l’attività delle Aule. Per esempio, si potrebbe ricorrere a un “voto prolungato”. Chi ha detto che una votazione debba chiudersi in mezza giornata? Si può tranquillamente svolgere in tre giorni, magari con un appello a scaglioni. Mi lascia invece molto perplesso l’idea di un voto a distanza. Per farlo servirebbe una modifica del regolamento parlamentare che temo sarebbe poi scambiata per definitiva, consentendo un colpo alla centralità delle Camere anche a emergenza conclusa. Molto meglio procedere con una deroga meno invasiva come quella suggerita prima.
Stefano Ceccanti
A rischio il numero legale: il M5S dica sì al “suo” digitale
Dobbiamo porci un problema: che cosa accade se facciamo come nulla fosse? La prima ipotesi è che a un certo punto non saremo più in grado di garantire il numero legale per le sedute, tra colleghi che si ammalano e altri in isolamento. In questo modo ci assumiamo la responsabilità di non far funzionare il Parlamento. Ma anche qualora il numero legale ci fosse, la rappresentanza sarebbe falsata sia in termini geografici sia di gruppo. Potremmo ritrovarci infatti un Parlamento dove votano solo eletti del Sud, o dove un certo partito non partecipa perché gli onorevoli sono in isolamento. Mi sembra ragionevole pensare a un voto telematico, visto che alcune piattaforme consentono anche il dibattito a distanza. Quale azienda con un migliaio di dipendenti continuerebbe a lavorare senza precauzioni? Dobbiamo applicare anche noi le norme che chiediamo al Paese. Tra l’altro, se i colleghi dei 5 Stelle sostengono la bontà della democrazia digitale in fasi ordinarie, a maggior ragione dovrebbero apprezzarne le potenzialità adesso.
Fulco Lanchester
È una situazione straordinaria: bene il dibattito a distanza
Siamo in una situazione straordinaria, come testimonia il ricorso da parte del governo a decreti e Dpcm. Non è un caso l’apparizione televisiva del presidente della Repubblica qualche giorno fa, proprio a testimoniare l’eccezionalità di questi giorni. Prevedere variazioni al funzionamento delle Camere non sarebbe dunque una sospensione della democrazia, ma la normale applicazione di misure di urgenza sanitarie. Io non sarei contrario a forme di voto a distanza: molto meglio che si usino strumenti tecnologici rispetto a mettere a rischio l’incolumità dei parlamentari e di chiunque si trovi in Parlamento. In questi giorni svolgo lezione a distanza con 250 studenti. Credo che i mezzi consentano non solo di poter votare da casa, ma anche di poter effettuare un dibattito a distanza. Quanto a ridurre la discussione ai capigruppo, ricordo che diversi anni fa lo propose Berlusconi, pur per tutt’altri motivi rispetto a oggi. Nei limiti consentiti dalla situazione sanitaria, sarebbe meglio mantenere le funzioni di rappresentanza.
Nicola Lupo
Meglio accordi tra i gruppi per auto-limitare le presenze
Il diritto alla salute è forse quello meno bilanciabile, eppure in questa fase si “scontra” con la necessità di mantenere attivo il Parlamento. Io credo che nell’immediato, vista l’emergenza, la soluzione migliore sia quella già adottata questa settimana dal Parlamento, ovvero un accordo di auto-limitazione da parte dei gruppi. Mi sembra che in questo modo sarebbe garantita anche la normale dialettica tra maggioranza e opposizione. Il tutto dovrebbe reggersi sul buon senso, per esempio evitando di chiedere la verifica del numero legale. Se invece dovessimo ragionare sul medio termine, allora non è così impensabile utilizzare la tecnologia per i dibattiti. In ogni caso non credo che l’articolo 64 della Costituzione, quello che prevede la presenza di almeno la metà degli eletti per rendere valide le deliberazioni, rappresenti un problema: già in passato il concetto di “presenza” è stato inteso in maniera molto larga, tanto che i parlamentari in missione, per esempio, vengono considerati tra i presenti.
Valerio Onida
È preferibile usare la tecnologia piuttosto che limitare gli ingressi
Non sono certo un esperto dal punto di vista tecnico, ma credo proprio che ormai ci siano i mezzi per mettere in piedi collegamenti telematici perfettamente in grado di far funzionare il Parlamento pure in una situazione di emergenza come quella attuale. Questo vale non soltanto per l’espressione di un voto a distanza, ma anche per la possibilità di mantenere un dibattito parlamentare. In un momento del genere, perché non procedere in questa maniera? Mi sembrerebbe invece una soluzione ben peggiore quella di ridurre la funzione di rappresentanza a un numero minore di parlamentari, anche tenendo conto di eventuali accordi tra i partiti: tutti gli eletti devono aver la possibilità di esprimersi in maniera individuale, senza riduzioni degli ingressi. Anche perché è attraverso la rappresentanza che il popolo sovrano si esprime. Naturalmente si parla di una situazione temporanea, dunque non dobbiamo pensare a modifiche definitive del funzionamento parlamentare.
Andrea Pertici
La Costituzione non prevede eccezioni: si rimanga in Aula
Il Parlamento di certo non può sospendere l’attività, anzi, è proprio nel momento di emergenza che è necessario. La Costituzione non prevede nessuno stato in cui questo può accadere. Ricordiamoci poi che non è il Parlamento a rappresentare gli italiani, ma sono i singoli parlamentari. Per questo mi lascia perplesso una eventuale diminuzione delle presenze. Ho dubbi anche sull’attività a distanza, perché l’articolo 64 della Costituzione richiede la presenza degli eletti e non credo sia interpretabile anche come una presenza telematica. Potrei invece immaginare l’uso di spazi diversi per la discussione, per esempio sfruttando anche le sale delle commissioni. Per il voto, si potrebbe poi procedere in maniera scaglionata. Tra l’altro il dibattito non si limita alla seduta, perché i parlamentari si confrontano anche fuori dall’Aula. Se chiediamo uno sforzo ad alcune categorie, come quella degli infermieri, non vedo perché i parlamentari non debbano continuare a svolgere la propria attività.